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Torture in carcere. Il cappellano: "in mezzo secolo non mi sono accorto di niente", Invocano il segreto confessionale per i crimini dei colleghi ma non raccolgono le confidenze di minori terrorizzati

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view post Posted on 23/4/2024, 07:43
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Invocano il segreto confessionale per i crimini dei colleghi ma non raccolgono le confidenze di minori terrorizzati

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https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/tor...igoldi-0b8ea0a2

22 apr 2024
MARIANNA VAZZANA

Torture al Beccaria, lo storico cappellano don Gino Rigoldi: “Non sapevo niente, mancano gli educatori”

Don Rigoldi, in prima linea per mezzo secolo: “Vanno riempite le giornate di questi ragazzi”. “Più tutele per i reclusi. Faccio mea culpa: non mi sono accorto delle violenze”

ARTICOLO: Violenze e torture sui detenuti nel carcere Beccaria di Milano: arrestati 13 agenti della polizia penitenziaria, altri 8 sospesi
«La premessa è che i reati che ci sono stati e che sono dimostrabili vanno chiamati con il loro nome e hanno dei colpevoli. Detto questo, io insisto nel dire che nel carcere ci sono dei tempi morti che vanno riempiti, che i poliziotti penitenziari devono avere una formazione che li renda sensibili a temi educativi e spazi adeguati ed essere in numero sufficiente. Bisogna lavorare perché gli agenti non siano percepiti come ’avversari’ dai ragazzi. Per far questo, servono anche più educatori".

È il commento di don Gino Rigoldi a poche ore dallo scoppio del ’caso Beccaria’ con 13 agenti arrestati per presunte "sistematiche torture" nei confronti di giovani detenuti e altri 8 sospesi dall’esercizio di pubblici uffici. Proprio un mese fa, don Gino, 84 anni, per mezzo secolo cappellano del carcere minorile milanese, ha passato il testimone al suo ’erede’ don Claudio Burgio, restando però sempre presente nell’istituto penitenziario come emerito.

Il suo primo pensiero, dopo gli arresti?

"Che siamo rimasti senza agenti (l’organico si è dimezzato, ndr). E non per modo di dire, considerando che al Beccaria ne mancano da anni almeno 20 per avere un numero adeguato. Coloro che sono in servizio sono mediamente giovani e non hanno nessuna formazione dal punto di vista educativo. Questo è un male. Non me la sento di gettare la croce su di loro, come categoria, perché i turni sono spesso massacranti e si trovano davanti ragazzi impegnativi. Dal tardo pomeriggio fino alla mattina successiva sono soli, non ci sono più attività né educatori (e di queste figure ne mancherebbero almeno dieci). I tempi morti sono micidiali per i ragazzi. Molti dei problemi nascono da lì".

In passato era diverso?

"Mi ricordo che, vent’anni fa circa, dalle 19 alle 21 c’erano diversi club di lettura, di arte, di pittura, di musica che consentivano ai ragazzi dopo cena di avere momenti di aggregazione culturale, artistica e di tempo libero organizzato. Bisognerebbe ripristinare questa esperienza con la presenza di educatori e di animatori culturali".


Voi educatori vi eravate accorti delle violenze?

"Faccio un ’mea culpa’ perché non ce n’eravamo accorti, se non di qualche caso, e non così grave come quelli emersi adesso dall’indagine. Non abbiamo mai fatto finta di niente, ne abbiamo parlato e ci sono stati dei trasferimenti. I ragazzi dovrebbero essere maggiormente tutelati, questo è certo. Da un paio d’anni sono aumentati i giovani con sofferenza psichica".

In passato ha anche puntato il dito contro la mancanza di “una direzione stabile”. Ora com’è la situazione?

"Finalmente c’è un nuovo direttore (Claudio Ferrari, ndr ) e abbiamo da alcuni mesi una ’comandante vera’ (Manuela Federico, ndr ) che da circa un mese gestisce gli agenti, dopo decenni di comandanti precari: c’è bisogno che questa figura sia presente in forma stabile. Vorrei anche che la caserma che ospita gli agenti sia trasformata. Oggi gli spazi sono inadeguati, anche per il tempo libero. Io vorrei fare un progetto, a spese mie, per renderla migliore".


E per aiutare i ragazzi?

"Moltiplicare le attività, proporre attività che ai loro occhi siano sempre utili, aumentando quelle per imparare un mestiere. E pure incentivare gli ’articoli 21’ (la legge sull’ordinamento penitenziario prevede, all’articolo 21, la possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa, ndr ). Le ore ’impegnate’ riducono le tensioni".
 
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view post Posted on 23/4/2024, 09:01
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https://milano.corriere.it/notizie/cronaca...538ce0xlk.shtml
Torture al Beccaria, il cappellano don Claudio Burgio: «Sono addolorato, i ragazzi non si sono confidati neppure con me»

di Elisabetta Andreis e Gianni Santucci
Il fondatore della comunità Kayros: «Il rapporto educativo non può essere impostato sulla coercizione, perché questa viene vissuta dai ragazzi come prevaricazione e ingiustizia. Scatena rabbia»

«Sempre più spesso i ragazzi che arrivano hanno un disagio psichiatrico, o legato all’uso di sostanze o di farmaci. Al Beccaria capita che abbiano comportamenti molto aggressivi o violenti, tra loro e nei confronti degli adulti. Ci sono casi di agenti finiti in ospedale; conflitti scaturiti dal niente, magari per una telefonata o una sigaretta negate. Detto questo, i fatti emersi dalle indagini sono di una gravità inaudita. E una cosa soprattutto mi preoccupa».

Cosa?
«Che i ragazzi non abbiano parlato di quel che accadeva nemmeno a me. Mi dispiace. Prendo atto ancora una volta che, persino davanti a episodi così gravi, noi adulti non siamo riusciti a colmare la distanza e creare confidenza».
Don Claudio Burgio, fondatore della comunità Kayros di Vimodrone, cappellano dell’istituto minorile Beccaria, ha da poco pubblicato un libro (Non vi guardo perché rischio di fidarmi, edizioni San Paolo). Le sue esperienze e il suo impegno, le sue speranze e il suo pensiero, ruotano intorno a quel concetto: fiducia. È in base a questo che sempre afferma: «Le responsabilità sono anche e soprattutto nostre, non solo dei ragazzi».

Qualcuno potrebbe interpretare questa frase come sottovalutazione di certe condotte devianti. È così?
«La difficoltà, per i ragazzi di oggi, è trovare adulti di cui fidarsi. Intorno alla fiducia ruota la relazione educativa efficace, che manca in molti contesti: da quello estremo carcerario, a quelli di routine. L’origine di tanti mali nasce da qui, ed è trasversale a tutti gli ambienti, anche quelli lontanissimi da carceri e tribunali».

Che ruolo ha la fiducia?
«I ragazzi non trovano adulti che considerano credibili e degni di stima, di cui fidarsi. Gli adulti paiono assenti, lontani, non riescono a intercettare il linguaggio e i pensieri dei ragazzi, a mettersi in dialogo. Approcciare un ragazzo in modo avaro, avendo paura, è già esprimere un giudizio che mina la base di quel rapporto tutto da costruire. Per i ragazzi c’è tanta incoerenza tra quello che gli adulti dicono e quello che fanno. Risultano poco trasparenti, al limite poco corretti. Infatti gli adulti non sono più contestati: sono irrilevanti».

L’indagine che ha riguardato 21 agenti del Beccaria (su 50 totali) parla di «pratiche sistematiche» per «imporre le regole di civile convivenza» e per «educare» i detenuti.
«Il carcere è la punta estrema di quello che c’è fuori, le dinamiche sono esasperate, ma analoghe. Nella detenzione, così come negli altri ambienti, l’azione disciplinare da sola non paga. Il rapporto educativo non può essere impostato sul contenimento e sulla coercizione, perché questa viene vissuta dai ragazzi come prevaricazione e ingiustizia. Scatena rabbia. La forza muscolare della legge applicata a un sistema come quello carcerario, che già è totale, nel senso di chiuso rispetto alla realtà esterna, rischia di sfociare in un totalitarismo».

L’istituto minorile dovrebbe essere l’extrema ratio, ma non è sempre così.
«Sul territorio le comunità spesso non hanno educatori esperti da dedicare ai casi più complicati e le famiglie non sono supportate adeguatamente. La lista dei bisogni si allunga, il numero crescente di minori stranieri non accompagnati aggrava la situazione».

Di fronte alla devianza, cosa dovrebbe fare l’adulto?
«La tendenza è patologizzare e criminalizzare il ragazzo, connotandolo per le sue azioni. Le azioni commesse sono sbagliate, ma far sentire sbagliato il ragazzo aggrava la situazione. C’è tanto in comune. Siamo umani. Abbiamo luci e ombre. La tristezza, ad esempio, appartiene tanto a loro quanto a noi».

Qualcuno pensa che le condotte adolescenziali sempre più aggressive richiedano politiche più repressive.
«Non è certo una legge più dura e severa a fare da deterrente per contrastare la criminalità e il disagio giovanile. Non è la paura dell’arresto, il terrore del carcere a scoraggiare un ragazzo dal commettere reati; un adolescente cambia se si sente investito di fiducia e responsabilità. Se incontra un adulto di riferimento affidabile, capace di offrire reali opportunità di crescita».

Al Beccaria è mancato per anni un direttore dedicato. Ora come va?
«Da qualche mese ne è arrivato uno finalmente presente full time (Claudio Ferrari, ndr), qualcosa sta cambiando. Gli educatori sono stati aumentati e la ristrutturazione, tanto attesa, ha migliorato la fruibilità degli spazi. Manca ancora il comandante e talvolta gli agenti, giovani e senza preparazione specifica e adeguata, finiscono per andare in crisi in un ambiente sicuramente stressante e molto difficile, dove i ragazzi, più di tutto, avrebbero bisogno di padri».

Lei nel libro cita anche casi di rapper diventati famosi e passati dall’istituto minorile, e poi dalla sua comunità, come Sacky e Baby Gang…
«Sono ragazzi di cui mi piace parlare e scrivere, perché per me sono e sono stati fonte di grande insegnamento».

In generale, i casi sono sempre più difficili, dentro e fuori dal carcere…
«Purtroppo, per loro siamo irrilevanti».
 
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