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Cremona. Mentre don Lucini benedice i cadaveri il Virus uccide don Rini, Il cappellano ospedaliere se ne frega dei contagi. Ma ci rimette la pelle un suo collega

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view post Posted on 14/3/2020, 12:23

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Il cappellano ospedaliere se ne frega dei contagi. Ma ci rimette la pelle un suo collega

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https://www.lanuovabq.it/it/io-prete-in-tr...malati-e-medici

INTERVISTA AL CAPPELLANO DI CREMONA
“Io, prete in trincea con la febbre in aiuto di malati e medici”
ATTUALITÀ14-03-2020
"Senza famigliari presenti, i malati ricoverati vivono relazioni assenti. Ci siamo noi". La Bussola incontra don Maurizio, il cappellano dell'ospedale di Cremona, nel cuore dell'emergenza da Coronavirus: "Ho la febbre, sto aspettando il tampone". Paura? "No, penso a quella nonna che mi aspetta in reparto e non sa che il marito è morto. Si muore soli: ho portato la benedizione a persone già defunte". "Però i medici sono eccezionali: sosteniamo anche loro". Pregare? "Senza sosta. Prego che Dio non ci abbandoni alla morte e alla desolazione".



«Sto aspettando l’esito del tampone. Paura? Sono sereno, l’unico pensiero è ai malati che ho lasciato in corsia, spero che non siano morti. Vorrei tanto ritrovarli al mio ritorno». Sono le 16.30 di giovedì quando raggiungiamo al telefono don Maurizio Lucini, uno dei cappellani dell’ospedale di Cremona, nel cuore dell’emergenza da Coronavirus. Da martedì è nella sua camera. Isolato. «Ho sintomi influenzali sì, un po’ di febbriciattola e ho fatto il tampone. Ora aspettiamo che arrivi l’esito».

Anche agli altri due confratelli rimasti in ospedale sono stati fatti gli esami, ma non hanno sintomi. La storia dei cappellani di Cremona, l’ospedale della troupe in terapia intensiva di Presadiretta e della testimonianza delle due coraggiose infermiere allo stremo, l'ospedale dove in una camera lotta anche il vescovo diocesano Antonio Lanfranconi, è anche la storia di preti di trincea che restano accanto ai malati e ai medici più che possono e che mettono in conto ogni giorno di potersi ammalare. Don Maurizio si confida alla Nuova BQ raccontando il dramma di questi giorni.

Il lavoro è aumentato?
Stiamo facendo il possibile andando anche in quei reparti dove ci sono i malati di Covid-19. Ma non sempre possiamo entrare.

In terapia intensiva entrate?
No. In terapia intensiva è entrato un mio confratello che era stato chiamato per un Olio, era per un paziente Covid. Lì non possiamo essere assiduamente presenti, ma nel caso in cui fossimo chiamati andremmo con tutte le cautele necessarie.

Guanti e mascherine speciali?
Sì. E camici. Purtroppo, il materiale non è sempre disponibile, quindi non possiamo entrare.

Negli altri reparti trovate malati contagiati?
Si, se possiamo li raggiungiamo ben “attrezzati” come gli operatori sanitari. Sappiamo che non dobbiamo abusare di queste protezioni perché potrebbero venire a mancare per gli operatori sanitari. Molti reparti sono stati riconvertiti alla cura del Coronavirus.

I malati vi cercano?
Qualcuno sì, qualcun altro ha bisogno di una parola. Con la mancanza dei famigliari questi malati vivono con ridottissime relazioni umane. Ci siamo noi.

Dovete fare un po’ da famigliari?
Sì. Penso a una signora che ho lasciato in corsia e non so se troverò al mio ritorno. Sto pregando per lei.

Perché?
E’ entrata in ospedale col marito. Lui è morto da poco, ma a lei non l’hanno detto. L’altro giorno aveva voglia di vedere la nuora e i nipoti. E’ stato molto doloroso non poterle dire la verità.

Che cosa ha fatto?
Ho preso il telefono e ho imbastito una piccola “video telefonata”. Ha visto le bambine. Si è commossa. E’ stata felice. Questa è una tragedia che divide le famiglie.

E lei don Maurizio ha paura?
No, sono sereno. A parte questa febbriciattola… però sono fiducioso nelle terapie che fanno.

Come muore la gente?
Spesso sola. Ho portato la benedizione a persone già decedute.

E i medici?
Il tempo è poco, ma ci fermano, si sfogano, piangono, chiedono preghiere. Sono persone eccezionali, stiamo dedicando molte attenzioni a loro.

Sono tutti credenti?
Non arriviamo a rapporti così profondi, ci si incrocia. Chiedono uno sguardo di paterna bontà su di loro. Se questo per molti significhi anche l’inizio di un cammino me lo auguro, ma per il momento basta così.

Che cosa dice a un malato quando entra in stanza?
Anche lì il tempo è poco, gli ammalati faticano ad esprimersi, hanno le maschere per l’ossigeno, non si riesce ad ascoltarli. Allora preghiamo insieme, il più delle volte parlo io. E do loro una benedizione.

I camilliani avevano come carisma quello di andare proprio dai malati contagiosi. Lei dove trova la forza?
Ho scoperto questo carisma quando il vescovo mi ha chiesto di seguire i malati. Sono un prete diocesano e quando il vescovo mi ha chiesto di occuparmi dei malati mi si è aperta una bellissima realtà.

Si, ma la sofferenza?
Sì ma… vuoi mettere l’umanità?

Che preghiera la conforta di più in questi giorni?
Le preghiere dei Salmi sono molto azzeccate in questi giorni: “Signore mostrami il tuo volto”, “non abbandonarmi nella morte e nella desolazione”. Sono parole che hanno un sapore diverso oggi.

E’ difficile accettare questa malattia che ti riprogramma la vita in un batter d’occhio?
La malattia è sempre così.

Si dice spesso che i più problematici siano i pazienti anziani…
Si, ma qua vedo anche dei giovani.

Chi sono?
Non chiediamo se hanno anche altre patologie, nel loro cuore riesco solo a leggere una domanda di senso. Oltre alla salvezza vorrei auguragli di compiere una ricerca, un percorso alla ricerca di questo senso.

Che cosa farà non appena finirà tutto questo?
Spero solo di tornare ad occuparmi degli ammalati. Loro ci saranno sempre.

https://www.cremonaoggi.it/2020/03/14/viru...te-giornalista/
14 marzo 20202 COMMENTI
Il virus si è portato via
don Vincenzo Rini,
sacerdote e giornalista

Questa notte è morto in ospedale don Vincenzo Rini. Se l’è portato via questo virus che non guarda in faccia nessuno. Colpisce tutti e ti porta via le persone più care. Don Vincenzo era uno di noi, un prete e un giornalista. Se n’è andato in pensione dopo la chiusura del settimanale diocesano “La Vita Cattolica” che aveva appena compiuto il secolo di vita. Prete e giornalista, un binomio che don Vincenzo incarnava perfettamente. Lo sei per sempre, per voto e vocazione. Don Vincenzo si sentiva uno di noi, uno di quelli che fanno informazione.

Ogni volta che lo incrociavi per strada ti chiedeva notizie. Voleva sapere come cambiava il nostro modo di informare con le nuove tecnologie, la televisione, il web, i social. Volevamo tutti bene a don Vincenzo, era un po’ il nostro cappellano e confidente. Era nato a Spinadesco il 5 gennaio 1945. Ordinato sacerdote il 22 giugno 1968, ha celebrato la sua Prima Messa a Bonemerse. Vicario a Romanengo (1968-1976) e a Soresina (1976-1977), nel 1977 è stato promosso parroco di Polengo: incarico che ha mantenuto sino al 1985 quando ha assunto la direzione del settimanale diocesano La Vita Cattolica.

Laureato in Teologia dogmatica a Milano, nel 2004 è stato insignito dell’onorificenza di Cappellano di Sua Santità. Per tanti anni è stato presidente del SIR (Società per l’Informazione Religiosa), l’agenzia stampa della CEI, su indicazione di monsignor Galantino. Era canonico del Capitolo della Catterdale di Cremona. Da un po’ di tempo aveva ripreso a scrivere e voleva dare un seguito alle sue ultime fatiche letterarie di “Il sapore della verità” e “Militi ignoti”. “Faccio fatica perchè ho un po’ di acciacchi – ci aveva detto qualche tempo fa durante la stagione d’opera al Ponchielli – Ma sto cercando di mettere in fila i miei ricordi”. Era anche consigliere ecclesiastico della Coldiretti e dell’Ucid.
 
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