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San Ferdinando (RC) 1908. L'abate che uccise parroco e sacrestano, Don Antonio Naso avvelenò don Carmelo Albanese perché voleva la sua parrocchia

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view post Posted on 3/7/2017, 14:15

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Don Antonio Naso avvelenò don Carmelo Albanese perché voleva la sua parrocchia

San Ferdinando 1908. L'abate che uccise parroco e sacrestano

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www.zoom24.it/2017/07/03/storie-la-...crestano-52671/

STORIE | La mano assassina di quel sacerdote che uccise parroco e sacrestano

03/07/2017 9:10Cronaca, Cultura & Spettacolo, Gioia Tauro - Palmi, Primo piano 3 Vibo Valentia, Reggio Calabria, Senza categoria, Ultim’ora, Vibo Valentiared3
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Alla base del terribile duplice delitto vi fu l’invidia e la smania dil potere, due dei mali che in ogni tempo e in ogni luogo non risparmiano, purtroppo, neppure i figli della chiesa e i portatori della parola di Dio

di VINCENZO VARONE

30 maggio 1908. San Ferdinando (provincia di Reggio Calabria). Don Carmelo Albanese, presbitero umile e colto della diocesi di Mileto, guidata all’epoca da monsignor Giuseppe Morabito, muore tra indicibili sofferenze per mano del suo confratello, l’ambizioso abate don Antonino Naso. Una morte terribile causata dal veleno che il prete, che scelse di diventare assassino, aveva messo nell’ampollina del vino consacrato e che don Carmelo aveva bevuto durante la celebrazione della Santa Messa del 24 maggio, esattamente qualche giorno prima della presa in possesso della parrocchia alla quale era stato assegnato in sostituzione di don Girolamo Calogero, promosso arcidiacono in quel di Palmi. Insieme a don Albanese morì, tra atroci sofferenze, anche il sacrista che aveva avuto modo di assaggiare lo stesso vino.

L’agguato. Alla base del terribile duplice delitto vi fu l’invidia e la smania di potere, due dei mali che in ogni tempo e in ogni luogo non risparmiano, purtroppo, neppure i figli della chiesa e i portatori della parola di Dio. L’omicida aspirava, infatti, ad ottenere la parrocchia assegnata a don Albanese, ma la sua candidatura non aveva trovato accoglienza nella nobile famiglia Nunziante, che si era espressa, invece, per don Carmelo. Da quel momento l’abate Naso, che visse il rifiuto come una sconfitta immeritata e ingiusta, maturò nella sua mente fragile e malata l’idea della vendetta che mise in atto con fredda e convinta determinazione all’alba di una mattina del mese di maggio, dedicato per tradizione alla Vergine Maria. Quel giorno San Ferdinando aveva già i colori dell’estate e la bellezza del mare nulla faceva presagire quanto di nefasto di lì a poco sarebbe accaduto. Il male, si sa, quasi sempre è abituato a confondere le acque e a presentarsi improvviso e torbido nella tranquilla e banale normalità della vita di ogni giorno.

Il martirio. Una vendetta quella dell’abate che all’epoca sconvolse tutta la laboriosa comunità di San Ferdinando e l’intera diocesi di Mileto che fino agli Settanta si estendeva anche nella Piana di Gioia Tauro, tant’è che qualche giorno dopo i giornale ecclesiastico “il Normanno” occupandosi dell’accaduto e in particolare della morte del novello presbitero titolò a tutta pagina: “Un martire della nequizia umana”. Nel numero del periodico, che si stampava a Mileto e che aveva numerosi lettori del mondo cattolico e della borghesia locale, viene anche riportata la lettera che il vescovo Morabito scrisse con toni accorati alla madre del prete ucciso. “Egli è un martire! Il delitto orrendo che lo rapì alla nostra diocesi mi ha tolto – scrisse in quella luttuosa e tragica circostanza il presule – un parroco sul quale fondavo tante belle speranze. Si conforti, signora, pensando che lei e la sua famiglia hanno un angelo in cielo”.

La condanna. Il sacerdote assassino venne, poi, arrestato e condotto nel carcere di Laureana di Borrello. Qualche tempo dopo, una volta riconosciuto colpevole, al di là di ogni ragionevole dubbio, venne condannato a trent’anni di carcere. L’abate riottenne la libertà, grazie ad alcuni condoni, nel 1932. Don Naso , profondamente cambiato nel fisico e nello spirito, trascorse gli ultimi sampoli della sua vita a San Ferdinando impartendo lezioni private ad alcuni giovani del comprensorio. Esalò l’ultimo respiro il nove giugno del 1940, sicuramente pentito del duplice delitto, di cui si era macchiato durante la baldanzosa e incosciente gioventù.
 
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