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La CEI, organizzazione clericale per la conquista dell'Italia

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view post Posted on 15/3/2007, 11:02
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15/3/2007 (8:49) - TRA RELIGIONE E POLITICA
Cei, i vescovi alla conquista dell’Italia

Una panoramica della sala in cui si svolgono i lavori del consiglio permanente della Cei a Roma



Nata poco più di mezzo secolo fa così è diventata protagonista della nostra vita pubblica
ANDREA RICCARDI
La successione di mons. Bagnasco al card. Ruini, alla testa della Cei, ha suscitato una grande attenzione sui media, con valutazioni religiose, ma anche politiche, ricerche di continuità e di rottura. Si tratta forse di un particolare interesse alla figura del card. Ruini, protagonista di parecchi dibattiti politici e culturali della vita italiana degli ultimi anni? I suoi predecessori erano conosciuti solo nel mondo ecclesiastico o tra gli addetti ai lavori. I più ignoravano anche il nome del presidente della Cei. Ma cos’è stata la Cei nella storia italiana?

La Conferenza dei vescovi in Italia ha poco più di mezzo secolo, istituzione giovane tra quelle antiche della Chiesa. I suoi inizi, nel gennaio 1952, sono in sordina. Alla prima riunione, il card. Ruffini di Palermo racconta l’immediata risposta di Pio XII alla sua idea di istituire una Conferenza tra vescovi italiani: «E perché no? Va bene. Lo fanno anche in altri Paesi». In Germania e in Francia i vescovi si incontravano già dall’800. Dell’Italia, invece, si occupavano direttamente il Papa, la Santa Sede, la Segreteria di Stato fin dal 1870. Il cattolicesimo italiano, di cui il Papa è «primate», veniva diretto dal Vaticano. Leone XIII, nel 1889, creava le conferenze episcopali regionali (tuttora in attività) come interlocutori locali.

La novità si affacciò negli Anni 50. A Pio XII, a padre Lombardi (che voleva rivitalizzare e mobilitare il cattolicesimo nostrano), le diocesi italiane sembravano poco organiche, quasi una massa informe. La Cei nacque come riunione dei presidenti delle conferenze regionali. La si fece, la prima volta, a Firenze per farvi partecipare l’anziano card. Elia Dalla Costa. Non a Roma, per non coinvolgere il card. Vicario e i cardinali delle diocesi suburbicarie: la provincia romana era legata al Papa. La Cei aveva un presidente per seduta: il cardinale più anziano. I presuli si sentivano quasi un organo consultivo della Santa Sede. Nel 1954 arrivarono un segretario generale e uno statuto, che avvertiva: non si dia il verbale ai membri prima del nulla osta della Santa Sede.

Del 1954 è la prima uscita pubblica: una lettera pastorale dei presidenti delle conferenze regionali. Non pochi vescovi erano titubanti. Per il card. Ruffini, il Papa era responsabile di parlare all’Italia, non i vescovi che mai avevano avuto un’attività collettiva distinta dalla Santa Sede. I leader dell’episcopato si riunivano per riflettere sui problemi della Chiesa e del Paese: il clero, il laicismo, il comunismo… Nel 1958 l’arcivescovo di Milano, Montini (che partecipa alla Cei da tre anni), lancia un allarme: la fede si sbiadisce in Italia, ci vuole una nuova pastorale. Fu la preoccupazione del suo pontificato dal 1963, quando diventò Paolo VI e primate dei vescovi italiani. Nel 1958, con Papa Giovanni, vengono tempi nuovi per la Cei. Il Papa (già membro della Cei e partecipe dei lavori della conferenza francese come nunzio) volle un organismo efficiente con un suo presidente (il primo), il card. Siri. Affidò gli affari italiani più alla Cei che alla Segreteria di Stato. Spadolini parlò di «Tevere più largo», ma tutto è più complesso e connesso a Roma e in Italia. La formula non funzionò: nonostante l’opposizione di Siri al centrosinistra, dal Papa e dalla Segreteria venne il consenso alla nuova formula di governo o almeno l’affermazione della libertà di scelta dei democristiani.

In realtà l’Italia della prima Repubblica aveva due classi dirigenti cattoliche: i vescovi e i politici democristiani (che governano sempre in coalizioni con laici, socialisti e altri). Tra loro ci sono stati interessi e visioni convergenti, ma anche prospettive diverse. Non sono mancate incomprensioni e tensioni. Però, nei primi decenni della Repubblica, partito cattolico, Chiesa, organizzazioni cattoliche formarono un blocco piuttosto compatto. Supremo regolatore di questi rapporti era la relazione tra il Vaticano e la Dc.

Tutto cambia con Paolo VI, che è stato anche fondatore della Dc con De Gasperi. Sono i tempi nuovi del Vaticano II. Papa Montini, con il piglio del principe riformatore, volle una Cei che guidasse la recezione del Concilio, per evitare ritardi o fughe in avanti tra diocesi. Riunì la prima assemblea plenaria di tutti i vescovi italiani (che è diventata la forma più completa della Cei). Dal 1966 insediò alla testa della conferenza il patriarca di Venezia, Urbani. Sono stati tempi difficili: contestazione, polarizzazioni, aria di crisi, abbandoni di clero e religiosi… Con la «scelta religiosa», Paolo VI portò la Chiesa a prendere le distanze dalla Dc, che non voleva però assolutamente far cadere. Propose linee portanti per rinnovare il cattolicesimo italiano. A tutto presiedeva l’idea che la Chiesa deve evangelizzare: comunicare il Vangelo nell’Italia del dopo ’68, nelle nuove periferie urbane, nel cuore di una cultura secolarizzata.

La Cei, allora, si fece carico della vita pastorale in Italia: era articolata in modo nuovo. Alla sua testa ci sono stati il card. Urbani fino al 1969 e poi il card. Poma di Bologna. Ma il grande regista è stato Paolo VI, che trovò in mons. Bartoletti il segretario generale ideale. Non mancò un dualismo tra Bartoletti e il Sostituto Benelli della Segreteria di Stato, che intesseva rapporti con i politici e alla fine fu determinante nella scelta per il referendum del 1974, abrogativo della legge sul divorzio. Nel 1976 un evento dette rilievo alla nuova Cei: il primo convegno nazionale dei cattolici a Roma, che mostrò il profilo unitario di una Chiesa italiana. Con l’autorità del Papa, Paolo VI ha voluto l’affermazione del soggetto autonomo di questa Chiesa, la Cei. È stato per lui un gran risultato.

Nel 1978, è eletto il primo Papa non italiano, Giovanni Paolo II, abituato alla collegialità episcopale nella sua Polonia prima del Concilio attorno al primate Wyszinski. Con lui cominciano gli ultimi trent’anni della Cei, segnati dalla sua impronta e ora da Benedetto XVI. Il nuovo Concordato del 1984 non solo ha riconosciuto un ruolo alla conferenza, ma le ha messo a disposizione ingenti risorse, ignote alle età precedenti. La Cei si è strutturata per funzioni più articolate. Il card. Ballestrero di Torino è stato l’ultimo presidente prima della stagione dei Vicari di Roma alla presidenza. Il cardinale rivendicava l’originalità del cattolicesimo italiano nei confronti di una pastorale che parecchi vescovi italiani (obbedienti) sentivano un po’ «polacca».

Giovanni Paolo II aveva un disegno per l’Italia. Lo espresse nel convegno nazionale di Loreto del 1985: la Chiesa come una realtà sociale trainante e profetica nella vita di un Paese da evangelizzare. È stato il disegno manifestato e incarnato da lui stesso, fin dal ‘78, quando cominciò a visitare tutta l’Italia e a stabilire quel legame di simpatia - non scontata nei primi tempi, specie tra i chierici - tra il Papa polacco e il Paese dei tanti Papi. Dopo il convegno di Loreto, riservandosi un ruolo da protagonista e primate, il Papa innovò nominando presidente della Cei il suo Vicario per Roma, benché in quel momento i vescovi italiani pensassero ad altre figure per la leadership. Scelse il card. Poletti, laborioso Vicario di Roma e, dal ‘91, il card. Ruini, che aveva avuto un ruolo forte nella Cei fin dopo Loreto, come segretario generale. Wojtyla ha avuto fiducia in lui, per stringere attorno al Papa i vescovi italiani e per fare della Chiesa una realtà sociale trainante ed evangelizzante.

La Cei, rafforzata nella sua struttura, ha acquistato un volto pubblico, diventando un interlocutore nazionale. È storia recente, su cui tanti sono intervenuti in questi giorni. È stata anche storia della fine di una classe dirigente democristiana, che aveva caratterizzato il panorama nazionale dal 1945, ma che è stata travolta dalla crisi della Repubblica. Resta oggi la presidenza della Cei a rappresentare i cattolici. Restano i vescovi a esprimersi spesso per loro. Alcuni laici se ne lamentano. Ma sovente i media vogliono la dichiarazione di un vescovo. Anche se il cattolicesimo italiano è molto plurale. Il che richiede attenzione e sintesi. Tanti sono stati gli auspici in questi giorni; molte le interpretazioni. I cambiamenti nella vita religiosa si vedono però sul lungo periodo. Lo studioso di storia ha chiaro che, per capire di più il cattolicesimo italiano, bisogna ormai guardare alla Cei, istituzione recente e in movimento attraverso le sue varie stagioni. È un dato nuovo nel panorama, un po’ immoto per secoli, delle istituzioni del nostro cattolicesimo.
 
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