http://www.parrocchiasacrocuore.net/bollet...icle=1146331008'Dom Maurizio Colbacchini, - benedettino -
G.V.
Sua testimonianza
Come è nata la mia vocazione? Prima di entrare in monastero frequentavo l’università di Chimica Industriale.
Quando mi iscrissi, la mia fede era ad un livello che definirei adolescenziale. Sentivo l’esigenza, con l’approfondimento degli studi, di crescere anche nella fede, per mantenere un equilibrio di valori, che sarebbe stato messo a dura prova dal futuro ambiente di lavoro.
A questa mia esigenza è venuto provvidenzialmente incontro il Cammino Neocatecumenale.
Il mio ingresso nel Cammino ha significato un approfondimento della fede ed una maturazione umana e spirituale, che mi ha portato ad affrontare una questione, forse già presentata in passato, ma che mi aveva trovato impreparato: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri”.
I perfetti osservano queste parole, abbandonando le delizie del mondo e praticando la penitenza, le veglie e la preghiera continua. Coloro che vivono nel mondo non perdono la vita eterna, se impiegano le loro ricchezze in modo giusto.
La mia scelta è stata molto travagliata. Continuavo gli studi universitari, ma cresceva un altro desiderio che non aveva ancora nome né volto, come se tutti i legami che mi univano al mondo, la prospettiva di una carriera, gli affetti familiari, le amicizie, avessero cominciato a tendersi e prima o poi, inevitabilmente, si sarebbero spezzati.
Per più di cinque anni ho frequentato il cammino, periodo in cui la fede mi dava la serenità di essere amato e guidato verso la volontà di Dio. Tuttavia, non mi toglieva l’angoscia di non sapere quale era veramente la Sua volontà.
Il tempo passava e il disagio aumentava.
Dopo l’iniziale entusiasmo e solidarietà da parte della mia stessa comunità neocatecumenale, felice di sperimentare la fecondità della Parola di Dio nella mia chiamata vocazionale, è subentrata una sorta di disillusione e di stanchezza.
La mia vocazione non si manifestava facilmente. Forse mi ero sbagliato? O era subentrata qualche lusinga del mondo a farmi cambiare idea?
Un bel giorno il mistero si svelò. Finalmente avevo capito: monaco benedettino!
San Francesco ha un suo fascino indiscutibile e irresistibile, che continua ad attirare schiere di ragazzi e ragazze, ma anche San Benedetto, nel terzo millennio, mantiene tutta la sua attualità e originalità.
Tante cose che appaiono scontate mostrano alla loro origine l’elemento benedettino.
In un tempo in cui la vita di tutti i giorni quasi sfugge di mano agli uomini, tanto che molti ne perdono il senso, il monachesimo ha un elemento profetico: pone al centro della vita dell’uomo il valore del suo rapporto con Dio. Per questo, in quasi tutti i monasteri, vengono persone che cercano il senso della propria vita.
Lo trovano nel silenzio, nella preghiera, negli spazi che vengono concessi dai monasteri. Sono luoghi privilegiati.
Avevo finalmente trovato la mia strada. Intuizione che con i lunghi anni di formazione monastica si è andata approfondendo fino alla professione solenne (8 dicembre 1995), e poi, dopo gli studi di teologia, fino all’ordinazione sacerdotale (10 luglio 1999), per le mani dell’allora Patriarca di Venezia, Cardinale Marco Cé: prima ordinazione sacerdotale di un monaco dell’Abbazia di S. Giorgio Maggiore, dopo duecento anni, cioè dopo la soppressione napoleonica.
Attualmente la ritiratezza della vita monastica, il cui ritmo è scandito dai sette incontri di preghiera che riuniscono la comunità nel coro del monastero, non mi impedisce di svolgere anche diversi ministeri sacerdotali fuori dal monastero: sono confessore; celebro la Messa domenicale, talvolta anche in inglese come nella chiesa di S. Zulian a Venezia; ho tenuto settimane di esercizi spirituali a diverse congregazioni femminili.
Ricevo spesso richieste di celebrazioni eucaristiche e penitenziali da parrocchie e comunità neocatecumenali.
Nei monasteri maschili di clausura (certosini, trappisti, camaldolesi di Montecorona) il sacerdozio non sempre è compatibile con il carisma contemplativo.
Nell’ordine benedettino, per quanto riguarda la mia esperienza, esso costituisce un arricchimento sia del monaco che accede al sacerdozio, sia della comunità in cui egli è inserito.
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https://forum.termometropolitico.it/454529...ni-oggi-18.html In 24 con la veste bianca
Rinnovate le promesse battesimali al termine del Cammino neocatecumenale.
«E’ stato un cammino di riscoperta dell'amore di Dio: cioè capire esattamente cosa vuol dire che Dio mi ama. E' stato un passare da una forma di religiosità a una fede più matura. In questi anni ho cambiato l'idea di Dio e di Gesù Cristo che avevo, in senso molto esistenziale. Oggi posso dire che mi fido di Dio, per le esperienze che abbiamo vissuto: fidandoci tutto ha avuto un senso nuovo e le cose sono andate nel verso giusto».
A parlare è Paolo Pellegrini, insieme alla moglie Giovanna: ma dietro le loro parole c'è il sentire di 24 persone - tra loro si chiamano "fratelli" - dai 38 ai 73 anni che sabato notte, durante la Veglia pasquale, hanno rinnovato solennemente le promesse battesimali nella Cattedrale di S. Marco, davanti al Patriarca. Sono la terza comunità neocatecumenale del S. Cuore di Mestre, che 24 anni fa ha iniziato un cammino di riscoperta del battesimo.
In viaggio di nozze. Con loro c'era anche padre Renato Gatti, frate francescano, a quel tempo vicario parrocchiale nella comunità di via Aleardi, ora parroco a Gazzolo di Lumezzane (BS). Padre Renato è stato invitato all'eucaristia solenne "in albis" (con le vesti bianche del battesimo, nella domenica che ha appunto questo nome) celebrata sabato 14 aprile nella chiesa del S. Cuore; e parteciperà al pellegrinaggio in Terra Santa - quasi un "viaggio di nozze" - in programma dal 16 al 25 settembre. Un altro presbitero polacco, don Robert, nella nostra diocesi per motivi di studio, ha seguito la comunità negli ultimi due anni ed era presente anche lui a San Marco, insieme ai catechisti.
Sereni di fronte alla morte. La Terza comunità del Sacro Cuore è frutto della fusione di tre comunità, una delle quali aveva iniziato il Cammino nella chiesa della Madonna della Salute.
Faceva parte di una di queste Maurizio Colbacchini, che ha maturato la vocazione religiosa e ora è benedettino. Dalle coppie presenti sono nati una trentina di figli: «Fino ad ora», spiega Paolo, che è responsabile della comunità, «stanno seguendo tutti la scelta dei genitori». Quattro persone, in questi 24 anni, sono morte. «Siamo stati testimoni di come, pur nella sofferenza, si può morire credendo nella vita eterna, pregando e benedicendo Dio per la vita ricevuta e non per la morte subita», raccontano. «Durante l'unzione degli infermi non si faceva finta di parlare d'altro, ma c'era consapevolezza di quello che si stava ricevendo, alla presenza di tutta la comunità. Anzi, il rito si è concluso con un'agape e un brindisi: in fondo ci si stava preparando a morire...».
Saldi nelle prove. Altri segni forti visti in questi anni sono state esperienze di perdono nel matrimonio: «Abbiamo visto matrimoni in crisi completamente risanati, frutto di una riconciliazione profonda che ha portato anche all'abnegazione totale della moglie al marito malato. Abbiamo visto una volontà risoluta nell'essere fedeli alla propria chiamata matrimoniale, pur di fronte a sofferenze. Il Cammino ci ha fatto capire l'importanza del perdono e del non resistere al male, l'amore al nemico e l'amare l'altro nella dimensione della croce». Le famiglie hanno fatto la scelta di essere aperte alla vita: lo testimonia il gran numero di figli.
Di fronte alla sofferenza. «Ci sono sorelle che hanno sofferenze fisiche grandi come case che non sono rimaste scandalizzate, che nella croce non maledicono Dio, hanno ricevuto un discernimento e non stanno lì a lamentarsi tutto il giorno. Ci sono persone in cura per un esaurimento nervoso: la cura migliore che hanno ricevuto è stata la Parola di Dio. Una sorella vive in casa, per la sua malattia, da cinque anni. Anche a lei è stata consegnata la veste bianca. In un'epoca in cui si vuole anestetizzare il dolore a tutti i costi, tutto questo ha un senso nuovo».
Formazione permanente. E' terminato il Cammino, e ora? «Termina il neocatecumenato e inizia, come dicono i nostri statuti, la formazione permanente», spiega Paolo Pellegrini. La loro vita sarà ancora scandita dalla Parola di Dio, dalla vita sacramentale e dalla vita comunitaria: come hanno imparato in questi 24 anni.
di Paolo Fusco
Tratto da Gente Veneta , no.15 del 2007
Nella foto: La Basilica e Cattedrale di San Marco a Venezia.
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17-07-07, 00:37 #214
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L'ultimo saluto a Valentino Dodici
Una folla commossa nella chiesa dei Santi Angeli per l'addio ad un giovane fratello delle comunità di Borgotrebbia (Piacenza).
LIBERTA' di mercoledì 4 luglio 2007, Piacenza
L'appello alla fede del parroco, don Pietro Cesena «L'amore vero non si spezza davanti alla morte, ne è provato ma rimane intatto». Don Pietro Cesena (parroco della chiesa dei Santi Angeli a Borgotrebbia), parla del «decesso biologico» di Valentino Dodici come diun'occasione di riflessione e conversione per l'intera comunità. Il sacerdote ha ricordato il suo ex parrocchiano come un'anima buona che aveva iniziato un cammino spirituale nei misteri del Signore, proprio tra i neocatecumeni della parrocchia.
«Per superare questo momento faccio un appello forte alla nostra fede - ha detto - in questo momento per mezzo di Valentino, che si trova nella Gerusalemme del cielo, Gesù è in mezzo a noi e ci grida di togliere la pietra che soffoca il nostro cuore. Da troppi anni non viviamo più la relazione con Cristo, strumentalizziamo e giustifichiamo i nostri peccati».
Ieri pomeriggio, per le esequie del trentottenne piacentino, la chiesa non era sufficiente a contenere tutte le persone accorse per l'estremo saluto.
E tanti amici e conoscenti sono rimasti fuori sul sagrato per salutare l'ultimo viaggio di Valentino Dodici. E davanti all'altare, la salma giaceva tra un'enorme profusione di fiori bianchi, accompagnata da una foto di un'immagine serena vegliata dal grande cero pasquale. «L'avevamo acceso insieme a Valentino nella notte di Pasqua. Lui era qui presente con noi a pregare» ha ricordato don Cesena. Più volte durante l'omelia è stata ricordata la sua esperienza di fede. «Aveva iniziato un cammino per entrare nel mistero della sua vita, per affidare al Signore anche quello che non riusciva a capire» ha spiegato il sacerdote. Durante il sermone ha sottolineato l'importanza dell'imparare a vivere a fondo l'esperienza di Dio. «C'è una morte spirituale che anticipa quella della carne. Quando ci sostituiamo a Dio, quando sappiamo da soli quello che è giusto per noi, quando viviamo in funzione di noi stessi, allora siamo già morti - ha spiegato il celebrante - e tutti facciamo nella nostra vita un'esperienza simile. Le
responsabilità della vita passano attraverso la morte del nostro io. Dio ha un progetto che supera la nostra pianificazione per una felicità piccola, destinata a non realizzarsi. La nostra patria è il cielo, il nostro destino è morire come tutta la creazione.
Ma il Signore ci chiama ad uscire da questa piccolezza».
Con insistenza don Cesena ha cercato parole di conforto per i famigliari e gli amici più cari. «La vostra consolazione più grande sia che Valentino era nella chiesa e portava con lui la parola del Signore» ha detto. E a lui si sono uniti i membri della terza comunità neocatecumenale di cui faceva parte Valentino Dodici. Le esequie sono state accompagnata da numerosi canti accompagnati da un insieme di chitarre. Sull'altare condon Cesena anche don Pietro Sbuttoni e don Angelo Cavanna.
di Ilaria Molinari
Tratto dal sito : Libertà online
NOTIZIA ORIGINALE
Nella foto: Valentino Dodici (Libertà online).
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17-07-07, 00:45 #215
senape
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TE LO SEI MAI CHIESTO? 3 Domande x 3 Risposte
Padre Bernardino risponde:
D. Nel leggere il Vangelo, ho talvolta l’impressione che si oscilli fra il rapporto basato sul Vecchio Testamento e quello impostato sull’amore. Come spiegarlo?
R. Lei consideri anzitutto che il Salvatore doveva tener conto della mentalità e sensibilità della gente alla quale si rivolgeva, guidata fin lì da rabbini che lui stesso avrebbe definito “ciechi e guide di ciechi”. Inoltre prenda atto della gradualità che ha dovuto usare, nel partire de zero e spingere sempre più avanti.
Lo ha usato anche nel manifestare la sua stessa identità divina e messianica…
Se lei valuta attentamente solo questi due principi interpretativi non può non ammirare in Cristo la lucidità nel proporre l’autentico Messaggio del Padre e il rispetto della capacità di apprendimento di chi lo seguiva.
Nessun Rabbi dei suoi tempi e nessun maestro di altri potrà mai paragonarsi a Lui.
D. So che una volta, voi religiosi andavate a far visite alle famiglie solo in casi gravi: morte dei genitori e simili. Com’è che oggi anche voi avete allentato ?
R. Lo stile austero cui lei allude lo ricordo benissimo: è durato mediamente fino al 1960 o giù di li. Ma vede: fino a quel tempo veniva inteso come un sacrificio eroico, per amore di Cristo; e conosco confratelli che su questo mi hanno commosso. Oggi la sensibilità e la valutazione è cambiata, come in altri settori.
Continuare in quella forma darebbe l’impressione di stoicismo antievangelico, comunque controproducente. Basterà che il religioso ne approfitti, per fare un po’ di apostolato fra i suoi (che spesso ne hanno bisogno come gli altri). In qualche caso, anche di più..
D. Mi sono mostrato molto risentito con un mio cognato, per fargli capire il torto che aveva, avanzando diritti non suoi. Avrò mancato di carità. Ne otterrò qualcosa di buono?
R.
Non saprei cosa rispondere. Bisognerebbe conoscere suo cognato: temperamento, istruzione, tipo di rapporto fra voi due e (ancora di più, fra le vostre spose).Così, in via di principio, quando le ragioni non bastano, sarebbe meglio saper attendere.
Mostrarsene un po’ disgustato, potrebbe facilitare una maggiore presa di coscienza, da parte di lui, della propria posizione e intuirne la scorrettezza. Ma se la situazione non si sblocca, è meglio saper mollare e attendere con fiducia. Spesso quanto si è detto diretto all’interlocutore fermenta poco alla volta nel suo interno. Alla fine, un saluto, una visita, un regalo, un’attenzione arrivano là dove non arriva la logica del discorso su diritti e doveri…
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19-07-07, 11:03 #216
solozero
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18/07/2007
Credevamo in Dio … a modo nostro
Storia di una (duplice) conversione: dal comunismo all'Opus Dei.
Ex militanti del Partito Comunista francese, oggi Anna e suo fratello Fabio sono membri dell’Opus Dei. Poco tempo dopo l’ordinazione sacerdotale di Fabio, Anna ripercorre la loro storia.
Anna, suo fratello Fabio è diventato sacerdote. Che cosa prova?
Ne sono molto orgogliosa e molto fiera. Mio padre, molto commosso, è andato a Roma per l’ordinazione, benché non sia praticante: la cerimonia e l’accoglienza della gente che ha incontrato l’hanno toccato. È ritornato trasformato: “È stato formidabile” mi ha detto.
Da bambina che rapporto aveva con lui?
Eravamo molto vicini. Sono stata sempre molto fiera di lui: era apprezzato dai suoi insegnanti e dai suoi amici, buono studente e buon compagno.
Siete una famiglia cattolica?
Mia madre non era praticante, ma ci aveva iscritti al catechismo e festeggiavamo la Risurrezione del Signore a Pasqua. Credevamo in Dio a modo nostro. Mio padre era un comunista convinto; ha da poco ricevuto una medaglia del partito. Quando io avevo 17 anni e mio fratello Fabio 15 ci siamo iscritti alla cellula Ho Chi Min del nostro quartiere a Argenteuil (fuori Parigi). Ero attirata particolarmente dalla lotta contro il razzismo, volevo fare qualcosa per la società: renderla più solidale, più umana, favorire l’altruismo. Mi ricordo di un meeting con Georges Marchais al quale abbiamo assistito: mi entusiasmai e mi convinsi che il comunismo avrebbe salvato il mondo.
Che studi ha seguito?
Ero al liceo professionale di Argenteuil. Il liceo professionale non è tenuto molto in considerazione ma io mi trovavo bene: inoltre alla mia famiglia non importava che tipo di scuola frequentassi. L’importante era che io fossi felice. Quando mia madre è morta di cancro ho visto mio padre sacrificarsi per noi. Da quel momento non ho più creduto in Dio, nemmeno “a modo nostro”. Appena ho terminato gli studi ho cercato lavoro, ma sono rimasta disoccupata per tre anni. A casa c’era molto da fare ma mio padre mi incoraggiava a entrare nel mondo professionale. Fabio, da parte sua, era andato a Parigi a studiare Ingegneria. Alla fine, grazie a un’amica di famiglia, ho trovato impiego alla scuola media di Argenteuil come bidella. Il mio incarico consisteva, oltre che alla pulizia dei locali, nel distribuire i pasti alla mensa.
Come si è riavvicinata alla religione?
Un giorno Fabio mi ha spiegato che si stava riavvicinando al cristianesimo: aveva conosciuto un ragazzo in università, un cattolico praticante. A Natale, mi ha regalato una Bibbia. L’ho letta. Qualche tempo dopo, mi ha proposto di andare a Messa con lui nella chiesa della Madeleine. Ho accettato per fargli piacere. Vedendolo inginocchiarsi davanti al tabernacolo ho capito che credeva veramente. A poco a poco mi ha spiegato che cosa stava vivendo e tutto ciò mi attirava. Dato che recitava il rosario, ne ho comprato uno anch'io e lui mi ha insegnato a recitarlo. Ho cominciato ad andare a Messa la domenica con lui e a confessarmi ogni tanto.
E il suo incontro con l’Opus Dei?
Fabio mi parlava della gioia e della pace che regnavano nel centro dell'Opus Dei che frequentava. Lo trovavo meraviglioso, ma restavo diffidente. Nel 1992 Fabio mi ha proposto di assistere alla beatificazione del fondatore dell’Opus Dei. Mi sono iscritta al Foyer Monbièvre per partecipare al viaggio a Roma. L’atmosfera era allegra. Ho scoperto l’Opus Dei e ho incontrato alcune numerarie ausiliari. Mio fratello mi aveva parlato molto di queste persone che, nell’Opus Dei, si occupano della casa. Aveva molta ammirazione per il loro lavoro: far sì che il “centro” fosse un focolare di famiglia. Ciò corrispondeva un po’ a quello che facevo alla scuola media dove lavoravo.
Perché diventare numeraria ausiliare?
Tutto ciò che mio fratello mi raccontava delle numerarie ausiliari mi attirava: il servizio agli altri, il desiderio di rendere felici le persone che ci stanno accanto e di aiutarle con dettagli concreti. Ho quindi chiesto di far parte dell’Opus Dei come numeraria ausiliare. Per un anno ho lavorato in un centro restando ad abitare ad Argenteuil. Ciò mi ha permesso di conoscere da vicino il lavoro e l’ambiente e mi ha confermato nella mia decisione. Mio padre era inquieto perché trovava rischioso lasciare un posto di lavoro stabile nel pubblico impiego. Ma ha sempre rispettato la nostra libertà.
Lei è felice?
Sì. Quando ero comunista volevo rendere la società più solidale. Oggi, lo faccio attraverso il mio lavoro: sorridendo mentre servo a tavola, rispondendo con cortesia al telefono. In più, nell’Opus Dei, ho imparato a pregare per le persone di cui mi prendo cura. È la cosa migliore che io possa fare per loro. E conosco poi molte altre persone. Anche se non sono praticanti, tutti sono contenti di sapere che prego per loro e sovente mi confidano le loro preoccupazioni.
Tratto dal sito ufficiale dell'Opus Dei Italia
ARTICOLO ORIGINALE
Nella foto: Anna.
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