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1563. Il Concilio di Trento legittima il divorzio per adulterio, L'indissolubilità è solo uno strumento di potere, per avere il monopolio degli annullamenti

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view post Posted on 3/10/2014, 06:48
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L'indissolubilità è solo uno strumento di potere, per avere il monopolio degli annullamenti

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2/10/2014
«Il Concilio di Trento non condannò la prassi orientale sul matrimonio»

Sta per iniziare il Sinodo sulla famiglia(©LaPresse)
(©LAPRESSE) STA PER INIZIARE IL SINODO SULLA FAMIGLIA
Sinodo sulla famiglia: «La Civiltà Cattolica» ricorda una pagina di storia dimenticata. I padri tridentini, pur proclamando l'indissolubilità, decisero di non scomunicare la possibilità delle seconde nozze negli antichi «riti greci» in vigore nelle isole controllate dalla Serenissima

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO
È una pagina di storia poco conosciuta, che «La Civiltà Cattolica», l'autorevole rivista dei gesuiti le cui bozze sono riviste dalla Segreteria di Stato, ha deciso di mettere in pagina nel numero che esce a Sinodo sulla famiglia appena iniziato. I contenuti della rivista sono stati anticipati questa mattina ai giornalisti. L'articolo di padre Giancarlo Pani s'intitola «Matrimonio e seconde nozze al Concilio di Trento», e racconta quanto avvenne nel 1563, quando si discusse il canone nel quale si condannava e si scomunicava quanti ritenevano possibile un secondo matrimonio in seguito a un adulterio.

L'autore, dopo aver ricordato che la Chiesa, «radicata nella fede ricevuta dagli apostoli, deve saper guardare il presente e proiettarsi nel futuro, per aggiornarsi, per essere vicina agli uomini e rinnovarsi sotto l’azione dello Spirito», rievoca la storia di «uno dei decreti più innovativi del Concilio di Trento: quello sul matrimonio, detto "Tametsi"». Il decreto vieta i matrimoni clandestini, sancisce la libertà del consenso, l’unità e l’indissolubilità del vincolo, la celebrazione del sacramento alla presenza del sacerdote e dei testimoni; e impone, inoltre, la trascrizione dell’atto nei registri parrocchiali.

Questo è il canone in questione, distribuito il 20 luglio 1563 ai padri conciliari per l'approvazione: «Sia anatema chi dice che il matrimonio si può sciogliere per l’adulterio dell’altro coniuge, e che ad ambedue i coniugi o almeno a quello innocente, che non ha causato l’adulterio, sia lecito contrarre nuove nozze, e non commette adulterio chi si risposa dopo aver ripudiato la donna adultera, né la donna che, ripudiato l’uomo adultero, ne sposi un altro».

Ma nel corso della congregazione conciliare dell’11 agosto, viene data lettura di una richiesta degli ambasciatori veneziani. I diplomatici della Serenissima dichiarano solennemente la fedeltà di Venezia alla Sede apostolica e la sincera devozione all’autorità del Concilio. Poi avanzano una richiesta e spiegano come sia inaccettabile la formulazione del canone settimo, in quanto crea preoccupazione per i cattolici del regno di Venezia, che si trovano in Grecia e nelle isole di Creta, Cipro, Corcira, Zacinto e Cefalonia. Arrecando anche un danno gravissimo, non solo per la pace della comunità cristiana, ma anche per la Chiesa d’Oriente, in particolare per quella dei greci. In queste aree soggette al dominio veneziano vivevano molti cristiani che seguivano i riti orientali pur essendo guidati da vescovi latini. Non era in discussione la comunione col Papa - l'obbedienza al vescovo di Roma era ribadita tre volte l'anno in queste comunità - ma la consuetudine dei riti orientali.

Ora, per gli orientali era usuale, nel caso di adulterio della moglie, sciogliere il matrimonio e risposarsi, ed esiste anche un rito antichissimo dei loro Padri per la celebrazione delle nuove nozze. «Tale consuetudine - ricorda l'articolo di Civiltà Cattolica - non è stata mai condannata da nessun Concilio ecumenico, né essi sono stati colpiti da alcun anatema, benché quel rito sia stato sempre ben noto alla Chiesa cattolica romana». Gli ambasciatori chiedono pertanto ai padri conciliari che il canone sia modificato, là dove si scomunica chi dice che il matrimonio si può sciogliere per l’adulterio dell’altro coniuge. Nella richiesta si fa anche notare come questa scomunica andasse contro l’opinione di «venerabili dottori».

I Padri della Chiesa a cui ci si riferivano gli ambasciatori veneziani sono Cirillo di Alessandria, il quale, a proposito delle cause di divorzio, afferma che «non sono le lettere di divorzio che sciolgono il matrimonio di fronte a Dio, ma la cattiva condotta dell’uomo». Poi Giovanni Crisostomo, che ritiene essere l’adulterio la ragione della morte reale del matrimonio. Infine Basilio, quando parla del marito abbandonato dalla moglie, riconosce che egli può essere in comunione con la Chiesa (il testo presuppone che il marito si sia risposato). Gli ambasciatori della Serenissima propongono quindi una nuova formulazione del canone: il Concilio di Trento rinunci alla condanna della prassi orientale delle nuove nozze per adulterio mediante una norma che per di più è accompagnata dalla scomunica.

«Si vuole evitare, insomma - scrive padre Pani - che i cattolici presenti nei domini veneziani, che dipendono dai vescovi in comunione con Roma, siano colpiti dalla condanna per una prassi antichissima circa il matrimonio: un "rito greco" particolare, che però contrasta con l’indissolubilità del matrimonio sancita dal Concilio. Poiché si teme uno scisma, si propone di modificare il canone, in modo che non vengano scomunicati coloro che accettano il rito orientale, ma solo quelli che rifiutano la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio. In tal modo vengono colpiti quanti negano l’autorità del Papa o il magistero della Chiesa, ma non i cattolici greci che li riconoscono».

Dopo la discussione, 97 padri conciliari sono favorevoli alla richiesta dei veneziani e la approvano, mentre altri 80 sono contrari alla prassi orientale, ma divisi nelle loro ragioni. «Ciò non significa - scrive Civiltà Cattolica - che la maggioranza dei padri voglia mettere in questione l’indissolubilità del matrimonio: si intende solo discutere la forma della condanna. Rimane fermo il canone quinto, con le ragioni contro il divorzio».
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2/10/2014
«Il Concilio di Trento non condannò la prassi orientale sul matrimonio»
Ecco dunque la nuova formulazione del canone settimo: «Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la dottrina del Vangelo e degli apostoli, che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto per l’adulterio di uno dei coniugi; che nessuno dei due, nemmeno l’innocente, che non ha dato motivo all’adulterio, può contrarre un altro matrimonio, vivente l’altro coniuge; che commette adulterio il marito che, cacciata l’adultera, ne sposi un’altra, e la moglie che, cacciato l’adultero, ne sposi un altro, sia anatema». La formulazione, osserva padre Pani, «è singolare, in quanto da un lato condanna la dottrina di Lutero e dei riformatori che disprezzavano la prassi della Chiesa sul matrimonio, dall’altro lascia impregiudicate le tradizioni dei greci che, nel caso specifico, tollerano le nuove nozze». Appare anche un'altra correzione importante: non si dice più «il matrimonio», ma «il vincolo del matrimonio». Il canone tratta dunque solo della indissolubilità interna del matrimonio, cioè del fatto che il matrimonio non si scioglie ipso facto, né per l’adulterio di uno dei coniugi, e nemmeno quando i coniugi decidono in merito a questo, secondo la propria coscienza. E il Concilio «non dice nulla circa la questione se la Chiesa abbia o meno la possibilità di pronunciare una sentenza di scioglimento del vincolo».

Secondo l'articolo de «La Civiltà Cattolica», nella Chiesa dei primi secoli per «indissolubilità» s'intendeva l’esigenza evangelica di non infrangere il matrimonio e di osservare il precetto del Signore «di non dividere ciò che Dio ha unito», da contrapporre alla legge civile, che considerava legittimo il ripudio e il divorzio. «Tuttavia - osserva padre Pani - anche al cristiano poteva accadere di fallire nel proprio matrimonio e di passare a una nuova unione; questo peccato, come ogni peccato, non era escluso dalla misericordia di Dio, e la Chiesa aveva e rivendicava il potere di assolverlo. Si trattava proprio dell’applicazione della misericordia e della condiscendenza pastorale, che tiene conto della fragilità e peccaminosità dell’uomo. Tale misericordia è rimasta nella tradizione orientale sotto il nome di oikonomia: pur riconoscendo l’indissolubilità del matrimonio proclamata dal Signore, in quanto icona dell’unione di Cristo con la Chiesa, sua sposa, la prassi pastorale viene incontro ai problemi degli sposi che vivono situazioni matrimoniali irrecuperabili. Dopo un discernimento da parte del vescovo e dopo una penitenza, si possono riconciliare i fedeli, dichiarare valide le nuove nozze e riammetterli alla comunione».

La rivista dei gesuiti ricorda come nella Chiesa dei primi secoli, che «considerava l’adulterio uno dei peccati più gravi insieme all’apostasia e all’omicidio i vescovi avevano il potere di assolvere tutti i peccati, anche quelli relativi all’infedeltà coniugale e alla conclusione di una nuova unione».

Questa la pagina dimenticata del Concilio di Trento. «Oggi appare singolare - conclude l'autore dell'articolo - che al Concilio in cui si afferma l’indissolubilità del matrimonio non si condannino le nuove nozze per i cattolici della tradizione orientale. Eppure questa è la storia: una pagina di misericordia evangelica per quei cristiani che vivono con sofferenza un rapporto coniugale fallito che non si può più ricomporre; ma anche una vicenda storica che ha palesi implicazioni ecumeniche».
 
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