CITAZIONE (GalileoGalilei @ 7/2/2007, 20:40)
http://qn.quotidiano.net/chan/musica:5460853:/2007/02/07:
IL BICENTENARIO
Garibaldi, un patriota
'cittadino del mondo'
L'Eroe dei due mondi aveva l’orgoglio di appartenere a una patria, ma anche la convinzione che la patria era da intendersi anche come quell’insieme di valori che abbattono i confini tra i popoli
"E’ tornato Garibaldi", cantavano, non molti anni fa, gli Statuto, mitica band ‘mod’. E, nelle parole di quel brano che riscosse un discreto successo, si svelava un volto diverso dell'Eroe dei Due Mondi. Altro che tricolore, altro che esaltazione acritica della Patria, altro che oleografia irritante della ‘nazione’. Quel Garibaldi era il Garibaldi "vero", il Garibaldi che aveva adottato l’umanità intera come sua vera patria. Prima dei mods c’era stata Fiorella Mannoia. In una struggente ballata ("Camicie rosse" nell’album del 1994 "Gente comune") l'artista aveva cantato l’uomo che aveva guidato una "flotta di studenti e di sognatori" mentre a Torino – capitale sabauda – si diceva che era "un bandito".
Due esempi che dimostrano come, ancora oggi, Garibaldi sia un ‘mito’. Quest’anno ricorre il bicentenario della nascita del Nostro. Mamma Rosa diede alla luce quel bambino biondo-rossiccio il 4 luglio del 1807 a Nizza, "alle ore sei antimeridiane". Per lui, Rosa sognava un futuro da avvocato. O magari – ironia della storia per uno dei più fieri anticlericali che il mondo ricordi – da sacerdote.
Che cosa accadde poi lo sappiamo tutti. Meglio: presumiamo di saperlo. Andate un po’ indietro negli anni. Quelle tediose lezioni scolastiche, quei quadretti edificanti che raffiguravano, tutti insieme appassionatamente, Cavour, Mazzini, Vittorio Emanuele II e, appunto, Garibaldi. Quel tricolore sempre appiccicato alla camicia rossa.
Ecco, adesso scordatevi il passato e il presunto ‘nazionalismo’ dell’Eroe dei due Mondi. La realtà è ben diversa. Qualcuno storcerà il naso, pazienza. Qualche esempio provvederà al raddrizzamento dell’organo olfattivo. Tanto per cominciare Garibaldi condivideva – come scrivono due ottimi divulgatori come Antonella Grignola e Paolo Ceccoli – l’orgoglio di appartenere a una patria, ma anche la convinzione di essere ‘cittadino del mondo’.
La patria era da intendersi come il paese dove si nasce, ma anche come quell’insieme di valori che abbattono i confini tra i popoli (l’antirazzismo era la sua bussola politica principale). Insomma, Giuseppe si sentì sempre e ovunque ‘a casa sua’. Fu il primo, suo malgrado, a capire la globalizzazione, la necessità di difendere tutti i ‘sud del mondo’. Basti pensare a quanto accadde nel 1861.
Lui era uno degli eroi più popolari: giusto l’anno prima c’era stata la spedizione dei Mille che aveva fatto crollare l’antiquato e reazionario Regno delle Due Sicilie (poi arrivarono i Savoia che non erano molto meglio: e infatti lo emarginarono e lui tornò a Caprera senza un soldo in tasca).
In Nordamerica infuriava la guerra di secessione e Abramo Lincoln chiese a Garibaldi di combattere per i nordisti. Il nizzardo era assai tentato, ma – chiese al leader statunitense - "a che punto siamo con la liberazione degli schiavi?". Lincoln non seppe che cosa dirgli e lui si guardò bene dal varcare l’oceano Atlantico.
Altra leggenda: Garibaldi non faceva politica. In realtà per tre volte sedette in Parlamento. E per tre volte si dimise, schifato dai giochetti di quei deputati che definiva sprezzantemente "camerieri". Antipolitica populista? No. Il fatto è che le sue proposte di legge venivano sistematicamente boicottate. Ne propose moltissime. Contro la pena di morte. Contro il lavoro minorile (per lui i bambini erano sacri). Per la completa emancipazione della donna. Contro l’esercito dei professionisti per una "milizia di popolo". Per l’espropriazione di tutti i beni della Chiesa: il pdl era significativamente intitolato "Il prete alla vanga".
Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Ma fermiamoci, per ora, qui. E guardiamo il nostro eroe e il suo poncho: non era un vezzo ‘sudamericano’ (visse e combatté e amò laggiù dal 1835 al 1848). Era la dimostrazione estetica di quanto detestasse le uniformi. Militari e partitiche. E dunque, a duecento anni dalla nascita, rendiamogli omaggio. Smettiamola di dire bugie. Di nasi lunghi, in Italia, ne abbiamo fin troppi.
di Francesco Ghidetti
Uno sguardo sull'Eroe dei Due mondi da parte del grande storico partenopeo Alfonso Scirocco, uno dei suoi moltissimi biografi, recentemente scomparso:
La figura di Giuseppe Garibaldi, di Alfonso Scirocco
Giuseppe Garibaldi, con Dante, Cristoforo Colombo, Leonardo da Vinci, è uno dei pochi italiani conosciuti e ammirati in tutto il mondo, l’unico dei tempi moderni, il solo a essere amato, oltre che ammirato. La sua vita, ricca di eccezionali imprese compiute in America e in Europa, è un romanzo di avventure, abbellito dal fascino dell’esotico; l’abilità con cui tiene testa ad avversari più forti lo accomuna agli eroi dei poemi epici, sbriglia la fantasia dei narratori, attira ammirazione e simpatia.
Coraggio e ostinazione, audacia e fortuna, s’intrecciano mentre, per dieci anni, pirata centauro, veleggia sui grandi fiumi e cavalca negli spazi sterminati di Brasile, Uruguay, Argentina, e quando combatte in Italia, sempre inferiore di uomini e di mezzi, sette campagne dal 1848 al 1867 contro austriaci, francesi, napoletani, e l’ottava in Francia nel 1870 contro i prussiani. Sorprende il nemico con inventiva e astuzia: in Brasile trasporta le navi dalla laguna al mare per via di terra, in Italia nel 1849 sfugge alla caccia di tre eserciti, nel 1860 beffa i borbonici, fingendo di ritirarsi mentre piomba su Palermo.
La fama delle imprese che lo vedono protagonista per mare e per terra vola nel mondo. Si occupano di lui governi e parlamenti, a Rio de Janeiro, a Montevideo, a Buenos Aires, a Parigi, a Londra, a Vienna, a Torino, a Roma, a Napoli. Se ne parla in Europa e in America. Combattono al suo fianco in America brasiliani, uruguayani, emigrati italiani e fuorusciti argentini, in Europa italiani di tutte le regioni e di tutte le condizioni, democratici francesi, inglesi, americani, tedeschi, esuli polacchi, ungheresi, russi, slavi. Già noto nel Sud America, il suo nome dal 1845 si affaccia prepotentemente sui quotidiani europei; riviste a diffusione internazionale ne pubblicano i ritratti, ne illustrano le imprese con i servizi giornalistici di disegnatori e fotografi che lo seguono sui campi di battaglia; ritratti e rappresentazioni di episodi che lo riguardano sono diffusi con litografie a basso prezzo, in ogni angolo dell’Europa e delle Americhe. Si moltiplicano biografie, spesso romanzate, in italiano, in inglese, in francese, in tedesco, in tutte le lingue. L’enorme popolarità che ha tra i contemporanei non si spiega soltanto con l’eccezionalità delle imprese compiute. Ciò che colpisce la fantasia è lo straordinario disinteresse, la fermezza con cui rifiuta ricompense e onori, la semplicità della sua vita, che sconfina nella povertà, la modestia con cui ritorna nell’ombra appena ritiene terminata la sua opera, la disponibilità con cui mette la sua vita al servizio dei ribelli del Rio Grande, dei difensori di Montevideo, dei repubblicani francesi, lontano da egoistici interessi nazionalistici. Sul fascino di una personalità, in cui convivono stranamente temerario sprezzo del pericolo in guerra e gentilezza di modi nella vita quotidiana, s’interrogano uomini politici, letterati, giornalisti. Lo idolatrano le donne, nobili e popolane, ricche e povere.
Si forma presto il mito del combattente per la libertà e l’indipendenza di tutti i popoli che lo accompagnerà per tutta la vita. “Uomo di fama mondiale”, lo saluta nel 1850 “The New York Daily Tribune”; il russo Herzen lo esalta nel 1854 come “un eroe classico, un personaggio dell’Eneide (…) attorno al quale, se fosse vissuto in altra epoca, si sarebbe formata una leggenda”, e dieci anni dopo come “l’unica grande personalità popolare del nostro secolo elaboratasi dal 1848”; “Uomo della libertà, uomo dell’umanità”, lo definisce nel 1860 il francese Victor Hugo; tre anni dopo è considerato “l’uomo più grande del secolo” dal presidente argentino Bartolomeo Mitre; nel 1867 è chiamato dallo svizzero James Fazy “l’uomo più valoroso e più disinteressato del suo secolo”; nel 1870 l’inglese Philip Gilbert Hamerton sembra “il più romantico eroe del nostro secolo, l’uomo più famoso del pianeta, il capo più sicuro di vivere nel cuore delle future generazioni”; alla sua morte tedesca “ Deutsche Zeitung” invoca un nuovo Omero “per cantare degnamente l’Odissea di questa vita”.
Garibaldi appare l’eroe per antonomasia, ne attendono la spada liberatrice i contadini russi e i magnati ungheresi. Nel 1860 la fama dell’incredibile conquista di un regno si diffonde attraverso canali misteriosi tra operai e contadini di mezza Europa.
E’ questo il Garibaldi tuttora vivo. Anche se ha compiuto la sua più grande impresa in Italia e per l’Italia, egli ha rivolto l’animo alla liberazione di tutti i popoli oppressi e alla redenzione degli umili in un sogno di giustizia sociale, concepito in giovinezza con l’adesione a princìpi di umanitarismo e cosmopolitismo. Benché si senta nato per combattere (la guerra es la verdadera vida del hombre, è un motto a lui caro) considera la guerra una necessità dolorosa, determinata dall’ingiustizia.
Secondo gli organizzatori del Congresso internazionale per la pace di Ginevra il suo nome “vuol dire eroismo e umanità, patriottismo, fraternità dei popoli, pace e libertà”. In effetti la sua voce si leva spesso in favore della pace e della collaborazione tra i popoli. Nell’ottobre 1860, dopo la vittoria sul Volturno, rivolge un appello alle potenze europee perché formino un solo Stato, e successivamente propone un congresso mondiale per giudicare le controversie tra le nazioni, e incoraggia ogni iniziativa che abbia aspirazioni di pace. Nello spirito della fratellanza degli uomini nel 1871 esprime simpatia per il nascente socialismo, vedendo in esso soprattutto “un sentimento di giustizia e di dignità umana”.
Garibaldi è vissuto in un’epoca contrassegnata da una grande fioritura di sistemi politici ispirati dalla ricerca della giustizia sociale, dal sansimonismo e dal mazzinianesimo al socialismo anarchico di Proudhon e Bakunin e a quello scientifico di Marx. Si è avvicinato ad alcuni, in particolare ai primi due, senza identificarsi con nessuno. Ciò è stato considerato segno di superficialità e di mediocrità intellettuale da parte dei contemporanei e dei primi biografi. Nel XXI secolo, dopo il tramonto delle ideologie che hanno dominato la storia del novecento, possiamo avere maggiore comprensione per il desiderio di indipendenza mentale di un idealista senza ideologie.
Avverso a etichette e preclusioni, è stato uomo della libertà, cittadino del mondo. Questo sogno ha dato un significato universale alla sua avventura umana, che ha affascinato romanzieri e poeti, da Alexandre Dumas a Giosue Carducci, e affascina ancora quanti credono nella forza animatrice dell’ideale.
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