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Fermiamo la guerra dei semi

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perlanaturale
view post Posted on 2/12/2010, 21:03




Fermiamo la guerra dei semi


Dopo anni di sudditanza alle corporation, in tutto il mondo gli agricoltori stanno prendendo coscienza. E' ora che siano loro a riprendere il controllo di ciò che fanno crescere. Nell'interesse di tutti



Sei multinazionali controllano il 60 per cento del mercato mondiale. Migliaia di varietà di riso e mais stanno sparendo. E i contadini sono allo stremo. Bisogna rovesciare i modelli di coltivazione. Uno scienziato spiega come
(26 novembre 2010)
Mangiamo veramente poco rispetto a quello che abbiamo a disposizione: delle 50 mila piante commestibili, ne usiamo soltanto 250. Il 90 per cento delle calorie della nostra dieta deriva da 15 colture, il 60 da tre: frumento, riso e mais sono rappresentati da pochissime varietà rispetto a quelle possibili: parola di Salvatore Ceccarelli, professore di genetica trasferitosi ad Aleppo in Siria, all'International Center for Agricultural Research in the Dry Areas (Icarda). La mission di Ceccarelli ad Aleppo è quella di provare a mettere insieme la conoscenza scientifica e il sapere contadino per conservare le varietà delle sementi locali aumentandone il valore, non solo economico. Perché, ne è convinto, è in corso una "sanguinosa" guerra dei semi, che sta depauperando non solo i contadini, ma anche le nostre tavole. Lo abbiamo incontrato a Bologna, in occasione dell'incontro organizzato nei giorni scorsi dal Fai, dall'Associazione per l'Agricoltura Biodinamica e dal Wwf capire e rispondere alla crisi delle campagne, una crisi economica ma anche ambientale.

Professor Ceccarelli, perché guerra dei semi? E quanto pesa sulle nostre vite?
"Pesa moltissimo. Quattro multinazionali controllano il 49 per cento del mercato mondiale del seme, che insieme ad altre due arrivano a controllarne oltre il 60. Un quadro analogo descrive il mercato globale di pesticidi: le stesse quattro multinazionali ne controllano oltre il 50 per cento. Tutto questo ovviamente va a discapito della biodiversità, la cui riduzione è confermata dai numeri: il 75 per cento è stata perduta e le principali colture mondiali sono rappresentate da un numero ridotto di varietà. Appena sei varietà per il mais e quattro per il riso. Un esempio eclatante è quello del riso dello Sri Lanka dove, a causa delle guerre, le 2 mila varietà si sono ridotte a un centinaio".

Il suo lavoro consiste nel conciliare il sapere scientifico al sapere contadino: cosa significa?
"Sia noi, come scienziati, sia gli agricoltori abbiamo strumenti di conoscenza e capacità per parlare e pensare a un progetto comune, e per decidere cosa le terre possono produrre e come. D'altra parte la selezione dei semi in base alla produttività del raccolto, in base al clima e alle caratteristiche del terreno è una conoscenza che prescinde dall'intervento degli scienziati. Questo tipo di miglioramento genetico appartiene quasi più al sapere antico dei contadini che agli scienziati. Gli scienziati si sono limitati ad applicare a queste conoscenze millenarie le leggi della genetica, rendendo quindi più rapido quello che gli agricoltori erano già abituati a fare. Il clima di continua collaborazione che personalmente ho instaurato con i contadini siriani e giordani, per esempio, ha dato molti frutti anche a livello professionale: molti agricoltori, soprattutto in Siria e in Giordania, sono stati in grado nel corso del tempo di modificare i miei suggerimenti, adattarli e integrarli alle tecniche che utilizzavano normalmente, migliorandole".

Concretamente come funziona il miglioramento genetico fondato sulla partecipazione?
"Gli agricoltori prendono parte al processo di decisione sul tipo di semi da utilizzare e sul loro valore. È quindi una collaborazione dinamica tra istituzioni che fanno miglioramento genetico e agricoltori: è un processo in cui la conoscenza dei ricercatori, finora separata dal sapere contadino, si integra a quella degli agricoltori. Questa modalità di partecipazione è scandita in due momenti principali nei quali il contributo dei contadini e quello degli scienziati si integrano. In prima battuta gli agricoltori esprimono il loro parere su ogni singola varietà coltivata. Questi dati vengono analizzati dai ricercatori che forniscono in un secondo tempo i risultati agli agricoltori. A loro spetta la decisione finale: quale varietà di semi coltivare nei loro terreni".

Un sistema che rovescia il modello di miglioramento genetico convenzionale...
"Assolutamente sì. Il miglioramento genetico partecipativo coinvolge gli agricoltori nello sviluppo di nuove tecnologie, evitando di confinarli alla fine del processo senza possibilità di scelta. Normalmente, il miglioramento genetico convenzionale è un processo guidato dall'offerta. È gestito dai ricercatori che producono una nuova varietà e la rendono ufficiale con la certificazione. Solo a questo punto, a giochi fatti, gli agricoltori possono valutare la bontà della varietà proposta, ma, considerando che il seme è prodotto da pochi e non ci sono altre scelte sul mercato, l'adozione è necessariamente imposta. È una situazione di monopolio vero e proprio. I progetti di miglioramento partecipativo scalzano questa logica perché quello che proponiamo non è un libro di ricette, un protocollo da applicare con le stesse modalità in tutti i paesi. Innanzitutto vogliamo essere sicuri di non modificare il lavoro degli agricoltori ma di aumentare il numero di varietà da selezionare. Tutto questo si discute insieme a loro e le nuove alternative proposte vengono trasformate in esperimenti disegnati a tavolino".

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La denuncia
Fermiamo la guerra dei semi
di Giulia Rocco (26 novembre 2010)


Qualcosa di analogo potrebbe essere pensato per l'Europa e l'Italia?
"Quello che faccio in molti di questi paesi è in realtà illegale. Gli agricoltori non potrebbero scambiare tra loro le sementi e in Europa queste leggi sono ancora più vincolanti. Attualmente c'è la volontà di utilizzare questi modelli partecipativi per l'agricoltura biologica. Infatti tutte le volte che vengo in Italia e parlo di questi progetti sono circondato da agricoltori entusiasti dell'idea di importare questo modello".

Il suo lavoro ha trovato resistenze?
"Quando ho espresso per la prima volta l'idea di un modello partecipativo nella selezione e produzione di semi in un convegno in Olanda, ho ricevuto molti consensi e inizialmente molto entusiasmo rispetto ai finanziamenti. Quando poi il progetto ha cominciato a diventare sempre più grande, mi sono accorto che di finanziamenti non ce ne erano più. Credo che ci sia un tentativo un po' sotterraneo di contrastare questo processo. Le multinazionali lo fanno convincendo molti paesi a bloccare i finanziamenti ai miei progetti, ma questo non mi sconforta. Diverse migliaia di agricoltori hanno preso coscienza del fatto che questo tipo di collaborazione dinamica è possibile e funziona. Quello che voglio concretizzare è una domanda dal basso che, se diventa abbastanza globale, può permettere agli agricoltori di produrre il proprio seme, assumendone il controllo."

Ma chi sono questi agricoltori?
"Non ci sono solo contadini che provengono dal Sud del mondo. Ci sono anche agricoltori americani, italiani per i quali, allo stesso modo, la varietà delle sementi costituisce il loro sapere e la loro scienza. Una grande importanza è affidata alle donne, che hanno un interesse particolare per la sicurezza alimentare e nei paesi in via di sviluppo sono generalmente discriminate nell'istruzione e nell'accesso all'informazione. Si stanno sviluppando anche dei progetti per coinvolgere le donne nella selezione delle varietà anche quando queste non possano raggiungere il campo. Per esempio, ho conosciuto una giovane neo-mamma eritrea, che riceve le sementi a casa dove può continuare il lavoro di selezione".

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/fe...mi/2139234/12/1
 
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