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Ior, gli scandali della banca del Vaticano

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GalileoGalilei
view post Posted on 28/4/2008, 13:57 by: GalileoGalilei
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ultimo aggiornamento 28 Aprile 2008
PRIMO PIANO

E allo Ior del dopoMarcinkus Caloia prepara la successione Prelati al vertice I candidati




ORAZIO LA ROCCA




Città del Vaticano
Spira aria di cambiamento al vertice dello Ior (Istituto Opere di Religione), la banca vaticana. Dopo il rinnovamento della Commissione cardinalizia di vigilanza deciso da papa Ratzinger due mesi fa, Oltretevere sembra iniziato il conto alla rovescia pure per la nomina del nuovo presidente dell’istituto bancario pontificio. Stando a voci che da qualche tempo circolano con una certa insistenza nei sacri palazzi e rimbalzati sulla stampa finanziaria specializzata nazionale e internazionale , all’attuale presidente Angelo Caloia, 70 anni ben portati, in un futuro più o meno prossimo dovrebbe subentrare un’altra personalità di grande esperienza in grado di continuare quell’opera di risanamento avviata dal 1990 da Giovanni Paolo II proprio con la nomina di Caloia dopo il licenziamento dell’allora presidente, l’arcivescovo Paul Marcinkus, coinvolto nel crack del vecchio Banco Ambrosiano.
La presidenza dello Ior è una carica quinquennale. Caloia è al quarto mandato. Benedetto XVI gli ha rinnovato l’incarico due anni fa, d’intesa con il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, che ha preso le redini della commissione cardinalizia di controllo al posto del predecessore, l’ex cardinale segretario di Stato Angelo Sodano. Caloia dovrebbe, quindi, continuare a guidare la banca pontificia per altri tre anni. Ma in Vaticano il totopresidente Ior è già iniziato in maniera riservata, anche se le autorità pontificie non confermano. Tra i nomi che circolano con una certa insistenza, c’è quello di Ettore Gotti Tedeschi, 63 anni, professore di economia all’Università Cattolica di Milano e banchiere di lungo corso con esperienze maturate nella McKinsey, nella Akros e, attualmente, punto di riferimento per il nostro Paese con la carica di presidente per l’Italia della banca spagnola Banco Santander Central Hispano. In passato è stato anche membro dei consigli di amministrazione SanpaoloImi e Cassa Depositi e Prestiti. Ma non è la prima volta che si parla della successione di Caloia al vertice dello Ior. Prima del nome di Gotti Tedeschi, nel 1999 fu dato quasi per certo l’arrivo alla presidenza della banca vaticana di Hans Tietmeyer, presidente uscente della Bundesbank, la banca federale tedesca, sponsorizzato dal cardinal Sodano. Furono solo voci, e infatti Caloia rimase al suo posto. Dopo Tietmeyer, un altro potenziale condidato alla guida dello Ior è stato nei mesi passati anche l’ex governatore della Banca D’Italia Antonio Fazio. Ma è un nome che Oltretrevere sembra che abbia perso ormai molto «fascino» presso l’entourage papale, a partire dal segretario di Stato Bertone, malgrado l’appoggio più o meno aperto di qualche influente cardinale di curia. Fazio, comunque, ci spera: non a caso domenica 24 febbraio, quando l’Osservatore pubblicò i nomi della nuova commissione cardinalizia si fece accompagnare dall’autista in piazza S. Pietro per acquistare una copia del giornale nell’edicola vicina al colonnato...
Da qualche giorno, le voci sul nuovo presidente Ior sono ritornate alla ribalta, ma con un «indizio» in più: Gotti Tedeschi, su invito del nuovo direttore Giovanni Maria Vian, collabora con l’Osservatore Romano firmando editoriali dedicati al mondo delle imprese, dell’economia e della finanza, con particolare attenzione agli aspetti etici. In uno degli ultimi articoli, dal titolo «Ritorno al reale per superare la crisi finanziaria» pubblicato mercoledì scorso il banchiere lancia una proposta controcorrente, «organizzare «ritiri spirituali per manager come quelli pensati da Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti». «E’ vero, il professore Gotti Tedeschi è nostro autorevole collaboratore, ma questo non significa che sarà il nuovo presidente dello Ior», si vocifera con una certa prudenza nella redazione dell’Osservatore, dove in verità nessuno sembra disposto a scommettere su una immediata sostituzione di Caloia. E’ stato il cardinale Bertone una ventina di giorni fa, durante un pranzo, a far capire di non volersi privare dell’apporto dell’attuale presidente Ior con una frase che ha avuto tutto il sapore di una ulteriore investitura: «Presidente non sono mica vere queste voci che dicono che lei vorrebbe andarsene? Vero?». «Certamente no!», è stata la risposta di Caloia che si è così sentito nuovamente incoraggiato dal primo collaboratore di papa Ratzinger a continuare l’impresa da lui avviata nel 1988 quando, proveniente dalla guida del Mediocredito Lombardo, fu chiamato da Giovanni Paolo II a risollevare le sorti e la credibilità dello Ior, che per volontà del Papa e dell’allora cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli versò alle vittime del crack Ambrosiano ben 406 milioni di dollari a titolo di «contributo volontario». Il nuovo presidente, liberato dalla ingombrante presenza di Marcinkus «esiliato» in una parrocchia di Phoenix, in Arizona (Usa) dove morirà il 22 febbraio 2006 a 84 anni come primo atto varò il nuovo Statuto della banca che Wojtyla promulgò nel 1990 e che ebbe nell’istituzione della commissione cardinalizia di controllo presieduta dal cardinale segretario di Stato la novità più importante.
In circa 20 anni di lavoro, Caloia ha operato per ridare soprattutto una nuova credibilità internazionale allo Ior. In Vaticano, nell’unica sede della banca, ubicata nella cinquecentesca torre Niccolò V, presso il portone di S. Anna, assicurano che sono state annullate tutte le compartecipazioni societarie. Qualche anno fa, era rimasta solo una quota a Banca Intesa (circa il 2 per cento), ma è stata ceduta anche quella. Vi possono accedere solo dipendenti del Vaticano, vescovi e congregazioni religiose. Ma, altro elemento di novità e di rottura rispetto al passato, i depositi possono essere fatti solo se la provenienza del danaro è chiara e senza ombre. Qualche tempo fa ha dovuto fare marcia indietro persino un cardinale che voleva depositare una somma considerevole senza riuscire a spiegarne «esaurientemente» l’origine perché frutto di più donazioni. Difficile, comunque, stabilire l’esatta consistenza economica della banca perché lo Ior non pubblica i suoi bilanci. Sembra che Caloia al suo arrivo abbia trovato in cassaforte circa 5 mila miliardi di lire ed una consistente presenza di titoli, soprattutto esteri. Oggi, il patrimonio della banca papalina dovrebbe aggirarsi intorno ai 5 miliardi di euro. Ma sono solo supposizioni, perché le vere cifre sono sotto chiave nella torre Niccolo V e c’è da credere che mai saranno portate a conoscenza dell’opinione pubblica.


http://www.repubblica.it/supplementi/af/20.../001kimera.html

Da Fazio a Gotti Tedeschi dove va la finanza cattolica IL CASO




ANDREA GRECO




Tutti cattolici, nessun cattolico. Che è come dire: tutti laici, nessun laico. La finanza italiana due anni dopo l’uscita dall’era delle poltrone perpetue di Antonio Fazio è scossa dalle contaminazioni. Al posto del cattolicissimo governatore amico di Fiorani c’è Mario Draghi, il tecnico che fa del cosmopolitismo capitalistico il suo Vangelo. Mediobanca, secolare bastione del laicismo finanziario nel solco della tradizione azionistaliberale, la presiede Cesare Geronzi, banchiere curiale nei modi e sensibile alle voci d’Oltretevere (tanto che ha appena assunto Marco Simeon, giovane avvocato ligure che seguirà i rapporti con la Santa Sede per la merchant a Roma). Gli altri banchieri che la vulgata bolla come "cattolici" sono in discreta forma. Solamente che la finanza tricolore è talmente cambiata che oggi è difficile ridurre all’unità il network della finanza bianca, ruggente in diverse fasi passate in cui alle banche toccava la "missione sociale". Restano influenze e persistenze di figure dirigenti di matrice cattolica, come Giovanni Bazoli, Corrado Passera e Giuseppe Guzzetti in Intesa Sanpaolo, Fabrizio Palenzona e Paolo Biasi in Unicredit, Emilio Zanetti in Ubi Banca, Carlo Fratta Pasini nel Banco Popolare, Roberto Mazzotta in Bpm, per non parlare degli istituti minori, popolari, casse di risparmio e Bcc. Restano, poi, le reti dei movimenti su tutte Cl con un ruolo crescente e ricadute economiche in grado di puntellare l’agire cattolico nazionale.
La verità, però, è che il vincitore si chiama Dio denaro, in questo tempo tardo capitalistico. «Il vero cattolico vive integralmente, eroicamente la fede spiega Ettore Gotti Tedeschi, banchiere molto cattolico e veri cattolici nelle istituzioni finanziarie ne vedo pochi e non in grandi posizioni di responsabilità. Né ho mai conosciuto istituzioni private che in quanto tali si connotassero come cattoliche». Certo, se il mondo si secolarizza il cattolicesimo diventa un’etica sociale utile: «Oggi molti si dicono cattolici perché questo significa essere onesti, leali, tolleranti. Valori in cui tutti si riconoscono facilmente. L’importante è che poi il cattolicesimo non ci si limiti a dichiararlo ma lo si viva», aggiunge. Secondo ipotesi di stampa, Gotti Tedeschi sarebbe tra i candidati alla presidenza dello Ior al posto di Angelo Caloia un altro candidato forte, risulta essere proprio Fazio, stretto da trentennali rapporti con l’ex segretario vaticano Sodano e oggi sostenuto dalla "sua" gerarchia. La carenza di un’etica concreta, cattolica o anche laica, per Gotti Tedeschi ha contribuito alla crisi bancaria attuale: «Se l’etica dichiarata fosse stata anche vissuta, non ci sarebbero stati questi eccessi». In effetti la crisi dei subprime ha fatto emergere lo stile gestionale di diversi banchieri, che hanno preferito spingere sul pedale dei profitti (magari per massimizzare le proprie stock option), eccedere nei mutui casa e usare strumenti derivati per anticipare ricavi e utili spostando in là costi e perdite. Il problema, per l’autore dell’eloquente Denaro e paradiso (2004) è il senso che si dà al profitto: «Per il vero cattolico il profitto è un mezzo, ma è un mezzo indispensabile. Per molti altri è un fine. Ma ciò non è in contraddizione col fatto che le banche siano società orientate al profitto, poste in uno scenario competitivo. Mentre fino a 10 anni fa, almeno in Italia, avevano un ruolo più sociale».
Le banche ormai sono gestite con criteri piuttosto omologhi, dettati da analisti e gestori (di altre banche) che poi s’incaricano di sommergere o salvare quegli stessi titoli azionari. Un mondo ormai piccolo e nevrotico, lontano dalla "foresta pietrificata" tricolore che fu. Le privatizzazioni, gli appetiti del capitale straniero e la professionalizzazione del ceto bancario hanno fatto a pezzi l’idea di banca come di morbido ricetto tra poteri amministrativi e tessuto economico, di credito come dispensa liquida per sodali (anche di parrocchia) più o meno meritevoli. Laddove la finanza cattolica meglio, l’influenza cattolica in finanza fioriva con vigore, approfittando della rete di casse di risparmio e banche popolari, altrettanto fitta che l’associazionismo cattolico e le diocesi. Oggi quella trama è ardua da leggere: molto estesa, poco "decisiva" e quasi carsica e sfuggente, talora appiattita su principi e istanze molto secolari. E comunque viva e presente, ai vertici dei maggiori gruppi finanziari così come alla base dell’utenza. Alla base della piramide rimane, come indizio fenomenico, il denaro che banche e Fondazioni (ancora tra le loro principali azioniste) rimettono in circolo come liberalità o erogazioni a quelle utenze che richiamano valori cattolici.
È difficile quantificarli: sono un rivolo dei volumi d’affari del sistema, ma si tratta pur sempre di centinaia di milioni ogni anno.Nel 2006 le Fondazioni hanno erogato 1,6 miliardi, e si può stimare che una quota significativa sia finita a beneficiati "cattolici". In parallelo, nei bilanci bancari si trova qualche analoga operazione: sostegni al patrimonio ecclesiastico, interventi a favore di istituti, ospedali e pie opere, talvolta stabiliti in aliquota fissa sugli utili. Tradizionalmente le istituzioni cattoliche hanno avuto un ruolo importante nella benevolenza di enti come Cariplo, Cariverona, Caritorino e di lì a scendere di taglia. Nell’ambiente delle fondazioni si rileva che ciò è avvenuto anche fatalmente, per l’inevitabile incontro tra istituzioni forti sui territori. E che, oramai, i richiedenti sono più compositi, e nelle Fondazioni c’è graduale assimilazione di costumi di mercato che rendono problematiche destinazioni "preferenziali". Un paletto è il venture philantropy, i cui interventi devono autosostenersi nel tempo massimizzando le ricadute sociali senza intaccare il capitale. Con tale criterio Fondazione Crt ha investito 110 milioni in un fondo immobiliare. «È un approccio che potrebbe consentire di aumentare ulteriormente il livello di efficienza, efficacia e trasparenza delle erogazioni» dice Angelo Miglietta, segretario generale dell’ente socio di Unicredit.
L’esponente di punta delle Fondazioni bancarie, che presiede l’associazione Acri e la Cariplo, rivendica il ruolo degli enti a sostegno dei cattolici, all’insegna del principio evangelico della sussidiarietà, che regola il rapporto tra stato mercato individui. «Bisogna respingere la classificazione tra finanza cattolica e laica dice Giuseppe Guzzetti che aveva senso all’inizio del ‘900, quando furono fondate le banche cattoliche in risposta a un contesto capitalistico primordiale. Oggi di quel mondo non rimane nulla. Le Fondazioni recuperano la cultura della beneficenza sotto altri nomi, hanno una missione legata in parte ai vecchi valori, compresi quelli cattolici. Il principio di sussidiarietà, valore tipico della cultura cattolica che nasce col Vangelo, compare per la prima volta nell’enciclica di Pio XI Quadragesimo Anno, e oggi trova posto nei protocolli di Maastricht».
Della sussidiarietà ne ha fatto un mantra la Compagnia delle Opere, braccio imprenditoriale di Comunione e liberazione, che schiera 34mila aziende e mille associazioni non profit. Un cursus raggiunto in soli 12 anni dall’intuizione di Don Giussani, attraverso un dinamismo espansivo temuto da molti rivali, dentro e fuori la Chiesa. È bastato vedere come il governo Berlusconi abbia tenuto a distanza Roberto Formigoni, presidente della Lombardia e leader politico di quell’area che al Nord appare l’unico pilastro alternativo alla Lega. «Cl è il movimento più militante dice un banchiere che non vuole comparire fa votare per il centrodestra in modo laico fintanto che il Pdl collima coi suoi interessi, lobbizza le istituzioni economiche per raccogliere i fondi necessari ai suoi progetti, alligna negli organi sociali delle grandi aziende». Specie in Lombardia, ci sono testimonianze cielline rilevanti a partire da A2a (il consigliere Alberto Sciumè), Bpm (il consigliere e manager Graziano Tarantini), Fondazione Fiera (il presidente Luigi Roth, e nella spa operativa l’ad Claudio Artusi, Fnm (il direttore generale Marco Piuri). Ma l’oggetto del desiderio ciellino restano Cariplo e Intesa Sanpaolo, di cui la Fondazione è il socioperno. Per ora la presenza ai piani alti è limitata e trasversale, ma la fine del governo Prodi e l’affermazione di Pdl e Lega al Nord indicano un futuro ibrido. Dove si vedrà se l’asse portante di ispirazione cattolicoliberale che regge Ca’ de Sass può spostarsi verso destra. L’abilità di Cl di giocare su tre tavoli spirituale, politico, economico è una chiave del suo successo. Potrebbe però rivelarsi un limite: «Con Cl non sai mai con quale delle tre anime ti confronti prosegue il banchiere e questo può creare qualche ambiguità». Più schiettamente teologico l’approccio dell’Opus Dei e dei Legionari di Cristo. Che comunque non lesinano ad andare per il mondo (del denaro) quando ci sono da finanziare le loro opere: il Campus Biomedico, struttura fiore all’occhiello dell’Obra a Roma, o le università Europea e Regina Apostolorum, dove i Legionari formano le élites della capitale
 
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