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Io non lavoro, ma per scelta; le storie di chi vive "fuori"

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Felipe-bis
view post Posted on 31/7/2010, 10:58




http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cult...8/?ref=HREC2-14

PASSAPAROLA
Io non lavoro, ma per scelta; le storie di chi vive "fuori"
Un libro di Serena Bortone e Mario Cirino raccoglie storie di chi ha deciso di rinunciare a un impiego. Pianificandolo da subito, o dopo aver sgobbato a lungo. Magari rinunciando al consumismo, per conquistare una vita spiritualmente più ricca e senza ansie. Molti se lo sono potuto permettere, tanti hanno fatto sacrifici per raggiungere l'obiettivo
di SILVANA MAZZOCCHI

ESSERE improduttivi e soddisfatti. Non lavorare per scelta e non per sorte, senza sensi di colpa o angosce da disadattati. In un'epoca in cui per la maggioranza dei giovani (e non solo) la disoccupazione è l'incubo quotidiano, il poter praticare l'ozio felici e contenti appare un privilegio per pochi, un vantaggio perfino irritante. Eppure, accanto al fenomeno in espansione di ragazze e ragazzi che, oltre a non cercarsi un'occupazione rinunciano anche a studiare, c'è chi il dolce far niente l'ha pianificato da subito o invece dopo aver a lungo sgobbato, liberandosi così dall'ansia e dalla depressione. Magari rinunciando al consumismo da benestante, per conquistare una vita più ricca, spiritualmente s'intende.

Serena Bortone, giornalista, e Mariano Cirino, autore televisivo, hanno voluto indagare in questo mondo sommerso dei disoccupati per scelta e hanno scritto Io non lavoro (in libreria per Neri Pozza): otto storie vere di donne e uomini che hanno voluto dire basta alla sveglia mattutina e agli impegni quotidiani. Alla routine e alla schiavitù del dovere. Come hanno fatto? Sono persone che se lo sono potute permettere, si pensa subito, ed è certo così. Ma non del tutto. E a leggere i racconti di chi ha smesso di faticare (o di chi non ha mai cominciato) si capisce che, se non è generalizzabile il farsi bastare quello che c'è, non è poi così impossibile. Ci vuole spirito d'adattamento e, soprattutto, il saper mettere a frutto le risorse personali e creative. Resta inteso che, per saltare nel mondo dell'ozio, è necessario avere un minimo di disponibilità economica ed essere disposti a pagare il prezzo della mancanza di ruolo sociale. E c'è chi ce l'ha fatta; è indispensabile, in premessa, ridisegnare la scala dei valori, comprendere ciò che è in cima nostre priorità. E avere l'indole per riuscirci. Leggere per credere. Si scoprirà la saggezza contenuta nella citazione di copertina firmata da Guy Debord, filosofo francese del Novecento: "Non lavorare mai richiede un grande talento".

Liberarsi dal lavoro. Per scelta. Si può o è solo un privilegio che, per alcuni, è sempre esistito?
I protagonisti di "Io non lavoro" sono partiti da punti di partenza molto diversi. C'è chi è ricco e chi è povero. La figlia di una sarta e il figlio di un aristocratico siciliano. Il figlio di un impiegato Fiat e la rampolla dell'imprenditoria torinese. Tutti però hanno maturato la stessa aspirazione, e tramite i percorsi più avventurosi l'hanno realizzata. Per alcuni di loro la scelta è stata determinata dalla ribellione a genitori che giudicavano opprimenti, altri si sono sottratti a un mercato del lavoro che reputavano ingiusto o poco attraente. Perché l'hanno fatto? Per disporre liberamente del proprio tempo, condurre un'esistenza libera e totalmente autonoma da imposizioni o condizionamenti esterni. Adesso, se sono felici o infelici, dipende solo da loro stessi e non più dallo stipendio che guadagnano o dalla promozione concessa dal grande capo. Ciò ha comportato anche delle rinunce economiche. Smettere di lavorare vuol dire accontentarsi della propria quantità di denaro, piccola o grande a seconda delle situazioni, e riuscire ad amministrarla con oculatezza. I nostri personaggi hanno imparato a eliminare gli sprechi e a controllare i consumi. Di certo non si fanno sedurre dall'ultimo modello di telefonino. Anche perché lo usano molto poco, tanto che per rintracciarli e restare in contatto con loro abbiamo spesso fatto una gran fatica... In generale hanno un rapporto con il denaro estremamente distaccato e quindi sono persone tendenzialmente generose con gli altri. Anche il rapporto con il potere è privo di qualsiasi fascinazione: almeno quattro dei nostri personaggi hanno vissuto fianco a fianco con l'establishment di questo paese senza farsene conquistare. Liberandosi dal lavoro, si sono anche liberati dalla soggezione al potere. Se vogliamo affrontare il tema in chiave 'politica', dovremmo allargare la domanda e porla in termini più generali. Siamo proprio sicuri che l'Italia sia una repubblica fondata sul lavoro? O è una repubblica fondata sui privilegi e i patrimoni familiari? Sarà una banalità ribadirlo, ma le regole del gioco della 'lotta per la vita' non sono uguali per tutti. Alcuni dei protagonisti del nostro libro, se avessero scelto di lavorare, avrebbero contribuito a perpetuare un privilegio ben maggiore, quello di poter fare carriera con poco sforzo grazie alla situazione familiare di partenza. Una delle nostre protagoniste ne ha fatto la molla della sua decisione: 'mio padre, afferma, ha accumulato ricchezze per tre generazioni. Perché io devo rubare il lavoro a chi ne ha bisogno?'".

In un'epoca di disoccupazione e precariato di massa, come prendere, dal non lavoro, il bello che c'è?
"Non lavorare consente di dedicarsi pienamente a se stessi. Concentrarsi sulle cose che ci stanno veramente a cuore, senza essere costretti a confrontarci con colleghi antipatici, clienti prepotenti o con un capo magari più stupido di noi. Non bisogna pensare però che chi non lavora per scelta pensi solamente a rincorrere il piacere (anche se alcuni di loro, per brevi periodi, l'hanno fatto). Dedicare un'intera vita al non-lavoro significa infatti avere davanti un tempo smisurato. Molti di loro hanno sviluppato una spiccata attitudine riflessiva o immaginativa. Alcuni si tengono informati e possono farlo con una completezza improponibile a chi, impegnato con il lavoro e la famiglia, può spesso al massimo concedersi un telegiornale. Altri preferiscono starsene fuori dal mondo, viaggiare verso mete lontane, o anche ritirarsi in solitudine, a contatto soltanto con gli animali. I rapporti umani con persone normali che lavorano tutti i giorni alle volte sono complicati, anche solo per questioni di tempo. Il disoccupato e il non-lavoratore sono due figure completamente antitetiche. Il primo non ha un lavoro ma ha scelto di non averlo, e quindi si distruggerà alla ricerca di un lavoro essenziale per la sua sussistenza economica e anche per la sua identità. Il precariato aumenta ancora di più questa nevrosi. Il giovane che termina un rapporto di lavoro precario è preda del terrore di non essere riconfermato e nel tempo libero tra un contratto e l'altro raramente riesce a rilassarsi come potrebbe qualcuno che ha un posto sicuro durante le ferie. La condizione di precarietà insomma mina anche il concetto di tempo libero. Il non-lavoratore invece, che ha preso una decisione attentamente maturata, si è liberato dallo stress dell'alternanza lavoro-ozio, e vive in una condizione di perenne presente. Nessuna preoccupazione per il futuro. Nessun rimpianto".

Sdoganare l'ozio. E' sempre possibile, e a quale prezzo?
"Conoscendo i protagonisti del nostro libro, abbiamo capito che liberarsi dal lavoro è una scelta radicale, che coinvolge tutti gli aspetti della nostra esistenza. Quello economico, quello psicologico, quello sentimentale. Alla scelta di non lavorare, infatti, si accompagna spesso la mancanza di rapporti sentimentali stabili, il rifiuto di formare una famiglia e fare dei figli. Insomma, una scelta impegnativa, che comporta il rischio che la società, gli amici, i parenti ti mettano al bando, in quanto persona "inutile", "fannullone" e così via. I protagonisti del libro si liberano dal lavoro perché sentono che è per loro il modo più autentico di raggiungere la felicità. Ma si trovano poi davanti altri ostacoli: la noia, il giudizio degli altri, la solitudine, l'angoscia del vuoto. Che devono combattere e sconfiggere. Come dice uno dei nostri protagonisti, però, il lavoro non può essere il rimedio contro la noia. Perché lavorare è un modo di annoiarsi senza saperlo... Nonostante le difficoltà quindi, nessuno di loro tornerebbe mai indietro. In primo luogo perché realizzare quello che si vuole è il primo e fondamentale passo per la conquista della felicità. In secondo luogo perché ognuno di loro ha acquisito una forte e matura consapevolezza di sé. Comunemente infatti, la nostra identità si lega al lavoro. Noi siamo quello che facciamo e la percezione di noi passa attraverso il giudizio di un capo, l'apprezzamento di un collega. I protagonisti del nostro libro sono invece riusciti a rinunciare a questa definizione esterna attraverso un percorso di piena maturazione. E ci mostrano come sia possibile fare a meno dei condizionamenti sociali ed economici. "Io non lavoro" è soprattutto un libro sulla libertà e sulla felicità, due grandi temi sui quali ognuno dei nostri personaggi, ciascuno a modo suo, ha qualcosa da raccontarci".

Serena Bortone Mariano Cirino
Io non lavoro
Neri Pozza
Pag 231, euro 16

(30 luglio 2010)
 
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Mattialeccese
view post Posted on 31/8/2010, 16:37




Si vabbè, tutto molto bello ma in concreto non dicono di cosa viviono questi qui! Per mangiare ci vuole il pane e il pane o lo compri o lo fai, ma per fare il pane ci vuole la farina e la farina o la compri o la fai e per fare la farina ci vuole il grano che o lo compri o lo cresci e per crescere il grano devi lavorare, quindi alla fine lavorare è indispensabile! A meno chè questi non rubano o non vivono di mirtilli e fichi, ma nei periodi invernali diventa molto difficile comunque. Quindi la cosa mi sembra un pò troppo utopistica.
 
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1 replies since 31/7/2010, 10:58   82 views
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