Laici Libertari Anticlericali Forum

Gli atei visti dai credenti, (e del cosiddetto 'confronto')

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Felipe-bis
view post Posted on 15/1/2009, 12:25




http://www.vatican.va/archive/ITA0014/__P7D.HTM

L'ateismo



2123 “Molti nostri contemporanei non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano l'intimo e vitale legame con Dio, così che l'ateismo va annoverato fra le cose più gravi del nostro tempo” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19].



2124 Il termine ateismo indica fenomeni molto diversi. Una forma frequente di esso è il materialismo pratico, che racchiude i suoi bisogni e le sue ambizioni entro i confini dello spazio e del tempo. L'umanesimo ateo ritiene falsamente che l'uomo “sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19]. Un'altra forma dell'ateismo contemporaneo si aspetta la liberazione dell'uomo da una liberazione economica e sociale, alla quale “si pretende che la religione, per sua natura, sia di ostacolo.. in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso una vita futura.., la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19].



2125 Per il fatto che respinge o rifiuta l'esistenza di Dio, l'ateismo è un peccato contro la virtù della religione [Cf ⇒ Rm 1,18 ]. L'imputabilità di questa colpa può essere fortemente attenuata dalle intenzioni e dalle circostanze. Alla genesi e alla diffusione dell'ateismo “possono contribuire non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19].





2126 Spesso l'ateismo si fonda su una falsa concezione dell'autonomia umana, spinta fino al rifiuto di ogni dipendenza nei confronti di Dio [Cf ibid., 20]. In realtà, “il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione” [Cf ibid., 20]. La Chiesa sa “che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano” [Cf ibid., 20].





L'agnosticismo



2127 L'agnosticismo assume parecchie forme. In certi casi l'agnostico si rifiuta di negare Dio; ammette invece l'esistenza di un essere trascendente che non potrebbe rivelarsi e di cui nessuno sarebbe in grado di dire niente. In altri casi l'agnostico non si pronuncia sull'esistenza di Dio, dichiarando che è impossibile provarla, così come è impossibile ammetterla o negarla.



2128 L'agnosticismo può talvolta racchiudere una certa ricerca di Dio, ma può anche costituire un indifferentismo, una fuga davanti al problema ultimo dell'esistenza e un torpore della coscienza morale. Troppo spesso l'agnosticimo equivale a un ateismo pratico.


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si, si, certo...
 
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topometallo
view post Posted on 15/1/2009, 12:52




Mi ci riconosco? difficile dirlo, togliere tutta la fuffa di dio da queste amenità non è banale.

L'unica riga che potrebbe somigliare ad una descrizione passabilmente accettabile è quella del materialismo ateo, ma espressa così, con le "ambizioni" dell'uomo, lo scrivere "entro i confini dello spazio e del tempo" come ci potesse esser altro oltre il fisico, bah...
 
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Kulkulcan
view post Posted on 15/1/2009, 18:52




Come se la morale appartiene solo alla Chiesa
 
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Felipe-bis
view post Posted on 25/4/2009, 10:30




http://www.uaar.it/news/2009/04/23/pietro-...retino-stupido/

Pietro Barcellona: ateismo “cretino e stupido”

Un articolo di Sergio Sciacca pubblicato sul sito de La Sicilia
rende noto il contenuto di una conferenza, promossa dalla Fondazione Sant’Agata e Centro culturale di Catania, che il filosofo del diritto Pietro Barcellona, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura dal 1976 al 1979, già deputato PCI dal 1979 al 1983, ha tenuto presso la facoltà di Lettere dell’Università di Catania.
Stando al cronista, secondo Barcellona occorrerebbe “finirla una buona volta con il politically correct: diciamo le cose con il loro nome. Dichiararsi atei è cretinismo. La cultura che sostiene atteggiamenti simili è stupidamente statica, incapace di vibrazioni, chiusa in se stessa. […] L’ateismo è stupido, l’unica alternativa è l’amore. Il pacifismo astratto è becero: cominciamo con il sanare le amarezze di chi ci sta vicino, in casa. Con loro dobbiamo impegnare la nostra anima, la nostra sensibilità, la nostra voglia di condividere. E allora ci accorgeremo che la Chiesa di oggi, come quella di ieri, persegue il medesimo ideale evangelico (”ama il prossimo tuo…”) anche se i politici e gli intellettuali del progressismo attuale ne trovano scomodi i richiami”.

 
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Felipe-bis
view post Posted on 2/5/2009, 17:08




http://www.uaar.it/news/2009/05/01/dibatti...i-atei-cretini/

Il dibattito sugli atei “cretini”

Nel numero del 30 aprile 2009 il giornale “La Sicilia” torna sul tema del “cretinismo ateo” con due interventi a confronto: quello di Giorgio Montaudo, docente di Chimica Industriale, notoriamente “non credente”, e la repica del Prof. Pietro Barcellona, docente di Filosofia del diritto, entrambi presso l’Università di Catania.
Montaudo si dichiara senza mezzi termini dispiaciuto del “resoconto delle dichiarazioni di Barcellona sulla presunta stupidità degli atei”, e della rinnovata polemica contro lo “scientismo” ed il “riduttivismo scientifico”, e deplora la definizione offensiva di “atei professionisti” (e dunque “cretini” per eccellenza), che resta peraltro l’unica forma di censura oggi possibile in mancanza di roghi; esalta il ruolo della ragione e della scienza; e si dichiara certo del fatto che le neuroscienze riusciranno un giorno a spiegare pressoché tutto dell’uomo, lasciando in soffitta ‘misteri’ e teologie. Per lui, non può essere tacciato di ateismo né di stupidità chi sostiene le ragioni delle scienze.
Barcellona replica, inizialmente pressochè rinnegando di avere usato l’aggettivo “cretino”, quasi che esso originasse dalle fantasie del cronista; ma poi rincara perfino la dose e definisce meglio il profilo di quello che aveva definito “ateo professionista”. Dopo avere chiamato all’adunata la “sorda” “intelligenza critica” della sua città, replica i suoi anatemi contro quel “movimento organizzato di atei professionisti che ideologicamente cercano di distruggere e umiliare ogni posizione che riconosca nella fede (non solo in Dio, ma nelle persone, nei propri maestri, nei genitori, etc.) una via legittima per la comprensione del mondo contemporaneo”. E quale esempio cita i movimenti e le associazioni che hanno allestito gli ateobus. A suo dire, diversamente da quanto accade nei laboratori dove si studiano le neuroscienze, gli aderenti a questi movimenti ed associazioni hanno assunto una posizione “ottusa” per ragioni di puro potere e per neutralizzare le religione, diffondendo “un senso di irresponsabilità e di impotenza di fronte alle scelte etiche”. Così, paradossalmente, “gli atei professionisti sono tutt’altro che cretini, perché hanno un intelligente piano di dequalificazione di tutti i saperi che hanno posto al centro la riflessione sullo spirito umano, dalla psicoanalisi all’ermeneutica filosofica”. Con buona pace (tanto per fare un esempio) proprio della psicoanalisi, che i teologi ed i credenti hanno combattuto per decenni a testa bassa.
Nonostante l’assoluto fallimento di ogni mio precedente tentativo di fare emergere la voce dell’UAAR sulle pagine del nostro maggiore quotidiano locale, ho inviato a “La Sicilia” la seguente lettera.
«A proposito di “Atei Professionisti”
Vorrà scusarmi il prof. Barcellona, per non avere assistito al dibattito tenutosi a Catania il 21 aprile 2009, ma in mancanza di chiare smentite debbo ritenere che egli abbia effettivamente sostenuto, magari incidentalmente (come da resoconto a firma di Sergio Sciacca su ‘La Sicilia’ del 23 aprile 2009), che “dichiararsi atei è cretinismo” che “la scienza umana da sola non può superare i problemi del vivere contemporaneo” e che “l’ateismo è stupido”; ovvero che tali affermazioni non siano semplicemente il parto della “straordinaria fantasia” di un giornalista.
Appartengo a quel forse quantitativamente minoritario ma certo culturalmente ben attrezzato gruppo di intellettuali (si, proprio quelli degli Ateobus di Genova!) che il filosofo catanese direttamente denigra quali “atei professionisti che ideologicamente cercano di distruggere ed umiliare ogni posizione che riconosca nella fede una via legittima per la comprensione del mondo contemporaneo”. Sono uno di quelli che tifano sfacciatamente (anche per specifica preparazione professionale) per le neuroscienze, ritenendole la via maestra per capire sempre più e meglio la “verità” sull’uomo; secondo i quali sono piuttosto le religioni (e la cattolica in particolare) a forzare “ottusamente” e “maliziosamente” tutto ciò che viene dalle scienze, a sostegno di una teologia in eclissi e perdente.
Indubbiamente la religione ha avuto ed avrà ancora a lungo un rilievo sociale ed un valore individuale, ma la riflessione sullo spirito umano è oramai altra e più nobile cosa, e si svolge su scenari ben più ampi, del confessionalismo.»
Francesco D’Alpa (Unione degli Atei ed Agnostici Razionalisti, responsabile dell’osservatorio sui fenomeni religiosi)
 
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Felipe-bis
view post Posted on 17/6/2009, 18:16




http://www.uaar.it/news/2009/06/16/una-cer...tici-religione/


Una certa rappresentazione dell’ateismo e degli atei nei testi scolastici di religione

di Franceso D’Alpa

Un gruppo di soci milanesi dell’UAAR si è recentemente chiesto se alcuni passi di un testo di religione per le scuole medie statali non possano essere ritenuti diffamatori nei confronti degli atei, più o meno allo stesso modo di come gli slogan sull’inesistenza di dio, esibiti sugli autobus, lo sarebbero stati per i credenti. Partendo da una mia personale risposta a questo quesito, ho ritenuto opportuno ampliarne il campo di applicazione.
Il volume in questione è “Beati voi” di Giampiero Margaria (Marietti, Torino, 20o4), che gode dell’Imprimatur della Conferenza Episcopale Italiana, a firma del cardinale Camillo Ruini.
Le pagine che ci interessano (e le uniche che prendo in considerazione) sono la 34 e 35, facenti parte della “Seconda unità didattica”, intitolata “Ateismo, magia e superstizione”.

Partiamo dalla definizione di ateismo nel testo in questione:

“è la negazione dell’esistenza di Dio”.

Si poteva anche scrivere che l’ateismo “è l’affermazione dell’inesistenza di dio”. Ma così non intende l’autore (che segue le indicazioni della CEI ed una consolidata tradizione), abituata a termini che inequivocabilmente spingono verso un giudizio di merito, contrapponendo ‘esistenza’ (concetto ‘positivo’) e negazione (concetto ‘negativo’). Ma negare l’esistenza di qualcosa è atteggiamento erroneo? La scienza moderna nega l’esistenza dell’etere, a cui in tanti prima credevano: dobbiamo darne una colpa alla scienza o prendere atto del miglioramento delle conoscenze grazie alle quali oggi sappiamo proprio che l’etere non esiste?
L’ateismo è introdotto anche in questo modo:

“Molte persone al mondo non hanno fede in Dio. Alcuni non si pongono neppure le domande sui ‘perché’ primi ed ultimi. Altri se le pongono ma non credono che la risposta sia Dio.”

Ma qui intenzionalmente si equivoca. I cattolici ritengono infatti che esista un solo dio, il loro, ovvero quello che avrebbe parlato attraverso la Bibbia. A questo dio non credono non solo gli atei, ma neanche tutti i credenti di altre religioni (a cui gli atei e gli agnostici andrebbero accomunati) per i quali egualmente la Bibbia non è stata ispirata da dio. Ritenere che ‘esista un dio’ (qualunque significato abbia questo termine) ed ‘avere fede’ nel dio della Bibbia sono in ogni caso due atteggiamenti diversi, cosa che qui non viene evidenziata.
Il primo paragrafo di questa unità didattica, intitolato “Il tramonto delle fedi e delle religioni”, si rivolge subito, palesemente, ad un presunto o potenziale credente:

“Forse conoscerai direttamente persone che non vogliono credere in nessun Dio, che non desiderano praticare nessuna religione. Comunemente esse vengono denominate atee.”

C’è ovviamente una certa differenza fra “non credere” e “non voler credere”. Quando io dico “non voglio giocare a calcio” esprimo una scelta, che posso anche rendere con “non gioco mai a calcio”. Non è lo stesso quando dico “non voglio mangiare”, che non può essere paragonato a “non mangio mai”. Dov’è la differenza? Nel fatto che mangiare è necessario alla vita, e nessuno può “non mangiare”, a scapito della sua vita; mentre si può non giocare a calcio e preferire ascoltare un disco; si tratta infatti di una scelta in un certo senso ‘indifferente’. Riguardo al ’credere’, per i cattolici, la scelta invece non è per nulla ‘indifferente’, in quanto per loro ‘credere in dio’ è la normalità, ‘non credere’ una anomalia. Così l’autore del testo intende lo comprendano gli studenti, sprovvisti di mezzi critici adeguati.

“L’ateismo è un fenomeno praticamente sconosciuto nel mondo antico. L’uomo ha attraversato epoche in cui ogni aspetto della vita individuale e sociale era profondamente influenzato dalla religione (pensiamo al medioevo) …”

Con buona pace degli ignari studenti (che si avvicineranno alla storia della filosofia solo fra qualche anno) il mondo antico ha invece conosciuto ampiamente l’ateismo; ed in ogni caso la religione (o le religioni) degli antichi (il ‘paganesimo’, così tanto stigmatizzato dal cristianesimo) era tutt’altra cosa della religione dei moderni, legata ancor più di questa innanzitutto ad una mancata conoscenza dei meccanismi della natura che ci circonda ed ingloba. Ed il riferimento al medioevo appare quanto mai penoso, se pensiamo a come questo periodo abbia rappresentato forse il momento peggiore della civiltà occidentale degli ultimi venticinque secoli. In quanto all’atteggiamento verso ciò ‘che tutti hanno sempre creduto’, teniamo ben presente che l’astrologia è stata ritenuta valida per molti più secoli e da molti più popoli che non i dogmi cristiani, per essere poi superata dalle conoscenze scientifiche.

“Con le rapide evoluzioni della scienza si afferma l’idea della inutilità di Dio; sembrano sufficienti la ragione, la scienza, lo sviluppo tecnologico, attraverso cui l’uomo riesce a raggiungere traguardi ambiziosi, a fare moltissime scoperte, a sconfiggere le malattie: i confini della ragione appaiono infiniti.”

Anche qui la scelta dei termini è sottilmente fuorviante: anziché parlare di ‘inesistenza di dio’ si fa riferimento alla ‘inutilità’ di dio. Così si mette in risalto ancora una volta la superbia del rifiuto (da sempre giudicato peccaminoso) di riconoscere un dio che invece, a parere dei credenti, esiste con assoluta certezza.
Per inciso, viene comunque riconosciuto che la ragione sconfigge le malattie, mentre da sempre si è sostenuto dai credenti che invece è dio a guarire.

“Altre persone arrivano alla negazione di Dio perché nel mondo esiste il male, capitano cose orrende: catastrofi, guerre, genocidi, olocausti. Essi sostengono che se esiste il male, non può esistere un Dio onnipotente, a meno che si voglia credere in un Dio crudele. Queste persone arrivano a pensare che non ci sia un vero senso da dare alla vita, che basti vivere alla giornata, senza porsi problemi a lungo termine che non hanno soluzione. Serpeggia in queste posizioni, un senso di impotenza, quasi di disperazione.”

Ovviamente una gran parte degli atei non si riconosce in questa descrizione, e ritiene che la vita vada vissuta per come è. Questi atei non somigliano per nulla al ritratto disperato che ne hanno fatto per secoli i predicatori; non si avvicinano alla morte con maggiore o diversa angoscia rispetto ai credenti.
In quanto al vivere alla giornata, proprio nei Vangeli si trova elogiato come virtù il vivere alla giornata, senza preoccuparsi di tessere gli abiti o di procurarsi il cibo, senza porsi problemi terreni a lungo termine. La sola fede in un aldilà sarebbe sufficiente a nobilitare questo atteggiamento ideale che la maggior parte dei credenti di tutti i tempi (clero incluso, ed anzi soprattutto il clero) non ha comunque seguito, impegnato com’era ad assicurarsi benessere e piaceri terreni.
L’autore del volume lascia quindi spazio ad una citazione illustre:

“Ti proponiamo qui di seguito la riflessione di Indro Montanelli (1909-2001), grande giornalista italiano, che in un articolo del “Corriere della Sera” del 28 febbraio 1996 scrisse: Io ho sempre sentito la mancanza di fede, e la sento, come una profonda ingiustizia che toglie alla mia vita, ora che sono al rendiconto finale, ogni senso. Se è per chiudere gli occhi senza aver saputo da dove vengo, dove vado e cosa sono venuto a fare qui, tanto valeva non aprirli. La mia è soltanto una dichiarazione di fallimento. […] Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. La nostra vita, il mondo, il creato, l’esistente devono pure avere un perché che la mia mente e la ragione non riescono a spiegarmi. Ed è là dove la mente e la ragione finiscono, e purtroppo finiscono presto, che per me comincia il grande Mistero di Dio.”

Si tratta ovviamente di un intervento scorretto, tipico dell’apologetica, che ritiene di esibire quale prova tutte le testimonianze favorevoli, ignorando le contrarie; intervento che comunque non aggiunge nulla di probante, in quanto Montanelli non sostiene per nulla di credere nel dio dei cristiani, ma solo di ‘non sapere’; che è più o meno quanto sostiene la scienza atea, perfettamente conscia dei suoi limiti ma non per questo disposta a cedere alla credenza religiosa ed all’irrazionale.
Ma andiamo avanti:

“La categoria delle persone che non si pongono seri interrogativi è purtroppo in espansione. Per queste persone è sufficiente vivere alla giornata; per loro lo scopo della vita diventa il piacere ricavato dalle cose che si consumano il più in fretta possibile: è importante cambiare modello di auto, di vestito, di computer, di cellulare, ecc…”.

Qui occorre correggere una falsità: il numero di persone che si pongono ‘seri interrogativi’ è da secoli sicuramente in aumento; ed anzi il mondo moderno è nato proprio con gli interrogativi che scuotevano una religione cristallizzata in formula accademiche e di comodo. Nel medioevo cristiano la gente comune non si chiedeva affatto il perché delle cose; piuttosto aveva terrore delle cose ed accettava supinamente le idee dei religiosi, anche contro l’evidenza. Recitare preghiere e fare penitenze dava solo apparentemente un senso alla vita, ma soprattutto rassicurava, esorcizzava la miseria e le paure quotidiane. Le persone colte avevano sì il desiderio di capire, ma lo facevano secondo lo stile dell’epoca, ragionando sui libri sacri. Oggi lo si fa invece ragionando sulla natura, secondo i metodi della scienza empirica; che ha sostituito la religione, quanto la religione cristiana aveva sostituto le idee degli antichi.
Nessuno sicuramente è in grado di dimostrare che oggi i non credenti cerchino i piaceri o consumino più dei non credenti. Ad uno sguardo d’insieme sulla nostra civiltà, sembra invece del tutto evidente il contrario, dato che è proprio nell’occidente cristiano che furoreggia da secoli la cultura del consumo, dello sfruttamento della natura, e dell’edonismo.

“Si rifugge dalle grandi verità per ancorarsi a piccole cose, a piccoli piaceri quotidiani. Ne deriva la banalizzazione radicale della vita, ne derivano anche la più radicale solitudine, l’incapacità della comunicazione profonda, la quasi totale indifferenza verso tutti e verso ogni cosa che accade. La guerra, la fame nel mondo, addirittura la malattia di una persona cara causano, al massimo, emozioni passeggere che svaniscono all’insorgere di nuovi desideri. La vita deve andare avanti, non ci si può attardare, non si deve soffrire. E ‘l’idea di Dio’? E’ un pensiero pericoloso, che potrebbe spingere a revisioni di vita… troppo faticose.”

I più accorti noteranno che questi atteggiamenti sono stati pervasivi anche della migliore tradizione cristiana. La guerra non è mai stata un problema nel mondo cristiano, sia che contrapponesse le potenze cattoliche, sia condotta contro infedeli ed eretici. La fame è stata sempre ritenuta una conseguenza del peccato originale, una punizione divina, un mezzo per redimersi, una necessaria ineguaglianza sociale; la carità verso i bisognosi non si è mai trasformata in lotta alla povertà, magari con la restituzione dei beni sottratti o negati alle classi sociali svantaggiate. La malattia e la morte di persone care si è sempre insegnato ad accettarle come accidenti della vita meno importanti degli interessi per l’aldilà.

Poniamoci ora dal punto vista del giovanissimo studente, prendendo atto del fatto che queste pagine non gli dicono molte cose e non l’aiutano nella sua comprensione critica.
Innanzitutto egli non sa che quella che sta leggendo e studiando non è una materia come tutte le altre, ma solo il resoconto di una idea (fra le tante) del mondo, posseduta da una categoria a parte di insegnanti, che cercano di indurlo a credere nella ‘verità’ ed autorevolezza di quello che gli propongono. Una materia solo apparentemente ‘ovvia’ e ‘neutrale’, come lo sono la matematica o la fisica, che si studiano senza porre in dubbio ciò che viene insegnato e senza che alla base esistano fra gli studiosi, ameno per quanto giunge al profano, punti di vista contrapposti. Allo studente non si insegna ad affrontare in modo critico, ma soprattutto comparativamente (con le altre) la religione cattolica. Gli si vuole di fatto ‘insegnare’ la religione, nello stretto significato del termine, come dato di fatto, come si insegna a scrivere o a far di conto.
A differenza del passato, quando il vivere civile occidentale era modulato nelle forme e scandito nei ritmi dalla religione, si era in un certo senso ‘naturalmente’ religiosi, e l’adattamento alla religione era parte dell’integrazione sociale. Ora non più. Ogni giovane studente è di fatto, realisticamente, un ‘ateo pratico’, che nega nella maggior parte dei suoi atti quotidiani ciò che un tempo la religione predicava: sobrietà, ossequio ai precetti morali della catechesi, sguardo rivolto all’aldilà più che all’aldiquà; un giovane immerso in quell’ateismo che il testo catechetico demonizza. Eppure si pretende di indurlo a porsi un problema di ‘senso’ che gli è ovviamente estraneo. Un tempo questo genere di educazione religiosa provocava soprattutto angosce (ad esempio, per l’inferno) e sensi di colpa (ad esempio, nel campo della sessualità), che oggi non riesce più a suscitare. Così la catechesi scolastica ripiega sulla solidarietà e sull’umanitarismo, divenuti argomento di facciata della religione; lasciando in seconda linea i temi fondamentali della fede, cioè le ragioni del soprannaturale.
Tutto, in questi recenti volumi di catechesi, è stato in effetti adeguato alla rappresentazione moderna del mondo, affinché il nuovo, demonizzato solo fino ad un certo punto, consenta al vecchio di sopravvivere in qualche modo. Le ragioni di oggi (ad esempio l’opposizione alla pena di morte ed alla schiavitù, la condanna dell’antisemitismo e dell’islamismo), sono esposte in modo tale da nascondere le posizioni antitetiche di sempre, rigettate solo dopo la lotta perduta contro l’illuminismo.
I conflitti passati, della chiesa contro la civiltà, e all’interno della chiesa stessa, svaniscono dunque nell’abbraccio con ciò che un tempo si osteggiava, ma senza accennare al come ed al perché di questo mutamento.

Qualcuno si sarà a questo punto domandato se il testo scolastico che stiamo esaminando presenti punti di vista nuovi, o altrimenti quali siano i suoi rifermenti dottrinali.
La risposta è abbastanza facile. Il riferimento continua ad essere quasi in tutto la Costituzione Pastorale “Gaudium et spes”, del 1965, frutto di quel Concilio che ha segnato il punto di maggiore riavvicinamento della Chiesa cattolica al mondo reale, di fatto rinnegato dopo la svolta tradizionalista degli ultimi due papi.
Fra quel documento e questo testo scolastico esistono comunque delle differenze: in particolare un atteggiamento di fondo che oggi ridimensiona e quasi vela la tradizionale demonizzazione del non credente.
I capitoli della “Gaudium et spes” che ci interessano sono il 19 “Forme e ragioni dell’ateismo”, il 20 “L’ateismo sistematico”ed il 21 “ Atteggiamento della Chiesa di fronte all’ateismo”.
Il capitolo 19 sostiene:

“Molti nostri contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio: a tal punto che l’ateismo va annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il termine «ateismo» vengono designati fenomeni assai diversi tra loro. Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l’uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l’uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affermare l’uomo più che a negare Dio.”

Facciamo attenzione a questi punti: ‘gravità dell’ateismo’, ‘indebito oltrepassare dei confini delle scienze positive, ‘negazione di verità assolute’. Evidenziare la gravità dell’ateismo significa per la “Gaudium et spes” innanzitutto colpevolizzare l’ateo, mentre oggi si preferisce rappresentarlo come pecorella smarrita; il resto fa pare del repertorio della predicazione contro il relativismo, della quale è campione Benedetto XVI sin da prima della sua elezione. Sarebbe ovviamente difficile spiegare a dei ragazzini cosa sia il relativismo (e tanto più spiegarne la diversa concezione laica), e per questo i testi di religione a loro dedicati ne parlano in termini meno scientifici e più persuasivi.
Il seguito del capitolo 19 è la inequivocabile fonte cui attinge l’autore del nostro corso di religione:

“Altri si creano una tale rappresentazione di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa, né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L’ateismo inoltre ha origine sovente, o dalla protesta violenta contro il male nel mondo, o dall’aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell’assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per sua essenza, ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l’accesso a Dio.”

Un passo che segue evidenzia comunque un salto fra le due catechesi:

“Per questo nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione.”

A tutti è chiaro infatti il grande silenzio della chiesa attuale su temi morali che un tempo dominavano (libertà sessuale, coppie di fatto, immoralità nel vestire, frequenza al culto…).
Il capitolo 20 della “Gaudium et spes” esamina, ovviamente deprecandolo, l’ateismo sistematico, ed in particolare sostiene:

“Tra le forme dell’ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell’uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale. La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell’uomo verso il miraggio di una vita futura, la distoglierebbe dall’edificazione della città terrena. Perciò i fautori di tale dottrina, là dove accedono al potere, combattono con violenza la religione e diffondono l’ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione di cui dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell’educazione dei giovani.”

Non so quanti fra gli stessi cattolici possano sottoscrivere tali affermazioni, visto che anch’essi sono per la maggior parte dediti alla edificazione della ‘città terrena’, ad uso della quale dimenticano con facilità i precetti religiosi. Meno che mai ci sembra che la nostra società faccia pressione sui giovani in senso antireligioso; semmai vale proprio il contrario, con l’accentuarsi della clericalizzazione della vita pubblica, almeno in Italia.
Ma soffermiamoci ora su alcuni passi del capitolo 21 “Atteggiamento della Chiesa di fronte all’ateismo”:

“La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato, con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l’esperienza comune degli uomini e che degradano l’uomo dalla sua innata grandezza.”

Qui l’uomo è giudicato dalla chiesa in quanto colto nel suo (soggettivamente non percepito) degrado, laddove nel corso di religione da cui siamo partiti è raffigurato come ‘impotente’ e ‘disperato’; un evidente mutamento di rotta nel racconto dell’esperienza religiosa.
Più avanti la “Gaudium et spes” si apre al colloquio con il non credente, in questi termini:

“Quanto agli atei, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto.”

Si noti bene: prendere in considerazione il Vangelo. Non si parla qui del problema dell’esistenza di Dio, che è ben altra cosa. Il Vangelo, come messaggio umanitario e per molti aspetti pratici, ci può anche andare bene: una prospettiva contro la quale probabilmente il pontificato attuale proporrà dei correttivi (ovvero, ricollocare dio e l’aldilà in primo piano).

Al termine di questo breve confronto fra un testo divulgativo e la sua remota fonte, è obbligo tornare ai motivi che mi hanno indotta a commentarlo.
La principale domanda che dobbiamo porci è questa: è possibile che giovani studenti, in un momento tanto delicato della loro formazione scolastica, siano così impunemente esposti ad un testo francamente confessionale, che non parla asetticamente di religione né di religioni, ma piuttosto inculca i principi ed i pregiudizi di una determinata religione favorita dallo Stato?
E dobbiamo anche chiederci: è accettabile che il testo in esame falsi così subdolamente quanto lo studente dovrebbe apprendere in seguito, ovvero la consistenza dell’ateismo nel mondo antico e la sua importanza (proprio in quanto corrente antireligiosa) nello sviluppo delle scienze e nella costruzione del mondo moderno?
La risposta ovviamente è no. Ma non basta affermarlo. Dopo avere impostato un contenzioso sull’ora alternativa, è tempo che si apra un nuovo capitolo nel contrasto alla clericalizzazione della scuola pubblica: è venuto il momento di controllare anche i contenuti dell’insegnamento religioso scolastico ed i testi a supporto. Fra i tanti argomenti da contestare, come oggi mi è parso opportuno segnalare, vi è la rappresentazione dell’ateismo, che non è per nulla obiettiva, ma come sempre denigratoria se non diffamatoria.

(responsabile Osservatorio UAAR sui fenomeni religiosi, [email protected])
 
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Felipe-bis
view post Posted on 2/7/2009, 16:39




http://www.uaar.it/news/2009/07/01/bologna...ve-arcidiocesi/

Bologna: “Atei totalitari” e “trans zerovirgola”, scrive l’arcidiocesi

A pagina 4 di Bologna 7*, supplemento settimanale di Avvenire a cura dell’Arcidiocesi di Bologna, c’è un articolo che già dal titolo la dice lunga: Atei, cioè totalitari. Chi ha lo stomaco forte può andarselo a leggere. Sempre sullo stesso numero, in prima pagina, c’è un attacco agli spot promossi dalla Regione sulla Costituzione. “Famiglie e cattolici oscurati dagli «zerovirgola»”, queste le accuse. Con grande spirito umanitario gli «zerovirgola» sarebbero le persone transessuali.

Il circolo UAAR di Bologna ([email protected])

* ecco l'articolo:
CITAZIONE
http://www.bologna.chiesacattolica.it/bo7/.../2009_06_21.pdf

Atei, cioè totalitari
Sarà presentata a Castel Guelfo
l’ultima indagine storica e filosofica
di Francesco Agnoli

DI STEFANO ANDRINI

L'ateismo non esiste: se l’uomo non crede in
Dio si creerà un suo idolo. Con
conseguenze anche disastrose,
come testimonia la storia, e in particolare
quella delle grandi ideologie del
Novecento. È questo il «succo» del nuovo
libro di Francesco Agnoli «Perché non
possiamo dirci atei» (Piemme, pagg. 311,
euro 16,50), sviluppato dall’autore
attraverso un percorso che nella prima parte
del volume è filosofico e nella seconda
storico. «E’ rivelatore - afferma Agnoli -
l’atteggiamento di chi, di fronte alle attuali
conoscenze scientifiche e ad alcuni evidenti
salti ontologici del creato, come il venire
all’essere della vita cosciente, si dichiara ateo,
ma individua comunque un’entità, il caso,
come origine e ragione dell’evoluzione,
trasformando il caso "creatore" in una sorta di
divinità. Perché la ragione riconosce che un
significato ultimo, comunque, ci deve essere, sia
esso Dio o un idolo».
Nel libro lei sviluppa un altro paradosso, quello
delle ideologie atee dell’Otto - Novecento, collegate
alla politica, alla scienza, alla tecnica. Perché
sostiene che esse sono tutte religioni?
Perché in ognuna di queste concezioni della vita e
della società è evidente che alla Chiesa, ovvero al fatto
religioso, viene sostituito qualcos’altro. Nella politica,
per esempio, il partito; c’è una divinizzazione dello
Stato, come è accaduto per il Fascismo, il Nazismo e il
Comunismo, che avevano come obiettivo la creazione
di un Paradiso in terra prescindendo da Dio. Questa
sostituzione, l’ideologia al posto di Dio, non è tuttavia
innocua: ha avuto conseguenze terribili, perché ha
prodotto il più grande massacro della storia. Invece di
creare il Paradiso, le ideologie senza Dio hanno creato
l’Inferno.
Quali danni può provocare nella società di oggi
l’ideologia atea?
L’eugenetica e il razzismo scientifico. Entrambi si
fondano sulla negazione dell’origine comune di
ogni uomo: non siamo tutti figli dello stesso Padre,
ma materia. Per cui il sano è diverso dal malato, il
bello dal brutto. Anche in questo caso, appare
evidente che l’ateismo, che vorrebbe essere la
negazione di Dio, in realtà è sempre anche
negazione dell’uomo. Senza il riconoscimento
dell’origine e del fine di ogni persona, questa perde
ogni importanza e diventa un animale come gli
altri. Il più grande bioingegnere, Gregory Stock,
dice: «abbiamo 46 cromosomi, proviamo a fare un
uomo con 48, se viene male lo buttiamo via». Per
la prima volta nella storia, degradato al livello della
materia, l’uomo diventa il mezzo della ricerca
scientifica e non più il fine, per cui si sperimenta
non per l’uomo ma sull’uomo. Il concetto di uomo
unico e irripetibile, immagine e somiglianza di Dio,
è l’unico capace di salvare la nostra dignità.

quasi quasi propongo di aprire un'altra sezione, intitolata "odio cattolico" dove inserire tutte 'ste perle... <_<
 
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saras68
view post Posted on 2/7/2009, 23:09




e che potrei dire felipe...basterebbe la mia firma sotto...
...credere per me vuol dire semplicemente Amare,ma il mio dio mi insegna che la via di quell'Amore è la Libertà del mio fratello da me stesso...ma loro.con le loro chiese,i loro dogmi,le loro dottrine,i loro muri e le loro catene,non conoscono Amore..non conoscono Dio... responsabili,loro,da sempre di quelle pieghe tristi della storia.
 
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bettytrans
view post Posted on 3/7/2009, 21:30




ah ecco....questa mi era nuova....trans zero virgola....alla faccia del tanto decantato cristo .....
 
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fermakon
view post Posted on 3/7/2009, 22:10




magari salterà fuori qualche documento "autentico" dove il nazareno se la prende col travestitismo in epoca imperiale :D
 
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bettytrans
view post Posted on 3/7/2009, 22:20




eheheheh....bè non è che il paganesimo i cristiani lo vedessero di buon occhio coi suoi usi sessuali piuttosto disinibiti....dove tutto era permesso...
 
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Felipe-bis
view post Posted on 3/8/2009, 13:33




www.uaar.it/news/2009/07/30/libro-c...o-scienza-atea/

Un libro contro la “scienza atea”

Alcuni commentatori ritengono che gli atei siano troppo ossessionati da Dio: non credendo nella sua esistenza, la circostanza è un po’ improbabile. Si deve invece constatare come il mondo cattolico affronta sempre più spesso il tema dell’ateismo: a partire da papa Benedetto XVI, che almeno una volta alla settimana parla o scrive dell’assenza di Dio. Anche il numero di pubblicazioni anti-atee (in particolare anti-Dawkins) si sta facendo cospiscuo: negli ultimissimi mesi, tanto per fare alcuni esempi, sono usciti Non di sola materia di Thomas Crean, Dio e il nuovo ateismo di John F. Haught e Perché non possiamo essere atei di Francesco Agnoli. All’elenco si aggiunge ora L’illusione dell’ateismo. Perché la scienza non nega Dio di Roberto Timossi, con autorevole presentazione del card. Angelo Bagnasco. Avvenire ha prontamente intervistato l’autore, che se la prende con Daniel Dennett, Richard Dawkins, Telmo Pievani, Piergiorgio Odifreddi e Danilo Mainardi. A detta di Timossi, il problema degli scienziati atei è di “riconoscere che la scienza è fallibile e limitata, e allo stesso tempo arrivare a conclusioni apodittiche su questioni su cui la scienza empirica per definizione non può esprimersi, come quelle metafisiche o spirituali”. Timossi non fornisce alcun esempio di tali conclusioni apodittiche.

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www.uaar.it/news/2009/08/02/mons-ra...-vista-biblico/

Mons. Ravasi: “l’ateismo dal punto di vista biblico”

L’attenzione del mondo cattolico per l’ateismo non accenna minimamente a scemare. Se ne è scritto soltanto tre giorni fa (cfr. Ultimissima del 30 luglio qui sopra) omettendo il nome di mons. Gianfranco Ravasi, che pure non è per nulla nuovo alla trattazione del tema: sette anni fa diede dei “bigotti” e dei “talebani” ai soci UAAR che promuovevano lo sbattezzo; più recentemente ha definito gli ateobus “una carnevalata” opera di “un ateismo non pensante”. Per lui l’ateismo contemporaneo “è fatto di indifferenza, di superficialità, di banalità: è quasi una sorta di ‘gioco di società’ il negare Dio” (cfr. Ultimissima del 4 dicembre 2008*).
Il noto biblista, che è anche presidente del Pontificio consiglio della cultura, sulle pagine del mensile Jesus (**) affronta questa volta l’ateismo “dal punto di vista biblico”, operando una serie di distinzioni: “l’incredulità è l’indifferenza agnostica, l’idolatria è l’ateismo sistematico, l’assenza è il mistero del divino “incomprensibile”". Se, venendo a tempi più recenti, riconosce al confronto con il marxismo lo stimolo che ha fatto maturare alla Chiesa cattolica la coscienza dell’importanza della questione sociale, altra cosa è invece “l’indifferenza-incredulità che mette in questione sia la fede autentica e operosa, sia l’ateismo severo e impegnato. Essa è simile a una nebbia difficile da diradare, non conosce ansietà o domande, si nutre di stereotipi e banalità, accontentandosi di vivere in superficie, sfiorando i problemi fondamentali”. Ma c’è anche, conclude Ravasi, “chi avverte e soffre per il vuoto intimo, anela alla verità, alla bellezza e all’amore, pur non possedendoli; chi obbedisce alle ingiunzioni della propria coscienza, pur avendo sopra di sé cieli apparentemente vuoti o al massimo affollati soltanto dai satelliti della tecnica”: costui “è come se accettasse già l’Essere assoluto di Dio, pur affermando il suo agnosticismo”.


* www.uaar.it/news/2008/12/04/ravasi-...-gioco-societa/
CITAZIONE
Ravasi: sì alle moschee se controllate, ateismo “gioco di società”

Secondo i principali mezzi di informazione italiani, l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della Cultura della Santa Sede, durante la giornata di studio su Culture e Religioni in dialogo avrebbe preso le distanze dalla proposta della Lega Nord di bloccare la costruzione di nuove moschee: “I luoghi di culto che sono sede di una presenza spirituale autentica sono legittimi e diventano luoghi benefici per la conoscenza”, tuttavia, se una moschea si muove sul versante politico, con finalità “eterogenee alla propria identità religiosa”, allora “lo Stato esige una verifica” e ha “il diritto di intervenire”.
Di tale intervento non dà tuttavia né l’agenzia dei vescovi italiani SIR, né il servizio dal convegno pubblicato sul sito di Radio Vaticana, che presenta invece un durissimo attacco contro l’ateismo: “abbiamo l’ateismo che è in crisi: quello drammatico, coerente e cosciente, che vive sapendo che i cieli sono del tutto spogli e tuttavia si deve avere lo stesso avere una norma di vita per poter coesistere con gli altri. Ai nostri giorni, abbiamo invece un ateismo che è fatto di indifferenza, di superficialità, di banalità: è quasi una sorta di ‘gioco di società’ il negare Dio”.

** www.sanpaolo.org/jesus/0908je/0908j102.htm
CITAZIONE
CULTURA - PAROLE DI SEMPRE

Ateismo e cristianesimo
di Gianfranco Ravasi
biblista - Presidente del Pontificio consiglio della cultura


Dal punto di vista biblico, esistono diversi tipi di ateismo: c’è l’incredulità, che somiglia all’indifferenza religiosa; c’è l’idolatria; e c’è infine il sentimento dell’assenza di Dio, la sofferenza per il vuoto spirituale di chi, in realtà, è alla ricerca di un orizzonte religioso e anela alla verità.


«In ginocchio! Suona la campanella: si stanno portando i sacramenti a un Dio che muore». Così, in modo paradossale, il poeta tedesco dell’Ottocento Heinrich Heine rappresentava l’avanzata della "morte di Dio" che, in forma ancor più drammatica, avrebbe poi descritto il suo connazionale e contemporaneo Friedrich Nietzsche con la celebre scena della Gaia scienza, in cui un uomo grida per le strade l’annunzio ferale: «Dio è morto! Noi lo abbiamo ucciso e le nostre mani grondano del suo sangue!». Ebbene, questo ateismo drammatico – che, peraltro, ha sollecitato persino una "teologia della morte di Dio" – è ormai quasi del tutto scomparso. Ciò che al massimo sopravvive sono gli sberleffi sarcastici di certi atei di moda, alla Odifreddi, Onfray, Hitchens, tanto per distribuirne i nomi secondo le principali aree linguistiche.

Ora, affrontare il problema dell’ateismo dal punto di vista biblico può paradossalmente essere di grande attualità, nonostante che a una prima impressione il tema sia di per sé assente nelle Sacre Scritture, dato che nelle antiche culture la negazione assoluta di Dio era quasi inconcepibile. In realtà l’anima profonda dell’ateismo, in tutti i suoi risvolti, anche seri e argomentati, appare all’interno della Bibbia. Sono tre le categorie ideali coinvolte. La prima è quella dell’incredulità: essa nega la presenza di Dio nella storia e, quindi, si rifiuta di accettarne la norma etica trascendente e di adeguarsi a una sua volontà. In questa linea va il noto grido dello "stolto" del Salmo 14/53: «Non c’è Dio!». Il senso dell’affermazione non è quello di una negazione teorica e programmatica, quanto piuttosto quello sconcertante della scoperta della mancanza di una presenza divina da rispettare e temere qui e ora, nelle vicende della storia umana.

Questo atteggiamento è espresso nella Bibbia anche con il verbo «mormorare», che è sulle labbra dell’Israele in crisi di fede durante la marcia esodica nel deserto e in bocca ai giudei mentre ascoltano il discorso di Gesù sul "pane di vita" nel capitolo 6 di Giovanni. L’incredulità affiora anche nei discepoli che si "scandalizzano" e rigettano la via della croce e considerano impossibile la risurrezione («Non essere più incredulo!», dice il Risorto all’apostolo Tommaso). Sotto questo schema potremmo rubricare oggi la più consistente tipologia dello pseudo-ateismo attuale, quella della cosiddetta indifferenza religiosa. Essa si basa su una lettura superficiale della storia, dalla quale Dio è assente. La sua figura risulta del tutto irrilevante, non genera drammi, non è principio di scelte morali esigenti, è lasciata nel limbo delle presenze eteree. Non lo si combatte, ma lo si ignora perché considerato come un dato "disturbante" e inattuale. Come scriveva ironicamente il filosofo canadese Charles Taylor, nel suo saggio sulla Secular Age contemporanea, se Dio dovesse entrare nella nostra società, al massimo gli si chiederebbero i documenti.

Il secondo modello biblico è quello dell’idolatria: esso più si avvicina al vero concetto "drammatico" e forte di ateismo. Non c’è bisogno di illustrarne le caratteristiche tanto è costante nelle Scritture, da un lato, la tentazione di sostituire a Dio un oggetto o sé stessi e, d’altro lato, la critica e la polemica anti-idolatrica dei profeti, dei sapienti, dei testimoni di Dio. È in pratica la sostituzione della trascendenza con un dato storico immanente. San Paolo ne bolla con veemenza la contraddizione nel capitolo 1 della Lettera ai Romani, quando accusa i pagani di aver scambiato la verità divina con un comodo sistema che genera alla fine libertinismo e degradazione morale. In forma nobile l’idolatria moderna è l’identificazione di principi costitutivi e dinamici interni all’essere e alla storia stessa come unica ragione esplicativa: si pensi al materialismo dialettico di stampo marxiano, ma anche allo Spirito immanente nell’essere stesso, motore della storia, secondo la concezione idealistica hegeliana, oppure si consideri l’umanesimo ateo che pone l’uomo come misura e senso di tutto l’essere.

Non è, quindi, solo l’autoadorazione dell’uomo autosufficiente o la banale venerazione di oggetti simbolici, come accade nell’idolatria folcloristica o nel consumismo secolaristico; sotto questa categoria si possono classificare anche tanti modi elaborati e sofisticati che escludono la trascendenza divina.

Ma c’è una terza proposta che la Bibbia ci offre su questo argomento, proposta che si rivela sorprendente e persino "religiosa". È l’assenza provocatoria di Dio, il suo silenzio che genera la domanda capitale: «Dov’è Dio?», come attestano spesso le suppliche salmiche: «Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono tutto il giorno: Dov’è il tuo Dio?» (42,4); «Perché i popoli dovrebbero dire: Dov’è il loro Dio?» (79, 10). Questa domanda apparentemente "atea" nasce sia nella persona in crisi di fede, sia nel credente autentico che rimane sconcertato di fronte al Dio muto e assente, soprattutto quando incombe lo scandalo del trionfo del male.

La Bibbia è, al riguardo, molto significativa. C’è, infatti, una figura come il Qohelet che incarna la crisi di un uomo che si trova davanti a un mondo indecifrabile, spoglio di un senso percepibile, scandito dal vuoto (habel, «vanità, fumo, vuoto»), con domande che salgono verso un cielo muto e che ricadono su chi le lancia. Ma c’è anche il credente puro come Giobbe, che ribadisce la sua volontà di avere una risposta dal vero Dio, taciturno e indifferente, e non una ricetta apologetica preconfezionata dagli amici teologi, stanchi difensori d’ufficio della religione. E invece: «Io grido verso di te e tu non rispondi!». Eppure, alla fine, questa assenza si rivela feconda e si trasforma in una presenza e in un incontro (42,5: «Io ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono»). È paradossale, ma anche Gesù Cristo, il Figlio di Dio, per essere veramente uomo, passa attraverso questa stessa esperienza del silenzio del Padre, sia nel Getsemani, sia sulla croce, svelandone perciò la misteriosa positività.

È, allora, necessario, quando si affronta il tema dell’ateismo, operare una serie di distinzioni: l’incredulità è l’indifferenza agnostica, l’idolatria è l’ateismo sistematico, l’assenza è il mistero del divino "incomprensibile". Proprio attraverso questa schematizzazione si può intuire quanto complessi siano i problemi pastorali che ne derivano. Un conto, infatti, è entrare in un confronto serrato – ideale e argomentato – con un ateismo coerente e cosciente, capace anche di una sua etica autonoma, come avveniva nell’Ottocento con il marxismo e il razionalismo illuministico e idealistico. Da questo confronto-scontro nessuno dei due contendenti, allora, ne era uscito indenne e gli esiti erano stati preziosi per entrambi. Solo per fare un esempio, nell’Otto-Novecento attraverso il duello con il marxismo, la Chiesa ha maturato la coscienza dell’importanza della questione sociale (la Rerum novarum e lealtre encicliche sociali), mentre il marxismo ha visto profilarsi il post-marxismo con un filosofo come Ernst Bloch che affermava il rilievo straordinario dell’Esodo come testo fondante della liberazione e il cristianesimo come seme di trasformazione della storia (già il titolo di una sua opera era emblematico: Ateismo nel cristianesimo) con la carica di una tensione radicale (il Principio speranza).

Un conto è, invece, l’indifferenza-incredulità che mette in questione sia la fede autentica e operosa, sia l’ateismo severo e impegnato. Essa è simile a una nebbia difficile da diradare, non conosce ansietà o domande, si nutre di stereotipi e banalità, accontentandosi di vivere in superficie, sfiorando i problemi fondamentali, secondo l’ormai notissima immagine del Diario del filosofo danese Søren Kierkegaard: «La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani». I mezzi di comunicazione di massa ci insegnano tutto sulle mode e i modi di vivere, ma ignorano il significato dell’esistere, l’inquietudine della ricerca interiore, le interrogazioni sull’oltre e sull’"altro" rispetto a noi e al nostro orizzonte.

Un conto, infine, è avere a che fare con una notte dello spirito in cui Dio è assente. Eppure se ne sente la mancanza: già il filosofo Martin Heidegger notava che la «vera povertà del mondo è quando non si sente più la mancanza di Dio come mancanza». Chi avverte e soffre per il vuoto intimo, anela alla verità, alla bellezza e all’amore, pur non possedendoli; chi obbedisce alle ingiunzioni della propria coscienza, pur avendo sopra di sé cieli apparentemente vuoti o al massimo affollati soltanto dai satelliti della tecnica, è come se accettasse già l’Essere assoluto di Dio, pur affermando il suo agnosticismo (si ricordi la famosa tesi del "cristiano anonimo" suggerita dal teologo Rahner). Questa esperienza dell’assenza divina, per altro, può appartenere non solo alla stessa fede – che è talora simultaneità di luce e di tenebra, di certezza e di dubbio – ma persino alla mistica, come è testimoniato dalle pagine indimenticabili di san Giovanni della Croce o dalle riflessioni ardite di Meister Eckhart o dai versi incandescenti di Angelo Silesio.

Gianfranco Ravasi



Edited by Alessandro Baoli - 31/10/2011, 10:21
 
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Ashmael
view post Posted on 3/8/2009, 14:32




Personalmente credo che la scienza, atea o meno che sia, abbia aiutato il progresso civile e sociale dell'0Umanità ben più delle degenerazioni di una "fede"che si nutrono di ignoranza e bigotteria, alimentando pregiudizi e odio fino ai pogrom, all 'Olocausto, alle stragi suicide. Ciò non toglie che è diritto di ciascunoi credere o non credere, purchè ci si rispetti l'un l'altro e nessuno pretenda di imporre le proprie idee e categorie morali agli altri. Quanto al "Cretinismo", trovo i deliri psicotici di "Radio Maria" molto puiù cretini di qualsiasi arteobus. Ma non è con slogan a effetto vche si può convincere la gente della validità delle proprie idee. Ho sempre trovato gli ateobus un po' ingenui, a dire la verità...
 
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Felipe-bis
view post Posted on 3/8/2009, 17:26




CITAZIONE (Ashmael @ 3/8/2009, 15:32)
Personalmente credo che la scienza, atea o meno che sia, abbia aiutato il progresso civile e sociale dell'0Umanità ben più delle degenerazioni di una "fede"che si nutrono di ignoranza e bigotteria, alimentando pregiudizi e odio fino ai pogrom, all 'Olocausto, alle stragi suicide. Ciò non toglie che è diritto di ciascunoi credere o non credere, purchè ci si rispetti l'un l'altro e nessuno pretenda di imporre le proprie idee e categorie morali agli altri. Quanto al "Cretinismo", trovo i deliri psicotici di "Radio Maria" molto puiù cretini di qualsiasi arteobus. Ma non è con slogan a effetto vche si può convincere la gente della validità delle proprie idee. Ho sempre trovato gli ateobus un po' ingenui, a dire la verità...

Ingenui o no, hanno smascherato la finta libertà di espressione che ci sarebbe in Italia. I credenti sono liberi fino in fondo, gli atei no. Questo è quanto.
 
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view post Posted on 26/9/2009, 10:32

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La cosa é ancor piú sottile.
Non esiste una reale limitazione, ma esiste una lente distorcente che agisce nei confronti di chiunque sia laico (e quindi figuriamoci ateo) e una terribile furia vendicativa sostenuta da una miriade di ominicchi, qualcuno convinto qualcuno comprato o in offerta.
Un esempio disgustoso é stato quando il "Santo Padre" fu invitato alla Sapienza (dallo stesso rettore che invitó Gheddaffi), e ,poverino, constató che esisteva chi non l'avrebbe accolto in adorazione.
La vendetta fu fulminea e feroce.
I manifestanti vennero dipinti da tutti i giornali come dei fricchettoni fumati, i professori che promossero la protesta come dei baroni parrucconi e buoni a nulla (sebbene tra questi vi fossero alcuni dei piú grandi luminari del mondo in fisica o matematica), nella furia mediatica di distruggere il nemico laico il tg2 non risparmió un servizio di 15 minuti (!) per spiegare quanto Galileo fosse uno stronzo che in fondo in fondo meritava la condanna.

É evidente che non solo le posizioni dei laici vengono sempre ricoperte da distorsioni, ma che esiste una feroce ritorsione nei confronti del libero pensiero.
 
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