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La condanna della forchetta "Oggetto demoniaco", Preti zozzoni vietarono per secoli lo strumento di Satana

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view post Posted on 5/7/2008, 14:12
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Preti zozzoni vietarono per secoli lo strumento di Satana

La condanna della forchetta "Oggetto demoniaco"

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www.cucinaitaliana.info/articoliefo...on_e_posate.htm

Bon ton e posate : pillole di storia



“Come si sta a tavola” è una delle cose importanti da imparare “perché il tuo vicino non abbia disgusto di te”, come già nel 1200 si suggeriva.

Il problema è che questo “come” varia nelle epoche e nei luoghi.

Le dita sono state per millenni le “posate reali” come ancora sosteneva Luigi XIV: ma questo non significa che non vi fossero tecniche e limitazioni: Ovidio prescrive le tre dita (pollice, indice e medio) della mano destra, con un movimento veloce e senza andare verso il piatto con la faccia. Lo sguardo dovrà essere disinvoltamente rivolto altrove e non dovrebbe cadere nulla.

Sino al medio evo le ossa e gli avanzi si gettano dietro le spalle per cani e servitori (vinca il migliore!). I più ricchi e raffinati tra i greci ed i romani usavano ditali per evitare di sporcarsi e di ustionarsi, e si potevano permettere un tovagliolo ed uno “sciacquadita”.

Per i cibi liquidi è il cucchiaio l’attrezzo internazionale.

Altro utensile comune era il coltello, che faceva anche uso di forchetta. I romani, al pari degli orientali, preferivano però che di coltelli in tavola non ce ne fossero, e che il cibo venisse servito già sporzionato …non si sa mai.

Le forchette (liguale), anche se per lo più bidenti, erano già in uso tra i romani, ma poi con la decadenza dell’impero spariscono dall’Europa, sostituite dal “coltello personale”, che serviva da coltello, forchetta e stuzzicadenti (anche se la pulizia in pubblico non era auspicata)

Nel medio evo l’ospite forniva piatti, cucchiaio e tovaglia, ed un boccale ogni due commensali (per questo era considerato molto importante pulirsi la bocca prima di bere!). Tovaglioli e saliere erano un indice della ricchezza e della magnanimità del padrone di casa.

Nell’impero d’oriente l’uso invece rimane e si consolida. La forchetta tornerà da Bisanzio in Italia nel 1003 portata dalla figlia di Costantino VIII, data in sposa al figlio del doge veneziano. La fanciulla rifiutava infatti “principescamente” di toccare il cibo con le mani e si serviva della forchetta. La cosa non piacque per nulla a San Pier Damiani che scatenò tuoni e fulmini sul “demoniaco oggetto” simbolo di eccentricità e lusso ostentato. (a nessuno piace sentirsi criticato, da una donna poi … ma come si permette di darci dei barbari?!?) L’invettiva fu accolta e ripetuta dalla chiesa tanto che nei conventi occidentali la forchetta rimase bandita fino al 1700.

Tra la forza dell’abitudine, e le invettive clericali alla forchetta ci vogliono quei 300 annetti per cominciare a riaffermarsi in Italia. Curiosamente prima sulle tavole “borghesi” e poi nelle corti. Uno dei pochi sponsor regali è di nuovo una donna “Caterina de medici” che la adotta a corte, un po’ per divertirsi alle spalle dei cortigiani (“Era uno vero spasso vederli mangiare, perché coloro che non erano abili come gli altri, facevano cadere sul piatto, sulla tavola e a terra, tanto quanto riuscivano a mettere in bocca"), un po’ per il carattere portato alle innovazioni che troviamo in molti aspetti della sua vita.

E in oriente che succedeva? A Bisanzio abbiamo visto che la forchetta piace, in India si continua con le mani, o ci si aiuta con piccoli pezzi di pane per acchiappare i bocconi troppo caldi. Stessa soluzione viene adottata in Africa. In tutti i pasti dove il nomadismo è molto diffuso si cerca di ridurre al minimo la quantità di roba da trasportare … e l’etichetta si adegua.

E i cinesi? Loro usavano già i “bastoncini” quando ancora i nostri antenati valutavano l’opportunità di cuocere la carne! 3000 anni di bastoncini per i cinesi, poco meno per i giapponesi, seguano la corea e gli altri stati. La funzione è la stessa della forchetta, ma si prende poco cibo per volta, per questa ragione si può avvicinare la ciotola alla bocca per gestire i cibi più difficili, come ad esempio il riso.

Anche sul piatto abbiamo preso strade diverse: da noi i piatti tendono ad essere individuali da epoche molto remote, in oriente la ciotola è personale, ma i cibi solidi si prendono per lo più da un piatto comune. Tanto è vero che le portate “individuali” sono considerate di pessima educazione. Questa usanza è diffusa in quasi tutto il mondo, probabilmente come testimonianza di ospitalità equanime e….garanzia contro gli avvelenamenti.

Ma torniamo all’Italia e alle forchette: quella con quattro rabbi (che poi sarebbero i denti) pare si debba al ciambellano di re Ferdinando IV di Borbone, che per meglio mangiare gli spaghetti abbia inventato questo utensile, ma siamo già nel 1700, vicini quindi al “galateo” moderno. Di Forchette Monsignor della casa infatti non si preoccupa molto….

Edited by pincopallino2 - 4/3/2019, 13:36
 
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view post Posted on 21/1/2009, 20:00
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http://www2.regione.veneto.it/videoinf/gio...9/forchetta.htm

La forchetta, da posata stravagante a strumento per mangiar civilmente

Esistono oggetti di uso comune che nessuno mai penserebbe possano essere stati di difficile e tormentata scoperta di questa nostra umanità pur così inventiva. Così come parrà difficile credere che gli Amerindi, all’arrivo di Colombo, non conoscessero l’uso della ruota, altrettanto risulterà difficile pensare che l’uso della forchetta, così come la conosciamo, fosse praticamente sconosciuto in Occidente almeno fino all’anno 1000.
La forchetta era sconosciuta agli antichi Greci ed ai Romani i quali mangiavano con le mani aiutandosi, tutt’al più, con dei coltelli o con altri strumenti vagamente rassomiglianti ai cucchiai. In questa situazione il confine che separava il commensale raffinato dal villano era unicamente il lavarsi più volte le mani, prima, durante e dopo i pasti, per togliersi l’untume dei cibi mentre, per asciugarsele (essendo del tutto sconosciuti anche i tovaglioli) si ricorreva alla mollica di pane oppure ad una speciale farina detergente.

In cucina, per la verità, si usavano degli enormi forchettoni a due punte, derivati evidentemente dai più antichi spiedi, ma il pur semplice passaggio dal forchettone ad un analogo strumento di dimensioni più ridotte non era stato affatto concepito.
Siamo a questo punto giunti all’epoca di Roma imperiale e, nonostante quel che si diceva prima, per evitare di sporcarsi troppo le mani, o di scottarsi i polpastrelli con il cibo caldo, in luogo della forchetta s’invitarono…..i ditali. Questi, per la verità, confinati all’uso dei nobili e patrizi più stravaganti, furono considerati un passo avanti rispetto agli espedienti più vari che venivano adottati per indurire la pelle dei polpastrelli in modo da portare il cibo alla bocca senza soffrire troppo per il loro calore.

La scoperta della forchetta, incredibilmente, continua a venir rinviato nonostante che, in tarda età imperiale, fossero comparsi piccoli attrezzi, ad una o due punte, chiamati “ligula” o “lingula”, che servivano esclusivamente per infilzare i datteri o piccole golosità al miele. I primi esemplari di questi oggetti avevano la forma di una piccola lancia e si presentavano leggermente concavi, con una vaga rassomiglianza con il cucchiaio.
Con la decadenza dell’impero d’Occidente anche questa piccola invenzione venne sommersa dagli usi barbarici che ne seguirono, ma ne persistette l’uso nell’impero d’Oriente come testimonia la storia della principessa Maria, nipote degli imperatori regnanti (in quel tempo si usava anche condividere il trono) Basilio II e Costantino VIII.
Questa principessa andò sposa, probabilmente nell’anno 1003, al diciannovenne Giovanni, figlio del doge veneziano Pietro Orseolo II, ed egli pure associato al dogado, così com’era facoltà in quel periodo. La giovane principessa e dogaressa fece giungere da Bisanzio i propri bauli colmi di oggetti dotali e, con essi, giunse anche una piccola forchetta d’oro a due rebbi che la giovane maneggiava con disinvoltura per portare il cibo alla bocca. Apriti cielo! Questa “stravaganza”, accompagnata alla diceria che usasse lavarsi solo con acqua di rugiada, le alienò le simpatie dei veneziani e, soprattutto, del clero che, dal pulpito, si scagliò contro l’arnese infernale ritenuto tale perché dotato di due corna così come si raffigurava il diavolo.

Per l’occasione si scatena anche lo sdegno di Pier Damiani (monaco fatto santo!) celebre per aver sostenuto la supremazia della religione sulla scienza, il quale condonò senza appello la povera donna per i suoi istinti peccaminosi e demoniaci. La storia ci tramanda un passo dello scritto di Pier Damiani la cui rilettura non può che risultare di particolare interesse ed amenità. Così diceva il monaco: “tale era la lussuria delle sue abitudini che disdegnava perfino dilavarsi nell’acqua e costringeva i suoi servitori a raccogliere la rugiada che cadeva dal cielo per farvi il bagno. E neppure si degnava di toccare il cibo con le dita, ma ordinava ai suoi eunuchi di tagliarlo in piccoli pezzi, nei quali conficcava un certo strumento d’oro con due rebbi e così se li portava alla bocca. L’aria delle sue stanze era pesante per l’incenso e altri profumi tanto che per me è nauseante parlarne e i miei lettori forse stenteranno a crederlo. Ma la vanità di questa donna era odiosa a Dio Onnipossente; e così, senza dubbio, egli prese la sua vendetta. Perché egli alzò su di lei la spada della Sua divina giustizia, cosicchè tutto il suo corpo imputridì e tutte le sue membra cominciarono a disseccarsi, riempiendo la sua camera da letto di un odore insopportabile, tanto che nessuno – non una serva e neppure una schiava – poteva resistere a quel terribile attacco alle narici; eccetto una ragazza di servizio che, con lo aiuto di misure aromatiche, rimase coscienziosamente a fare il suo dovere. Ma persino lei poteva avvicinarsi in fretta alla sua padrona e poi ritirarsi immediatamente. Poi, dopo un lento declino e tormenti angosciosi, con il felice sollievo dei suoi amici, ella esalò l’ultimo respiro”.

Giovanni Orseolo e sua moglie morirono a sedici giorni di distacco l’uno dall’altra a causa della peste e furono sepolti in una unica tomba nella chiesa di san Zaccaria a Venezia.
Potrebbe darsi che Pier Damiani non fosse a conoscenza della peste oppure, essendolo, l’abbia ignorata per la comoda ragione che avrebbe rovinato la sua storia della reclamata ed ottenuta punizione divina. Tracce degli usi e dei costumi dell’epoca emergono da preziosi scritti di autori dell’epoca. Ad esempio, Brunetto Latini, l’apprezzato maestro di Dante, ammoniva: “E quando siedi a mensa non fare un laido piglio!”, alludendo all’uso piuttosto spicciativo delle mani.

Di rincalzo, un poeta del tempo raccomandava ai cavalieri che avessero avuto occasione di trovarsi a tavola con delle dame, di non metterle in imbarazzo guardando le loro mani “che soglion vergognare” per l’untume del cibo che toccavano.
Così si può passare facilmente da aneddoto a storia e viceversa.

Fra gli oggetti più preziosi dell’imperatore Carlo V (1500-1558) si contavano una dozzina di forchette mentre, a Parigi, rientra fra le curiosità locali il ristorante “tour D’argent” costruito nel 1582 sulle rovine di un forte, ambiente dove Enrico III di Valois (1551-1589), figlio di Caterina de’Medici, adoperò la forchetta per la prima volta.
L’uso di questa posata era vista non per la sua utilità, ma come forma di civetteria, per non dire mania. Personaggi come lo scrittore Montaigne, ma anche lo stesso Molière, nonché il Re Sole, davano decisa preferenza alle dita piuttosto che alla forchetta. Un celebre dipinto di Ingrès ritrae Luigi XIV e Molière a cena e la tavola era chiaramente imbandita senza forchette; il sovrano venne convinto ad usarle (ma solo nei pranzi ufficiali) solo con il trasferimento della corte a Versailles. Siamo nel 1684.

Come abbiamo visto la forchetta in Francia incontrò notevoli difficoltà ad affermarsi; in Inghilterra rimase del tutto sconosciuta fino al ‘600 mentre in Italia ebbe sorte migliore ma servì anche come mezzo di riconoscimento tra Guelfi e Ghibellini, in tutto divisi dal loro secolare antagonismo. Mentre i primi posavano coltello, cucchiaio e forchetta dalla parte destra, i Ghibellini, per distinguersi, sistemavano la posateria sopra il tondo, nella parte che guarda il centro della tavola, dove oggi usiamo porre le posate da frutta e, se lo facevano, c’è da sperare che dovessero ricavarne una certa soddisfazione!.
Anche gli Austriaci ebbero delle diffidenze nei confronti della forchetta. Neppure un esemplare in legno venne concesso a certi prigionieri considerati pericolosi, come accadde al generale francese Lafayette ed al nostro Silvio Pellico che ebbe ad esclamare in proposito: ”crolla forse la monarchia austriaca se invece di mangiare con le dita lo fo con un pezzo di legno?”.

Le superstizioni religiose opposero la più strenua resistenza all’avanzare del progresso e della forchetta. Fu solo nel 1700 che le autorità ecclesiastiche ripresero in esame la dibattuta questione dell’infernale strumento, così come ritenuto da San Pier Damiani, il cui uso era ancora interdetto fra le mura dei conventi.
Non sappiamo bene come siano andate le cose, se il verdetto fu di assoluzione piena o per mancanza di prove, certo è che solo da allora la forchetta fu ammessa anche nei monasteri.
 
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view post Posted on 29/12/2011, 16:58
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http://www.taccuinistorici.it/ita/news/mod...-forchetta.html

Storia della forchetta



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Nei millenni ci si è sempre serviti delle mani, o dei coltelli appuntiti, per portare alla bocca i pezzi di cibo ancora caldi, anche se esistevano vari strumenti, fatti di materiali dall’osso al ferro, per infilzare le carni in cottura. Ma la forchetta, che arrivò dopo il cucchiaio e il coltello, quando e dove nacque?
Secondo un reperto archeologico esposto presso il Museo di Ventimiglia sembra che fosse già in uso presso i Romani, ma il passaggio a un arnese a più denti per infilzare in tavola pare sia avvenuto nell’alto Medioevo alla corte di Bisanzio, dove un’acuminato pugnale si trasformò prima in un imbroccatoio (tipo spillone) e poi in una forchetta. Nella letteratura italiana dopo il mille, troviamo le forchette a Venezia, Pisa, Firenze, ma soprattutto in mano a borghesi e mercanti, mentre nelle corti vigeva ancora l’etichetta tradizionale di Ovidio delle tre dita, che imponeva di attingere direttamente dal piatto per pescare il cibo solido.
Una notizia inequivocabile dell’uso della forchetta personale da tavola la dobbiamo a San Pier Damiani (1007-1072), il quale narra di una principessa bizantina, venuta a Venezia per sposare un doge, che non toccava il cibo con le mani preferendo usare una forchettina bidente. Il predicatore fece abbattere la collera celeste sullo strumento, giudicandolo un lusso diabolico e una raffinatezza scandalosa, ed usarlo venne anche ritenuto segno di debolezza da parte dei maschi nobili.
Un’ulteriore testimonianza ci arriva da Ludovico Antonio Muratori, autore degli “Annali d’Italia”, che indica nel 1071 la presenza della forchetta alla mensa allestita per le nozze del doge Domenico Silvio con un’altra principessa bizantina, ma ancora in epoca tardo medioevale nelle corti si era giudicati raffinati se si mangiava “maestosamente” con le mani.
In Italia una qualche posata a forma di forchetta sembra che iniziò ad essere usata abbastanza normalmente sino dal Trecento, per l'introduzione di un alimento "difficile" come la pasta, scivolosa e pericolosamente bollente.
La probabile “svolta”, ossia l'imporsi dell'uso della forchetta singola come simbolo di buone maniere si verificò solo nel ‘500. Ma mentre la popolazione cittadina borghese e mercantile cercava di usarla tutti i giorni, i nobili la ritenevano non obbligatoria, da aggiungersi semmai ad altri indispensabili segni di civiltà quali: abbondanza di tovaglie e tovaglioli, e abluzioni ripetute prima e dopo i pasti.
Dalle corti italiane la forchetta si diffuse lentamente in Europa, dove ancora nel Seicento gli aristocratici mostravano resistenze ad abbandonare l'uso delle dita (regali posate), come testimoniano le tradizioni della corte di Luigi XIV.
A conferma di questa riluttanza verso la forchetta segnaliamo una cronaca che vedrebbe protagonista Caterina de' Medici . Sembrerebbe che quando la regina fece provare la posata a punte al marito Enrico II e ai commensali, questi si rivelarono piuttosto maldestri nel maneggiarla:
"Nel portare la forchetta alla bocca, si protendevano sul piatto con il collo e con il corpo. Era uno vero spasso vederli mangiare, perché coloro che non erano abili come gli altri, facevano cadere sul piatto, sulla tavola e a terra, tanto quanto riuscivano a mettere in bocca".
Per arrivare all’utilizzo diffuso della forchetta bisogna aspettare oltre la metà del ‘700, quando venne celebrato anche il famoso matrimonio con gli spaghetti (vermicelli). Pare infatti che sopratutto per agevolare la presa dei "fili di pasta", il ciambellano di re Ferdinando IV di Borbone abbia portato a quattro i rebbi della posata.
 
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https://www.vanillamagazine.it/la-forchett...5bvBgvMCbe3fTt4

La Forchetta: usata dai Romani fu abbandonata perché strumento “del Demonio”
Di Cecilia Fiorentini in data Apr 19, 2018
Utensile ampiamente utilizzato in buona parte del mondo, la forchetta ha una storia ricca di curiosità. I primi esemplari risalgono al 2.400/1.900 avanti Cristo, ritrovati in Cina e attribuiti all’antichissimo popolo Qijia. Altri oggetti simili, di epoche diverse, furono ritrovati sparsi tra l’Europa dell’est e dell’ovest, nuclei di diffusione degli antenati della moderna forchetta. Fu l’epoca Greca e Romana che vide la diffusione, a 360° degli antenati della moderna forchetta, utilizzati insieme a un ditale adatto a non scottarsi quando si mangiava con le mani.

Sotto, Cucchiaio d’argento con forchetta, epoca Romana, III sec. d.C., Metropolitan Museum, New York:



Come evidenziato dalle scoperte archeologiche, la prima tipologia di questo utensile era formato da un’impugnatura, realizzata spesso in osso o legno, e da due spuntoni di bronzo o argento, ideali per infilzare il cibo e portarlo alla bocca senza doversi sporcare le mani.

Sotto, una forchetta di bronzo risalente all’antica Roma, I – III secolo avanti Cristo – Fonte immagine: Metropolitan Museum of Art.



Questi antichi esemplari di forchetta erano già in uso al tempo dell’Impero Romano, ma quando fu diviso fra Oriente e Occidente l’utilizzo si mantenne solo nella zona d’influenza di Costantinopoli. Le migrazioni dei barbari dal Nord Europa fecero perdere l’uso di utensili di eleganza a tavola, e in Italia l’uso della forchetta diminuì drasticamente. Alcune eccezioni sono da rilevare in particolare per i Longobardi: in una miniatura del Codice delle Leggi Langobarde del monastero della Cava, appare una immagine del re Rotari intento a pulire del pesce con un coltello e un utensile assimilabile a una forchetta. L’uso degli utensili era però solitamente riservato alla preparazione delle pietanze, e quindi alla zona della cucina, e la forchetta non compariva a tavola.

Sotto, esempi di cucchiai e forchette in bronzo conservati al Museo di Torcello risalenti all’epoca Tardoantica o all’Alto Medioevo – Fotografia di Serviziocultura condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia:



La maggior parte dei reperti è stata quindi rinvenuta nell’Europa dell’est, dove si suppone la forchetta si sia diffusa maggiormente. È attestato che attorno al IX secolo dopo Cristo, nel territorio dell’antica Persia, un utensile chiamato “barjyn” fosse in uso presso le élite altolocate, come oggetto di lusso.

Sotto, forchette di bronzo realizzate in Persia risalenti all’ XIII – IX secolo dopo Cristo – Fotografia di pubblico dominio:



Sebbene la forchetta sia notevolmente comoda e decisamente più igienica delle mani (allora metodo favorito per portare il cibo alla bocca), quando nel 1003 si svolsero le nozze tra la raffinata Maria Argyropoulaina, principessa bizantina, e Giovanni Orseolo, figlio del Doge di Venezia, si dice che la presenza della posata fece scandalo tra gli invitati.

Banchetto Medievale, fotografia di pubblico dominio:



La principessa bizantina, a differenza di qualsiasi altra sposa italiana dell’epoca, fornì a ogni commensale una forchetta vicino al piatto. Tale gesto venne giudicato negativamente, poiché considerato un’offesa rispetto alle tradizioni cristiane, dunque un’offesa a Dio.

San Pier Damiani la definì un “demoniaco oggetto” perché nell’immaginario cristiano era usata dal Diavolo

Quando Teodora Anna Doukaina, dogaressa di Venezia e sorella dell’Imperatore Bizantino Michele VII Ducas, introdusse a tavola delle forchettine d’oro, Damiani lanciò le proprie invettive contro la donna, accusandola di utilizzare, appunto, il “demoniaco oggetto”. Quando Teodora, anni dopo, scomparve prematuramente per una terribile malattia, Pier Damiani stesso, vescovo e riformatore della Chiesa, definì la sua morte una punizione divina per il peccato di usare le forchette.

Sotto, San Pier Damiani, dipinto di Andrea Barbiani conservato alla Biblioteca Classense di Ravenna:



Nonostante le diffide della Chiesa, preoccupata anche di mettere in cattiva luce gli usi Bizantini, perdipiù divisi dallo scisma fra Chiesa Cattolica e Ortodossa del 1054, qualche secolo dopo, alla corte fiorentina, la forchetta era certamente utilizzata dalla prestigiosa famiglia Pucci, come testimoniato dal dipinto di Sandro Botticelli “Nastagio degli Onesti, quarto episodio”, del 1483.



L’uso della forchetta da parte dei fiorentini contagiò un’altra corte: quella di Francia, nel XVI secolo, dove un’altra nobildonna cercò di insediare la forchetta sulle tavole d’Oltralpe. Caterina De Medici, sposa di Enrico II, futuro re di Francia, fece portare la sua collezione di argenteria da tavola al banchetto di nozze del 28 Ottobre 1533, sorprendendo corte e nobili di tutta Europa.

Sotto, forchettone in argento del 1640, conservata al Castello Skokloster in Svezia. Fotografia di pubblico dominio:



L’influsso di Caterina però non fu decisivo, e la corte di Francia non adoperò la forchetta universalmente almeno sino al 1684, oltre un secolo dopo, quando il Re Sole la accettò e ne promosse l’uso alla nuova corte di Versailles.

Il limite alla sua diffusione era dovuto alla Chiesa, che continuava a vedere la forchetta come “strumento del demonio”

Fu solo all’inizio del ‘700 che ci fu un parziale sdoganamento dello strumento, che rimaneva però bandito dai conventi cattolici. L’utilizzo della forchetta si diffuse in seguito grazie all’ingegno di Gennaro Spadaccini, ciambellano alla corte di Ferdinando IV di Borbone, a Napoli. Le forchette diffuse a quell’epoca erano infatti dotate di 3 rebbi (gli aculei della forchetta) piuttosto larghi e appuntiti, inadatti a moltissimi usi come ad esempio arrotolare gli spaghetti. fu Gennaro che, introducendo il quarto rebbo e accorciando la lunghezza delle punte, consentì alla forchetta di diffondersi come utensile adatto a tutti gli usi, perfetta per arrotolare gli spaghetti ma anche per infilzare la carne.

Sotto, forchette antiche destinate a diversi utilizzi



Infine, durante la rivoluzione Americana, la forchetta venne adottata anche dai coloni del Nuovo Mondo, diventando così una vera e propria posata internazionale.

Categorie: STORIA
 
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