25 maggio 2011
Don Cesare: attesa per oggi la sentenza di appello
di Andrea Morrone
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L'ex direttore del Regina Pacis di San Foca è accusato di peculato per aver distratto fondi destinati al centro di prima accoglienza
E' attesa per oggi la sentenza d'appello di uno dei processi che vedono come imputato don Cesare Lodeserto, ex direttore del centro di accoglienza "Regina Pacis" di San Foca ed ex segretario personale dell'arcivescovo di Lecce, monsignor Cosmo Francesco Ruppi. Si tratta, in particolare, dell'inchiesta in cui il sacerdote, già assolto in primo grado per non aver commesso il fatto, è accusato di peculato. Secondo l'accusa, rappresentata dal pubblico ministero Imerio Tramis (oggi sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni), don Cesare, in qualità di direttore del Regina Pacis, avrebbe sottratto, nel corso degli anni, oltre 2 miliardi di lire che erano destinati al centro di accoglienza. Nell'inchiesta era coinvolto anche lo zio del sacerdote, Renato Lodeserto, ex sottufficiale della Guardia di finanza, assolto lo stesso in primo grado. La posizione del secondo imputato è stata però stralciata poiché deceduto.
In primo grado l'accusa aveva chiesto per don Cesare una condanna a 4 anni e mezzo di reclusione, sostenendo che l'ex direttore del Cpt si era appropriato, in qualità di pubblico ufficiale, di finanziamenti pubblici destinati agli immigrati sbarcati e accolti sulle coste salentine. Nella sentenza di primo grado, però, pronunciata nel marzo del 2006, i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Lecce assolsero don Cesare Lodeserto sposando la tesi difensiva secondo cui non vi era stato alcun reato poiché, in base ad un accordo di natura assolutamente privatistico tra la prefettura e l'arcidiocesi di Lecce, il Regina Pacis non aveva l'obbligo di rendicontare le somme.
Nell'ambito della stessa inchiesta la Procura di Lecce dispose il sequestro di 700 milioni di lire di fondi intestati a don Cesare e allo zio ritenendo che fossero stati distratti. Il provvedimento fu annullato prima dal Tribunale del Riesame e poi dalla Cassazione, che ritennero il denaro di provenienza lecita. Nell'inchiesta fu anche coinvolto, nel settembre 2002, l'arcivescovo di Lecce, monsignor Ruppi, la cui posizione fu archiviata nell'ottobre 2004.
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