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La marchesa Casati Stampa stuprata a 12 anni da don Luca, parroco di Amorosi., I tragici retroscena di un delitto dell'alta società

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view post Posted on 10/6/2021, 09:41

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I tragici retroscena di un delitto dell'alta società

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La Marchesa Molestata Dal Parroco
Redazione Web by REDAZIONE WEB 28 Febbraio 2016 in Cronaca


Il retroscena del delitto Casati Stampa rivelato dalla nipote della vittima La violenza sessuale probabilmente condizionò la vita di Anna Fallarino.

Era nata in un paese del Beneventano che si chiama Amorosi e forse non avrebbe potuto venire alla luce in un posto che avesse nome diverso. L’amore fu al centro della vita di Anna, l’amore fu la causa della sua morte. Anna come ce ne sono poche: bizzarra, insaziabile di vita, dotata di una sensualità irresistibile, benedetta da una bellezza ruvida, danneggiata da un’infanzia infelice. Era nata nel 1929 e presto separata dalla sorella: lei viveva con una zia, la madre si era rifatta una vita dopo una prima relazione finita male. Anna Fallarino s’era trasferita a Roma giovanissima, accecata dalle luci di Cinecittà. Sognava la gloria. E nella sua breve vita (fu uccisa a 41 anni) ricordava a tutti di aver partecipato al film «Totò Tarzan», una delle tante comparse belline di quei tempi. Era cresciuta senza troppe regole e soprattutto senza una figura paterna accanto. Dunque a venti anni era una procace bellezza mediterranea con fianchi e spalle cesellati ed un viso furbetto che rifuggiva da qualsiasi imperfezione. Affamata d’amore. Affamata di vita. Non era, come venne descritta dalla stampa scandalistica, una ninfomane, affatto. Era una donna che voleva tutto quello che non aveva avuto e ciò significava adattarsi alle esigenze altrui, se fosse il caso di farlo. Ma, come ha rivelato la nipote Mariateresa Fiumanò, nel suo libro «La marchesa Casati», aveva anche una sorprendente dolcezza nei confronti dei bambini e sognava di averne, almeno un paio. Di lei si conoscono vita, morte e miracoli. Quello che non si conosceva (e che rivela proprio la nipote) è un segreto che Anna aveva tenuto per sé. A 12 anni, quando ancora il sesso era argomento di cui non conosceva le trame, fu molestata pesantemente dal suo anziano parroco, Don Luca. Prima nel confessionale, poi in canonica.

Una violenza sessuale che lei provò a raccontare alla zia, ricevendone solo un paio di schiaffi. Di sicuro stava mentendo, don Luca era un così brav’uomo, le fu risposto quando in lacrime rivelò quanto le era accaduto. «Da quel momento feci di tutto per cambiare chiesa e non doverlo rivedere più», disse Anna alla nipote molti anni dopo. Raccontò i dettagli di quel segreto che pesava sulla sua anima: «Lui era il mio confessore, io lo consideravo come un nonno buono e comprensivo e gli confidavo ogni cosa col cuore in mano. Non c’era niente di scandaloso, a quei tempi, da raccontare, tra l’altro. Ma un giorno lui cominciò a chiedermi dei ragazzi che frequentavo e delle azioni peccaminose che commettevo con loro o da sola. Chiedeva i dettagli, dentro il confessionale, era sempre più curioso. Io all’epoca non avevo niente da dire. Un giorno chiese con particolare curiosità anche dettagli relativi al mio fisico. Io istintivamente fuggii, ma lui m’inseguì e mi disse “dove vai stupida ragazzina”. Mi costrinse a subire le sue attenzioni malate ed io muta, incapace di dire niente o fare niente, scioccata. Non servì a nulla raccontare tutto alla famiglia, nessuno mi credette, anzi mi sentii dire che volevo mandare in galera un innocente».

Quell’esperienza turbò profondamente Anna, che all’epoca dei fatti era ingenua e non conosceva ancora le pieghe malate della vita, e forse condizionò indelebilmente la sua esistenza. Rimosse, almeno apparentemente, quell’episodio che l’aveva segnata più di quanto non credesse e crebbe indurita dagli eventi. Quel tormento non l’aveva digerito, ma andò avanti e decise di fare un buon matrimonio per «sistemarsi». Sposò l’ingegnere Giuseppe Drommi e tuttavia durante il Festival di Cannes nel 1959 incontrò il facoltoso marchese Camillo Casati, di cui divenne amante. Lui perse la testa per lei fino a farle ottenere l’annullamento delle nozze (si dice che pagò un miliardo). Si sposarono lo stesso anno e andarono a vivere in via Puccini a Roma, in un appartamento a due piani. Al terzo abitavano loro, al quarto la servitù. L’aveva arredato proprio Anna, di colpo entrata nel gotha della nobiltà italiana dalla quale era guardata con disprezzo. «Quelle vecchie bagasce», commentava lei. Tuttavia, volessero o non volessero, tutti erano costretti ad ammirarne la bellezza. Quello tra il marchese Casati, padrone di immobili sfarzosi e finanziariamente più che abbiente, e Anna Fallarino, fu un matrimonio che fece scalpore. Lui era uomo che non si compiaceva del titolo nobiliare e la frequentazione con donne del popolo non l’aveva mai infastidito. Tuttavia rivelò, fin dai primi giorni di matrimonio, una curiosità insaziabile verso l’erotismo più smaliziato che prevedeva l’«utilizzo» di maschi prestanti che dovevano fare l’amore con la moglie. Lui fotografava e osservava, aveva praticato un foro nella parete della camera da letto della villa di Zannone, scriveva in un diaro tutto quello che succedeva nel letto della moglie o sugli scogli di Zannone, l’isola che i Casati avevano in affitto dal 1922 e dove si svolgevano festini a luci rosse. Anna s’adeguava, compiacente. Felice di piacere, con un gusto morboso verso quel legame torbido. Il marchese era la figura paterna che non aveva avuto e ne era soggiogata, ne esaudiva i desideri. In cambio lui le aveva dato un’identità. L’identità che le era mancata. Festini, incontri con militari, giovani palestrati, movimentarono la vita matrimoniale della marchesa, gestita dal marito. Fatale fu per Anna Fallarino l’incontro con Massimo Minorenti, uno studente che aveva la fama di «picchiatore», un ragazzo che era stato pagato da Casati per avere rapporti sessuali con sua moglie. Non aveva messo in conto, Casati, che Minorenti e Anna potessero innamorarsi. Circostanza che si avverò e che lo gettò nella disperazione. Il 30 agosto 1970, Camillo Casati tornò nell’abitazione di via Puccini di corsa, allontanandosi da una battuta di caccia, dopo aver saputo che Minorenti era proprio in quell’appartamento insieme alla moglie. Stravolto, chiese ai cinque domestici di non disturbarlo, quindi entrò nel salotto, dove lo aspettavano Anna e l’amante. Non ci fu discussione. Il marchese sparò tre colpi con il suo Browning calibro 12 alla moglie e poi due all’amante, che aveva afferrato un piccolo tavolo nella speranza di ripararsi. L’asciò l’ultimo colpo per sé. La servitù, nel frattempo, allarmata dagli spari, aveva chiamato la polizia, senza tuttavia entrare nella stanza. In un’intervista a L’Europeo, l’agente Domenico Scali ha ricordato: «Il primo corpo che vidi fu quello di Anna Fallarino. Mi sembrò ancora viva. Era seduta sul divano con le gambe incrociate sopra uno sgabello. Aveva le mani in grembo e il volto sereno. La nota stonata era una macchia scura di sangue sulla camicetta».


Nata nel ’29, Anna Fallarino si trasferì a Roma giovanissima, accecata dalle luci di Cinecittà. Sognava la gloria e una vita da star. Quando fu uccisa, aveva solo 41 anni

Massimo Minorenti, uno studente di 25 anni che aveva la fama di «picchiatore», era stato pagato da Casati per avere rapporti sessuali con sua moglie. Ma poi si innamorò di lei


Angela Di Pietro

www.qdnapoli.it/index.php?option=c...d=25&Itemid=165
“ANNA AMOROSI” DI JEAN-NOEL SCHIFANO
SCRITTO DA LUCA MUROLO IL 15 MAGGIO 2021. INSERITO IN LETTERATURA

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L’ultimo romanzo di Jean-Noel Schifano, “Anna Amorosi”, sarà presentato mercoledì 12 maggio, solo per invito, all’Istituto Grenoble di via Crispi, di cui l’autore è stato direttore tra il 1992 ed il 1998, e da “Io ci sto” in forma pubblica, al Vomero, il giorno dopo, giovedì 13. E poi, a seguire, da Feltrinelli, e sicuramente in altri luoghi ancora da destinare, perché JNS, a Napoli, gioca in casa.





Cittadino onorario delle “Due Sicilie”, come lui stesso ama definirsi, avendo ricevuto la cittadinanza onoraria a Racalmuto, paese natale di Sciascia, da lui tradotto in francese, come Umberto Eco, Elsa Morante, Alberto Moravia ed altri, ama profondamente Napoli e spesso vi ambienta i suoi racconti.

Parlai a lungo di lui nell’articolo che scrissi in occasione della pubblicazione del suo “Dizionario appassionato di Napoli”, apparso su QdN il 24 dicembre del 2018, ed è con piacere che sono di nuovo qui a raccontarvi di questa sua nuova ed appassionante storia.

Si tratta di un fatto di cronaca nera che fece grande scandalo negli anni in cui si svolse e tragicamente terminò con un omicidio-suicidio alla fine dell’agosto del 1970, dove l’autore magistralmente vi si introduce, creando per se il personaggio immaginario di Giannatale.

Si tratta della vicenda che coinvolse il marchese Camillo Casati Stampa, la sua bella ed esuberante consorte Anna Fallarino ed il suo amante Massimo Minorenti. JNS la fa propria e, pur cambiando i nomi dei protagonisti, tranne uno che vedremo in seguito, resta fedele a luoghi e date, e persino all’arma del delitto, un fucile da caccia Browning calibro 12.

Il nobile milanese, trasformato nel racconto in conte dell’aristocrazia nera romana, si innamora della bella Anna, a cui l’autore darà in cognome il nome del suo paese di origine nel Beneventano, e la strappa al suo primo marito, da cui la fa divorziare e divorzia lui stesso dalla sua prima moglie, a suon di miliardi, pare che anche questo, la cifra iperbolica per l’epoca, intendo, sia un particolare reale e non frutto di fantasia.

I due se si innamorano o meno entrambi, lui sicuramente si, non ci è dovuto saperlo, né nella realtà, né nel romanzo, ma di certo sono complici in un’intensa attività sessuale che il più delle volte consiste nei vari rapporti prezzolati che Camillo/Roberto costringe, ma è un eufemismo, perché lei ne è ben felice, la moglie. Dopo dieci anni di scandali e di questo andazzo, lei si innamora di un bel tenebroso da lui trovato e pagato, ma il gioco gli sfugge di mano, ed è così che, divorato dalla gelosia, rientra pochi giorni prima del previsto da una battuta di caccia, e dopo aver ucciso lei e l’amante, si suicida con la stessa arma.

Precisissimo negli eventi e nelle date, l’autore crea l’unico personaggio dignitoso di questa tragedia, e se lo arroga. Giannatale, mai pagato come un volgare prostituto, comincia il solito gioco della coppia semplicemente per il suo piacere, ma lo interromperà subito, per non confondersi con squallidi personaggi, pur subendo il fascino di questa bellissima donna disinibita, e diventerà suo amico e confidente, e con lei viaggerà nei luoghi amati del Sud-Italia, dove spesso la ricca coppia, o meglio lui, possiede ville e barche.

Schifano sottolinea lo spirito libero di Anna, che non è una ninfomane, come si potrebbe facilmente e semplicisticamente pensare, ma una donna emancipata, che vicino a quest’uomo gode dei lussi che da bambina poteva solo sognare, forse nemmeno lontanamente credere che simili cose esistessero.

Da bambina. La sua infanzia viene stroncata quando viene violentata dal parroco del paese e non creduta da sua zia, sua unica parente, e schiaffeggiata ed insultata da questa. Don Luca, si chiama il parroco, e l’episodio è realmente accaduto ad Anna Fallarino, e quando JNS lo racconta con pagine di una crudezza ed un realismo degno di una “Ciociara”, la sua Anna Amorosi perde la verginità, ed insieme la fanciullezza e l’ingenuità, la fiducia, e potrebbe perdere anche l’amore per la vita, ma questo, don Luca, perché è questo, in segno di estremo disprezzo, l’unico nome non cambiato, non riesce a toglierglielo.

Se i fatti sono veri, “Anna Amoroso” appartiene al suo autore, che ci porta nei luoghi da lui amati, la Malta del Caravaggio, la Procida dei suoi ricordi. Vivara e Nisida. Napoli e i suoi personaggi, che cita a suo piacimento, situandoli, novello Dante, a suo piacimento, in gironi infernali, o situazioni paradisiache.

Edited by pincopallino2 - 1/9/2023, 10:08
 
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