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Prete ucciso. Condanna bis in appello a don Piccoli a 21 anni e 6 mesi, Trieste: "Strangolò mons. Rocco per rubargli crocifisso e catenina d'oro"

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view post Posted on 10/8/2014, 14:49
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Trieste. Il delitto in seminario. Sacerdote accusato di aver strangolato l'anziano collega



Don Paolo Piccoli


http://qualyquote.com/attualit/pn364588-tr...omicidio-qq7te/

Trieste, sacerdote trovato morto in casa: è omicidio
Scritto da: Daniele Particelli in Cronaca 4 ore fa Commenti disabilitati 26 Visualizzazioni

L’autopsia ha confermato che il sacerdote è stato ucciso, strangolato nella sua abitazione.

Gli inquirenti ne sono convinti: monsignor Giuseppe Rocco, trovato morto lo scorso 25 aprile nella Casa del clero in via Besenghi a Trieste, non è morto per cause naturali (aveva 92 anni), ma sarebbe stato ucciso.
E’ stata l’autopsia, disposta dal pm Matteo Tripani, a fugare ogni dubbio. L’anziano sacerdote, con quasi 70 anni di carriera alle spalle, sarebbe stato strangolato e soffocato. Non ci sono sospetti, ma la Procura ha aperto un fascicolo per omicidio a carico di ignoti.
Una svolta importante, quella delle ultime ore, che dà ufficialmente l’avvio alla caccia ai responsabili. Rocco, per oltre 40 anni parroco della parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù, era molto noto in città, ma ora la sua vita e la sua attività verranno passate al setaccio a caccia di elementi che potrebbero spiegare questo omicidio.
Qualche dettaglio in più potrebbe arrivare nei prossimi giorni dai rilievi dei Ris, che setacceranno l’abitazione del defunto sacerdote a caccia di eventuali tracce degli assassini.
Le indagini proseguono.
11:42 di domenica 10 agosto 2014.

Edited by pincopallino1 - 26/3/2024, 20:02
 
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http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id...ST&ssez=TRIESTE

Omicidio nella Casa del clero:
monsignor Rocco morto strangolato
Svolta clamorosa: il sacerdote 92enne era stato trovato cadavere
in maggio ai piedi del letto, ma l'autopsia svela che è stato ucciso

PER APPROFONDIRE: trieste, omicidio, prete, giuseppe rocco
Mons. Giuseppe Rocco (foto da Vita Nuova)
TRIESTE - La Procura della repubblica di Trieste ha aperto un fascicolo di indagini per omicidio dopo che l'autopsia ha accertato che la morte di un anziano sacerdote, mons. Giuseppe Rocco, di 92 anni, avvenuta il 25 aprile scorso alla Casa del clero, è stata causata da un'azione meccanica, strangolamento o soffocamento.
Lo rivela oggi il quotidiano Il Piccolo, sottolineando che i funerali del prete si erano tenuti il 17 maggio, proprio per la decisione della magistratura di far svolgere l'autopsia sul cadavere. Il corpo di Rocco, vestito come se stesse per uscire, fu rinvenuto ai piedi del letto, nell'appartamento che il prete occupava alla Casa del clero. Le indagini, coordinate dal pm Matteo Tripani, sono condotte dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri.
Monsignor Rocco era stato parroco per oltre quarant'anni di Santa Teresa del Bambino Gesù.
L'elemento che ha fatto imprimere una svolta alle indagini è stata la radiografia del collo dell'anziano prete, dalla quale sono emerse con chiarezza lesioni riconducibili a un'azione violenta, e non a un evento accidentale. A dare l'allarme, quella mattina, fu una badante che seguiva il sacerdote, e che intorno alle 7.00 era entrata nella sua stanza per accompagnarlo alla messa. La Casa del clero, situata nel complesso del seminario vescovile di Trieste, ospita i preti in pensione ma anche ospiti di eventi o incontri della Diocesi. L'alloggio di mons. Rocco, dopo il decesso, è stato visitato solo da alcune persone ed è rimasto chiuso. All'inizio della prossima settimana giungeranno gli operatori del Ris dei carabinieri per eseguire le ricerche di tracce lasciate da estranei, tra cui il presunto omicida.
Domenica 10 Agosto 2014
 
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http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronac...olato-1.9735934


Omicidio a Trieste, prete strangolato
Inizialmente, lo scorso 25 aprile, la morte di monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, era parsa naturale. Poi, la svolta clamorosa e l'apertura di un fascicolo a carico di ignoti da parte della Procura: gli inquirenti indagano per omicidio.
di Matteo Unterweger

10 agosto 2014


La Casa del Clero di via Besenghi, dov'è avvenuto il delitto
Sembrava una morte naturale. Nessun dubbio, quel giorno, considerata anche l’età - quasi 92 anni - del deceduto. Nulla di anomalo era stato notato nella stanza dell’appartamento che monsignor Giuseppe Rocco abitava alla Casa del clero di via Besenghi, né sul corpo dell’uomo. Ma dietro al ritrovamento del cadavere del sacerdote si cela in realtà una storia agghiacciante che si colora di “giallo”. Una storia che vedrebbe don Pino (così era conosciuto e chiamato da tutti) vittima di un tremendo delitto. La Procura di Trieste ha infatti aperto un’indagine sulla morte del religioso: un fascicolo che vede gli inquirenti, coordinati dal pm Matteo Tripani, procedere per omicidio a carico di ignoti. Monsignor Rocco, secondo gli investigatori, è stato ammazzato.

Lo stravolgimento

Ma come si è giunti a questa clamorosa svolta, considerato appunto che il 25 aprile scorso - era un venerdì - niente aveva fatto pensare a uno scenario di questo genere? I sanitari del 118, intervenuti dopo che il sacerdote era stato trovato riverso ai piedi del letto, non avevano potuto fare altro che constatarne il decesso e in ogni caso non avevano notato alcunché di strano. A riprova di ciò, il fatto che sul posto, in via Besenghi (la Casa del clero si trova vicino al Seminario vescovile), non erano state chiamate le forze di polizia. Una situazione, insomma, all’apparenza scevra di ogni anomalia. Una circostanza di quelle che purtroppo si incontrano quando una persona anziana lascia i propri cari all’improvviso. Poi, però, tutto questo quadro è improvvisamente cambiato, in maniera radicale. Lo stravolgimento, imprevedibile e terrificante, si è materializzato dopo che il cadavere è stato trasferito all’obitorio del cimitero di Sant’Anna e lì sottoposto all’esame necroscopico: proprio l’accertamento - è trapelato - ha messo in evidenza qualcosa di non perfettamente coincidente con una morte naturale. Così, è stata informata la Procura di Trieste.

L’autopsia
Dal sostituto procuratore Matteo Tripani è stato allora disposto l’esame autoptico, affidato al medico legale Fulvio Costantinides. E dalle informazioni filtrate dalla coltre di massimo riserbo sull’attività di indagine, si è saputo che l’autopsia ha prodotto un esito sconvolgente, riconducendo la causa della morte a un’azione meccanica fra lo strangolamento e il soffocamento. Don Rocco è stato strangolato, soffocato. A quel punto, di fronte a questo dato nuovo e spaventoso, in Foro Ulpiano è stato automaticamente aperto un fascicolo per omicidio, a carico di ignoti. Chi ha ucciso l’anziano sacerdote, scagliandosi su un uomo di più di novant’anni? E per quale motivo? Domande a cui al momento non c’è risposta e sulle quali si stanno concentrando le verifiche dei carabinieri del Nucleo investigativo, diretti dal capitano Fabio Pasquariello, con il coordinamento del pm Tripani.

I Ris in arrivo

A proposito di militari dell’Arma, nei prossimi giorni approderanno a Trieste gli specialisti dei Ris (Reparti investigazioni scientifiche): effettueranno un sopralluogo sul luogo del delitto, per tentare di individuare eventuali tracce e impronte lasciate in quell’appartamento della Casa del clero dall’assassino di monsignor Rocco.

Esequie dopo 23 giorni

Pare inoltre che, quando è stato trovato quella mattina del 25 aprile ormai privo di vita, Giuseppe Rocco fosse vestito come se si stesse preparando per uscire dalla propria abitazione. Il funerale del religioso, molto noto in città perché per oltre quarant’anni parroco a Santa Teresa del Bambino Gesù (di cui era stato poi nominato parroco emerito) e per il suo impegno a favore della comunità attraverso l’ascolto e la vicinanza a tutti i fedeli, specie quelli in difficoltà, era stato celebrato parecchi giorni dopo il decesso. Esattamente il 17 maggio, proprio nella Chiesa di Santa Teresa in via Manzoni, preceduto dall’esposizione della salma: a presiedere il rito era stato il vescovo Giampaolo Crepaldi, assieme a lui a concelebrarlo altri 27 sacerdoti.
Fra il 25 aprile e il 17 maggio erano trascorse quindi più di tre settimane. Un lasso di tempo insolitamente lungo per procedere alle esequie. Ora, emerge il perché: quei giorni erano serviti a completare gli accertamenti e le procedure innescati dalla segnalazione dei medici necroscopi. Per arrivare poi sino all’apertura di un’inchiesta sulla morte di monsignor Rocco. Un’inchiesta per omicidio.
10 agosto 2014

Edited by pincopallino2 - 30/11/2019, 09:34
 
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www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/20...57490f3bb6.html

Anziano prete morto, movente forse è un dissapore
No movente rapina, carabinieri sentono persone lo frequentavano

TRIESTE
11 agosto 2014
15:27

Un dissapore. E' questo il filone sul quale sono concentrate le indagini dei carabinieri in merito alla morte di monsignor Giuseppe Rocco, di 92 anni, avvenuta il 25 aprile scorso nella Casa del clero di Trieste. Le indagini hanno avuto una svolta dopo gli esiti dell' autopsia secondo la quale l'anziano sacerdote sarebbe stato strangolato e non si sarebbe invece trattato di un decesso per ragioni naturali, come inizialmente si riteneva.

Nell'attesa del Ris dei carabinieri, che dovrebbe giungere nel capoluogo giuliano entro mercoledì, gli uomini del capitano Fabio Pasquariello, comandante del Nucleo Investigativo della Compagnia provinciale dei Carabinieri, coordinati dal pm Matteo Tripani, sono propensi ad escludere il movente della rapina. Se si esclude, infatti, una catenina di poco valore, non ci sarebbero oggetti o denaro mancanti tra i beni in possesso di don Giuseppe.

La camera dove fu trovato il corpo, inoltre, è stata controllata nell'immediatezza dei fatti e dall'esame non erano emersi particolari rilevanti ai fini dell'indagine. I militari hanno nei giorni scorsi sentito le persone che frequentavano con regolarità il parroco e sarebbe già cominciato un nuovo giro di interrogatori. Si tende, soprattutto, a comprendere se si tratti di un dissapore covato a lungo, magari negli anni, oppure di un sentimento scaturito da un evento recente. Don Giuseppe Rocco, parroco per decenni in una chiesa del centro cittadino, risiedeva dal 2003 nella Casa, una struttura ricettiva all'interno del complesso del Seminario vescovile. Fu trovato la mattina del 25 aprile riverso a terra ai piedi del letto e già vestito da una sua assistente, che ogni giorno lo accompagnava per la Messa. Le radiografie al collo del prete hanno evidenziato lesioni riconducibili non a una caduta accidentale o a uno spostamento del corpo, ma a un'azione violenta. Non un malore, dunque, ma uno strangolamento. Il sostituto procuratore della Repubblica Matteo Tripani indaga dunque per l'ipotesi di omicidio, ovviamente a carico di ignoti.

Edited by pincopallino2 - 30/11/2019, 09:34
 
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http://www.triesteprima.it/cronaca/morte-m...n-indagato.html

Morte misteriosa di monsignor Rocco: c'è un indagato

11.27 - L'uomo avrebbe rubato la collana d'oro del sacerdote, probabilmente l'arma del delitto. Tra oggi e domani sono attesi di Ris di Parma

Redazione 12 agosto 2014

Morte misteriosa di monsignor Rocco: c'è un indagato

Gli inquirenti, a distanza di tre mesi e mezzo dalla misteriosa morte di monsignor Giuseppe Rocco, hanno già un indagato. Non si tratta però del presunto omicida (di ieri la notizia che l'autopsia ha rivelato che la morte non è stata naturale ma dovuta a strangolamento o soffocamento), ma l'uomo sarebbe accusato del furto della collanina d'oro che il sacerdote portava sempre al collo, oggetto che potrebbe essere addirittura l'arma utilizzata per lo strangolamento.

Tra oggi e domani sono attesi i militari del Ris di Parma che effettueranno nuovi rilievi nella stanza di monisgnor Rocco all'interno della Casa del Clero nel complesso del Seminario Vescovile di via Besenghi.
 
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http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronac...clero-1.9759931

IL DELITTO
«Quella notte non c’ero solo io». Parla don Paolo Piccoli, il prete che vive nella Casa del clero
«Qui viene a dormire tanta gente...», spiega il religioso. A Trieste è ancora mistero sulla morte di monsignor Giuseppe Rocco
di Gianpaolo Sarti

14 agosto 2014

«Qui non c’ero solo io...» Don Paolo Piccoli è uno dei due testimoni-chiave dell’omicidio di don Giuseppe Rocco, trovato morto nella propria camera della Casa del clero in via Besenghi la mattina del 25 aprile attorno alle 7 e 30. Anche lui è accorso nella stanza e, dopo l’intervento del 118, avrebbe benedetto il corpo. Questo stando ai racconti di Eleonora Dibitonto, l’assistente personale di don Rocco che per prima aveva scoperto la salma a terra dando l’allarme. Finora si era pensato che all’interno dell’abitazione o nei paraggi ci fossero, in quelle ore, solo il sacerdote ucciso, la badante e don Paolo. Difficile immaginare qualcuno dall’esterno, tanto più che il cancello che dà su via Besenghi era chiuso. Lo dimostra il fatto che la donna per far entrare l’ambulanza ha dovuto usare il telecomando.
È proprio don Paolo, veronese e già in servizio all’Aquila, a fornire un’altra ricostruzione. Preferirebbe restare nel silenzio, il sacerdote. «Non posso dire niente», dice affacciandosi dalla sua finestra. Poi qualcosa spiega. «Qui arriva sempre gente, infatti tengo con me un pastore tedesco». Che ieri non c’era, ma sulle pareti ci sono almeno due cartelli “attenti al cane”. «Quella notte e quella mattina non c’ero soltanto io qua, ne sono certo – ripete – però non so chi. Da queste parti c’è un centro di volontariato, la sede di Vita Nuova, Telequattro e poi qualche professore». Il sacerdote si riferisce al via vai abituale dell’ex seminario, la struttura a fianco.

Edited by GalileoGalilei - 10/10/2014, 09:27
 
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Prete ucciso, le indagini puntano anche agli inquilini del seminario
Gli investigatori ampliano il raggio d’azione nell’edificio attiguo alla Casa del clero dove don Rocco fu trovato cadavere. Al vaglio l’ipotesi della stanza vuota dove l’assassino potrebbe essersi nascosto
di Corrado Barbacini

15 agosto 2014

Al secondo piano della Casa del clero di via Besenghi, dove è stato ucciso don Giuseppe Rocco attorno alle 6 del mattino dello scorso 25 aprile, tre stanze quel giorno erano libere, non occupate da ospiti. Queste camere si trovano dall’altra parte del corridoio che percorre a “L” l’intero piano. E l’assassino potrebbe essersi nascosto proprio in una di queste stanze. Questa ipotesi, trapelata ieri dagli ambienti investigativi, è ritenuta verosimile. In sostanza la breve sosta in un’altra stanza potrebbe essere stato un escamotage grazie al quale potere uscire dalla Casa del clero in tutta tranquillità proprio nel momento in cui, con l’arrivo dei soccorritori chiamati dall’assistente del sacerdote assassinato Eleonora “Laura” Dibitonto, regnava comprensibilmente la massima confusione.

Ma c’è di più. I carabinieri del reparto investigativo e i poliziotti della Squadra mobile stanno puntando l’attenzione non solo sulle persone che risiedono nella Casa del clero, ma anche sugli inquilini del seminario che si trova a poche decine di metri da quell’edificio. Infatti, se la mattina della tragica morte di don Rocco gli accessi dall’esterno verso l’area in cui sorgono la Casa del clero e il seminario erano chiusi da pesanti cancelli, il passaggio a piedi da un edificio all’altro era (e lo è ancora oggi) assolutamente libero. Basta percorere qualche metro di vialetto e superare un passaggio aperto attraverso la siepe. È per questo motivo che sono in corso altri accertamenti.

Gli investigatori stanno insomma cercando di ricostruire esattamente la situazione di ospiti e inquilini nella notte tra il 24 e il 25 aprile, in base anche a un’indicazione che è stata fornita indirettamente da don Paolo Piccoli, l’altro ospite della Casa del clero presente la mattina dell’omicidio. Ha detto, riferendosi al via vai abituale del seminario: «Quella notte e quella mattina non c’ero solo io qua, ne sono certo. Da queste parti c’è un centro di volontariato, la sede di Vita Nuova. Telequattro e poi qualche professore». Insomma il cerchio delle indagini coordinate dal pm Matteo Tripani si sta allargando.

Carabinieri e poliziotti incrociano le cosiddette testimonianze indirette cercando di fare emergere eventuali possibili incongruenze. Per esempio qualcuno che ha dichiarato di non avere dormito quella notte né in seminario, né alla Casa del clero e che potrebbe essere al contrario stato visto nella stessa zona in orari compatibili con l’omicidio. Il prete è stato aggredito alle spalle e l’assassino gli ha stretto energicamente il collo con l’avambraccio all’altezza della trachea.

Intanto mercoledì 20 agosto inizierà il sopralluogo degli esperti del Ris. I tecnici del reparto investigazioni speciali dell’Arma utilizzeranno le più sofisticate tecniche, tra cui quella luminol. Cercheranno di decrittare le impronte lasciate sul pavimento. Ma anche quelle che potrebbero trovarsi sulla parte interna della porta e sui pochi mobili. Tracce queste che, ovviamente, verranno ulteriormente analizzate per risalire appunto a quelle di chi è entrato nella camera e poi ha ucciso il sacerdote proprio quando stava lazandsi dal letto. Questi accertamenti complessi sono stati determinanti proprio un anno fa per risalire all’assassino di Bruna Cermelli, la disabile ammazzata e violentata nella villetta di Strada per Longera. Non sarà facile: dopo il decesso, quando ancora nessuno aveva ventilato l’ipotesi del delitto, quella camera era stata ripulita e disinfettata.

Edited by pincopallino2 - 30/11/2019, 09:35
 
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Delitto in seminario: il testimone-chiave ha lasciato la Diocesi

Don Paolo Piccoli si è trasferito in Friuli vicino alla famiglia L’Arma aveva passato al setaccio i suoi paramenti antichi di Gianpaolo Sarti
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09 ottobre 2014

Don Paolo Piccoli, uno dei testimoni-chiave del presunto omicidio di don Giuseppe Rocco, il sacerdote di 92 anni trovato morto nella propria camera della Casa del clero di via Besenghi la mattina del 25 aprile, si è allontanato da Trieste. Il prete, come confermano fonti della Curia, è ritornato dalla famiglia di origine in Friuli. Don Paolo alloggiava nella stessa struttura in cui è stata rinvenuta la salma di don Rocco ed era presente nelle ore in cui si sarebbe consumato il fatto.

Sul caso, che ha destato molto clamore e sconcerto in città e negli ambienti della diocesi, si attendono gli esiti dell’inchiesta. Il agosto sono stati coinvolti nell’indagine anche i Ris di Parma. Piccoli, veronese di 49 anni, era stato accolto qui in seguito al terremoto dell’Aquila, città in cui era in servizio. La decisione di spostarsi a Trieste era stata motivata dal desiderio di avvicinarsi di più ai genitori e per dedicarsi alle cure di cui aveva bisogno.

Il sacerdote, che porta il titolo personale di monsignore e che in passato è stato cappellano militare e della Costa Crociere, non aveva particolari incarichi, ma era noto soprattutto per l’interesse che nutriva per la liturgia in stile preconciliare, di cui era molto esperto, oltre che per il suo amore per i paramenti sacri antichi. Molti oggetti di sua proprietà erano conservati nell’ex seminario di via Besenghi.

Il materiale era stato interamente passato al setaccio e fotografato dai Carabinieri nel corso dell’indagine. Pochi giorni prima della morte dell’anziano sacerdote, come emerso nelle scorse settimane, all’interno della Casa del clero si sarebbero verificati alcuni furti. Uno, in particolare, proprio qualche giorno prima della misteriosa scomparsa. Dalla stanza di don Rocco sarebbe stata sottratta una statuetta, poi restituita. Elementi mai confermati ufficialmente dalla curia. Sono ancora molti, troppi, gli angoli bui del giallo. A cominciare da chi era effettivamente presente nella Casa del clero nelle ore in cui è stata scoperta la salma, oltre a don Paolo Piccoli e a Eleonora Dibitonto, l’assistente personale di don Rocco che per prima aveva scoperto il corpo a terra dando l’allarme.

«Quella notte e quella mattina non c’ero soltanto io qua, ne sono certo – diceva proprio don Paolo Piccoli – però non so chi. Da queste parti c’è un centro di volontariato, la sede di Vita Nuova, Telequattro e poi qualche professore», ricordava il sacerdote riferendosi al via vai abituale all’interno e all’esterno dell’ex seminario. «Qui è continuo è un continuo viavai…”. Sul posto, in agosto, la squadra dei carabinieri dei Ris di Parma per cercare tracce e fare luce sulla vicenda.

Secondo l'autopsia, la morte di don Giuseppe è stata causata da un'azione meccanica, strangolamento o soffocamento. In un primo momento si era pensato a una morte naturale, anche in considerazione dell'età del sacerdote.

09 ottobre 2014

Edited by pincopallino2 - 30/11/2019, 09:35
 
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Prete ucciso in Seminario a Trieste: indagato il suo “collega”
Svolta nelle indagini sul decesso di monsignor Rocco nel 2014 in via Besenghi. Chiesto il processo per l’ex vicino di camera don Piccoli ora in servizio in Liguria
di Piero Rauber

TRIESTE Da “supertestimone” della prima ora ad assassino presunto. Monsignor Paolo Piccoli, uomo di Chiesa di 51 anni nativo di Verona e fino a un paio d’anni fa in servizio a Trieste, risulta sotto inchiesta come possibile responsabile del giallo del Seminario che sconvolse Trieste due anni fa, quando il novantaduenne monsignor Giuseppe Rocco, originario di Barbana d’Istria, fu trovato cadavere nella sua stanza al secondo piano della Casa del Clero di via Besenghi.

Ucciso, come riscontrò in seguito il medico legale Fulvio Costantinides, dalla rottura di un piccolo osso in corrispondenza della carotide chiamato “ioide”, che ne causò la morte. Soffocamento naturale o strangolamento? Le indagini (avviate nella circostanza dal Nucleo investigativo dei carabinieri comandato allora dal capitano Fabio Pasquariello e affidate dopo il trasferimento da Trieste di quest’ultimo dal pm Nicola Tripani, il magistrato titolare del fascicolo, alla Squadra mobile della polizia guidata dal neocapo Marco Calì) propendono per la seconda ipotesi. Tanto che don Piccoli, difeso dagli avvocati di fiducia Claudio Santarosa e Stefano Cesco del Foro di Pordenone, dovrà comparire il prossimo martedì 13 dicembre ai piedi del pulpito del gup Giorgio Nicoli, il giudice per l’udienza preliminare chiamato a decidere a proposito della richiesta di rinvio a giudizio a suo carico davanti alla Corte d’Assise, per l’ipotesi di reato di omicidio aggravato (aggravato dal fatto di aver approfittato dello stato di debolezza della vittima, vecchia e cardiopatica) formulata dallo stesso pm Tripani.

Siamo dunque a un punto di svolta nella lunga inchiesta sul cosiddetto delitto del Seminario del 2014. E la pista investigativa, appunto, prefigura che a uccidere l’anziano prelato possa essere stato niente meno che un “collega” del potere spirituale, e segnatamente il suo vicino di stanza, uno dei pochi presenti quella notte nella Casa del Clero di via Besenghi. Un prete più attempato ammazzato - forse - da un prete più giovane. Dal suo vicino di stanza, insomma. La prova indiziaria “regina”, ancorché non l’unica, a quanto si è appreso, è costituita dal fatto che una serie di piccole macchie di sangue - trovate sotto il corpo di don Rocco riverso senza vita sul suo letto - appartengono senza ombra di dubbio al profilo genetico di don Piccoli, come hanno attestato le analisi scientifiche dei Ris di Parma, che una volta accertato che quel sangue non era della vittima hanno isolato un non ristretto elenco di Dna, soprattutto attraverso cosiddetti “tamponi” volontari, ovvero campioni di saliva resi dalle persone convocate dagli inquirenti. Il presunto assassino, in occasione di una delle deposizioni che l’hanno coinvolto, si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca talvolta delle piccole emorragie, anche alle mani, e che il sangue si sarebbe potuto propagare nei paraggi del corpo senza vita di don Rocco perché fu proprio lui, l’accusato, a impartirne la benedizione nel momento in cui venne trovato morto. Una spiegazione che non viene ritenuta pienamente credibile in sede investigativa anche perché quelle macchioline sono state rinvenute appunto al di sotto del cadavere, in determinati punti di difficile accessibilità in occasione di un’estrema unzione, e non soltanto al di sopra o ai suoi lati.

La prova del Dna è considerata dagli inquirenti la più importante, ma non l’unica. Al di là del fatto che le ricostruzioni investigative avrebbero fatto venire a galla comportamenti da parte di don Piccoli totalmente differenti rispetto alle sue abitudini in prossimità del delitto del 25 aprile 2014, l’inchiesta non trascura infatti che, nei giorni immediatamente prececenti alla morte di don Rocco, dalla stanza di quest’ultimo sarebbero spariti alcuni oggetti sacri o per lo meno di valore simbolico riconducibili alla nostra religione: una Madonna, un veliero e un cavallo. Simulacri di cui don Rocco avrebbe denunciato in ambito ecclesiale la scomparsa, inserendo proprio don Piccoli - che ha peraltro nel suo curriculum precedenti d’inchiesta a proprio carico a L’Aquila per furto di oggetti sacri ed ha la nomea del cleptomane - tra quelli che se ne sarebbero potuti impossessarsi, tanto che a ridosso del 25 aprile lo stesso presunto killer avrebbe ricevuto dalla direzione del Seminario una lettera di richiamo. Le tre statuette - Madonna, veliero e cavallo - sarebbero guarda caso ricomparse a stretto giro dopo l’omicidio nella stanza di don Rocco. Una coincidenza che gli investigatori non hanno, evidentemente, trascurato.
 
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Ex parroco di Pizzoli accusato di omicidio a Trieste
Don Paolo Piccoli rischia il processo per avere strangolato un anziano prete. Il sacerdote incastrato dalla prova del Dna
di Giampiero Giancarli

15 agosto 2016

Don Paolo Piccoli, ex parroco di Pizzoli, rischia il processo per l’omicidio di un anziano sacerdote
L’AQUILA. In molti lo ricordano per le sue crociate contro i comunisti, per la battaglia (persa) per decibel troppo alti delle campane della sua parrocchia di Santo Stefano Protomartire di Pizzoli e per le sue singolari prese di posizione. Insomma un sacerdote stravagante, dai modi bruschi, e per questo ancora molto noto nell’Aquilano dove, per le campane rumorose, il giudice lo condannò a una multa. Ma i guai giudiziari per lui all’orizzonte sono ben peggiori. Don Paolo Piccoli, 52 anni, veronese, ora è nei guai: è accusato di avere strangolato un anziano sacerdote che viveva nella Casa del clero nel capoluogo friulano. Il pm lo ha incriminato per omicidio volontario in un’indagine che, inizialmente, lo vedeva solo come testimone. Ora rischia trent’anni di carcere, se i sospetti saranno confermati.
LA SVOLTA. Secondo Il Piccolo di Trieste siamo di fronte a una svolta dopo due anni di indagine visto che è stato chiesto il rinvio a giudizio con udienza preliminare il 13 dicembre. E la pista investigativa, appunto, suppone che a uccidere l’anziano prelato possa essere stato nientemeno che un “collega” del potere spirituale, il suo vicino di stanza, uno dei pochi presenti quella notte nella Casa del Clero di via Besenghi. Un prete di 92 anni, ammazzato dal suo vicino di stanza, insomma. Alla vittima sarebbe stata strappata una catenina con medagliette d’oro. La prova indiziaria “regina” è costituita dal fatto che una serie di piccole macchie di sangue – trovate sotto il corpo di don Rocco riverso senza vita sul suo letto – appartengono senza ombra di dubbio al profilo genetico di don Piccoli, come hanno attestato le analisi scientifiche dei Ris di Parma, che una volta accertato che quel sangue non era della vittima hanno isolato un non ristretto elenco di Dna, soprattutto attraverso cosiddetti “tamponi” volontari, ovvero campioni di saliva resi dalle persone convocate dagli inquirenti. Il presunto assassino, in occasione di una delle deposizioni che l’hanno coinvolto, si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca talvolta delle piccole emorragie, anche alle mani, e che il sangue si sarebbe potuto propagare nei paraggi del corpo senza vita di don Giuseppe Rocco perché fu proprio lui, l’accusato, a impartirne la benedizione nel momento in cui venne trovato morto. Una spiegazione che non viene ritenuta pienamente credibile in sede investigativa.
NON SOLO DNA. La prova del Dna è considerata dagli inquirenti la più importante, ma non l’unica. Al di là del fatto che le ricostruzioni investigative avrebbero fatto venire a galla comportamenti, da parte di don Piccoli, totalmente differenti rispetto alle sue abitudini in prossimità del delitto del 25 aprile 2014. L’inchiesta non trascura, infatti, che, nei giorni immediatamente precedenti alla morte di don Rocco, dalla stanza di quest’ultimo sarebbero spariti alcuni oggetti sacri o perlomeno di valore simbolico riconducibili alla religione: una
Madonna, un veliero e un cavallo.
Oggetti di cui don Rocco avrebbe denunciato in ambito ecclesiale la scomparsa, inserendo proprio don Piccoli tra quelli che se ne sarebbero potuti impossessare. Ipotesi tutta da verificare ma per ora sta in piedi.

Edited by pincopallino2 - 30/11/2019, 09:36
 
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Delitto alla Casa del Clero di Trieste, l’accusato sceglie il silenzio
Don Piccoli al telefono: «Non ho nulla da dire. Devo parlare con il mio avvocato». La Procura di Trieste l’ha indagato per l’omicidio di monsignor Giuseppe Rocco
di Pier Paolo Garofalo

14 agosto 2016

TRIESTE «Ma come, la cosa è diventata pubblica? No, non ho nulla da dire, anche perché attendo di parlare con il mio avvocato in merito a questi ultimi sviluppi». Dall’altro capo del telefono la voce di monsignor Paolo Piccoli, sacerdote di 51 anni nato a Verona e fino a un paio d’anni fa in servizio a Trieste, giunge chiara ma un po’ spaesata.

Prete ucciso in Seminario a Trieste: indagato il suo “collega”
Svolta nelle indagini sul decesso di monsignor Rocco nel 2014 in via Besenghi. Chiesto il processo per l’ex vicino di camera don Piccoli ora in servizio in Liguria

L’uomo di Chiesa risulta sotto inchiesta come possibile responsabile del “giallo del Seminario” che due anni fa sconvolse Trieste. Allora il 92enne monsignor Giuseppe Rocco, originario di Barbana d’Istria, fu trovato cadavere nella sua stanza al secondo piano della Casa del Clero di via Besenghi. Sembrava una morte naturale ma l’autopsia, alla fine, accertò che si era trattato di uno strangolamento. Ora don Piccoli da “supertestimone” della prima ora passa, per la giustizia, a presunto omicida.
Ma dalla Liguria, dove da tempo si trova, il prete non si scompone. Così come la Curia triestina. L’arcivescovo Crepaldi, per bocca dell’addetto stampa Claudio Fedele, parla di «forte dolore, un dolore che tutti noi uomini di Chiesa proviamo da tempo. Restiamo in attesa degli sviluppi giudiziari, con piena fiducia nella magistratura».


Non una parola per don Piccoli. Giammai di perdono, poiché questo è riservato ai colpevoli mentre ora il prete veronese non lo è. La morte del suo anziano “collega”, come riscontrò il medico legale Fulvio Costantinides, fu dovuta alla rottura di un piccolo osso in corrispondenza della carotide, chiamato “ioide”. Soffocamento naturale o strangolamento?

Omicidio a Trieste, prete strangolato
Inizialmente, lo scorso 25 aprile, la morte di monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, era parsa naturale. Poi, la svolta clamorosa e l'apertura di un fascicolo a carico di ignoti da parte della Procura: gli inquirenti indagano per omicidio.

Le indagini sembrano propendere per la seconda ipotesi. Tanto che don Piccoli, difeso dagli avvocati di fiducia Claudio Santarosa e Stefano Cesco del Foro di Pordenone, dovrà comparire il prossimo 13 dicembre davanti al gup Giorgio Nicoli, il giudice per l’udienza preliminare: deciderà a proposito della richiesta di rinvio a giudizio a suo carico davanti alla Corte d’assise, per l’ipotesi di reato di omicidio aggravato (per lo stato di debolezza della vittima, vecchia e cardiopatica), formulata dal pm Matteo Tripani.
Un punto di svolta, quindi, nell’inchiesta sul cosiddetto “delitto del Seminario”, avvenuto nel 2014. Don Piccoli, vicino di stanza della vittima, quella notte era uno dei pochi presenti nella Casa del Clero di via Besenghi. La principale, ancorchè non unica, prova indiziaria è costituita dal fatto che una serie di piccole macchie di sangue, trovate sotto il corpo di don Rocco riverso senza vita sul suo letto, appartengono senza ombra di dubbio al profilo genetico di don Piccoli.

Lo hanno attestato le analisi dei Ris di Parma, che una volta accertato che quel sangue non era della vittima hanno isolato un elenco di Dna, specie attraverso cosiddetti “tamponi” volontari, cioè campioni di saliva resi dalle persone convocate dagli inquirenti. Il presunto assassino, in una deposizione, si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca talvolta piccole emorragie, anche alle mani, e che il sangue si sarebbe potuto propagare nei paraggi del corpo senza vita di don Rocco perché fu proprio lui, l’accusato, a impartire la benedizione nel momento in cui venne trovato morto. Una spiegazione che non viene ritenuta del tutto credibile dagli investigatori anche perché quelle macchioline sono state rinvenute appunto al di sotto del cadavere, in punti di difficile accessibilità in occasione di un’estrema unzione, e non solo al di sopra o ai suoi lati. Il movente al momento più realistico sarebbe il tentativo dell’omicida, scoperto a rubare alcuni oggetti sacri, di fare tacere l’altro sacerdote tappandogli la bocca: un gesto fatale. Omicidio preterintenzionale.

14 agosto 2016

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IL GIALLO DEL 2014 A TRIESTE
Monsignore ucciso in seminario
Il pm: «Processate don Piccoli»
Sangue del sospettato sotto il cadavere. Gli oggetti sacri spariti. Il trasferimento in un’altra diocesi. Le voci di essere «un feticista di oggetti sacri»
di Giusi Fasano
Monsignor Giuseppe Rocco (Ansa) shadow

Certo, quel don Piccoli è sempre stato un po’ strano. A Verona, la sua città d’origine, lo ricordano bene mentre girava vestito da sacerdote quando ancora non lo era. Chi l’ha conosciuto racconta la disperazione di suo padre quando scoprì i debiti enormi del figlio per comprare preziosi paramenti liturgici. Nell’Aquilano, dove è stato prete per 11 anni (a Pizzoli), don Paolo Piccoli è finito sotto accusa per un furto di oggetti sacri. E i parrocchiani ricordano le sue campagne contro i comunisti «che vogliono cacciarmi via», le liti pubbliche con i chierichetti, la battaglia legale per far suonare le sue campane più forte delle altre... Un tipo strano, appunto.
Accusato di omicidio volontario
Ma stavolta la faccenda che lo riguarda è molto più grave di tutte le precedenti messe assieme. Il nome di don Paolo Piccoli, 52 anni, ora è su un fascicolo penale per l’omicidio volontario aggravato di monsignor Giuseppe Rocco, ucciso nel suo alloggio alla Casa del Clero di Trieste il 25 aprile del 2014. Monsignor Rocco aveva 92 anni, fisico gracile e poca agilità. È morto strangolato e chi l’ha ucciso — secondo la Procura di Trieste proprio don Piccoli — lo ha sopraffatto facilmente. «Io non c’entro nulla, non ho fatto niente» avrebbe ripetuto lui dopo aver saputo di essere stato inquisito. La sua versione, quindi, sarebbe quella della prima ora: l’assistente personale del monsignore Eleonora Dibitonto che scopre il cadavere e lui che arriva per dare la benedizione. Nient’altro. E invece il pubblico ministero Nicola Tripani è convinto che don Piccoli — ospite anche lui della Casa del Clero triestina dopo l’esperienza aquilana — quella mattina sia entrato nella stanza del monsignore di buon’ora, quando lui erano ancora vivo.
L’ipotesi: un litigio
L’ipotesi ritenuta più verosimile è che i due abbiano litigato, magari proprio a proposito della denuncia che monsignor Rocco aveva presentato ai suoi superiori: qualcuno gli aveva rubato dalla stanza alcuni oggetti sacri (una madonna, un veliero e un cavallo, secondo Il Piccolo che ha rivelato le accuse contro don Paolo) e lui aveva scritto ai vertici ecclesiastici citando fra i possibili ladri proprio il suo vicino di stanza. La direzione del Seminario aveva così mandato a don Piccoli una lettera di richiamo e adesso quella lettera è diventato un possibile movente.
Tracce di sangue
Ma più dell’ipotetico movente in questa storia pesano le sue tracce di sangue nell’alloggio della vittima. Erano sul lenzuolo ritrovato per terra, sotto il corpo di monsignor Rocco: «Soffro di una malattia cutanea che a volte indebolisce la cute e la fa sanguinare» si è giustificato lui, «forse ho perso quelle gocce mentre lo benedicevo». In quanto alla personalità di don Piccoli molto spiegherebbero alcune testimonianze e intercettazioni telefoniche dalle quali si evincerebbe «un carattere e un modo di esprimersi decisamente poco adatti a un uomo di chiesa» rivela un investigatore. Fra i testimoni anche chi lo avrebbe visto la mattina del delitto «nei pressi» della stanza di monsignor Rocco.
Trasferito
Dopo l’omicidio don Piccoli è stato trasferito ad Albenga ma è lo stesso vescovo della diocesi ligure, don Guglielmo Borghetti, a rivelare che «non è più qui da diversi mesi, è rientrato a casa dai suoi genitori. E, la prego, non mi faccia dire altro». Sul fronte giudiziario il passaggio decisivo di questa storia sarà il 13 dicembre prossimo, data fissata per l’udienza preliminare che deciderà se rinviarlo o meno a giudizio davanti alla Corte d’Assise.
«Feticista di oggetti sacri»
E mentre a Trieste si gioca la partita giuridica del prete presunto assassino, a Verona martedì si è tornato a parlare di quell’aspirante sacerdote che tanti ricordano come «feticista di oggetti sacri» e che all’inizio degli anni Duemila, proprio dalla città scaligera, provò a muovere i primi passi da religioso. Inutilmente. Perché ci fu chi andò dal vescovo e riferì: i suoi comportamenti rivelano dubbi sulla sua tenuta psicologica, quell’uomo non può essere ordinato prete. E Verona gli negò il sacerdozio che poi avrebbe ottenuto all’Aquila.
16 agosto 2016 (modifica il 16 agosto 2016 | 23:26)
 
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Omicidio sacerdote a Trieste: vescovo L'Aquila auspica verita'
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(AGI) - L'Aquila, 17 ago. - "Insieme ai miei collaboratori, seguo con attenzione gli sviluppi della situazione e attendo con serenita' le decisioni che gli inquirenti riterranno opportuno prendere. Anche in questa triste situazione, ribadisco la mia salda e motivata fiducia nella Magistratura e nelle Forze dell'Ordine, auspicando che la verita' emerga rapidamente e nella sua interezza". Lo scrive, in una lettera aperta, l'arcivescovo metropolita dell'Aquila, Giuseppe Petrocchi, commentando la notizia, che vede indagato un parroco che presto' il suo ministero nell'Aquilano, relativa all'omicidio del sacerdote 92enne Giuseppe Rocco, originario di Barbana d'Istria, trovato cadavere due anni fa nella sua stanza al secondo piano della Casa del Clero di Trieste di via Besenghi. Inizialmente si era ipotizzata la morte naturale ma poi i risultati del Ris di Parma hanno fatto cadere i sospetti su don Paolo Piccoli, per diversi anni parroco di Pizzoli (L'Aquila). Alcune tracce ematiche rinvenute nella stanza della vittima apparterrebbero, infatti, proprio a don Paolo, che fino a un paio di anni fa viveva nella stessa Casa del Clero, ora incriminato per omicidio volontario aggravato nell'ambito di un'inchiesta che inizialmente lo vedeva solo come testimone. L'udienza preliminare nei confronti del religioso, originario di Verona, e' stata fissata al prossimo 13 dicembre. Il presunto colpevole, in quanto alle piccole tracce di sangue trovate sul corpo dell'anziano sacerdote, si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provocava a volte delle piccole emorragie, anche alle mani, e che il suo sangue si sarebbe potuto propagare sul corpo senza vita di don Rocco perche' sarebbe stato proprio lui, l'ex parroco di Pizzoli, a impartirne la benedizione nel momento in cui venne trovato morto il religioso 92enne. Don Paolo Piccoli e' incardinato nel Presbiterio dell'Arcidiocesi dell'Aquila ma da sei anni e' dimorante fuori dal territorio aquilano. La notizia che lo vede indagato e' stata colta dall'arcivescovo "Con profondo dolore". "Non ho mai avuto modo di incontrare personalmente don Paolo Piccoli, che - con il permesso del mio predecessore, mons. Molinari - dal novembre 2010 ha lasciato questa Comunita' ecclesiale, per riavvicinarsi al suo ambiente di provenienza. Da quanto mi e' stato riferito - dice mons. Petrocchi - tale decisione fu presa perche' le drammatiche difficolta' post-sisma interferivano negativamente sulle sue gia' precarie condizioni di salute. Si penso', di conseguenza, che don Paolo avrebbe potuto curarsi meglio vivendo in un ambiente piu' tranquillo e prossimo alla sua famiglia. Infatti gia' da tempo, proprio a causa di seri problemi di salute, era stato posto in stato di 'Previdenza integrativa' (quiescenza), nel quadro dei Regolamenti della Cei". L'arcivescovo "spera con tutto il cuore che don Paolo Piccoli possa dimostrare la sua estraneita' ai fatti delittuosi che gli vengono contestati. Da quanto mi risulta, al momento don Paolo Piccoli e' solo indagato, percio' - come per ogni altro cittadino - se non viene emanata nei suoi confronti una sentenza di colpevolezza, e' d'obbligo che gli venga mantenuta la 'presunzione di innocenza'. Non si tratta di una concessione - osserva l'arcivescovo - ma di un obbligo etico, giuridicamente fondato. Anche il Codice di Diritto Canonico prevede la custodia della 'buona fama' (cfr. can. 220). Pertanto, e' sulla base delle decisioni che verranno prese dalla Magistratura che si decideranno eventuali misure da adottare in ambito ecclesiastico, nella salvaguardia della dignita' della persona e nella rigorosa applicazione delle normative canoniche. Per quanto mi riguarda, dichiaro, con l'intera Chiesa Aquilana - prosegue la lettera - la ferma volonta' di dare ogni apporto perche' venga fatta giustizia e sia tutelata fino in fondo la legalita'. Tuttavia, proprio perche' non manchi il rispetto dei fondamentali diritti di ogni uomo e di tutto l'uomo, mi prodighero' perche' la Comunita', ecclesiale e civile, partecipi al severo accertamento dei fatti con coraggio e imparzialita', ma anche con obiettivita' e prudenza. Agli inquirenti e ai giudici, dunque, vanno accordate la leale collaborazione e la convinta stima per il prezioso servizio che rendono alla societa'. Occorre poi attendere con onesta' e pazienza il risultato del loro lavoro, senza precederlo o sostituirlo con indebiti pronunciamenti e umilianti ostracismi, messi in atto da altre Soggettivita'. Anche in queste complesse circostanze - osserva l'arcivescovo - desidero che prevalga il principio dell' 'unicuique suum', cioe', l'autentica valutazione e la scelta proporzionata, per cui a ciascuno va dato cio' che gli spetta: a chi ha sbagliato l'equa punizione; a chi ha agito in modo virtuoso la ricompensa che ha meritato. Ringrazio di cuore coloro che, attraverso la loro attivita' giornalistica - dice infine monsignor Petrocchi - contribuiscono a offrire una informazione puntuale e corretta, perche' la Comunita' Aquilana possa conoscere le cose come stanno e, sapendo la verita', sia capace di promuovere efficacemente il bene comune, che e' bene di tutti e di ciascuno. A ogni fedele, specie in occasione della celebrazione della 'Perdonanza', che si svolge durante il Giubileo della Misericordia, assicuro e chiedo una costante preghiera!". (AGI)
Ett
 
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Trieste. Delitto in seminario. Furto di oggetti sacri. La vittima fece il nome del prete "feticista"

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IL GIALLO DEL 2014 A TRIESTE
Monsignore ucciso in seminario
Il pm: «Processate don Piccoli»
Sangue del sospettato sotto il cadavere. Gli oggetti sacri spariti. Il trasferimento in un’altra diocesi. Le voci di essere «un feticista di oggetti sacri»
di Giusi Fasano
Monsignor Giuseppe Rocco (Ansa) shadow

Certo, quel don Piccoli è sempre stato un po’ strano. A Verona, la sua città d’origine, lo ricordano bene mentre girava vestito da sacerdote quando ancora non lo era. Chi l’ha conosciuto racconta la disperazione di suo padre quando scoprì i debiti enormi del figlio per comprare preziosi paramenti liturgici. Nell’Aquilano, dove è stato prete per 11 anni (a Pizzoli), don Paolo Piccoli è finito sotto accusa per un furto di oggetti sacri. E i parrocchiani ricordano le sue campagne contro i comunisti «che vogliono cacciarmi via», le liti pubbliche con i chierichetti, la battaglia legale per far suonare le sue campane più forte delle altre... Un tipo strano, appunto.
Accusato di omicidio volontario
Ma stavolta la faccenda che lo riguarda è molto più grave di tutte le precedenti messe assieme. Il nome di don Paolo Piccoli, 52 anni, ora è su un fascicolo penale per l’omicidio volontario aggravato di monsignor Giuseppe Rocco, ucciso nel suo alloggio alla Casa del Clero di Trieste il 25 aprile del 2014. Monsignor Rocco aveva 92 anni, fisico gracile e poca agilità. È morto strangolato e chi l’ha ucciso — secondo la Procura di Trieste proprio don Piccoli — lo ha sopraffatto facilmente. «Io non c’entro nulla, non ho fatto niente» avrebbe ripetuto lui dopo aver saputo di essere stato inquisito. La sua versione, quindi, sarebbe quella della prima ora: l’assistente personale del monsignore Eleonora Dibitonto che scopre il cadavere e lui che arriva per dare la benedizione. Nient’altro. E invece il pubblico ministero Nicola Tripani è convinto che don Piccoli — ospite anche lui della Casa del Clero triestina dopo l’esperienza aquilana — quella mattina sia entrato nella stanza del monsignore di buon’ora, quando lui erano ancora vivo.
L’ipotesi: un litigio
L’ipotesi ritenuta più verosimile è che i due abbiano litigato, magari proprio a proposito della denuncia che monsignor Rocco aveva presentato ai suoi superiori: qualcuno gli aveva rubato dalla stanza alcuni oggetti sacri (una madonna, un veliero e un cavallo, secondo Il Piccolo che ha rivelato le accuse contro don Paolo) e lui aveva scritto ai vertici ecclesiastici citando fra i possibili ladri proprio il suo vicino di stanza. La direzione del Seminario aveva così mandato a don Piccoli una lettera di richiamo e adesso quella lettera è diventato un possibile movente.
Tracce di sangue
Ma più dell’ipotetico movente in questa storia pesano le sue tracce di sangue nell’alloggio della vittima. Erano sul lenzuolo ritrovato per terra, sotto il corpo di monsignor Rocco: «Soffro di una malattia cutanea che a volte indebolisce la cute e la fa sanguinare» si è giustificato lui, «forse ho perso quelle gocce mentre lo benedicevo». In quanto alla personalità di don Piccoli molto spiegherebbero alcune testimonianze e intercettazioni telefoniche dalle quali si evincerebbe «un carattere e un modo di esprimersi decisamente poco adatti a un uomo di chiesa» rivela un investigatore. Fra i testimoni anche chi lo avrebbe visto la mattina del delitto «nei pressi» della stanza di monsignor Rocco.
Trasferito
Dopo l’omicidio don Piccoli è stato trasferito ad Albenga ma è lo stesso vescovo della diocesi ligure, don Guglielmo Borghetti, a rivelare che «non è più qui da diversi mesi, è rientrato a casa dai suoi genitori. E, la prego, non mi faccia dire altro». Sul fronte giudiziario il passaggio decisivo di questa storia sarà il 13 dicembre prossimo, data fissata per l’udienza preliminare che deciderà se rinviarlo o meno a giudizio davanti alla Corte d’Assise.
«Feticista di oggetti sacri»
E mentre a Trieste si gioca la partita giuridica del prete presunto assassino, a Verona martedì si è tornato a parlare di quell’aspirante sacerdote che tanti ricordano come «feticista di oggetti sacri» e che all’inizio degli anni Duemila, proprio dalla città scaligera, provò a muovere i primi passi da religioso. Inutilmente. Perché ci fu chi andò dal vescovo e riferì: i suoi comportamenti rivelano dubbi sulla sua tenuta psicologica, quell’uomo non può essere ordinato prete. E Verona gli negò il sacerdozio che poi avrebbe ottenuto all’Aquila.
16 agosto 2016 (modifica il 16 agosto 2016 | 23:26)
 
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Sacerdote ospite della Diocesi di Albenga e Imperia indagato di omicidio
Se lo ricorda bene monsignor Borghetti: "Era stato cappellano di una clinica privata fino allo scorso anno"

di Giò Barbera - 17 agosto 2016 - 15:00 Commenta Stampa Invia notizia
Più informazioni sudiocesi di albenga e imperia paolo piccolivescovo guglielmo borghetti imperia
paolo piccoli
Albenga/Imperia. Fino all’autunno scorso era ospite ad Albenga don Paolo Piccoli, indagato di omicidio volontario aggravato per la morte di monsignor Giuseppe Ruocco, 92 anni, il cui cadavere è stato rivenuto nel suo alloggio alla Casa del Clero di Trieste il 25 aprile di due anni fa. Don Piccoli si era trasferito nel comprensorio albenganese e svolgeva servizio come cappellano nella clinica San Michele di Albenga. Il vescovo coadiutore Guglielmo Borghetti spiega: “Monsignor Piccoli non è più qui da diversi mesi, è rientrato a casa dai suoi genitori”. Ma aggiunge anche che “il servizio svolto ad Albenga era apprezzato”.
Lo ricordano ancora meglio a Verona, la sua città d’origine. Girava vestito da sacerdote quando ancora non lo era. Chi l’ha conosciuto racconta la disperazione di suo padre quando scoprì i debiti enormi del figlio per comprare preziosi paramenti liturgici. Nell’Aquilano, dove è stato prete per 11 anni (a Pizzoli), don Paolo Piccoli è finito sotto accusa per un furto di oggetti sacri. E i parrocchiani ricordano le sue campagne contro i comunisti “che vogliono cacciarmi via”, le liti pubbliche con i chierichetti, la battaglia legale per far suonare le sue campane più forte delle altre… Un tipo strano, appunto.
“Io non c’entro nulla, non ho fatto niente”, avrebbe ripetuto lui dopo aver saputo di essere stato inquisito per la morte di monsignor Ruocco. La sua versione, quindi, sarebbe quella della prima ora: l’assistente personale del monsignore Eleonora Dibitonto che scopre il cadavere e lui che arriva per dare la benedizione. Nient’altro. E invece il pubblico ministero Nicola Tripani è convinto che don Piccoli — ospite anche lui della Casa del Clero triestina dopo l’esperienza aquilana — quella mattina sia entrato nella stanza del monsignore di buon’ora, quando lui erano ancora vivo e che i due abbiano litigato. Monsignor Rocco aveva presentato una denuncia ai suoi superiori sostenendo che qualcuno gli aveva rubato dalla stanza alcuni oggetti sacri. Poco dopo la direzione del Seminario aveva inviato a don Piccoli una lettera di richiamo e adesso quella lettera è diventato un possibile movente. Il 13 dicembre si terrà l’udienza preliminare. Quel giorno si deciderà se rinviarlo o meno a giudizio davanti alla Corte d’Assise.

www.inabruzzo.com/?p=272492
Il prete che querelava le vignette

L’Aquila – La presenza di don Paolo Piccoli, il prete oggi accusato a Trieste di omicidio, a Pizzoli come parroco e a L’Aquila come personaggio di spicco del mondo curiale, possiamo ricordarla anche per un episodio curioso, che denota le spigolosità del suo carattere.
Don Piccoli era stato più volte in tv nostro ospite, ci conosceva bene, scambiava opinioni e punti di vista, diceva la sua insomma.
Quando però il settimanale aquilano L’Opinione 2001 pubblicò una vignetta che lo riguardava, scherzosa e neppure cattiva, querelò e ci trascinò, come si usa dire, in tribunale. Fummo assolti. Una vignetta è solo uno scherzo, non ferisce né danneggia nessuno.
Ma la querela di don Piccoli ci fu e non fu mai ritirata.


17 Agosto 2016
 
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