https://www.indygesto.com/dossier/12009-qu...haZt46D4UmlEfYYQuerele e social, tre “suddisti” costretti alle scuse
MAGGIO 31, 2021
SAVERIO PALETTA
Raffaele Vescera, Nando Dicè e Antonio Ciano sono finiti a giudizio con l’accusa di aver diffamato l’avvocato e scrittore Josè Mottola. Risultato: hanno dovuto rimangiarsi insulti e insinuazioni. Morale della favola: le multinazionali del web non sono più una zona franca. Neppure per i neoborb
L’episodio in sé è piccolo: tre persone lanciano insulti attraverso Facebook, ricevono (giustamente) una querela e, dopo un decreto di condanna, chiedono scusa per evitare il peggio in una sentenza.
Una storia ordinaria delle intemperanze e delle scostumatezze che avvengono in rete.
Ma se facciamo i nomi dei protagonisti, questo fatto diventa particolarmente pruriginoso.
Josè Mottola, ovvero: il target reattivo
Sono il napoletano Orlando Dicè, detto Nando, leader del movimentino suddista Insorgenza Civile, Antonio Ciano, decano dei revisionisti antirisorgimentali, e Raffaele Vescera, scrittore e giornalista pugliese e animatore delle pagine social legate in maniera più o meno diretta a Pino Aprile (il quale, va detto per dovere di cronaca, in questa vicenda non c’entra perché il fatto è accaduto sulla bacheca di Vescera).
Il bersaglio degli insulti è José Mottola, avvocato del Foro di Bari e cultore di storia appassionato e competente. E proprio questa passione lo ha reso bersaglio degli strali dei tre neoborb.
Vediamo come.
La vicenda risale al 2014, un eone fa considerata la velocità della rete. Quell’anno il dibattito sugli aspetti più controversi dell’Unità nazionale, innescato dal successo di Terroni di Pino Aprile era in fortissima crescita, sia sui media tradizionali sia nel web. Mottola vi aveva partecipato con due libri interessanti: Fanti e briganti nel Sud dopo l’Unità (2012) e Il “primato” del Regno delle Due Sicilie (2014) pubblicati entrambi dall’editore Capone.
L’incidente è avvenuto in seguito a un articolo, È il «sudismo» il problema del Sud, pubblicato da Mottola sul Corriere del Mezzogiorno del 14 marzo 2014, che conteneva una replica a un altro articolo, pubblicato dallo storico Paolo Macry, il quale a sua volta aveva replicato a Pino Aprile.
Raffaele Vescera, il primo tiratore
Fin qui, un’ordinaria querelle a mezzo stampa: Aprile aveva rievocato le presunte atrocità del Regio Esercito impegnato nella repressione del brigantaggio; Macry, nel rispondergli, aveva fatto alcune concessioni alla narrazione neoborb (in particolare, aveva concordato sulla pesantezza a volte eccessiva delle repressioni militari e sulle iniquità sociali scaturite dal processo di unificazione); Mottola, a sua volta, aveva fatto alcune precisazioni, tra l’altro documentatissime: le repressioni militari furono la risposta senz’altro dura e a volte oltre i limiti della legalità alle atrocità commesse dalle bande dei briganti a danno dei soldati e delle stesse popolazioni.
La discussione sarebbe potuta finire qui.
Ma nel 2014 il terronismo era in ascesa e trovava orecchie pronte un po’ dappertutto. Perciò i suoi capofila non avevano messo da parte solo le buone creanze (per le quali, a rivedere alcune polemiche, non risultano troppo portati) ma anche la prudenza.
Infatti, Vescera prende l’articolo di Mottola, lo pubblica sulla propria bacheca Facebook e accompagna il post con un commento pesantissimo, di cui riportiamo gli stralci più significativi:
«Vi è sempre una quota di intellettuali opportunisti passati nelle fila nemiche per denigrare la propria gente, ricevendone in cambio baronie universitarie e prime pagine sui giornali milanesi. E’ il caso di José Mottola, il quale, pur conoscendo la verità (…) giustifica gli scellerati massacri (…) Il negare o minimizzare queste stragi compiute da un esercito regolare non è pari, forse, al negazionismo dei neonazisti ?».
Nando Dicè, il rivoluzionario al babbà
In un colpo solo, Vescera ha attribuito al suo corregionale opportunismo, brame (e risultati) accademici, velleità giornalistiche, fremiti neonazisti e, accusa tipica di certi ambienti, il tradimento del proprio sangue.
Il giornalista foggiano avrebbe fatto meglio ad approfondire un po’ la bibliografia di Mottola, prima di azzardare certi paragoni: si sarebbe accorto che, prima di dedicarsi al brigantaggio e al debunking sui presunti primati duosiciliani, l’avvocato barese aveva pubblicato per Bastogi una biografia di Zygmunt Keltz, un sopravvissuto alla Shoah. Un’iniziativa non proprio da revisionista neonazi.
Ma ormai la frittata era fatta: Dicé aveva pensato bene di dare manforte al giornalista con un commento ultra trash, degno del Monnezza degli anni ruggenti:
«Innanzi a cotanta tracotanza ed ignoranza cazzimmosa, non posso che citare il sommo Confucio: Mapigliatolonculo!».
Ciano, arrivato terzo in tanto raffinato dibattito, ha lanciato una fatwa contro il Corriere del Mezzogiorno e il suo direttore Antonio Polito:
«Questa è solo feccia, dovete boicottare questo giornale. Polito? se lascia pubblicare la Munnezza, ha delle responsabilità».
Antonio Ciano, il “revisionista” decano
Polito, da giornalista di razza, non ha battuto ciglio. Anzi, il 18 marzo successivo ha cavalcato il dibattito con un servizio intitolato Neoborbonici ci scrivono. Per un dibattito senza censure.
Il report è costituito da stralci di mail a dir poco aggressive, con cui vari neoborb avevano inondato la casella del giornale, più un pezzo di Polito, che invitava alla calma e al confronto civile.
Parole al vento: Vescera ha fotografato la pagina del Corriere e quindi ha puntato il dito sulle «farneticazioni giustificazioniste dei massacri piemontesi perpetrati contro i meridionali di José Mottola».
Quanto bastava per colmare la misura: Mottola, infatti, si è rivolto a un suo collega, l’avvocato Federico Straziota, e ha querelato i Tre Moschettieri.
Le indagini sono durate un po’ più a lungo del previsto: la Procura di Napoli, competente su Dicè, e quella di Formia, competente su Ciano, hanno traccheggiato su questioni di competenza territoriale e quindi archiviato.
(Finalmente…) Le scuse di Vescera
Al contrario, quella di Foggia si è attivata nei confronti di Vescera e, per completezza, ha valutato le posizioni degli altri due querelati.
Con un risultato inequivocabile: i Trettrè hanno ricevuto i loro bravi decreti penali di condanna.
Il resto è cronaca: i condannati hanno fatto opposizione e si sono costituiti in giudizio.
Ma di fronte alle balle e agli insulti espliciti non c’è dibattimento che tenga. Per fortuna dei tre, Mottola non è arrivato in fondo e ha accettato le loro scuse, inoltrate a mezzo dei propri legali e ripetute sulle stesse bacheche Facebook in cui anni prima erano volate le pezze.
Giusto una curiosità: per Ciano essere costretto alle scuse non è una novità, visto che già nel 2000 aveva dovuto cospargersi il capo di cenere per evitare una condanna per diffamazione (leggi qui).
Morale della favola: a differenza di chi promette querele con annessa richiesta di lussuosi risarcimenti (da devolvere in beneficienza, si capisce), Mottola la querela l’ha fatta e ha ottenuto la riparazione senza bisogno di infierire, perché, ha spiegato, «in presenza di scuse non vi è più motivo di proseguire azioni legali».
E ha commentato:
«Tengo a sottolineare che l’ordinamento liberaldemocratico – succeduto nel Mezzogiorno a quello assolutista con l’unificazione nazionale nel 1861 – da un lato tutela l’onore e il decoro delle persone dalle aggressioni morali, dall’altro garantisce appieno diritto di critica e libertà di pensiero, non conculcabili con l’uso intimidatorio di azioni giudiziarie».
Una lezione di stile da non sottovalutare e, aggiungiamo, di cui non approfittare troppo.
https://www.indygesto.com/dossier/3507-sto...i-antonio-cianoStoria e querele, le balle spaziali di Antonio Ciano
NOVEMBRE 14, 2018
SAVERIO PALETTA
2 COMMENTI
Il revisionista Antonio Ciano fu querelato da un erede del sindaco storico di Pontelandolfo per diffamazione proprio per aver scritto cose non vere sulla tragedia del 1861 e fu costretto a chiedere scusa per evitare la condanna. Ciononostante, il tabaccaio-scrittore ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Casalduni e continua coi toni di sfida verso il mondo della cultura…
Paese che vai, usi che trovi. A Pontelandolfo, il piccolo Comune del Beneventano protagonista di uno degli episodi più controversi del brigantaggio, hanno deciso di nominare, a inizio millennio, cittadino onorario Ferdinando Melchiorre Pulzella, un medico di Benevento scomparso nel 2014 alla non tenera età di 91 anni.
IL “REVISIONISTA” ANTONIO CIANO
Quanti bastavano per ricordarsi di un nonno, Lorenzo Melchiorre, che fu sindaco di Pontelandolfo proprio nella terribile estate del 1861, quando il paesino fu prima oggetto delle scorribande dei briganti di Cosimo Giordano, che culminò nel massacro di una colonna di quarantuno militari, tra bersaglieri e carabinieri, e poi del duro intervento dell’Esercito, che provocò un’ulteriore strage di quindici morti tra i paesani.
Melchiorre nipote, che tra l’altro era un appassionato cultore di storia locale, dedicò a fine millennio un libro piuttosto ponderoso a questa tragedia.
Nel vicino Casalduni, anch’esso interessato dal brigantaggio e dalla repressione militare, nel 2016 hanno conferito la cittadinanza onoraria a Povia, il cantante milanese convertitosi alla causa sudista, e ad Antonio Ciano, tabaccaio di Gaeta e, con il suo I Savoia e il massacro del Sud pubblicato in prima edizione nel 1996, si può considerare il precursore dell’odierno revisionismo antirisorgimentale, che ha toccato il massimo successo con la produzione editoriale di Pino Aprile.
LA COPERTINA DEL LIBRO DI ANTONIO CIANO
Una contraddizione non da poco e non solo perché i due, Melchiorre e Ciano, si trovano su barricate opposte, l’uno in quanto discendente ed erede di un esponente della prima classe dirigente liberale dell’Italia unita, l’altro perché a dir poco critico verso il processo storico di unità nazionale.
Infatti, il contrasto non fu solo ideale, ma finì addirittura davanti al Tribunale di Latina, dove Melchiorre trascinò Ciano con l’accusa di aver diffamato il proprio antenato.
Non è il caso di entrare troppo nel merito della vicenda storiografica di Pontelandolfo e Casalduni, tornata ad essere oggetto di cura degli storici e su cui il giornalista, scrittore e studioso Giancristiano Desiderio sta per intervenire con un saggio di prossima pubblicazione. Semmai, val la pena di soffermarsi sul curioso duello giudiziario, che ha il merito quantomeno di consigliare un po’ di prudenza agli storici improvvisati che si dedicano a quel campo impervio che è la storia contemporanea: la diffamazione non riguarda solo i vivi, perché anche i defunti possono avere qualche erede pronto a far valere i diritti all’onore e alla reputazione eventualmente lesi da ricostruzioni fantasiose o tendenziose. O palesemente false, come risulta quella di Ciano sul trapassato sindaco Melchiorre.
Forse proprio con riferimento a questa vicenda, il tabaccaio-scrittore ha dichiarato più volte di essere stato querelato ed stato assolto, per la sola colpa di aver detto cose scomode alla storiografia ufficiale.
LA COPERTINA DEL LIBRO DI MELCHIORRE
Dalla ricostruzione fatta da Melchiorre nipote nel suo Storia dei fatti di Pontelandolfo dell’agosto 1861, uscito in terza edizione nel 2004, risulta altro e quest’altro non risulta smentito: Ciano avrebbe diffamato con l’intento di diffamare, pubblicando cose non vere a carico del sindaco Melchiorre. Per farsi un’idea basta consultare una pagina del sito telefree.it, in cui appare un articolo intitolato L’eccidio di Pontelandolfo e Casalduni di Antonio Ciano, da “I Savoia e il massacro del Sud”.
Per chi vuole approfondire: la pagina web di telefrree.
Occhio alle date: l’articolo di Ciano, in cui sono riportati vari passaggi del libro finito sub judice, risale al 12 aprile del 2007, quindi tutto lascia supporre che questi passaggi, pepatissimi, siano stati tratti dalla prima edizione del libro. Sulle altre edizioni, uscite dalla fine dello scorso decennio in avanti di cui le più recenti curate proprio da Pino Aprile, non c’è da mettere la mano sul fuoco, perché forse emendate.
Ma torniamo al duello nell’aula di giustizia. Questo si concluse l’8 maggio del 2000 con una dichiarazione scritta e firmata, rilasciata da Ciano a Melchiorre davanti al Tribunale penale di Latina, presieduto da Massimo Procaccini e composto dagli a latere Nicola Iansiti e Vincenzo Guercio.
Questa dichiarazione evitò la condanna di Ciano e Melchiorre ritirò la querela accontentandosi della cifra simbolica di una lira a titolo di risarcimento.
Si riporta per intero la dichiarazione, acquisita agli atti del procedimento penale 420/99T:
«Illustre dr Ferdinando Melchiorre,
faccio riferimento al procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di Latina, per il quale, come risulta dal capo di imputazione, a seguito della querela da Lei sporta nei miei confronti in data 21 novembre 1996, sono accusato di diffamazione per aver, quale autore del libro “I Savoia e il massacro del Sud”, offeso gravemente la reputazione di Lorenzo Melchiorre, Sindaco di Pontelandolfo nel 1861, attribuendogli comportamenti ed atteggiamenti non rispondenti al vero (PROC. 420/99T).
Accolgo l’invito rivoltomi dall’Ill.mo Signor Presidente del Tribunale e, pertanto, nel formulare le mie formali e più ampie scuse a Lei ed ai discendenti tutti della famiglia del Sindaco di Pontelandolfo nel 1861 Lorenzo Melchiorre, Le dichiaro che ho sì offeso, ma non era nelle mie intenzioni offendere la memoria del defunto Sindaco Melchiorre e dei suoi congiunti e discendenti. Riconosco che le frasi e le espressioni da me riportate nel libro “I Savoia e il massacro del Sud” non compaiono in alcuna delle fonti bibliografiche da Lei riportate in Tribunale, né in alcuna delle 63 opere (testi e riviste storiche) da me indicate nella “Bibliografia” in calce al mio libro, pubblicato nel luglio del 1996, né nella serie di articoli della “Civiltà Cattolica”, che vanno dal 1860 al 1866, né in alcun altro testo in mio possesso e/o da me consultato. Escludo, quindi, nel modo più assoluto, che possano attribuirsi a Lorenzo Melchiorre i comportamenti negativi, da cui la diffamazione, da me esposti nel libro e che in nessuna fonte storiografica sono riportati.
Non è sfuggito alla mia attenzione, e quindi riconosco, che la figura storica di Lorenzo Melchiorre è stata significativa in quanto Sindaco del Comune di Pontelandolfo sia sotto il governo dei Borbone che, poi, sotto il governo post-unitario, avendo il Melchiorre aderito all’idea dell’Unità d’Italia.
L’intento con il quale ho scritto il libro era solo quello di esprimere una forte critica storico-politica dei fattori e degli eventi che portarono all’Unità d’Italia e di sottolineare i forti profili di contrasto tra i rappresentanti del pensiero liberale ed i briganti che vi si opponevano: nella foga della esposizione mi sono invece lasciato imprudentemente andare, nei confronti di Lorenzo Melchiorre, a quegli immotivati ed offensivi giudizi che riconosco privi di fondamento perché non rispondenti al vero.
Nel rinnovarle le mie più profonde scuse per aver inconsapevolmente, quanto imprudentemente, prodotto grave turbamento a Lei ed alla Sua famiglia per quanto ingiustamente attribuito a Lorenzo Melchiorre, L’autorizzo preventivamente alla pubblicazione di questa mia, a mezzo manifesti ed anche su giornali e riviste, in ogni caso quando e dove e con le modalità che riterrà opportune in goni tempo.
Firmato: ANTONIO CIANO».
Non c’è altro da aggiungere: Ciano ammise di aver sbagliato e di averlo fatto quantomeno per sciatteria. Ma ciò che conta è che, senza questa lettera, pubblicata da Melchiorre anche nel suo libro, il tabaccaio-scrittore avrebbe subito una condanna più che sicura, con un risarcimento tutt’altro che simbolico.
PINO APRILE
Non si sa che atteggiamento abbiano tenuto gli eredi di Melchiorre nipote. Sicuramente sono stati più blandi di quelli dello scomparso medico, visto che il tabaccaio ha continuato a scrivere.
Certo è che la sua ricostruzione della tragedia di Pontelandolfo non ha trovato accoglienza né nei libri di Aprile, che da consumato professionista si è ben guardato dal citare una fonte così bruciata, né in quelli di Gennaro De Crescenzo, che si sono limitati a ripetere le cifre iperboliche dei morti riportate senza vaglio critico da Ciano, sebbene la storiografia più accorta le abbia ridimensionate parecchio.
ANTONIO CIANO ELEGANTE
Ma evidentemente gli amministratori dei piccoli Comuni del Sud sono di bocca piuttosto buona e, pur di promuovere i loro territori, desertificati più dalle responsabilità del presente che dai presunti crimini del passato, non vanno per il sottile. Ed ecco che uno storico sedicente e improvvisato può diventare cittadino onorario assieme a una ex gloria della canzone italiana, che ha avuto l’unico merito di mettere in musica certe tesi.