Laici Libertari Anticlericali Forum

17 gennaio. Le tentazioni di sant'Antonio, L'origine pagana dei fuochi per il santo protettore dei maiali e della loro sfrenata sessualità

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 17/1/2007, 15:49
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
21,949

Status:


L'origine pagana dei fuochi per il santo protettore dei maiali e della loro sfrenata sessualità


Dorgali-fuoco-di-Sant-Antonio-Abate



www.zoooom.it/rubriche/giornalino.p...po=PRIMA+PAGINA

il Mattino, 17 gennaio 2004 - Come ogni anno il 17 gennaio il carnevale ha inizio con l’accensione di giganteschi falò, detti fuochi di sant’Antonio, dal nome del santo del giorno, Sant’Antonio Abate: conosciuto anche come il santo del porcello perché viene raffigurato con un maiale ai suoi piedi. L’associazione tra una festa come il carnevale, la celebrazione di un santo e la figura del maiale è solo uno tra i tanti esempi di quella centralità simbolica che caratterizza i suini nelle culture più diverse e più lontane. Dal mito omerico di Circe, che trasforma gli uomini in maiali, fino ai «Tre porcellini», un lungo filo rosso lega nell’immaginario uomini e maiali al filo doppio di un consumo al tempo stesso reale e simbolico.
Se è vero che gli uomini non possono fare a meno dei prodotti del corpo suino, un corpo del quale mai nulla va sprecato, è altrettanto vero che essi non possono fare a meno del suo corpo iconico, delle immagini di questo quadrupede che diviene metafora dell’uomo stesso e delle sue qualità fisiche e morali, nel bene e nel male. Al punto che lussuria e parsimonia possono entrambe essere rappresentate dal maialino: emblema del risparmio, come salvadanaio ma anche segno di pensieri e atti un po’ cochon. Partendo dalla constatazione di Aristotele secondo cui la sessualità dei maiali supera per intensità e frequenza quella di tutte le specie animali, in molte culture mediterranee il maiale, proprio in quanto simbolo della fecondità, del desiderio sessuale, del benessere è associato alle divinità supreme. Lo stesso termine maiale deriva da Maia, madre di Hermes (il Mercurio latino) cui il porco veniva sacrificato a maggio, mese sacro alla dea, divenendo dunque la vittima ”maiale” per antonomasia. Nel mondo celtico e germanico molte dee erano raffigurate come scrofe. E nella cultura greca i maiali venivano dedicati a Demetra - la Cerere latina - dea della fertilità, quale offerta sacrificale. Se nell’antica Cina il porco era il dodicesimo dei segni zodiacali, quale simbolo, positivo, della forza virile, è proprio grazie alla constatazione della sua natura sessuale particolarmente "calda" che, nella cultura cristiana, il maiale diviene il simbolo fortemente negativo degli istinti bassi, dell’impurità latente in una corporeità incessantemente sottoposta alla tentazione delle ”porcherie”, come sembra suggerire l’apparentamento, non solo terminologico, tra ”corpo” e ”porco”. Potenza negativa, da addomesticare e trascendere ma al tempo stesso carnalità necessaria. Tale doppiezza simbolica spiega meglio l’associazione tra il maiale e sant’Antonio Abate che ha in realtà diverse ragioni. In primo luogo le tentazioni cui il santo viene sottoposto nel deserto da parte del demonio che gli appare in forma di porco, episodio che ispira a Bosch il vertiginoso capolavoro del Prado e l’allucinato trittico del Museo nazionale di Lisbona. Mentre in tempi più recenti Fellini inventa una magistrale variazione cinematografica sul tema ne «Le tentazioni del dottor Antonio» con Peppino De Filippo nei panni di un bacchettone ossessionato da una Anita Eckberg dal seno straripante che lo tormenta con il suo allusivo ”Bevete più latte”. Alla signoria del santo sul maiale è poi strettamente connessa la virtù terapeutica del lardo suino di guarire l’herpes zoster - malattia cutanea di origine virale - conosciuto nel mondo popolare appunto come fuoco sacro o "fuoco di sant'Antonio". E col nome di porci di sant’Antonio venivano chiamati gli animali votati al santo che circolavano liberamente per le strade di Napoli, e di altre città europee, nutriti dalla popolazione come creature sacre e intoccabili, soprattutto quelli che portavano sul corpo delle macchie rosse che assomigliavano alle vescicole dell’herpes e che la credenza popolare considerava segni soprannaturali del santo. I maiali di sant’Antonio venivano uccisi dagli stessi monaci nel macello annesso alla loro chiesa-ospedale - collocata all’estremità del popolarissimo Borgo di Sant'Antonio Abate, per i napoletani il Borgo per antonomasia - per ricavarne il lardo che serviva a produrre l’unguento curativo del fuoco di sant’Antonio. Sono queste, dunque, le ragioni simboliche dell’associazione tra il santo, il fuoco e il porco e della loro relazione col carnevale. Re della festa era appunto il porco che, in forma di salsicce, prosciutti e sanguinacci, ma anche nella forma metaforica delle porcherie consentite dal clima festivo, incarnava nella maniera più completa i piaceri della carne, gli appetiti di una voluttà insaziabile, temuta ma al tempo stesso rigenerativa e vitale. E perciò da controllare ed emendare, tanto è vero che appena spenti gli ultimi fuochi del carnevale l’eccesso festivo dava luogo al pentimento, inaugurato dal mercoledì delle Ceneri e seguito dall’austerità della Quaresima raffigurata come una vecchia magrissima e nerovestita. Dal sacrificio del maiale - che la tradizione popolare chiamava Nino, diminutivo di Antonio, con chiara allusione al santo - l’anno contadino traeva l’energia vitale per continuare, per riprodursi e rigenerarsi fino all’anno successivo. Quando, morto un maiale se ne faceva un'altro. Un ciclo che la società industriale ha fatto proprio traducendolo nei suoi tempi produttivi e nel suo immaginario pubblicitario fatto di salami parlanti, di prosciutti dal volto umano. Questa secolare partita doppia di sfruttamento e di ingratutudine che lega inestricabilente umani e suini, fece dire ad Orwell che la più grande sciagura capitata al maiale fu quella di imbattersi nell'uomo.

http://rcmagazine.retecivica.milano.it/mod...=article&sid=82

Una breve rassegna, da diversi fra i numerosissimi siti, di come viene interpretato la festa del "fuoco di Sant'Antonio" in Italia.
Buona lettura.
Paolo




Il fuoco di Sant’Antonio
Sant’Antonio abate essendo padrone del fuoco, è stato considerato guaritore dell’ herpes zoster, chiamato “fuoco di Sant’ Antonio”. Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio, si faceva festa, bruciando grandi castagne di legna, dette, appunto, i “falò di Sant’Antonio”. Le ceneri, chiuse in sacchetti tenuti nelle tasche degli abiti servivano come amuleti: tenevano lontano le malattie e le persone portatrici di guai. Ancora oggi a Bereguardo (Padova) il falò di Sant’Antonio è acceso su sagrato della chiesa.

Fonte : www.comune.lentatesulseveso.mi.it/r.../Tradizioni.htm

Sant’Antonio Abate in Sicilia: credenze e cerimonie tradizionali
di Ignazio Buttitta



A dispetto di chi ha recentemente ribadito la più volte annunziata morte della cultura tradizionale, stigmatizzato i tentativi di riesumarne i resti e spiegato agli ultimi sedicenti folkloristi che era ora di cambiare l’oggetto delle loro ricerche, esistono vaste aree della Penisola italiana e delle sue Isole maggiori ove permangono ben radicate e vitali usanze, credenze, e pratiche cerimoniali di palese tradizione agro-pastorale. Ciò può certamente dirsi, in Sicilia, per sant’Antonio Abate. Il 17 gennaio, giorno a lui dedicato e che segna l’apertura del periodo carnevalesco, è tradizione ampiamente diffusa quella di impartire una benedizione collettiva agli animali, in particolare bestie da soma, radunati la mattina della festa sul sagrato delle chiese. Questo rito ha però perduto oggi alcuni dei connotati tradizionali, in relazione alla progressiva scomparsa degli animali dall’economia contadina. Così che in alcuni casi si osserva la benedizione di cani, gatti e altri animali da compagnia.

In provincia di Palermo, a Mezzojuso, il rito della benedizione degli animali si svolge tuttora la mattina del 17. Quei pochi animali, prevalentemente muli, che ancora rimangono, sfilano davanti alla statua di sant’Antonio esposta dinanzi all’ingresso laterale della chiesa, ricevendo la benedizione del sacerdote. Non diversamente a Burgio il giorno del Santo, intorno alle 12.00, si effettua la benedizione degli animali. Il sacerdote, dopo avere celebrato la messa, esce sul sagrato dove sono raccolti i fedeli e le loro bestie e li benedice con l’aspersorio dopo avere brevemente ricordato la predilezione del Santo per gli animali. La gran parte dei presenti è rappresentata da bambini e ragazzi con cani al guinzaglio. Si osserva pochi cavalli e muli. In passato, alla celebrazione che aveva inizio alle 8.00, erano condotte numerose bestie da soma caricate di fieno che veniva anch’esso benedetto. Fra le tradizioni scomparse si ricorda quella di allevare un porco, detto appunto di sant’Antonio, che si lasciava circolare liberamente per le vie del paese e veniva poi macellato in occasione della festa. Anche a Sant’Angelo Muxaro fino a qualche anno fa si allevavano due maiali che erano lasciati liberi di girare per le vie del paese e venivano nutriti dalla popolazione. Nessuno li toccava, perché toccandoli si sarebbe profanato il Santo. I maiali di sant’Antonio venivano macellati il giorno della festa e la carne era comprata all’asta dai fedeli.

Pitrè ricordava che in Sicilia, oltre a quello sugli animali, «un altro protettorato ha San Antonio: quello del fuoco». E tutt’oggi il Santo Abate è tradizionalmente celebrato con processioni di torce e accensioni di falò accesi, in genere, la vigilia in molti centri dell’isola.

Segue nel sito : www.antropologiamuseale.it/santantonio04.htm



LA FESTA DI SANT'ANTONIO

I Colonnellesi sono sempre stati molto devoti a Sant'Antonio. Questo particolare affetto per il Santo era in parte interessato. Infatti Sant'Antonio era il protettore degli animali e di tutti gli addetti alla stalla e qualche anno fa, a Colonnella, tutti erano occupati in agricoltura e quindi tutti avevano a che fare con gli animali e il loro protettore.
Oggi la festa di Sant'Antonio è quasi dimenticata,ma fino agli anni '50 stata ben viva tra i colonnellesi.
Il Santo si festeggia il 17 gennaio. La sera precedente si usava accendere, all'aperto, dei grandi falò detti in dialetto "li fochere".
Il giorno successivo gli uomini si recavano in chiesa di buon mattino per confessarsi e comunicarsi.Poi nel pomeriggio i giovani, a gruppi di quattro o cinque, usavano recarsi nelle case del paese per cantare il "Sant'Antonio" e ricevere in cambio doni ... commestibili.
Tra i giovani del gruppo ce n'erano sempre due mascherati da Sant'Antonio e da Diavolo. A sera, al termine della questua, i cantori consumavano tra canti e risate tutti i doni ricevuti.
Riportiamo qui di seguito i versi di uno dei canti di Sant'Antonio.

Segue nel sito : www.vibrata.it/colonnella/tradizioni.htm


Tradizioni Celtiche in Umbria
di Andrea Romanazzi

Un’altra antica reminiscenza celtica , poi oscurata ancora una volta dalla religione cristiana e’ senz’altro la figura maschile del Dio Lug! Ancora oggi , In molti paesi della Puglia, e non solo , vi e’ la tradizione di accendere , in onore di sant’ Antonio, grandi falo’ di origine pagana e in particolare celtica. Sant’Antonio fu un anacoreta egiziano del III-IV sec. , asceta e mistico. Quando i crociati trasferirono le spoglie del Santo in occidente e in particolare ad Arles, in Francia meridionale, il suo culto si diffuse a macchia d’olio, ma proprio nella sua veloce diffusione il culto del santo si scontro’ con il culto pagano di una antica divinita’ celtica, quella del dio Lug, rappresentato come un giovane che reggeva un cinghiale, animale particolarmente sacro al "popolo della quercia". Il dio Lug era una delle divinita’ piu’ importante dell’ "olimpo" celtico, come dimostrato da numerosi toponimi di molte citta’ come LUGano, LUGo, Lione. Ebbene, ancora una volta, con una intensa opera di sincretismo, Sant’ Antonio fu associato e sovrapposto al culto preesistente. Secondo la storica Riemscheider gli attributi di sant’Antonio sarebbero stati proprio ripresi dal dio celtico , infatti divenne guardiano dell’inferno come lo era Lug e dispensatore di fuoco agli uomini (e da qui la tradizione dei falo’) .

La Chiesa, ingentili’ il cinghiale trasformandolo in un maialino con un campanello al collo dal quale il santo era sempre seguito, dicendo che era un diavolo ammansito dal santo. Del resto il cinghiale , ancora simbolo dei riti pagani delle "foreste" ben si prestava ad esempio di conversione legata al santo. Anche la campanella del maialino sarebbe un simbolo di vita e di morte, secondo la cultura celtica , infatti la campana rappresenta l’utero della dea madre, di cui Lug era figlio. Una piccola curiosita’, Sant’Antonio era il protettore dei fabbricanti di spazzole, che nell’antichita’ si facevano proprio con le setole di maiale.

Lettura completa ai siti :
www.acam.it/celti.htm
www.esoteria.org/web_utenti/tradizi...iticeumbria.htm



Celebrata il 17 gennaio, la sua festa era una delle ricorrenze
più sentite nel mondo contadino
Antonio abate, un santo di tradizione celtica
I riti a lui connessi si richiamano in modo profondo
alle credenze pre-cristiane

di Elena Percivaldi



La festa di Sant'Antonio abate, celebrata ogni anno il 17 gennaio, era in passato una delle ricorrenze più sentite nelle comunità contadine. Anche oggi è piuttosto diffusa, soprattutto nelle zone rurali e nei paesi della provincia dove le tradizioni sono molto più radicate che nelle grandi città.Nella cultura popolare, Sant'Antonio abate veniva raffigurato con accanto un porcellino; i contadini, per distinguerlo dall'altro Antonio, quello comunemente detto da Padova (e che invece è di Lisbona), lo chiamavano infatti Sant'Antoni del purscell; spesso era rappresentato con lingue di fuoco ai piedi e aveva in mano un bastone alla cui estremità era appeso un campanellino; sul suo abito spiccava il tau , croce egiziana a forma di "T", simbolo della vita e della vittoria contro le epidemie - cosa a cui sembra alludere anche il campanello, che era utilizzato appunto per segnalare l'arrivo dei malati contagiosi. Malgrado tutte queste connotazioni "agresti" attribuitegli da una tradizione secolare, in realtà Antonio aveva poco o nulla a che fare col mondo contadino: era infatti un eremita ed un asceta tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico.

...... omissis ....

La festa di Sant'Antonio è ancora oggi molto viva in Brianza, dove la si celebra tra frittelle e vino brûlé, e soprattutto tra i falò. Antonio infatti era considerato il patrono del fuoco; secondo alcuni i riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica e druidica. E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante, ad esempio in occasione delle feste di Beltaine e di Imbolc: quest'ultima ricorrenza, che veniva celebrata il primo febbraio, salutava la fine ormai prossima dell'inverno e il ritorno imminente allungarsi e della bella stagione, con le giornate che iniziano ad allungarsi. Una festa, dunque, di origini antichissime, festeggiare la quale significava e significa, ogni anno, scatenare le forze positive e, grazie all'elemento apotropaico del fuoco, sconfiggere il male e le malattie sempre in agguato.Una festa di buon auspicio per il futuro e all'insegna dell'allegria: in passato, ma anche oggi.

La lettura completa al sito : www.angelfire.com/mi/proloco/falo.html

Toscana terra di fuochi



Nei mesi di dicembre e gennaio si accendono magici falò in Lunigiana. Il 5 dicembre si celebrano con enormi fuochi il santo patrono San Nicolò a Villafranca; il 16 gennaio a Filattiera si accendono i fuochi per festeggiare Sant’Antonio, al quale segue un antico rituale che prevede di portare un tizzone ardente, una sorta di benedizione, all’interno della stalla per preservare i propri animali da malattie.

La lettura completa al sito : www.waytuscany.net/root/tradizione_storiche_1785.htm


U Marauàšc
di Raffaele Capriglione


"marauasce" 2001 in Piazza Crapsi
(foto prof. Gaetano Di Stefano)

Ma da dove trae origine questa popolare ricorrenza, comune in molti centri del Molise e con peculiari differenze, in località del Nord Europa? Chiunque volesse indagare la genesi dell'atavico rito, ha due ipotesi di interpretazione antropologica: da una parte può attingere informazioni dai riti derivanti dalla liturgia cristiana, dall'altra è indispensabile prestare attenzione ai preziosi chiarimenti sulle antichità sacre del popolo romano. Sebbene non vi sia una rigorosa documentazione storica, si può affermare con una malcelata certezza, che le feste dei fuochi appartengono alle feste calanderiali.
In particolare, esse sono legate al passaggio fondamentale dalla crudezza dell'inverno al risveglio della primavera. Il fuoco si presenta nella sua doppia veste simbolica. Da un lato esso rappresenta la distruzione di tutto ciò che angoscia la comunità - la fame, la malattia, la morte - dall'altra, il fuoco, si presenta come rigeneratore per eccellenza. Come spesso accade, attraverso secoli e percorsi intricati, la nuova religione cristiana, ha "divorato" aspetti della più lontana religiosità arcaica ed ha restituito, in virtù di un rinnovato movimento di sincretismo, mantenendo la stessa tradizione popolare, arricchendola, in taluni casi, di nuovi elementi e considerevoli varianti.
Difatti, la leggenda vuole che i "Marauasce" derivino da Sant'Antonio Abate. Questi, padre dei monaci e protettore degli animali, adirato con Dio perché non volle concedergli una grazia, scendendo negli inferi prese un tizzone ardente ed incendiò il mare: da lì, pur conservando i tratti evidenti della loro arcaicità, i falò del 19 Marzo, sono ormai saldamente inseriti in un quadro di credenze cristiane.

Lettura completa al sito : www.santacroceonline.com/InfoPaes/F...e/marauasce.htm

Edited by pincopallino2 - 17/1/2018, 21:24
 
Web  Top
view post Posted on 17/1/2022, 09:01

Group:
Administrator
Posts:
8,011

Status:


www.vesuviolive.it/cultura-napolet...-antonio-abate/

17 gennaio, Sant’Antonio Abate: “Sant’Antuono se ‘nnammuraje d”o puorco”
Da Claudia AusilioNov 10, 2014

Il detto “Sant’Antuono se ‘nnammuraie d”o puorco“ è legato alla storia e alla tradizione cristiana e non solo. Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici, è rappresentato quasi sempre con un maialino ai suoi piedi ed il 17 gennaio, la Chiesa benedice per tradizione gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.

Sant’Antonio, eremita e taumaturgo, secondo la leggenda accese il suo bastone con il fuoco dell’inferno per salvare l’anima di alcuni morti. Fondò l’ordine degli Antoniani e fece costruire uno dei maggiori ospedali che durante il Medioevo curavano l’Herpes Zoster o più comunemente noto come “fuoco di Sant’Antonio”. Per curare questa malattia della pelle i monaci usavano il grasso del maiale per lenire i bruciori, e per sfamare i malati dell’ospedale chiesero al Papa il permesso di iniziare ad allevare maiali, in quanto prima la fede cristiana non permetteva il consumo di carne suina.

La leggenda narra che mentre il santo si trova a Barcellona, una scrofa, che aveva tra le fauci un piccolo porcellino zoppo e malato, glielo depose davanti in atto di preghiera ed il Santo con un segno della croce riuscì a guarire il piccolo, che poi lo seguì per tutta la vita. Inoltre grazie a questo miracolo, Sant’Antonio riuscì a convertire tutta la popolazione.

Ma perché si dice che “Sant’Antonio si innamorò del porco”? Questa espressione viene usata oggi nel dialetto napoletano per dire che “l’amore è cieco”. Questa affermazione la dice lunga sui pregiudizi nei confronti del maiale in età cristiana, infatti, questo animale era sacro alla dea della terra e delle messi Cerere, mentre per i cristiani il maiale era considerato un animale immondo. Ma l’episodio di Sant’Antonio può considerarsi una resa da parte della Chiesa di fronte al culto del maiale, quando capì che durante il medioevo con le sue carni si potevano sfamare i numerosi monaci dei conventi e i malati che affollavano gli ospedali.

Da qui il maiale assunse una connotazione positiva e ancora oggi il 17 gennaio si festeggia il santo con l’uccisione del maiale in suo onore. Soprattutto al Sud ed in particolar modo nel napoletano, in quel giorno si accendono dei “focarazzi” (“falò di Sant’Antuono”), che hanno una funzione fecondatrice e purificatrice. Questi fuochi venivano e vengono tuttora accesi nelle strade cittadine, nelle piazze e nei grandi cortili o nelle aie contadine, dove si cantava e si ballava al ritmo di “tammuriate”, e sulle braci di questi falò venivano deposte salsicce e costolette di maiale che venivano distribuite ai partecipanti. Non mancava il “migliaccio”, tipico dolce campano che apriva ufficialmente i festeggiamenti del carnevale.
 
Top
1 replies since 17/1/2007, 15:48   2102 views
  Share