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“Fuori dall’Opus Dei sono rinata”

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Felipe-bis
view post Posted on 18/12/2009, 18:01




http://city.corriere.it/2009/12/18/interviste.shtml

“Fuori dall’Opus Dei sono rinata”
Emanuela Provera Per 14 anni è stata numeraria dell’Opus Dei. Ora ha raccolto le testimonianze di altri fuoriusciti come lei. Perché la gente sappia.

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Cosa è esattamente l’Opus Dei?

Una prelatura personale della Chiesa: una specie di diocesi senza limiti territoriali.

Quante persone ne fanno parte?

La prelatura dice 85mila.

Come si entra in contatto con l’Opera?

Gestisce scuole, centri culturali e sportivi, residenze universitarie, il campus biomedico. Molti entrano in contatto senza saperlo.

Perché, non lo dichiarano?

No, nei nomi dei centri non compare mai la parola “Opus Dei”. Si sa che le scuole si ispirano a principi cristiani ma non si sa come poi vivono i ragazzi lì dentro.

Cosa succede?

Li seguono tutor dell’Opera: individuano quelli di selezione e li portano per il piano inclinato.

Cosa è?

Un percorso di formazione per convincerli a entrare nell’Opera perché hanno la vocazione. Può esser vero; ma io testimonio di troppi casi di manipolazione, illegalità, immoralità.

Come si entra poi?

Si scrive una lettera al prelato e si devono superare 3 tappe di incorporazione.

Quanto dura questo percorso?

Cinque anni. Si inizia a insinuare la vocazione pure agli 11enni. Formalmente fino a 14 anni e mezzo non sono dell’Opera ma li si fa già vivere da numerari, cioè chi ne fa parte giuridicamente.

Per esempio?

Gli si fa usare il cilicio e la “disciplina”.

Di che si tratta?

Il cilicio è una catena di ferro con delle punte. Si mette alla coscia perché crei ferite. La “disciplina” è una frusta.

Altre “mortificazioni”?

Le numerarie, per esempio, dormono sempre su un’asse di legno. Per anni e anni.

E le famiglie?

La verità, dice l’Opera, va rivelata solo a chi può accoglierla. Non devi dire nulla a casa: “metti a rischio la tua vocazione”.

Ci sono anche libri, musica e film “vietati”?

Sì. Ma che vocazione è una vocazione che va protetta da tutto? Per 14 anni non sono andata al cinema e all’università avevo un testo laicista sotto chiave: non poteva girare per il centro.

I numerari (che non possono sposarsi) vivono in case apposta per loro?

Sì, gli uomini in delle sedi, le donne in altre. La separazione è rigida: la donna è vista sempre come tentatrice.

La maggior parte lavora per l’Opera?

Molti: serve manovalanza per gestirne l’impero. Alcuni hanno i contributi, tutti gli altri lavorano gratis. E pensare che l’Opera proclama la santificazione del lavoro!

E poi i numerari devono fare testamento a favore dell’Opus Dei.

È obbligatorio.

C’è un aspetto classista nell’Opus Dei?

Eccome. È esplicito.

Poi, dice lei, ci si accorge che qualcosa non va.

Non te ne accorgi: ti ammali. Tanti numerari sono curati con psicofarmaci.

Ma che ci guadagnerebbe l’Opus Dei?

Forte immagine, manovalanza gratis, soldi. Dove sono i gettiti fiscali dei contributi mensili? Tutti i soprannumerari (membri “esterni” sposati che non vivono nei centri, ndr) devono versare ogni mese denaro, lo sapeva?

Lei lo ha fatto, come ne esce?

Serve una dispensa del prelato: fra laici e prelatura c’è un contratto ma non è rescindibile da entrambe le parti! Ci vogliono anni. Io ce ne ho messi tre.

Fra numerari non si parla di questo?

No: è vietato parlare di questioni personali. Per questo noi ex dobbiamo uscire in pubblico: per essere intercettati da chi esce e pensa di essere solo, senza lavoro, identità, affetti. È drammatico.

Cosa ha provato quando è uscita?

Pace, gioia, liberazione. Anche nel fare cose piccole: non andare a letto alla stessa ora, chiamare un amico, andare al mare con un costume normale…

Gusta la vita insomma.

Ancora oggi. E voi non potrete mai immaginare quanto. Stare nell’Opera è peggio del carcere: almeno i detenuti prima hanno avuto una vita normale.

La prima cosa che ha fatto fuori?

Sono andata al mare e al cinema, all’aperto. La notte non ho dormito per la felicità.

Poi si è innamorata e si è sposata.

Grazie a Dio ho conosciuto mio marito. Ho potuto scrivere il libro proprio grazie alla stabilità affettiva che ho trovato. Ed è difficile: quando esci dall’Opera sei di un’ingenuità fortissima, non hai mai visto un uomo o una donna, non sai comportarti, sei infantile e molto vulnerabile.

Come ha vissuto, da numeraria, i grandi eventi storici? Che ssò, il muro di Berlino?

Guardi mi sono accorta a malapena che era morto Borsellino. Nei centri si vede solo il telegiornale registrato, da cui tolgono certe notizie. Come per i giornali: quelli che puoi leggere sono tagliati, non ci sono tutte le pagine. Non sapevamo delle elezioni… Capisce che menomazione intellettuale?

Crede ancora in Dio?

Sono credente praticante. Ma ci sono ex numerari atei, chi si è sposato, chi è gay: ognuno cerca di recuperare la sua identità.

Cosa pensa di Escrivà, il fondatore dell’Opera? La Chiesa l’ha fatto santo nel 2002.

Mi crea una conflittualità interna. La Chiesa, che per me è madre, l’ha proclamato santo ma non vorrei essere nei suoi panni, con tanta devastazione di vite sulla coscienza, di fronte a Dio. Avrei paura.

Angela Geraci

[email protected]
 
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