Si tratta di una storia vecchia, ma solo ora si prendono provvedimenti per questo scandalo:
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezion...12591girata.aspLO SCANDALO DI COSENZA. LA PROCURA ACCUSA GLI AMMINISTRATORI DELLA CASA DI CURA: AVREBBERO INTASCATO MILIONI DI EURO DESTINATI AI PAZIENTI
La reggia del prete in Harley Davidson
Quadri e gioielli con i soldi del «manicomio»
20/10/2006
di Marco Sodano
SERRA D’AIELLO (Cosenza). I trecentosessanta fantasmi condannati a scontare la malattia mentale - chi vent’anni, chi trenta e più - all’istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello sono vestiti con roba di recupero. Oggi arriva un furgone carico di scarpe, domani si spera nelle maglie di lana. Nel superattico intestato all’ex presidente della Fondazione che gestisce l’istituto monsignor Alfredo Luberto, dice il faldone custodito a Palazzo di Giustizia, hanno trovato un televisore al plasma in ogni stanza, una sauna e la palestra. I dipendenti del manicomio-lager travestito da casa di cura mendicano credito dal fornaio per i loro assistiti (150 mila euro gli arretrati per il pane) e a fidano nella Provvidenza, in attesa di uno stipendio che non arriva intero da anni.
Dai conti della Fondazione qualcuno ha spiccato assegni intestati alle gioiellerie più esclusive di Roma, boutique di grido, ad alberghi a cinque stelle nei registri dei quali sono annotati soggiorni da favola «in camera matrimoniale». I dipendenti, protagonisti di proteste accese contro Luberto, raccontano che il monsignore si faceva vedere in giro a cavallo di una Harley Davidson: sembrava una battuta avvelenata, carica di livore sindacale. Oggi come oggi, una maximoto è ridotta al rango di peccato veniale. Un salotto «inestimabile» I pazienti del Papa Giovanni convivono con le zecche, i casi di scabbia sono diversi. Dormono in letti sgangherati e senza lenzuola tra servizi in condizioni penose, pareti scrostate, finestre che fanno aria: altro che ospedale, altro che casa di cura. Il lusso più sopraffino è una cioccolata alla macchinetta nell’atrio. E invece tra i tesori acquistati dai consiglieri d’amministrazione del Papa Giovanni figura un leggio firmato Giacomo Manzù un dipinto firmato Giorgio De Chirico, un «rarissimo orologio a pressione atmosferica» e un salotto d’antiquariato che ha lasciato a bocca aperta i periti incaricati dalla Procura di Paola di valutarlo: «È inestimabile», hanno risposto lì per lì. Poi, messi alle strette dai magistrati - «Abbiamo bisogno di una cifra, almeno indicativa» - hanno azzardato: «Un pezzo del genere si paga senz’altro più di un milione».
Il blitz della Finanza L’inventario dei tesori e delle miserie del Papa Giovanni è custodito nel fascicolo dell’indagine sul manicomio-istituto condotta dal pubblico ministero della Procura di Paola Eugenio Facciolla. Nei giorni scorsi (e dopo il reportage pubblicato da La Stampa) il magistrato ha mandato sul posto la Guardia di Finanza, che si è presentata ai cancelli alle due del mattino. Un blitz in piena regola per mettere nero su bianco le condizioni in cui vivono i malati: due ore dopo l’ispezione l’intera casa di cura è finita sotto sequestro probatorio. L’attività continua, perché non sarebbe possibile sistemare in altro modo gli ospiti, ma a questo punto non si tocca più nulla, non è ammesso neppure il più piccolo ritocco salvafaccia (alle strutture) almeno finché le indagini non saranno concluse. Quelle sull’istituto e quelle su conti correnti e proprietà delle cinque persone che hanno gestito il Papa Giovanni per conto della Diocesi di Cosenza. A cominciare dall’ex presidente Alfredo Luberto.
Nel frattempo, si attendono gli esiti degli esami clinici ordinati dal magistrato, e dopo il blitz s’è allungata la lista delle ipotesi di reato su cui lavora la Procura. Appropriazione indebita, associazione a delinquere finalizzata alla truffa, false fatturazioni, abbandono di persone incapaci. Così il gergo della Giustizia riassume l’accusa: i soldi destinati ai malati finivano in tasca degli amministratori. Lo scippo all’Antiusura Ma il lavoro di Facciolla ha scoperchiato un’altro pentolone inquietante. Al buco nero nei conti del Papa Giovanni - 80 milioni di debito che si aggrava al ritmo di 500mila euro al mese -, s’è aggiunto un altro cratere. Scovato ne fondi antiusura gestiti dalla diocesi: anche il denaro destinato a combattere i cravattari (in una terra in cui povertà e omertà combinate rendono ancora più difficile una guerra del genere) sarebbe finito in una società-calderone architettata dai cinque indagati. La stessa società che avrebbe raccolto i milioni dei rimborsi per le prestazioni sanitarie pagati dalla Regione Calabria e dallo Stato al Papa Giovanni e mai convertiti in medicinali, stipendi per gli infermieri, abiti decenti, lenzuola eccetera eccetera. Denari spesi in boutique, in gioielleria, nei grandi alberghi, dagli antiquari.
Lussi da faraone, non da monsignore. La palla ai politici Ora in Calabria si muove anche la politica. Il senatore di Forza Italia Antonio Gentile ha presentato un’interrogazione, chiedendo che si vegli perché «l’istituto non cada preda degli interessi non legittimi di politici locali», il deputato dell’Ulivo Franco Laratta chiede «la chiusura dell’istituto», l’assessore regionale alla sanità Doris Lo Moro assicura che si provvederà presto a trovare una soluzione per affidare la casa di cura a una gestione degna. Nel frattempo, i trecentosessanta ospiti del Papa Giovanni continuano a scontare la loro malattia. Troppo facile derubarli: dell’attico, della sauna, della palestra non sanno che farsene. E sul leggio di Manzù appoggerebbero la solita cioccolata della macchinetta, accompagnata dal ritornello con cui accolgono tutti i visitatori: «Me lo dai un euro?».
http://www.altrosud.info/modules.php?name=...=article&sid=43Interrogazione sul manicomio di Serra d’Aiello (On. Francesco Caruso)
Al ministro
Per sapere, premesso che:
In provincia di Cosenza, nel comune di Serra d’Aiello, esiste sin dalla fine degli anni ‘60, una struttura di tipo residenziale denominata Istituto Papa Giovanni XXIII, di proprietà della curia arcivescovile di Cosenza, riconosciuta nel 1978 come centro di riabilitazione dal Ministero della Sanità.
Lo scrivente si è recato in suddetta struttura per verificare di prima persona la situazione di degrado e di abbandono nella quale versano i pazienti, “uomini e donne lasciati a terra come cartocci, letti senza lenzuola, porte e finestre sgangherate” come ebbe a raccontare l’allora arcivescovo di Cosenza Giuseppe Agostino dopo una visita a sorpresa nell’aprile 2004.
Da allora, così come negli ultimi 30 anni, nulla è cambiato se non la targa all’ingresso e la denominazione: non più manicomio, ma “istituto di riabilitazione”.
Detta struttura infatti, con gestione privatistica, ospita, a fronte di 200 posti letto (dato Ministero dell’Interno ndr), un numero di 352 persone, la stragrande maggioranza delle quali con gravissime disabilità psichiche (per lo più di provenienza manicomiale successiva all’approvazione della Legge Basaglia ndr). Con decreti successivi della giunta regionale calabrese, sono stati autorizzati ulteriori posti letto, sino ad un massimo di 485.
Attualmente, per l’assistenza e la cura dei degenti disabili, sono impiegati nel centro circa 600 dipendenti, dei quali, in base al Decreto Morese del 2001, 160 fruiscono della sospensione a zero ore con sussidio al reddito, più volte prorogato, e 110 della riduzione dell’orario con sussidio al reddito. In tempi non lontani, i dipendenti sono arrivati sino a 1.500.
La struttura è finanziata in parte preponderante con fondi pubblici così suddivisi: €.440.000,00 mensili dal Servizio Sanitario Regionale tramite l’ASL di Paola; €.220.000,00 mensili dal Servizio Sanitario Regionale della Regione Calabria, €.140.000,00 mensili dai Servizi Sanitari Regionali di pertinenza dei degenti non nati in Calabria, tramite le ASL di competenza. Complessivamente €. 800.000,00 mensili, cui devono aggiungersi le pensioni di titolarità di ciascun degente.
Allo stato l’Istituto Papa Giovanni ha debiti, determinati dalla cattiva gestione, per circa 70 milioni di euro: con l’INPS (omissione contributiva verso i dipendenti), con i dipendenti medesimi, molti dei quali non percepiscono regolarmente lo stipendio da anni (circa 30 mila euro ciascuno ndr) e con i fornitori; i debiti, inoltre, si sono determinati, anche, per le parcelle elevate pagate a consulenti esterni nel tempo passato.
Recentemente, la Procura della Repubblica di Paola ha aperto un inchiesta sull’Istituto Papa Giovanni onde verificare le gravissime condizioni di salute in cui versano i degenti (si sono riscontrati tra l’altro casi di scabbia), ventilando l’ipotesi di abbandono d’incapace a carico dei responsabili del centro, le condizioni igienico sanitarie della struttura, la gestione dei fondi percepiti ed altro.
Dagli atti del procedimento, come riportato dal quotidiano “La stampa” in data 20/10/2006, si evince che mentre i pazienti vengono vestiti con roba di recupero, nel superattico intestato all’ex presidente della Fondazione che gestisce l’istituto, monsignor Alfredo Luberto, sono stati trovati un televisore al plasma in ogni stanza, una sauna e la palestra.
Allo stesso tempo, “mentre i dipendenti del manicomio-lager travestito da casa, attendono uno stipendio che non arriva intero da anni, dai conti della Fondazione qualcuno ha spiccato assegni intestati alle gioiellerie più esclusive di Roma, boutique di grido, alberghi a cinque stelle”.
Infine, mentre “i pazienti del Papa Giovanni convivono con le zecche, i casi di scabbia sono diversi….dormono in letti sgangherati e senza lenzuola tra servizi in condizioni penose, pareti scrostate, finestre che fanno aria”, invece tra i tesori acquistati dai consiglieri d’amministrazione del Papa Giovanni figura un dipinto firmato Giorgio De Chirico, un «rarissimo orologio a pressione atmosferica» e un salotto d’antiquariato stimato dai periti incaricati dalla Procura di Paola in più di un milione di euro.
Al buco nero nei conti del Papa Giovanni - 80 milioni di debito che si aggrava al ritmo di 500mila euro al mese -, s’è aggiunto un altro cratere. Scovato ne fondi antiusura gestiti dalla diocesi: anche il denaro destinato a combattere i cravattai, sarebbe finito in una società-calderone architettata dagli amministratori indagati. La stessa società che avrebbe raccolto i milioni dei rimborsi per le prestazioni sanitarie pagati dalla Regione Calabria e dallo Stato al Papa Giovanni e mai convertiti in medicinali, stipendi per gli infermieri, abiti decenti, lenzuola eccetera eccetera. Denari spesi, come già detto, in boutique, in gioielleria, nei grandi alberghi, dagli antiquari.
Il centro, per come è da sempre strutturato, costituisce una chiara violazione al dettato della Legge Basaglia, che vieta esplicitamente la segregazione di più persone con disabilità mentali conclamate, onde evitare il fenomeno della spersonalizzazione dell’individuo e prevede, in ipotesi di questo tipo, che il disabile debba dimorare in piccole strutture il più possibile vicine al suo luogo di nascita.
In Calabria, nella sola provincia di Cosenza, esistono ben 26 strutture di tipo residenziale (escluso il Papa Giovanni ndr), 4 delle quali a gestione pubblica, 3 in cogestione, il resto a gestione privata, per complessivi 769 posti letto (dato Ministero dell’Interno ndr).
Da poco, il vescovo di Cosenza Salvatore Nunnari ha nominato tre responsabili del centro, tra questi il vice prefetto di Cosenza, lasciando intendere la detta nomina come una sorta di commissariamento dell’Istituto.
Inoltre, la Regione Calabria, senza prendere in alcuna considerazione quanto sin qui rappresentato, pare abbia deciso di intervenire nella vicenda con esclusivo vantaggio della curia cosentina, a discapito degli ospiti e dei dipendenti.
E’ pure opportuno sottolineare che il centro è stato sempre oggetto di morti strane tra i degenti e che da più tempo si vocifera di ingenti patrimoni di taluni ammalati, donati a persone di fiducia dell’Istituto.
Infine, risulta strano, attese le gravissime patologie sofferte dagli ammalati del centro, il fatto che alle ultime elezioni regionali ( e non solo ndr) buona parte dei degenti abbia esercitato il diritto di voto.
Anche per dette ragioni da circa un mese il sindacalista Nicola Chiarello, alle dipendenze dell’Istituto con la qualifica di educatore professionale, in astensione volontaria dal servizio ai sensi dell’art. 1460 del Codice Civile, causa la mancata erogazione di un regolare stipendio mensile, protesta incatenandosi davanti alle sedi istituzionali della provincia cosentina, per le condizioni di disagio in cui è stato costretto e per le condizioni in cui ha operato ed è costretto ad operare nel centro medesimo. Situazione, la sua, diffusa tra i dipendenti; ragion per cui, il Prefetto di Cosenza, con ordinanza del 23.11.2006, pur trattandosi di una struttura privata, ha intimato ai dipendenti in sospensione dell’obbligazione lavorativa, regolarmente comunicata all’Istituto, l’immediata ripresa del lavoro.
Se sia a conoscenza dei fatti sopradescritti;
Se non ritenga, attese le palesi violazioni commesse e perpetrate nel tempo, che il centro residenziale, per come oggi impostato, debba essere completamente commissariato, avviando il trasferimento di parte dei degenti in altre idonee strutture, il più vicino possibile al posto in cui i medesimi sono nati, e di parte dei dipendenti, riqualificati, nelle strutture medesime o in altri ambiti di competenza regionale;
Se, essendo il centro finanziato con fondi pubblici (Servizio Sanitario Regionale), non ritenga opportuno, attesi gli ingenti debiti maturati (70 milioni di euro) e considerati i rilevanti introiti mensili (800.000,00 euro), di istituire una commissione d’inchiesta onde verificare l’utilizzo di detti fondi, atteso anche quanto emerso sul punto in alcuni articoli della stampa nazionale;
Se non si ritenga opportuno, trattandosi di fondi pubblici, di dover intervenire sul Presidente della Giunta Regionale e sull’Assessorato alla Salute, per fare in modo che qualsiasi intervento venga messo in atto sia finalizzato esclusivamente all’interesse degli ospiti e dei dipendenti e risponda ai dettami della legislazione vigente in materia;
Se non si ritenga opportuno disporre una indagine ministeriale sulla destinazione dei patrimoni degli ospiti dimoranti nel centro negli ultimi 15 anni.
On. Francesco Caruso