Il Cristianesimo e la Chiesa cattolica sono spesso
messi in causa nei dibattiti pubblici per la
complicità e passività di fronte al sistema schiavista.
E’ una questione storica posta allo storico e al
teologo.
Sono pertanto leciti alcuni interrogativi:
- Perchè è stato necessario aspettare il 1839 e
una lettera “in supremo” di Gregorio 16° perché
la chiesa cattolica condannasse nettamente
la tratta dei neri?
- Perché solo ad un certo punto della storia un
piccolo numero di uomini si era reso conto
dell’errore di un male sociale, di fronte al
quale l’umanità era stata cieca per secoli, al
punto tale da sentire l’impulso ad opporsi
con l’affermazione personale e l’azione collettiva?
- Quali erano le strutture di pensiero che avevano
sostenuto per centinaia di anni l’istituzione
della schiavitù fisica, come qualcosa di accettabile nella società?
***
Nel mondo antico la schiavitù non fu mai considerata un male intollerabile che si dovesse estirpare da ogni
nazione civile. In tutta la letteratura religiosa dei Sumeri e degli Accadi non si trova la minima protesta contro
la schiavitù.
L’esistenza della schiavitù era data semplicemente per scontata.
E se Mosé riscatta i connazionali poveri resi schiavi, e Geremia biasima chi rende schiavi i propri fratelli è
pur vero che l’Antico Testamento non reca alcuna esplicita protesta contro la schiavitù.
La schiavitù in epoca tardo-romana era in fase di regresso, ma resisteva in molti settori. Non era messa in
discussione neppure dalla Chiesa, la principale forza ideologica di quell’epoca, che si limitava a raccomandare
il buon trattamento degli schiavi indicando in qualche caso, come atto gradito al Signore, il loro affrancamento,
giustificato dai testatari con l’intenzione di redimersi.
La Chiesa partiva dal presupposto che lo schiavo in quanto essere dotato di anima, fosse uguale al libero
dinnanzi a Dio, benché ciò non comportasse immediatamente lo stravolgimento dell’ordine sociale vigente
La Chiesa, infatti, era sorta in un contesto sociale in cui la schiavitù appariva conforme sia al diritto naturale
sia a quello divino.
L’accettazione della schiavitù era tanto profondamente radicata, non solo nella coscienza degli uomini liberi,
ma anche in quella di chi la subiva, al punto che costoro non erano nemmeno in grado di concepire l’idea
di benessere se privata della facoltà di possedere schiavi.
Malgrado la Chiesa accettasse ciecamente la schiavitù considerandola un'istituzione resa necessaria dal peccato
originale, aveva dimostrato anche interesse nei riguardi dello schiavo ed aveva stabilito che per i
padroni il dovere di trattare i loro servi come fratelli di Cristo. Il Cristianesimo cominciò ad attenuare le
dure leggi e le abitudini severe del mondo romano per migliorare successivamente le condizioni degli
schiavi, che ottennero nel tempo una certa dignità morale. Tutto questo comunque non la scia intravvedere
una volontà esplicita di abolire la schiavitù.
Il fatto che i cristiani abbiano accettato l'istituzione fino al XVIII secolo senza che nessuna vera e propria
protesta venisse mossa, dà prova di un alto grado di tolleranza dell’istituzione stessa.
L’uguaglianza degli uomini davanti a Dio e la schiavitù rimanevano per un certo verso un contraddizione.
22
Il Cristianesimo dava una soluzione a questo contrasto, e riusciva a spiegare razionalmente la schiavitù ed a
suscitare, allo stesso tempo, ideali che erano, in potenza, abolizionisti.
La schiavitù era considerata un castigo in conseguenza del peccato o di una naturale deficienza spirituale
che impediva all'individuo di comportarsi secondo i canoni della virtù. Lo schiavo era un discendente di
Canaan, un uomo privo di ragione o un peccatore che disprezzava la verità. Stoici e cristiani si sforzavano
di distinguere lo schiavo vero da quello apparente. Si asseriva che uno schiavo poteva essere in realtà più
libero del suo padrone e che un padrone che non poteva fare a meno dei suoi schiavi era lui il vero schiavo.
Durante il XIV e XV secolo la Chiesa intensificò i suoi sforzi per impedire ai cristiani di divenire schiavi
degli eretici. Nel 1425 una bolla papale minacciava di scomunica coloro che facevano commercio di cristiani
e ordinò agli Ebrei che esercitavano anche il commercio degli schiavi, di portare un distintivo infamante
sulle vesti, in parte per precludere loro l’acquisto dei Cristiani.
Nonostante i mercanti facessero poca attenzione alla religione e alla loro merce si può dire che il XV secolo
era molto cresciuta la prevenzione degli Europei verso l’asservimento di uomini di Paesi cristiani. Questi
scrupoli non venivano estesi agli eretici che venivano giudicati immeritevoli di libertà.
Catturando o comprando infedeli gli europei erano convinti di infliggere un colpo all’ateismo generale.
Questo era il pensiero del clero allorché gli Europei stabilirono i primi contatti con l’Africa.
E’ particolarmente significativo nel XV secolo l’impegno dei Trinitari che sorti nel 1198 con l’approvazione
di Innocenzo 3°avevano come compito quello della liberazione degli schiavi cristiani in terra mussulmana.
Si calcola che essi abbiano liberato nel periodo della loro attività circa 900.000 schiavi. Il loro zelo era così
intenso che a volte lasciavano se stessi in cambio degli schiavi. Persino Voltaire riconosceva la bellezza di
questa storia esaltante.
Giuristi, filosofi e teologi dichiararono legale la schiavitù dei neri. Condannarono la schiavitù: papa Urbano
8° con la bolla del 22 aprile 1639 (pare che questa condanna avesse come base il fatto che il commercio degli
schiavi della Guinea fosse in quel periodo in mano degli olandesi di religione protestante) e in modo definitivo
da Gregorio 16° con la lettera “In supremo” del 1839 con queste parole: “In virtù della nostra autorità
riproviamo il traffico dei negri come indegno del nome Cristiano. In virtù di questa stessa autorità proibiamo
e interdiciamo ad ogni ecclesiastico o laico di considerare il traffico dei negri come lecito e sotto qualsiasi
pretesto di predicare o insegnare in pubblico o in qualunque altro modo una dottrina in contrasto con quella
apostolica”.
Ma la giustificazione teologica che la cristianità medioevale aveva dato alla schiavitù è sopravvissuta fino
all’era moderna.
Per circa duemila anni gli uomini avevano pensato al peccato come ad una forma di schiavitù.
Un giorno sarebbero arrivati a pensare alla schiavitù come ad un peccato.
Durante il Concilio Vaticano 1° (1870) il vescovo Daniele Comboni si batteva contro la schiavitù ed il mercato
degli schiavi in Egitto. Era convinto che non si poteva eliminare lo schiavismo a base di trattati come pensavano
di fare le nazioni europee e scriveva: ”l’abolizione della schiavitù decisa dalle potenze europee a
Parigi nel 1856 è lettera morta per l’Africa centrale e proponeva la scomunica ai cristiani che cooperavano
alla tratta degli schiavi, di non restituire gli schiavi che fuggivano e che si rifugiavano alla missione e di
fronte alle proteste dei padroni, di andare in tribunale forti della legge abrogazionista egiziana.
In occasione dei 500 anni dell’invasione dell’America , Giovanni Paolo 2°, durante la visita all’isola di Gorè,
in Senegal, uno dei porti dove gli schiavi erano venduti all’asta, chiese agli africani di perdonare il crimine
inumano commesso da coloro che si dicevano cristiani.
***
23
Questa istituzione, oggi così contraria ai diritti dell’uomo e che ci porta a distanza di secoli
ad una condanna di uomini ed istituzioni, ci rammenta altresì, che il tribunale della storia
pazientemente attende di giudicare le nostre azioni e quelle delle istituzioni di questo
nostro tempo, che evidenziano già da oggi le loro contraddizioni e che noi tolleriamo pur
nelle loro ambiguità o ingiustizia palese: come la fame nel mondo, il debito internazionale
le sopraffazioni e le ingiustizie internazionali.
http://www.ipsia.pn.it/progetto_schiavi/fi...pagina22_23.pdf