Il mistero di perché i bimbi raccontassero atti sessuali da loro conosciuti
www.giornaledelcilento.it/it/suor_s...ml#.V16FS7uLSUnSuor Soledad, i perché della sentenza: «Indagini non approfondite, mistero su dettagli sessuali conosciuti dai bambini»
Marianna Vallone • 12 giugno 2016 15:39
I giudici della Corte d’appello hanno assolto con formula piena tutti gli imputati coinvolti nel processo sui presunti abusi sessuali ai danni dei piccoli alunni dell'asilo Paolo VI di Vallo della Lucania. Ma nelle motivazioni della sentenza, arrivate dopo 90 giorni, gli stessi giudici sospettano che i bambini abbiano potuto subire dei maltrattamenti. Principale coinvolta e indagata suor Soledad, una novizia peruviana all'anagrafe Carmen Soledad Bazan Verde, accusata di aver abusato di oltre quaranta bambini di età dai 3 ai 5 anni dell'asilo gestito dalle religiose dell'ordine di Santa Teresa del Bambino Gesù, poi due suore accusate di favoreggiamento, e in un secondo filone d'inchiesta indagati anche il muratore Aniello La Bruna (ritenuto il presunto fidanzato di suo Soledad) e il fotografo Antonio Rinaldi. Questi ultimi erano stati già assolti in primo grado da Tribunale di Vallo che invece aveva condannato la suora a 8 anni e a 16 mesi le due consorelle, Agnese Cafasso e Giuseppina De Paola. Presunti abusi a Vallo della Lucania: assolta Suor Soledad e tutti gli imputati.
La Corte d’appello di Salerno ha dunque accolto la richiesta del procuratore generale Maddalena Russo, che aveva chiesto l’assoluzione per tutti gli imputati. Ma forse qualcosa in quell'asilo è successo. Lo ipotizzano gli stessi giudici nelle motivazioni della sentenza depositata nei giorni scorsi. Nello specifico - scrivono - alla luce dell’intero compendio probatorio dei medici si ritiene che nessun abuso di natura sessuale sia stato commesso all’interno dell’asilo dalla suora e che le prove portino ad escludere la sussistenza del reato di atti sessuali ai danni dei piccoli alunni dell’istituto - ma non esclude che - le attività investigative hanno compromesso la possibilità di accertare in modo obiettivo e sereno i fatti verificatisi, che al più si concretano in ipotesi di maltrattamenti (reato che però ormai sarebbe prescritto in ragione della data dei fatti e del tempo trascorso.
Sul secondo filone i giudici sottolineano «che in assenza di altri elementi di prova da porre a riscontro dei fatti (intercettazioni, reperimento dei reperti fotografici e audiovisivi) le testimonianze indirette dei minori sono assolutamente inidonee a comprovare i reati». I giudici poi ipotizzano che all'origine delle testimonianze rese dai bambini possano esserci «l'involontario stimolo al racconto proveniente dalle persone che circondavano i minori, il condizionamento generato sulla psiche di questi ultimi dal clamore provocato dalle investigazioni e il desiderio - scrive il collegio - ben comprensibile di un bimbo giovanissimo di continuare ad ottenere dai genitori le cure e il trattamento oltremisura affettuoso ricevuto con ogni probabilità nel trimestre precedente».
Nelle motivazioni i giudici però «bacchettano» gli inquirenti sia per il primo che per il secondo filone d'indagine. «La presenza di un quadro dichiarativo di tale complessità avrebbe reso necessario l’esperimento di un nuovo incidente probatorio e ciò allo scopo di operare con l’ausilio di esperti, l’opportuna depurazione delle dichiarazioni dei minori e di far affiorare la realtà se esistente dei fatti da essi narrati», scrivono e aggiungono: «Una operazione possibile solo se posta in essere tempestivamente ossia nella fase delle indagini preliminari, nei modi opportuni e con l’ausilio di qualificati psicologi dell’età evolutiva. Rimane il mistero su come i minori (nello specifico tre) abbiano potuto conoscere in modo dettagliato determinate pratiche sessuali. Nei loro racconti i tre minori hanno fatto riferimento a scene di esplicito tenore pornografico» e qui il riferimento a quanto raccontato dai bambini su «scene di sesso orale e pipì sul seno».
http://lacittadisalerno.gelocal.it/salerno...iate-1.13644280Suor Soledad, l’accusa dei giudici «Le indagini furono sbagliate»
La Corte d’appello spiega le assoluzioni nel processo per pedofilia all’asilo di Vallo. Ipotizzati i maltrattamenti: «Ma l’attività investigativa ha compromesso l’accertamento della verità»
di Clemy De Maio
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11 giugno 2016
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Il Ris a Vallo della Lucania
Il Ris a Vallo della Lucania
VALLO DELLA LUCANIA. Forse qualcosa di increscioso è davvero accaduto nell’asilo “Paolo VI” che nel 2006 fu travolto da un’inchiesta per pedofilia. Lo ipotizzano gli stessi giudici della Corte d’appello che per quell’accusa hanno assolto con formula piena tutti gli imputati e che però, nelle motivazioni della sentenza depositate ieri, avanzano il sospetto di maltrattamenti. Sposano così la tesi del sostituto procuratore generale Maddalena Russo, che nel chiedere per tutti l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, accusava gli inquirenti di aver tralasciato altre piste per seguire quella «a senso unico» degli abusi sessuali. Una censura che la Corte d’appello (presidente Claudio Tringali, a latere Silvana Clemente e Massimiliano De Simone) non fa mistero di condividere scrivendo che «le attività investigative, condotte in seguito alle denunce presentate (senza tenere conto della particolare condizione in cui versavano i minori, particolarmente vulnerabili ed altamente suggestionabili per la tenera età) hanno compromesso la possibilità di accertare in modo obiettivo e sereno i fatti verificatisi, che al più si concretano in ipotesi di maltrattamenti (reato che sarebbe oramai prescritto in ragione della data dei fatti e del tempo trascorso)». Insomma indietro non si torna, e ai genitori dei bambini che ancora credono alle violenze sessuali non resta che il ricorso in Cassazione su questa ipotesi, senza che sia più possibile un’imputazione alternativa.
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Tutto è iniziato dieci anni fa, quando trenta genitori si rivolsero alla Procura di Vallo della Lucania per denunciare gli abusi sessuali di cui sarebbero stati vittima i figli, bambini tra i 3 e i 5 anni che frequentavano l’asilo gestito dalle suore. Le indagini furono seguite dal procuratore Alfredo Greco, si disposero perizie, sopralluoghi, arrivarono i Ris di Parma e criminologi di fama nazionale. Da principio fu coinvolta soltanto suor Soledad, alias la novizia peruviana Carmen Soledad Bazan Verde, poi due suore accusata di averla coperta e infine, in una seconda fase, il muratore Aniello La Bruna (presunto fidanzato di Soledad) e il fotografo Antonio Rinaldi, che si accusava di foto pedopornografiche. Gli ultimi due sono stati assolti già in primo grado dal Tribunale di Vallo della Lucania, che ha invece condannato a 8 anni suor Soledad per pedofilia e a 16 mesi le consorelle Agnese Cafasso e Giuseppina De Paola, accusate di favoreggiamento perché avrebbero saputo ed erano rimaste in silenzio.
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A marzo la sentenza d’appello ha invece assolto tutti per insussistenza del fatto («Si rende giustizia a persone che erano state dipinte come mostri» dichiarò l’avvocato Franco Maldonato che difende La Bruna) e ieri le motivazioni hanno riproposto le “bacchettate” agli inquirenti sia nella prima fase dell’indagine che in quella seguente, quando alcuni bimbi iniziarono a parlare del muratore e del fotografo arricchendo i racconti di particolari fantastici come la presenza di indiani e la casa che scompariva. «La presenza di un quadro dichiarativo di tale complessità – scrivono i giudici – avrebbe reso necessario l’esperimento di un nuovo incidente probatorio, e ciò allo scopo di operare, con l’ausilio di esperti, l’opportuna depurazione delle dichiarazioni dei minori e di far affiorare la realtà, se esistente, dei fatti da essi narrati». E, visto che visioni sessuali emergevano, «sarebbe stato opportuno tentare di investigarne l’origine in altri ambienti extrafamiliari frequentati dai minori».
www.angelacappetta.it/asilo-degli-o...re-lo-scandalo/Asilo degli orrori: assolta suor Soledad tra indagini carenti e minacce per mettere a tacere lo scandalo
in NEWS, PROCESSI 12 marzo 2016 410 Visite
“E adesso cosa dico a mia figlia?”. La signora Nadia è nell’aula della Corte d’Appello di Salerno, quando i giudici assolvono suor Soledad, condannata in primo grado a 8 anni per violenza sessuale su minori. La figlia della signora Nadia è una dei tredici bambini che all’istituto “Santa Teresa” di Vallo della Lucania avrebbero subito violenze e minacce nella “casa dei mostri”.
Soledad Carmen Bazan Verde fra qualche giorno compirà 36 anni. Non è una più una suora. Ha rinunciato ai voti dopo il noviziato trascorso nella scuola materna di Vallo della Lucania, gestita dalle Ancelle di Santa Teresa di Gesù Bambino, ed è tornata a casa sua, in Perù, dopo lo scandalo scoppiato nel piccolo centro dell’alto Cilento.
La figlia della signora Nadia oggi ha 14 anni ed è ancora in cura da uno psichiatra. I suoi disegni, fatti quando era ricoverata all’ospedale Bambin Gesù di Roma, sono ancora allegati agli atti del processo come documenti di prova di una storia fatta di abusi, violenze, minacce e silenzio, a cui avrebbero preso parte altre due suore dell’istituto – suor Agnese e suor Romana -, un fotografo e un muratore (questi ultimi già assolti in primo grado).
Maggio 2006: Chiara (nome di fantasia) ha quattro anni e viene ricoverata al Bambin Gesù perchè ha continue infezioni alla vagina, lividi alle parti intime e sulle gambe, è nervosa, sempre agitata e aggredisce chiunque cerca di toccarla. A meno che non sia lei a cercare il contatto fisico con le sorelline e i genitori.
Al reparto di neurologia, i medici intuiscono che il disagio della piccola è psicologico e, quando le visite mediche riscontrano anche una lesione all’imene non congenita, Chiara viene sottoposta ad una terapia psichiatrica. La piccola comincia a disegnare parti intime del corpo maschile e una casa dove non entra mai la luce. Il referto parla di “comportamenti sessualizzati” e “trauma da abusi subiti”.
Frattanto, a più di trecento chilometri di distanza, a Vallo della Lucania, un gruppo di genitori si incontra ad una festa e si scambia preoccupazioni sui comportamenti dei propri figli: anche questi bambini, maschi e femmine, hanno lividi nelle parti intime, infezioni e non vogliono più andare all’asilo. Le voci fanno presto a diffondersi in un paese di poche migliaia di abitanti, dove in un modo o nell’altro si conoscono tutti.
E basterà questo per improntare la strategia difensiva sulla “suggestione collettiva”, sul “contagio” di accuse che avrebbe contaminato i genitori delle piccole vittime. Suor Soledad, che intanto ha lasciato Vallo e si è trasferita a Roma, si affida ad uno dei psichiatri-avvocati più conosciuti in Italia, Guglielmo Gulotta, e come perito di parte sceglie il criminologo dei salotti mediatici, Francesco Bruno.
Il quadro investigativo che emerge è inquietante. I bambini raccontano ai loro genitori del “gioco del lupo”, una sorta di nascondino che la novizia li costringeva a fare a scuola, di abusi perpetrati nel bagno dell’istituto, anche alla presenza di suor Agnese che più volte avrebbe rimproverato suor Soledad e raccontato tutto a suor Romana, preoccupata che episodi del genere avrebbero fatto “chiudere la scuola”. Raccontano che suor Soledad li portava a casa del suo “fidanzato”, individuato poi in un muratore che stava facendo lavori di riparazione all’istituto. E qui entra in gioco la “casa dei mostri”, una casa buia e sporca, dove c’era un grande letto e un divano, dove suor Soledad si incontrava con un uomo e costringeva i bimbi ad assistere ai loro rapporti sessuali alla presenza di un fotografo che riprendeva tutto.
I genitori denunciano e la Procura di Vallo della Lucania apre un’inchiesta. Ma le investigazioni presentano già delle falle. Già durante la fase delle indagini preliminari, si scopre che una consulente del gip ha costanti rapporti telefonici con uno degli indagati: viene estromessa dal procedimento e gli avvocati di parte civile riescono ad evitare l’archiviazione.
La “casa dei mostri” viene perquisita e vengono trovati giochi e impronte digitali di bambini, ma il muratore si rifiuta di far comparare le impronte con quelle dei suoi nipoti. Sarà uno dei marescialli dei carabinieri a dichiarare durante il processo che la Procura di Vallo della Lucania non ha più disposto alcune rilevazioni all’interno di quella casa. Quelle impronte restano quindi un mistero.
Ma c’è un altro particolare che sfugge alle indagini: le minacce che i genitori di un bambino avrebbero subito per evitare di denunciare il tutto in Procura. Tre uomini, tra cui un politico, avrebbero chiesto il silenzio in cambio di vantaggi lavorativi. Grazie ad un confronto all’americana, l’episodio riesce ad entrare comunque negli atti del processo, ma nessuna indagine viene avviata e anche questo particolare resta un mistero.
Un mistero che porterà il collegio di primo grado a condannare suor Soledad per violenze sessuali e le due suore per favoreggiamento, ma ad assolvere i due uomini, calando un velo di silenzio sulla “casa dei mostri”.
“Cosa dico adesso a mia figlia?”, si chiede in lacrima la signora Nadia dopo la lettura del dispositivo della sentenza di assoluzione in appello. “Che questa sentenza è la giustizia dell’ingiustizia italiana”, risponde il padre di un’altra piccola vittima: un bimbo di 4 anni che, ora che ne ha 14, ha ancora paura del buio.
© Angela Cappetta