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Morto Georg Ratzinger, custode dei segreti dei 547 bimbi abusati da preti nel coro di Ratisbona, Diocesi offrì 2.500 € a 72 vittime. Ma per il Vaticano sono scherzi da caserma

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pincopallino2
view post Posted on 26/7/2017, 07:51 by: pincopallino2

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L'Osservatore Romano fa la vittima della persecuzione mediatica. Senza spiegare perché allevano criminali in serie

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Coro coi due Ratzinger

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/2...aserma/3752613/


Preti pedofili, per l’Osservatore Romano le violenze di Ratisbona sono cose da caserma
di Marco Marzano | 25 luglio 2017

L’autorevole organo ufficiale della Santa Sede è intervenuto, con un commento significativamente intitolato “Due pesi e due misure”, sui fatti di Ratisbona, lamentando l’eccessiva durezza con la quale i media (e in particolare il mio pezzo sul Fatto Quotidiano di venerdì scorso) tratterebbero gli scandali della Chiesa Cattolica. Nelle caserme, si legge nell’articolo, si commettono crimini analoghi e nessuno pare indignarsi. Quando invece il problema riguarda la Chiesa Cattolica, come per i fatti di Ratisbona, la pietà per l’istituzione sarebbe accantonata e la crudeltà giornalistica esaltata. E poi, a Ratisbona, puntualizza L’Osservatore Romano, si sarebbe trattato soprattutto di “interventi maneschi” (547 casi accertati) più che di abusi sessuali (67 casi). I primi sarebbero, per l’Osservatore Romano, bontà sua, “deprecabili”, “ma certo meno gravi degli stupri”.

Consiglio ai giornalisti dell’autorevole testata di leggere meglio il rapporto dell’avvocato Weber: vi troveranno, oltre a quella dei tanti abusi sessuali, la descrizione di ragazzini delle elementari tempestati di pugni sul volto o costretti a ingoiare il proprio vomito o picchiati selvaggiamente con bastoni e mazze, infilati sotto docce bollenti o gelidi e tante altre azioni del genere. Non di simpatici buffetti o di “interventi maneschi” si è trattato dunque, ma di torture da lager compiute su bambini terrorizzati e impotenti. I crimini non si commettono solo a letto, se c’è di mezzo il sesso, come forse pensa qualche perbenista.

La gravità dei fatti di Ratisbona, nel merito solo rapidamente accennati nell’articolo senza pronunciare una sola parola di vicinanza alle vittime, sarebbe stata esagerata ad arte da inveterati nemici della Chiesa, che avrebbero approfittato dell’occasione per sparare contro il loro bersaglio prediletto, secondo una consumata abitudine a criminalizzare il cattolicesimo.

L’Osservatore Romano ha insomma scelto la linea del vittimismo, dell’ingiusta persecuzione. Lo dico di nuovo con chiarezza: se questa rimarrà la linea vaticana, la Chiesa andrà incontro a grossi guai. Piangersi addosso potrà sortire l’effetto di compattare i fedelissimi più tradizionalisti, i credenti meno maturi, quelli per i quali ogni critica alla Chiesa Cattolica equivale ad un atto di lesa maestà, ma non impedirà che sull’istituzione si riversi un’immensa quantità di discredito e di disaffezione popolare, come è avvenuto ad esempio in Irlanda, dove una Chiesa un tempo potentissima è oggi ridotta al lumicino anche in ragione degli scandali legati alla pedofilia. E poi quale credibilità può provenire dalla posizione puerile di chi, accusato di una colpa grave, si lamenta del fatto che un altro non abbia subito la stessa sorte? Chi può credere che la più antica, ricca e potente istituzione religiosa dell’Occidente sia una creatura ingiustamente maltrattata, debole e bisognosa di protezione? E infine chi non comprende che se si dà il risalto che meritano a notizie come quelle di Ratisbona si incoraggiano altre vittime a venire finalmente allo scoperto, a denunciare gli aguzzini?

La verità è che la Chiesa Cattolica ha alle sue spalle una vicenda millenaria che, al pari di ogni altra storia umana, ha prodotto azioni magnifiche ed edificanti e crimini orrendi. La pedofilia è uno di questi ultimi. Per capire da dove essa provenga, per comprendere come sia stato possibile che a Ratisbona, e in altri luoghi simili, vi fosse un’enorme concentrazione di sadici e perché nessuno li abbia fermati e denunciati, perché cioè la violenza, anche sessuale, e l’abuso siano diventati, lì e altrove, sistema, cultura condivisa, per far luce su tutto questo è necessario avviare una spietata indagine autocritica, è indispensabile incominciare davvero a riflettere, senza paure, sulla mostruosità di quei gesti e sulla ragione per la quale sono stati compiuti proprio lì e proprio da preti e casomai sollecitare l’emersione di nuovi casi, mettere in moto un gigantesco processo di pulizia morale e spirituale che deve inevitabilmente riguardare anche il passato: un’azione terrificante e spaventosa, me ne rendo conto, per un’istituzione poco incline al cambiamento e agli esami di coscienza collettivi come la Chiesa Cattolica e però anche l’unico modo per combattere lo “spirito di Ratisbona”, ovvero il sentimento di onnipotenza, il percepirsi come creature autorizzate a fare di tutto, ad usare e abusare del prossimo trattandolo come un mero strumento per il proprio piacere, a governare i corpi e le coscienze con la brutalità, l’inganno e l’arbitrio, senza riconoscere l’umanità e la sofferenza dei deboli e degli indifesi e senza la capacità di ammettere le proprie responsabilità, di riconoscersi colpevoli, di fare autocritica.

In ogni caso, invocare brutture analoghe commesse altrove, ad esempio nelle caserme, non aiuta e rappresenta un penoso tentativo di distogliere l’attenzione dal problema, di far concentrare il pubblico sul dito che la indica e non sulla luna. E’ chiaro che verso le illegalità commesse nelle caserme in un regime democratico bisogna usare, anche da parte della stampa, un’inflessibile severità, ma va anche ricordato che le chiese non sono eserciti (e non solo perché nei primi sono assenti le vittime più deboli, cioè i bambini): esse, soprattutto ai giorni nostri, nel clima di libertà nel quale per fortuna viviamo, prosperano se le persone si convincono che al loro interno soffia un vento di autenticità, di bellezza e di amore. Esattamente il contrario di quello, lugubre, criminale e malvagio, che spirava a Ratisbona e in tanti altri luoghi simili, quelli che abbiamo già scoperto e quelli che probabilmente verremo a conoscere presto (perché di storie come queste rimaste nell’ombra ce ne sono ancora tante). Non capirlo significa lanciarsi verso il precipizio senza paracadute.

www.osservatoreromano.va/it/news/due-pesi-e-due-misure

Due pesi
e due misure
· ​I media e il caso di Ratisbona ·
21 luglio 2017
Giorni fa sul «Corriere della Sera» è stata ricostruita con un certo rilievo la storia di un uomo che raccontava di avere subito all’inizio degli anni ottanta in una caserma romana violenze e stupri. Così pesanti da ridurlo per lungo tempo privo di sensi. Nonostante la gravità del caso e la difficile ripresa fisica e psichica, la vittima era stata invitata dai superiori militari a tacere, per non infangare il buon nome dell’esercito. E aveva obbedito, disperando di essere ascoltata.



All’articolo non ha fatto seguito alcuna indignazione collettiva, nessuna richiesta di denuncia degli stupratori né di reprimenda all’esercito con conseguente apertura di indagine sul caso, notoriamente non isolato, ma parte di una deplorevole ma inveterata abitudine di praticare violenze e umiliazioni nel corso dei rituali di iniziazione. Fatti simili sono accaduti, ed esiste fondato timore che accadano ancora, in altre istituzioni “forti”, persino accademiche, come per esempio nei più celebri collegi inglesi, ma anche in scuole d’élite italiane. Proprio quei riti di iniziazione perversi che un commento del «Fatto Quotidiano» attribuisce invece ai seminari, liquidati nientemeno che come fabbriche di pedofili.

Ben diversa è stata l’attenzione che i media hanno rivolto alla triste vicenda dei piccoli cantori di Ratisbona: ampio spazio e titoli che, denunciando 547 casi di violenze, hanno spesso lasciato intendere che si sia trattato di quasi seicento stupri, mentre i casi di abusi sessuali nell’arco di quasi mezzo secolo sono stati 67. E bisognava approfondire per capire che sono stati soprattutto deprecabili interventi maneschi — ma certo meno gravi degli stupri — da parte di docenti, peraltro non di rado sadici. E soprattutto per capire che non era uno scoop, ma il risultato di una rigorosa indagine voluta dal vescovo della diocesi, quindi dalla Chiesa stessa, decisa ad andare a fondo di voci e denunce su questo scandalo.

Nessuno dubita che si tratta di atti ignobili e vergognosi, che dovevano essere puniti e soprattutto prevenuti, ma colpisce il livello di manipolazione mediatica del caso, e soprattutto la percezione diversa che l’opinione pubblica ha di episodi simili: da una parte tolleranza verso la vita militare e gli eccessi di un nonnismo che degenera in violenza, dall’altra estrema severità verso l’istituzione ecclesiastica.

Del resto, l’abitudine a indicare la Chiesa cattolica come fonte di tutti i mali fa ormai parte dell’esperienza quotidiana e prepara l’opinione pubblica a considerare questo normale. Un recente esempio italiano: sulla televisione pubblica, in prima serata, un programma ha presentato il caso di una famiglia composta da due mamme con quattro bambini dai tre ai dieci anni. L’intervistatore pronto ad accogliere con evidente compiacimento ogni aspetto positivo — la coppia viveva immersa in una perfetta felicità e i bambini erano allegri e buonissimi — e con palese dolore quelli negativi, cioè che le due donne in Italia non possono considerare i quattro bambini come figli di entrambe, anche se ripetevano accoratamente che si trattava in realtà di fratelli. E di chi la colpa di questa evidente ingiustizia? Del Vaticano, ovviamente. Il fatto che si tratta di una legge dello stato italiano e che vi siano anche molti laici contrari al riconoscimento legale delle famiglie omosessuali era abilmente dimenticato: più facile, e da gran parte del pubblico presumibilmente condiviso, il vecchio trucco di dare la colpa di tutto alla Chiesa.

Certo, lo sappiamo bene, la Chiesa è un’istituzione speciale, e a essa viene giustamente richiesta un’esemplarità assoluta, ma questo ricorso costante a due pesi e due misure nel giudicare i suoi comportamenti e nell’attribuire responsabilità non giova a nessuno. Non giova alla chiarezza delle questioni, e non giova soprattutto quando si tenta di eliminare ingiustizie, di punire i colpevoli di violenze, di impedire che queste si ripetano.

di Lucetta Scaraffia

http://www.cinquantamila.it/storyTellerThr...ARAFFIA+Lucetta
Biografia di Lucetta Scaraffia

da Paolo Paiusco
• (Lucia) Torino 23 giugno 1948. Storico. Insegna all’Università La Sapienza di Roma. È membro del Comitato nazionale per la bioetica. Scrive sull’Osservatore romano.
• Cattolica, studiosa delle donne, soprattutto sotto la specie religiosa (Santa Rita, Francesca Cabrini). Ha curato con Eugenia Roccella il volume Italiane, 247 ritratti femminili (Poligrafico, 2004). Altri libri, più di recente: Due in una carne. Chiesa e sessualità, con Margherita Pelaja (Laterza 2008), Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati, con Eraldo Affinati (Lindau 2012), Per una storia dell’eugenetica. Il pericolo delle buone intenzioni (Morcelliana 2013).
• Sorella di Giuseppe Scaraffia, moglie di Ernesto Galli Della Loggia.
• Un primo matrimonio, con un compagno di università della Statale di Milano, dichiarato nullo dal Tribunale del vicariato di Roma: «“Mi sposai in chiesa solo per accontentare mia madre. Era il 1971. A celebrare le nozze fu il cappellano di San Vittore”. Nel 1982 ebbe una figlia con lo storico Gabriele Ranzato, anch’egli reduce da un matrimonio fallito» (a Stefano Lorenzetto) [Pan 1/9/2009].
• Già vicepresidente di Scienza e Vita (associazione in cui milita tra l’altro la senatrice teodem Paola Binetti); nel 2008 si candidò a Roma con una lista civica pro Rutelli (non eletta). «Non sono una ex femminista, ma una femminista che si batte da tempo contro “il pensiero unico femminista”».
• Un suo articolo sull’Osservatore romano del 3 settembre 2008 proponeva (implicitamente) di riconsiderare la possibilità di definire la morte in base all’arresto cardiocircolatorio (come si faceva prima del 1968) invece che in base all’encefalogramma piatto, come avviene dopo il rapporto di Harvard (1968). Una decisione di questo genere avrebbe conseguenze enormi, per esempio, sulla disciplina dei trapianti e sulle decisioni relative agli interventi di eutanasia o di non accanimento terapeutico (vedi anche Eluana Englaro e Mina Welby). Dopo l’uscita dell’articolo, la Santa sede precisò che non rappresentava l’attuale punto di vista della Chiesa (che accetta il rapporto di Harvard).
• «M’ero limitata a recensire due libri sul fine vita. L’Unità è arrivata a sostenere che per colpa mia sono morti alcuni pazienti in attesa di trapianto. Persino The Economist e Le Monde hanno riconosciuto che ho posto un problema reale, che la discussione su questo tema spinoso è aperta in tutto il mondo. Solo in Italia sembra proibito parlarne» (a Lorenzetto, cit.). «Le polemiche divamparono. Molte vennero dai più autorevoli esponenti del mondo cattolico. Ma qui occorre dire una cosa: anche se l’articolo portò il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, a precisare che non si trattava di “un atto del magistero della chiesa né un documento di un organismo pontificio” e che le riflessioni ivi espresse erano “ascrivibili all’autrice del testo e non impegnano la Santa Sede”, probabilmente quella volta il pensiero espresso dalla Scaraffia non era tanto lontano da ciò che pensa Joseph Ratzinger in merito» (Paolo Rodari) [Fog 13/2/2010].
• Ammette di sentirsi poco a suo agio nell’Italia di oggi, e di trovare i giovani sempre più incolti e smarriti: «L’altro giorno citavo un passo della Divina commedia. Alza la mano un ragazza: “Professoressa, mi può ripetere titolo e autore?”. Io, pronta a tutto, ripeto. E lei: “Mi può ricordare per favore la trama?”. Lo spreco della gioventù è tristissimo» (a Lorenzetto, cit.).
GIORGIO DELL’ARTI, scheda aggiornata al 19 agosto 2014
 
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10 replies since 22/3/2010, 20:12   10237 views
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