https://overthedoors.it/in-evidenza/diffam...zie-a-ossigeno/Diffamazione. Claudia Aldi assolta dice “grazie” a Ossigeno
30 marzo 2017
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Caludia Aldi
Caludia Aldi
Una testimonianza della giornalista Claudia Aldi, difesa vittoriosamente dall’Ufficio legale di Ossigeno in un processo per diffamazione a mezzo stampa
Il processo, iniziato nel 2003, si è concluso dopo 14 anni in Corte di Appello di Perugia, il 10 marzo 2017 con la sua assoluzione. In primo grado la giornalista era stata condannata. L’arrivo di un nuovo editore le aveva fatto mancare il sostegno dell’azienda per la copertura delle spese legali.
Claudia Aldi, giornalista professionista, ha lavorato per sedici anni nei quotidiani locali in Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Lombardia, prima come cronista di nera e giudiziaria e poi come responsabile di redazione. Nel 2008 è stata tra i vincitori del “Premio cronista” intitolato a Piero Passetti. Dal 2006 al 2009 è stata responsabile dell’ufficio stampa nazionale della Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori). Attualmente è inviata di “Chi l’ha visto?”, programma di Rai3.
di Claudia Aldi – Non so perché l’abbiano chiamato Ossigeno, questo osservatorio, ma so di certo che a me ha regalato quella boccata di giustizia che aspettavo da quattordici anni. Quattordici interminabili anni in attesa di una assoluzione, in secondo grado, giunta per la mia attitudine a non mollare mai e per la preziosa professionalitá dell’avvocato Andrea Di Pietro, che ha spinto il mio coraggio a rinunciare a una ‘comoda’ prescrizione in nome di una giusta sentenza. Ecco i fatti.
Nel 2003 lavoravo come cronista di nera e giudiziaria nell’edizione maremmana del Corriere dell’Umbria e mi occupai del fatto che era stato arrestato un sacerdote accusato di pedofilia nel paese di Arcille, piccolo Comune della Maremma toscana. Secondo gli inquirenti, aveva molestato i bambini che frequentavano il catechismo.
Dedicai ampio spazio alla vicenda. Il primo giorno, raccontando i dettagli delle indagini che avevano portato il pm a richiedere e il gip a firmare e a disporre un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del sacerdote; il secondo giorno con un reportage di quattro pagine. Di nuovo dettagli sulle indagini e sull’operato degli investigatori, poi articoli con interviste agli abitanti del paese dove il sacerdote era parroco, un’intervista a don Fortunato di Noto, responsabile della missione Arcobaleno, e anche una voce fuori dal coro, quella di un padre che non soltanto diceva che suo figlio non era mai stato molestato, ma che, durante le audizioni in procura, il ragazzino, ovviamente minorenne, era stato ascoltato negli uffici della polizia giudiziaria senza la presenza degli psicologi e che, chi lo interrogava, era andato in escandescenze in sua presenza.
Insomma, al di lá delle accuse mosse dagli inquirenti al sacerdote, mi sembrò doveroso raccogliere questa testimonianza, una specie di storia nella storia, e – sottolineo – dopo averla verificata, raccontarla ai nostri lettori. Le dichiarazioni del padre del ragazzino furono riportate tra virgolette, senza forzare i raccordi che le univano per evitare di enfatizzarne i contenuti.
Nel testo si parlava genericamente di polizia e carabinieri. Ebbene, sono stata querelata da due poliziotti e un carabiniere che si sentirono chiamati in causa, avanzando domanda di risarcimento danni per decine di migliaia di euro. Nonostante non vi fossero i presupposti per una richiesta di rinvio a giudizio, come ha poi brillantemente dimostrato in Appello l’avvocato Andrea Di Pietro, sono finita sotto processo e condannata, anche se il pm, in primo grado, aveva chiesto la mia assoluzione, dopo otto anni di udienze e rinvii.
Il tempo trascorso ha fatto sì che con la condanna giungesse anche la prescrizione. Ma non ho approfittato dello stop imposto dalla giustizia lumaca. Era mio diritto rinunciarvi. E l’ho fatto. Non é stato difficile. Quando sai di essere tutelato e di essere in ottime mani, ciò che può apparire rischio diventa ricerca di verità e chiarezza. E così é stato. L’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione Onlus mi ha poi assistito bene e senza spese legali a mio carico. Questo è stato importante poiché, nel frattempo, il mio giornale aveva cambiato editore e lasciato tutti noi redattori senza garanzia di assistenza per le cause in corso.
E’ molto importante che esistano associazioni come Ossigeno. Ringrazio personalmente Alberto Spampinato, che ne è l’anima pensante (e non solo).Oggi, chi va in prima linea armato di taccuino o telecamera per raccontare i fatti rischia di pagare in proprio, a volte anche ingiustamente, per aver svolto il dovere di cronista, con serietà e passione. In questa situazione diventa fondamentale sapere che esistono solide realtà come Ossigeno per l’Informazione, in grado di svolgere la funzione di sostegno al singolo giornalista che dovrebbe essere svolta dalle aziende editoriali. Per far sì che sia il giornalismo stesso, prima di tutto, a rispettare se stesso e a farsi rispettare. Dunque, grazie di cuore a Ossigeno.
Claudia Aldi
Questo episodio rientra nelle statistiche delle intimidazioni agli operatori dell’informazione di Ossigeno per l’Informazione
http://notiziario.ossigeno.info/2017/03/la...aso-aldi-79572/LA VITTORIA DELL’UFFICIO LEGALE DI OSSIGENO SUL CASO ALDI
di Avv. Andrea Di Pietro 30 marzo 2017 18:57 | Nessun commento
Tribunale
La giornalista fu querelata 14 anni fa e condannata in primo grado per un’intervista. Ha rinunciato alla prescrizione ed è stata assolta in appello a Perugia
Il processo per diffamazione a mezzo stampa alla giornalista Claudia Aldi, assolta dopo 14 anni leggi e assistita dall’Ufficio Legale di Ossigeno, è un caso di scuola.
La vicenda si riassume in poche parole. Nel 2003, ad Arcille, una frazione del Comune di Compagnatico, in provincia di Grosseto, viene scoperto un crimine terribile: il parroco del paese adesca i bambini che frequentano il catechismo e compie abusi sessuali su di loro. La notizia di un prete pedofilo avrebbe sconvolto anche una grande metropoli, avrebbe occupato le prime pagine dei quotidiani nazionali. Figuriamoci quindi l’impatto che il fatto ebbe su quella piccola comunità maremmana di duecento anime.
Claudia Aldi, giovane cronista, fu inviata ad Arcille dal direttore del Corriere della Maremma per occuparsi del caso e pubblicò un reportage di quattro pagine. Raccontò dettagliatamente e con toni encomiastici l’operazione della polizia giudiziaria, che aveva scoperto le gravissime condotte del parroco.
Nell’ambito di quel reportage fu data voce al padre di un bambino, che rilasciò un’intervista mai smentita. Quel genitore, parlando fuori da dal coro, difese pubblicamente il parroco dicendo: “E’ tutto falso. Le indagini sono state vergognose. Hanno messo le parole in bocca ai bambini interrogati. Si è voluto trovare per forza il capro espiatorio”. E ancora: “Mio figlio ha undici anni ed è stato spaventato dai poliziotti e dai carabinieri… Agli interrogatori non era presente neanche uno psicologo”.
Per queste dichiarazioni dell’intervistato, Claudia Aldi è stata querelata da tre agenti della polizia giudiziaria, nemmeno indicati nell’articolo. Fu condannata in primo grado, sia penalmente sia al risarcimento del danno. Secondo il tribunale era colpevole, perché non avrebbe dovuto pubblicare quella intervista e per averla pubblicata non poteva invocare il diritto di cronaca che scrimina (cioè annulla la punibilità per un reato) la diffamazione, posto che – proseguiva il tribunale – le affermazioni dell’intervistato erano palesemente false e la giornalista non le aveva in alcun modo controllate.
Secondo il tribunale che ha condannato, la scriminante non è invocabile quando l’intervistato esprima valutazioni critiche gratuitamente offensive, perché in quel caso l’illiceità della dichiarazione è immediatamente rilevabile dal giornalista, senza neppure l’esigenza di svolgere indagini per verificarne la corrispondenza ai fatti. Tradotto in termini più semplici, secondo il primo giudice il giornalista che raccoglie dichiarazioni potenzialmente offensive dovrebbe astenersi dal pubblicarle, anche in presenza di un indubbio interesse pubblico.
Quella condanna in primo grado si basava su un principio di diritto già superato al momento della sentenza e lo abbiamo dimostrato in appello. Abbiamo anche dimostrato che l’intervistato non diceva il falso. Ma soprattutto, abbiamo convinto la Corte di Appello di Perugia che, anche se l’intervistato avesse detto il falso, comunque la giornalista avrebbe dovuto pubblicare le sue dichiarazioni per l’evidente e intrinseco interesse pubblico delle stesse, elemento che già da solo solleva la giornalista dall’onere del controllo.
Ormai, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è definitivamente attestata su questa posizione di maggiore garanzia nei confronti del diritto di cronaca, in particolare in tema di interviste, stabilendo che la posizione imparziale dell’intervistatore lo rende immune da censure.
In particolare, la Cassazione penale, sez. V, sentenza 22/02/2016 n° 6911, ha affermato che pretendere che il giornalista intervistatore controlli la verità storica del contenuto dell’intervista potrebbe comportare una grave limitazione alla libertà di stampa; e pretendere che si astenga dal pubblicare l’intervista perché contenente espressioni offensive ai danni di altro soggetto noto, significherebbe comprimere il diritto-dovere di informare l’opinione pubblica su tale evento. Tra l’altro, non si può attribuire al giornalista il compito di purgare il contenuto di un’intervista dalle espressioni offensive, sia perché gli verrebbe attribuito un potere di censura non di sua competenza, sia perché la notizia, costituita appunto dal giudizio non lusinghiero, espresso con parole forti da un soggetto noto all’indirizzo di altro soggetto noto, verrebbe a essere svuotata del suo reale significato.
Parole più chiare in difesa della libertà del giornalista di raccogliere dichiarazioni di interesse pubblico, anche se offensive, non potevano essere pronunciate.
L’avv. Andrea Di Pietro è il responsabile dell’Ufficio di Assistenza Legale di Ossigeno
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