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Crisi di vocazioni. Crollano i missionari italiani, da 24.250 a 8.000, Infestiamo sempre meno il mondo. Ma in compenso importiamo oltre 1.500 preti

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view post Posted on 12/5/2018, 21:31
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Infestiamo sempre meno il mondo. Ma in compenso importiamo oltre 1.500 preti


Un sacerdote fidei donum mentre confessa nella periferia di Lusaka in Zambia

www.avvenire.it/chiesa/pagine/dimi...ibuto-dei-laici

Il rapporto. Diminuiscono i missionari ma cresce il contributo dei laici
Giulio Albanese sabato 12 maggio 2018
Così il servizio ad gentes dal nostro Paese all’estero: dai 24.250 del 1990 agli 8.000 delle ultime stime

Il tema vocazionale, dal punto di vista ad gentes, è scottante e interpella ogni comunità cristiana. Solitamente l’enfasi, per ovvie ragioni di necessità ed opportunità, è posta sul calo delle vocazioni ad intra, cioè quelle sacerdotali, religiose e di speciale consacrazione, che sono chiamate a svolgere il loro servizio pastorale all’interno dei confini del nostro Paese. Eppure, il fenomeno della cosiddetta decrescita vocazionale interessa anche i missionari/e ad gentes, vale a dire di coloro che si consacrano per annunciare e testimoniare il Vangelo in terre geograficamente lontane o comunque straniere. A questo proposito s’impone necessariamente una seria riflessione, non foss’altro perché come leggiamo nel Decreto del Concilio Vaticano II sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes: «la Chiesa è per sua natura missionaria ». Questa dimensione, stando al magistero di papa Francesco, è quella che rappresenta in modo efficace, come paradigma, la «Chiesa in uscita» capace d’intercettare le periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo.


A questo proposito, con sano realismo, dobbiamo riconoscere che i numeri delle vocazioni missionarie italiane non sono confortanti. Secondo i dati forniti dalla fondazione Missio, organismo della pastorale missionaria della Cei, il numero dei missionari italiani oggi si attesta intorno alle 8mila unità. Entrando nel dettaglio, e facendo un confronto con quanto è avvenuto nel corso degli ultimi vent’anni, i dati dicono che diminuiscono i missionari con vocazione ad vitam (cioè sacerdoti appartenenti a società di vita apostolica, religiosi e religiose), ma aumentano i laici che decidono di fare un’esperienza missionaria per qualche anno/o qualche mese (famiglie o singoli).

Il picco dei missionari italiani inviati in tutti i continenti si registrò nel settembre del 1990: in occasione del Convegno missionario nazionale di Verona se ne contavano 24.250 (di cui circa 800 laici, 700 fidei donum, mentre il resto erano prevalentemente religiosi/e). Poi il calo graduale, fino al dato di 15mila nel 2000 (registrato in una ricerca dell’Ufficio di Cooperazione missionaria tra le Chiese) che faceva dell’Italia il secondo Paese al mondo per invio di missionari (dopo la Spagna, con circa 19mila).

Nel 2008, il numero è sceso a 10mila e alla fine del 2014 si è attestato attorno alle 8mila unità (3.000 laici, 500 fidei donum, mentre il resto sono ad vitam). Non è facile avere un quadro attuale dei missionari che fanno parte dei vari istituti esclusivamente ad gentes, ma alla fine del 2008 la Conferenza degli Istituti missionari italiani (Cimi) contava 2.100 italiani in missione. Per spiegare questo numero, però, c’è da precisare che della Cimi fanno parte solo le famiglie ad gentes (ovvero Pime, Missionarie dell’Immacolata, Missionari Comboniani, Missionarie Comboniane, Missionari della Consolata, Missionarie della Consolata, Missionari Saveriani, Missionarie di Maria – Saveriane –, Missionari d’Africa – Padri Bianchi –, Società Missioni Africane, Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, Missionari Verbiti, Missionarie Mariste, Francescane Missionarie di Maria).

Una lettera del maggio 2009 scritta dalla Cimi ai vescovi italiani denunciava il continuo calo dei missionari ad vitam (appartenenti a congregazioni religiose o istituti di vita apostolica ad gentes) e l’innalzamento della loro età media, che si attestava intorno ai 63 anni. Attualmente è attorno ai 68 anni. Se, allora, di crisi stia- mo parlando, dobbiamo riconoscere che essa consiste nella discontinuità, un passaggio che segna una differenza marcata tra un prima e un dopo. Ecco che allora il cambiamento della domanda vocazionale nella società italiana dice come occorra rinnovare in profondità le modalità dell’annuncio evangelico, in un mondo villaggio globale, nella consapevolezza, come dice papa Francesco, che «la Chiesa è missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire».

Queste parole, tratte dall’incipit del suo messaggio in occasione della Giornata missionaria mondiale 2017, la dicono lunga su un’urgenza ecclesiale che non può essere disattesa, prendendo davvero coscienza del mandatum novumaffidato duemila anni fa da Gesù agli apostoli. È, infatti, evidente che in un mondo in rapida evoluzione – in una stagione della storia segnata da profonde ferite, lacerazioni e ricerche di una speranza che non deluda – oggi più che mai occorre riaffermare la responsabilità missionaria delle Chiese locali. Tutto ciò nella consapevolezza che sia la visione teologica, come anche le relative declinazioni della missione, non possono prescindere da quegli uomini e quelle donne che hanno fatto la scelta di andare, fino agli estremi confini del mondo.

www.avvenire.it/chiesa/pagine/e-in...rlano-straniero
Roma. In Italia molti «don» parlano straniero
Giulio Albanese sabato 12 maggio 2018
A loro si aggiungono anche 661 che sono presenti nella Penisola per motivi di studio ma che svolgono qui il loro ministero


Oltre sessant’anni fa, veniva pubblicata l’enciclica missionaria “ Fidei Donum” di papa Pio XII (21 aprile 1957). Un documento che indicava profeticamente le sfide della Chiesa africana e che ipotizzò, tra l’altro, un nuovo soggetto pastorale per la cooperazione missionaria: il presbitero del clero diocesano a servizio, per un determinato lasso di tempo, di una giovane Chiesa. Nel corso di questi sei decenni, l’invito formulato da Pio XII è stato, a più riprese, ribadito da tutti i suoi successori, grazie anche all’impulso impresso proprio dal dettato conciliare.

Non v’è dubbio, comunque, che il richiamo rivolto da papa Pacelli all’episcopato del suo tempo, di sentire «l’imperioso dovere di propagare il Vangelo e di fondare la Chiesa nel mondo intero» ( Fd 14) , rimane, ancora oggi, di grande attualità. Il fatto stesso che, oggi, una Chiesa particolare si ponga a servizio di Chiese sorelle disseminate nei cinque continenti, inviando dei propri sacerdoti, risponde alla logica dell’universalità, quella cioè di un Vangelo senza confini, nella consapevolezza, come scriveva san Giovanni Paolo II nell’enciclica “ Redemptoris Missio”, che «la fede si rafforza donandola» ( Rm 2).

Questo protagonismo missionario, a seguito di una costante e progressiva trasformazione dei paradigmi dell’attività di evangelizzazione e l’affermazione di nuovi modelli ecclesiologici, ha anche fatto scaturire la figura del fidei donum laico. Sempre più numerosi sono infatti i laici che hanno scelto, a seguito di un discernimento vocazionale, di vivere un periodo di servizio apostolico in missione per la promozione umana e lo sviluppo, ma anche nella prima evangelizzazione. In sessant’anni di storia, la Chiesa italiana ha offerto un contributo di oltre duemila fidei donum che si vanno ad aggiungere alle migliaia di missionari/ e di congregazioni religiose o istituti di vita apostolica.

Ciò nonostante, si registra, numericamente parlando, un calo dei presbiteri rispetto al passato, mentre vi è una crescita del laicato. Mentre nel 2005 i sacerdoti fidei donum erano 550, oggi sono 406. Di converso, i laici fidei donum, che dodici anni fa risultavano essere 240, oggi sono 331, a riprova di una sensibilità in aumento dei Christifideles laici nella cooperazione missionaria. Purtroppo, l’invecchiamento del clero in Italia e la diminuzione delle vocazioni sacerdotali, non ha indotto a comprendere che la partenza di un presbitero diocesano per la missione è in realtà, nella sua chiesa d’origine, fermento di nuove vocazioni e motivo di credibilità per l’azione pastorale diocesana. Inoltre, il rientro dei fidei donum dopo 3, 6 o 9 anni, molte volte è stato percepito problematicamente per le diocesi di provenienza, anziché valorizzarne i saperi e dunque lo scambio esperienziale.

Dimenticando, peraltro, che il loro servizio missionario, prim’ancora che essere una scelta personale, è un’opzione ecclesiale. Emerge comunque, nonostante il calo numerico dei presbiteri inviati, una prospettiva decisamente innovativa che fa ben sperare: il superamento della concezione di una missione assistenziale, per cui Chiese ricche inviano risorse di personale e mezzi a Chiese indigenti. Un cambiamento di mentalità, questo, decisamente più rispettoso nel contesto di una cooperazione all’insegna del dare e del ricevere. Anche perché, guardando al panorama italiano, crescono a dismisura i sacerdoti stranieri in servizio nelle diocesi disseminate sul territorio nazionale. Sono 922 quelli oggi impegnati nella pastorale ordinaria e 661 coloro che, pur svolgendo studi teologici, prestano servizio pastorale nelle parrocchie.

Ne consegue che la nostra Chiesa italiana sta supplendo al calo di vocazioni sacerdotali con l’aiuto di fidei donum che provengono dalle giovani Chiese. Se da una parte la loro presenza rappresenta un innegabile apporto spirituale dalle periferie del mondo, dall’altra è sempre più evidente la necessità di riconfigurare i criteri di distribuzione del clero nel nostro Paese, come anche nelle Chiese europee di antica tradizione. Stando all’Annuario statistico pontificio 2017, in Europa, nonostante la crisi delle vocazioni, vi sono mediamente, 1.595 cattolici per sacerdote, mentre ad esempio in Africa sono 5mila i cattolici per sacerdote. Una sproporzione su cui vale la pena riflettere e che comunque mette in evidenza le necessità di ottimizzare le risorse umane e spirituali per la causa del Regno.
 
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