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Suore marchiate a fuoco e indotte a prostituirsi nei Francescani dell'Immacolata, Si concedevano per procurare beni materiali all'organizzazione. Prescrizione per p. Manelli

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GalileoGalilei
view post Posted on 8/4/2017, 21:14 by: GalileoGalilei
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Nell'ordine di padre Manelli religiose si concedevano per procurare beni materiali all'organizzazione

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Suore francescane


www.dagospia.com/rubrica-29/cronach...lino-103409.htm
23 GIU 2015 17:43
SESSO, SANGUE E SOLDI: LE TRE “S” IN CONVENTO – LA PROCURA DI AVELLINO INDAGA SUI FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA E SUL LORO FONDATORE, PADRE STEFANO MANELLI – AGLI ATTI DECINE DI DENUNCE DI EX SUORE ED EX FRATI CHE PARLANO DI PLAGI, VIOLENZE, GIURAMENTI COL SANGUE E MOLESTIE
La cosa incredibile è che le prime denunce sono del 1998 ed erano arrivate al Vaticano nel 2001. Ma non furono presi provvedimenti. Qualcosa si è mosso con papa Benedetto XVI e nel 2013 è arrivato il commissariamento della congregazione. Due settimane fa, l’avvocato dell’ordine ha portato le carte in Procura…

Antonella Mascali per il “Fatto Quotidiano”

Per i suoi fedelissimi è più santo di Padre Pio, per alcuni frati e tanti ex frati ed ex suore che sono fuggiti dall’istituto dei Francescani dell’Immacolata (almeno 100 negli ultimi 10 anni) il fondatore della comunità religiosa, Padre Stefano Manelli è un traditore della Chiesa, artefice di terrorismo psicologico, atti di libidine, vessazioni e minacce ai danni di frati e suore.

Ci sono un paio di testimonianze su suore che sarebbero state costrette a stare con uomini che pagavano l’istituto, altre che parlano del divieto di curarsi, con gravi conseguenze per la salute: “È contro la povertà prendere i medicinali”. Secondo una ex suora, padre Manelli avrebbe anche costretto delle consorelle a fare un giuramento di fedeltà assoluta con una lettera scritta con il sangue.

Una montagna di soldi destinati alla carità, soprattutto alle missioni in Africa e in Brasile sono tornati in Italia e il sospetto è che avrebbero alimentato il conto corrente personale di Padre Manelli mentre le suore missionarie erano costrette a mangiare cibo avariato. Le denunce sulle presunte devianze nelle varie sedi di questo istituto, nato a Frigento, in Campania, sono cominciate nel ’98 quando sette persone hanno scritto alla Congregazione dei religiosi, l’organismo in Vaticano che si occupa di indagare sul giusto operato delle comunità cattoliche.

Hanno puntato il dito contro i vertici, gli unici artefici di presunti abusi a danno dei religiosi comuni. Ma tutto è rimasto nei cassetti fino a quando non è arrivato Papa Benedetto XVI, che ha mandato un visitatore apostolico. La svolta c’è stata, però, con Papa Francesco che ha commissariato l’istituto. In mano al Vaticano ci sono decine di testimonianze su quanto sarebbe accaduto nelle sedi dei Francescani dell’Immacolata.

Ora quei dossier, che Il Fatto ha potuto leggere, sono da un paio di settimane anche in mano alla Procura di Avellino che deve vagliare la loro veridicità e rilevanza penale. A consegnare la corposa documentazione, piena di racconti sconvolgenti, tutti da riscontrare, è stato l’avvocato Giuseppe Sarno, legale dell’Istituto e del commissario apostolico del Vaticano, padre Fidenzio Volpi, morto improvvisamente il 7 giugno scorso.

Ecco che cosa ha scritto un frate su padre Manelli, ascoltato da un parroco che ha raccolto diverse testimonianze all’esame del Vaticano e ora anche dei magistrati: “Erano evidenti i metodi di plagio sui ragazzi. Parlava di inferno e di dannazione se non fossero entrati nell'Istituto”. Il frate aveva già denunciato, inascoltato, a metà degli anni 90 i “soprusi”.

“Oltre alle due lettere che inviai alla Congregazione, incontrai Padre… mi rivelò con un dispiacere immenso che qualcuno non voleva che si mandasse il visitatore apostolico, anche se per lui era assolutamente urgente. Riporto qui solo alcuni insegnamenti –certamente suggeriti da lui diffusi da alcuni frati e suore: Padre Manelli ha le stimmate invisibili; Padre Manelli ha ricevuto da Padre Pio tutti i suoi carismi e per questo scomparvero al Santo le stimmate alcuni giorni prima di morire. Solo chi obbedisce ciecamente a Padre Manelli sta nella verità”.
Un’altra testimonianza: “Le suore hanno messo su, in modo arbitrario, un sistema lager. Madre… per punizione fa pulire il pavimento strisciando con la lingua, cioè fa leccare la stanza”.

L’ex suora che ha raccontato di giuramenti con il sangue ha scritto al Vaticano nel 2001 ma non è successo nulla. Il prefetto della Congregazione dei religiosi era il cardinale Eduardo Martinez Somalo.

Quando c’è stato il commissariamento, nel 2013, ha testimoniato nuovamente su Manelli: quando si trovava a Montecassino, secondo la sua versione dei fatti, padre Manelli avrebbe chiesto obbedienza con il sangue a lei e a poche altre consorelle: “Il Padre Abate di Montecassino era contrario alla presenza del Manelli nella vita delle suore, così ci fu riferito da Padre Stefano. La notte del nostro arrivo a Frattocchie il Manelli ci disse che avremmo dovuto scrivere una formula con il sangue con cui avremmo dovuto affermare la nostra obbedienza ai Padri Fondatori, specie a lui e di offrirci vittime per qualcuno. Io offrii la mia vita per lui. Tutto doveva essere svolto in gran segreto nella cappellina della baracca”.

E ancora: “Finite le lezioni ci chiamava quasi tutti i giorni nella sua stanza da sole per fare direzione spirituale, così diceva lui. Una mattina, dopo la lezione, fui chiamata io, ma appena entrata si avvicinò a me con un atteggiamento per nulla spirituale e che mi fece ritrarre infastidita e confusa. Cercò di tranquillizzarmi dicendomi che non dovevo vergognarmi ma che dovevo considerarlo come il mio sposo. A queste parole risposi in modo fermo e nauseato che il mio sposo era Gesù e Lui solo, e andai via sconvolta.

A Pietrelcina per un ritiro spirituale, P. Stefano mi metteva la mano in petto e la muoveva in senso rotatorio, alla mia sorpresa a quel gesto insolito disse che poiché ero piena di Gesù e dell’Immacolata nel mio cuore lui in quel modo li sentiva, era come accarezzare loro”.

Papa Francesco ha fatto chiudere anche il seminario interno dei frati francescani dell’Immacolata, il cui rettore, Settimio Manelli, nipote del fondatore, ha proibito la partecipazione all’insediamento del Pontefice il 19 marzo 2013. Nel seminario veniva persino censurata la lettura dell’Osservatore Romano, considerato “troppo di sinistra”.

Al Pontefice, il 30 agosto 2014, ha scritto il papà di una suora, tra coloro che presentarono denuncia già nel lontano’98: “Se queste ultime testimonianze hanno una valenza grave per la Chiesa e forse anche rilevante dal punto di vista penale, Santo Padre, in ginocchio, come un figlio, Le chiedo: perché l'efficace macchina da Lei messa in moto per far piena luce su questi fatti, sembra oggi che si sia in un certo modo quasi fermata? Perché non si fa piena giustizia a tante persone che hanno sofferto e soffrono e sono (o sono state) vittime dì tanti abusi e soprusi in quell'Istituto? Solo per questo grido di dolore profondo, mi sono permesso di importunarla, per supplicarla di dare compiuta e rapida soluzione, oltre che risposta adeguata, alla gravità dei fatti, riferita, ormai, da centinaia di testimonianze”.

https://www.quotidianodipuglia.it/attualit...no-1336488.html
La denuncia di una suora: "Anni di frustate e torture, l'obbedienza firmata col sangue"

Sabato 21 Novembre 2015, 01:21 - Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 09:26
«Questo documento è il patto d'obbedienza scritto con il mio stesso sangue. L'iniziazione prevedeva questo, ma poi io, come altre, sono stata anche marchiata a fuoco, prima di subire altre torture di ogni tipo».

Una donna, che è stata suora per dodici anni, ha raccontato in una videoinchiesta del Corriere della Sera a firma di Amalia De Simone la propria versione dei fatti in merito all'inchiesta, aperta dalla Procura di Avellino, nei confronti di don Stefano Manelli, che a Frigento dirige l'istituto religioso dei Frati dell'Imaccolata. L'ecclesiastico è stato indagato anche per truffa aggravata e falso ideologico, e sono stati confiscati 30 milioni di euro. L'uomo, sospeso nel 2013 in seguito alle indagini dei commissari del Vaticano, si difende così: «Quei dossier, insieme alle altre accuse, sono tutte calunnie, abbiamo presentato anche noi tre querele».

Il racconto della ex suora, però, è agghiacciante. «Dicevano che dovevamo diventare sante, utilizzavamo strumenti come la disciplina, una frusta con punte di ferro, o indossavamo sotto i vestiti dei cuori chiodati. Capitava spesso durante le preghiere serali, e i muri erano imbrattatati dagli schizzi di sangue» - racconta la donna - «Mangiavamo la cenere insieme a pasti scaduti, spesso in ginocchio, e Manelli spesso mi toccava durante la direzione spirituale, facendolo sembrare normale. Molte di noi, ma non io, andavano anche a trovare facoltosi 'benefattori' e dovevano essere piuttosto accondiscendenti».

Don Manelli respinge tutte le accuse, ma secondo il dossier della Santa Sede avrebbe fatto di tutto per ostacolare il controllo del patrimonio dei commissari vaticani. Ora, però, c'è una testimonianza importante come quella dell'ex suora: «Il mio è un grido d'allarme, lì dentro ci sono ancora delle nostre sorelle che soffrono».


www.farodiroma.it/le-francescane-de...rio-castellano/


Le francescane dell’Immacolata violate e fatte prostituire. I punti di contatto tra la vicenda di padre Viroche e quella di padre Volpi (di Mario Castellano)

07 Apr 2017 by redazione web
Il tema assegnato per la mia relazione non corrisponde esattamente con il suo contenuto, dato che – illustrando la vicenda dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata – mi dedicherò in particolare a descrivere il caso del presunto omicidio del Commissario Apostolico, Padre Fidenzio Volpi.

Tuttavia, questo tema possiede nondimeno una rilevanza generale in questa triste storia, in quanto consente di metterne a fuoco una componente fondamentale, e cioè l’immoralità eretta a sistema. La corruzione sessuale delle religiose, accompagnata da pratiche pseudo penitenziali quali la loro marchiatura a fuoco, come si usa fare per il bestiame, e come tristemente si faceva nei campi di sterminio nazisti, nonché dalla pronunzia di un voto di fedeltà riferito personalmente al fondatore dell’Istituto, del tutto estraneo ed anzi contrario alla norma canonica, non era finalizzata a soddisfare occasionali urgenze dello stesso fondatore o di altri religiosi, bensì volta a fare delle monache altrettante prostitute, da offrire ai cosiddetti “benefattori” in cambio di dazioni di denaro o di altri beni, oppure di loro autorevoli “protezioni”.

E’ così che si perviene al completo rovesciamento della norma morale: un religioso che contravviene al Voto di Castità riconosce di commettere un peccato, agisce per debolezza, e non lo fa in modo sistematico e pianificato.

Se invece le suore vengono indotte ad offrirsi a dei laici al solo fine di procurare all’Istituto dei mezzi materiali, o degli appoggi altolocati, non è possibile invocare la debolezza umana come giustificazione, o quanto meno come attenuante per un simile comportamento, che – soprattutto in quanto presentato alle monache come un supposto loro “dovere” – può soltanto appoggiarsi sul principio machiavellico per cui il fine giustifica i mezzi.

Questo stesso principio – come vedremo ora – ispira e regola un poco tutti gli aspetti della vita e del “modus operandi” dell’Istituto.

Si rigetta infatti il Magistero della Chiesa, a partire dal Concilio, si proibisce ai seminaristi perfino la lettura de “L’Osservatore Romano” tacciando questo giornale di “modernismo”, si giunge ad accogliere la teoria sedevacantista per rifiutare l’autorità degli ultimi Sommi Pontefici in materia dottrinale, si asserisce che la Messa in latino ha un presunto maggior valore rispetto alla Messa in lingua volgare, si proibisce addirittura di officiare secondo il “Novus Ordo” nel Seminario, e quando infine – per tutti questi motivi – la Santa Sede decide il commissariamento dell’Istituto, si impugnano sistematicamente tutti gli atti di carattere amministrativo (nessuna sanzione disciplinare viene infatti emanata dal Commissario Apostolico) compiuti da Padre Fidenzio Volpi, non già – si badi – in base ad una loro asserita illegittimità nel merito o ad un “error in procedendo”, bensì mettendo in discussione in linea di principio la legittimità dell’Autorità conferita dalla Santa Sede allo stesso Padre Fidenzio Volpi.

A questo punto, essendo stato emanato l’atto di nomina del Commissario Apostolico da parte della competente Congregazione, e non già da parte del Sommo Pontefice, e risultando dunque tale atto passibile di impugnazione dinnanzi al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, sarebbe stato logico attendersi precisamente questo ricorso alla giurisdizione, che però non venne mai interposto.

Per quale motivo?

Semplicemente per la presunzione che tale ricorso sarebbe stato respinto, ed una volta così sancita la legittimità del potere attribuito al Commissario Apostolico, la sua asserita illegittimità non avrebbe più potuto essere invocata nei ricorsi attinenti ai singoli atti emanati da Padre Volpi.

Queste impugnazioni non si proponevano dunque lo scopo di ottenere giustizia, bensì quello scopo che ho definito “politico”, mettendo beninteso tra virgolette questo termine, consistente nel mantenere uno stato di agitazione permanente nell’Istituto, ricorrendo ad una sistematica contestazione della sua massima Autorità.

E tale contestazione si manifestava – non dimentichiamolo – non soltanto con la presentazione di ricorso contro ogni suo singolo atto, ma anche nella sistematica e dichiarata ed anzi ostentata disobbedienza a quanto tali atti disponevano, e soprattutto in una sistematica azione pubblicistica, condotta da innumerevoli pubblicazioni cartacee ed elettroniche, caratterizzata dalla costante diffamazione, dal costante vilipendio e dalla costante intimidazione contro Padre Fidenzio Volpi.

Ed allora, una volta chiarito che risulta certamente immorale diffondere in modo sistematico la disobbedienza nella Chiesa, chiarito anche che risulta altrettanto immorale diffamare, vilipendere ed intimidire chi è incaricato di esercitare l’Autorità della stessa Chiesa, ci domandiamo di nuovo quale fosse il fine perseguito mediante tali mezzi immorali.

Il fine consisteva in apparenza nel sostituire alla Autorità del Commissario Apostolico, ma in sostanza alla stessa Autorità del Papa, dalla quale Padre Fidenzio Volpi derivava la propria, l’Autorità del fondatore.

Un fine dunque manifestamente scismatico, tale da rendere lo scontro ingaggiato contro il Commissario Apostolico, come egli stesso scrisse rivolgendosi con le sue relazioni periodiche alla Congregazione, una “quaestio stantis vel cadentis Ecclesiae”.

Abbiamo visto prima come questo scopo venisse perseguito sul piano dottrinale; quindi come venisse perseguito sul piano giuridico e disciplinare.

Fin qui, però, non si sarebbe costituito il movente di una possibile eliminazione fisica del Commissario Apostolico.

Questo movente si produsse quando Padre Fidenzio Volpi – senza nemmeno rendersene conto – mise un dito nell’ingranaggio del sistema finanziario costruito nell’Istituto ed intorno all’Istituto: non però da parte dell’Istituto, bensì da parte della camorra.

Alla camorra apparteneva infatti in realtà l’enorme quantità di beni materiali riferiti ai Frati Francescani dell’Immacolata, configurando il loro Istituto allo stesso tempo come una cassaforte ed un prestanome di questa delinquenza organizzata.

Questi beni – riassumo rapidamente – erano attribuiti alla proprietà di due Associazioni munite di personalità giuridica di Diritto Privato, i cui Legali Rappresentanti, in base ai lori rispettivi Statuti, potevano essere soltanto dei Religiosi, sottoposti come tali al Voto di Obbedienza, riferito – per effetto della sua nomina a Commissario Apostolico – a Padre Fidenzio Volpi.

Si provvide dunque, precisamente subito dopo la sua assunzione della carica, ad emendare gli Statuti, rendendo possibile il conferimento della Legale rappresentanza delle due associazioni a dei laici, per i quali, naturalmente non vale il Voto di Obbedienza.

Essendosi però commesso, nella fretta di mantenere il controllo della camorra sui beni, un errore procedurale (mancava – per l’emendamento degli Statuti – l’autorizzazione del Superiore Generale, che costui avrebbe potuto esprimere finché era in carica, anche svolgendosi le Assemblee delle Associazioni in un momento successivo), lo stesso ex Superiore Generale e i due religiosi già Legali Rappresentanti delle stesse Associazioni sono finiti sotto processo per truffa aggravata e falso ideologico.

Al di sotto delle due Associazioni munite di personalità giuridica di Diritto Privato, ne esistono altre tre che ne sono sprovviste, e quindi non sono tenute a redigere le scritture contabili prescritte per i soggetti di Diritto.

Le une passavano – e passano tutt’ora – il denaro ricavato dalla gestione dei beni di loro proprietà alle alte.

E queste ultime lo mandavano – e lo mandano tutt’ora – in gran parte in Nigeria, formalmente al fine di sostenere le Missioni insediate in questo Paese, ma in realtà per acquistare la droga che vi viene commercializzata apertamente (il Presidente della Repubblica è il primo narcotrafficante.

La droga viene poi inviata dalla camorra, presente in Nigeria coi propri affiliati, in Italia per esservi raffinata.

E’ da notare che le Associazioni non munite di personalità giuridica distribuiscono tutt’ora le loro elargizioni ai Frati, e che questi presunti donativi vengono elargiti – da parte dei lori inviati – a nome del fondatore.

In tal modo i Religiosi – ed in particolare i seminaristi – continuano ad oscillare nella loro fedeltà tra i nuovi Commissari Apostolici, rappresentanti della Santa Sede, ed il fondatore.

Risultando impossibile in linea di Diritto Canonico – il riconoscimento da parte della Congregazione di un nuovo Istituto, risulta di conseguenza impossibile tanto scindere l’attuale quanto dare una collocazione giuridicamente fondata nell’ambito della Chiesa a coloro che si sono già distaccati dall’Istituto ma persistono nella loro vita comunitaria in obbedienza al fondatore.

Tuttavia si riesce a proseguire – sempre con mezzi moralmente illeciti, in quanto basati sulla possibilità, asserita in modo menzognero, di costituire un nuovo Istituto, l’opera iniziata con la fondazione stessa di quello originario, opera consistente nella sostituzione dell’autorità di Padre Manelli alla Autorità del Papa.

Ancora una volta, dunque, il fine giustifica i mezzi, mezzi forniti – come si è visto – da attività illecite messe in atto da una organizzazione criminale.

Torniamo però alla vicenda di Padre Fidenzio Volpi.

Dopo la vendita della droga, acquistata nel modo che abbiamo descritto, la camorra elargiva una ulteriore mancia all’Istituto, a saldo dell’operazione.

Questa elargizione veniva inoltrata in Inghilterra, Paese che si qualifica se non come un “paradiso fiscale”, quanto meno come un luogo di transito verso i “paradisi fiscali”.

Per giustificare l’esportazione del denaro, si acquistavano periodicamente dei libri da una ditta inglese, la “Baronius Press”, che provvedeva a sovrafatturarli.

Padre Fidenzio Volpi, una volta insediato quale Commissario Apostolico, rifiutò di pagare una ingente fattura di libri, adducendo il fatto che nessuno – e tanto meno egli stesso, quale Legale Rappresentante dell’Istituto – li aveva ordinati.

Nel braccio di ferro che si instaurò tra la ditta inglese e Padre Fidenzio Volpi, la Congregazione – anziché sostenere, come sarebbe stato giusto e prevedibile, le ragioni del Commissario Apostolico, gli ingiunse di pagare.

A questo punto, il Commissario Apostolico venne a trovarsi un una situazione senza via di uscita.

Da un lato, Padre Fidenzio Volpi era sul punto di scoprire il meccanismo finanziario costituito dalla camorra intorno all’Istituto, ma dall’altro lato – proprio in quel momento – veniva abbandonato a sé stesso, ed anzi osteggiato, da quella stessa Autorità che lo aveva nominato, e che avrebbe dovuto sostenerlo.

Sul presunto, conseguente omicidio di Padre Fidenzio Volpi rinvio al mio libro, ma posso affermare che il mandante fu la malavita organizzata, mentre il sicario va ricercato nelle fila dei tradizionalisti fanatici.

E qui arriviamo al peccato più grave, ed al più grave dei delitti, l’omicidio.

Ancora una volta, però, il fine di mantenere e di sostenere una autorità di fatto, contraria a quella legittima della Chiesa, una autorità sostanzialmente scismatica, giustifica il mezzo, il mezzo più immorale, la violazione del comandamento che vieta di uccidere.

Rimane da ultimo la domanda fondamentale: chi perseguiva il fine?

Nel momento stesso in cui l’Istituto veniva fondato, era chiara l’intenzione di costituirlo come una chiesa nella Chiesa, e se necessario una chiesa contro la Chiesa.

Lo testimoniano tutti gli aspetti che abbiamo esaminato, a partire dall’esigere alle Suore un Voto di obbedienza particolare al fondatore, continuando con l’elaborazione di un Magistero eretico, contrapposto a quello dei Papi e del Concilio, fino alla pratica sistematica della disobbedienza alla Autorità Ecclesiastica, accentuatasi dopo il commissariamento.

Fin dalla costituzione dell’Istituto, esso si era però costituito come cassaforte e prestanome della camorra, e di questo i fondatori erano ben consci.

L’opera di divisione della Chiesa abbisognava però di mezzi economici illimitati, ed ecco dunque la pretesa giustificazione di un simile “pactum sceleris”.

Ancora una volta, il fine giustifica i mezzi.

Proviamo però, in conclusione del nostro discorso, a metterci dal punto di vista dei camorristi.

Qui il discorso si rovescia, e si può formulare in questi termini: i mezzi giustificano il fine.

Nella mentalità mafiosa, l’elargizione di denaro alla Chiesa, e comunque ad un soggetto religioso, crea un’aura di rispetto e di considerazione per il malavitoso.

Le cronache sono piene di manifestazioni di questa mentalità aberrante.

I dirigenti delle Associazioni di cui abbiamo parlato, quelle munite e quelle sprovviste di personalità giuridica, godono di prestigio sociale, precisamente in quanto “aiutano i Frati”.

Che poi questo aiuto venga elargito al fine di dividere la Chiesa e di minare la sua Autorità legittima, si tratta per loro di una necessità, ed al contempo di una garanzia della possibilità di continuare a controllare lo strumento che essi stessi – con la complicità dei fondatori – hanno costituito per perseguire i loro scopi criminali.

Su questo tema, il Papa si è pronunziato in modo molto chiaro.

Riferendoci al nostro caso, ci auguriamo che la Congregazione ed i nuovi Commissari Apostolici ne traggano le conseguenze.

Questo è il debito morale verso la memoria di Padre Fidenzio Volpi: un debito che attende ancora di essere pagato.



Mario Castellano

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Edited by pincopallino1 - 26/2/2024, 08:48
 
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