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Il cattolicesimo in Cina. Crollo di vocazioni e battesimi., Con la crescita economica Chiesa ufficiale e clandestina accomunate da identica crisi

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view post Posted on 12/10/2016, 09:17
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http://www.settimananews.it/saggi-approfon...ordo-possibile/

Al di là del pesante contesto normativo si registra un crescente affanno pastorale delle comunità cattoliche. A. Lam Sui-ky (Tripod, ripreso da AsiaNews il 23 agosto) parla di un «fenomeno del Plateau» e cioè di un processo di decompressione e di sfinimento di una comunità che non riesce più a crescere. Contrariamente per quanto succede alle comunità protestanti, quelle cattoliche vedono da un decennio circa un calo sia dei battesimi (circa 210.000 all’anno), che rappresentano soltanto il ricambio per i circa 10-12 milioni di cattolici, sia per le vocazioni presbiterali (erano 2.300 nel 1996 e 1.260 nel 2014) e le ordinazioni (134 nel 2000, 78 nel 2014), sia per le suore (in formazione si registravano 2.500 suore nel 1996 e 156 nel 2014).
 
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view post Posted on 5/7/2017, 15:09

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https://www.cercoiltuovolto.it/notizie/il-...ilta-cattolica/

Il cattolicesimo in Cina nel XXI secolo | La Civiltà Cattolica
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6 giugno 2017 Notizie Leave a comment

Il nuovo materialismo e la formazione del laicato

I cattolici cinesi non sono esenti dalle attuali tendenze secolarizzanti e corrono il rischio di perdere la fede o di trascurare la vita spirituale. La Chiesa cattolica cinese oggi affronta sfide diverse. Contrariamente a un decennio fa, essa oggi gode, in molte regioni, di una relativa autonomia dal controllo del governo centrale e locale. Sebbene in Cina la libertà religiosa sia condizionata, la Chiesa cattolica cinese può svolgere un ruolo importante nella missione e nel servizio. Tuttavia essa come si pone di fronte ai cambiamenti e alle sfide dell’attuale società secolare? Come valuta il suo ruolo nello sviluppo spirituale e morale di una società cinese sempre più pluralista e globale?

Negli anni Novanta, la Chiesa cattolica cinese ha visto una rapida crescita delle vocazioni sacerdotali. Esse però ora sono in diminuzione. Dal 1996 a oggi, il numero dei seminaristi è sceso a meno di 900 unità tra seminari maggiori ufficiali e non ufficiali. Secondo i dati della Conferenza episcopale, ci sono 3.316 preti e 5.622 suore che devono prendersi cura di 20-25 milioni di cattolici, oltre a svolgere altri ministeri destinati a diversi settori della popolazione.

In un’epoca sempre più secolarizzata e consumistica, il benessere e le comodità hanno distolto molti giovani cinesi da una scelta di vita a servizio della Chiesa, con condizioni meno confortevoli e, in alcuni casi, anche povere. Inoltre, la politica del «figlio unico» è stata un forte ostacolo a che le famiglie e i giovani prendessero in considerazione la vocazione religiosa e la sua importanza.

La Chiesa cattolica cinese si trova di fronte a una seria crisi vocazionale. Pur continuando a promuovere le vocazioni e a formare il clero e le religiose con lungimiranza e con spirito missionario, essa è chiamata anche ad attuare una strategia formativa chiara ed efficace per il laicato, che rappresenta una risorsa potenziale e il nucleo della Chiesa futura in Cina. L’evangelizzazione e la missione hanno bisogno di un laicato ben preparato.

Nel 2012, la Commissione vaticana per la Chiesa in Cina ha dichiarato che «i laici credenti in Cina devono crescere in grazia davanti a Dio e agli uomini, nutrendo e perfezionando la loro vita spirituale come membri attivi della comunità parrocchiale e impegnandosi nell’apostolato, anche con l’aiuto di associazioni e movimenti ecclesiali che favoriscano il loro cammino formativo». La Commissione ha fatto anche notare che «i pastori – vescovi e sacerdoti – dovrebbero fare ogni sforzo per rafforzare i fedeli laici nella loro conoscenza degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in particolare per quanto riguarda l’ecclesiologia e la dottrina sociale della Chiesa. Inoltre, sarà utile dedicare speciale attenzione alla preparazione di operatori pastorali che si dedichino all’evangelizzazione, alla catechesi e alle opere di carità. […] Infine, ci si deve aspettare una risposta adeguata ai fenomeni della migrazione interna e dell’urbanizzazione».

Con queste chiare linee-guida, la Chiesa cattolica cinese e i suoi leader a diversi livelli non possono che accelerare il processo e lo sviluppo sostenibile di programmi di formazione dei laici. I parroci e i vescovi dovrebbero permettere ad essi di assumere ruoli di responsabilità nella missione e nel servizio della Chiesa.
 
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view post Posted on 7/9/2017, 08:27

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Aumenta il flusso di cattolici cinesi verso l'Italia. Fuggono anche dalle restrizioni religiose


Bambini cinesi a messa

https://www.iozummo.com/cina-vietata-la-me...busi-di-regime/

CINA, VIETATA LA MESSA AI MINORI E ALTRI ABUSI DI REGIME
Redazione 7 settembre 2017 CINAcomunistaESTERIFeaturedMESSAminoriregimeRELIGIONI0 Comment(s)

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di Stefano Magni
Cina, in almeno quattro province, i bambini e i ragazzi non possono entrare in chiesa. Non per motivi disciplinari e non c’entra neppure la moda no kids. C’entra la repressione del regime comunista, che si fa di giorno in giorno più dura, nonostante l’ottimismo che circonda il dialogo con la Santa Sede.



Ci sono sparse notizie di circolari emesse dai governi comunisti locali che vietano, sul territorio della propria provincia, sia l’educazione religiosa dei minorenni, sia il loro accesso in chiesa. Il divieto riguarda indistintamente cattolici e protestanti.

Secondo quanto riporta l’agenzia Ucanews, nel distretto di Yonglin, a Wenzhou (provincia di Zhejiang) “Una nota urgente delle autorità superiori vieta rigorosamente ai bambini, agli allievi della scuola primaria e a quelli della secondaria e ai insegnanti, di andare nelle chiese cattoliche e protestanti”. Lo Zhejiang è una provincia con una forte presenza cristiana. I comitati di quartiere sono mobilitati per vegliare sull’applicazione della nuova misura e scoraggiano i genitori dal portare a messa i loro bambini. Pare che finora gli effetti non siano quelli desiderati dal governo, perché ugualmente la processione che si è tenuta il 15 agosto era piena di bambini, secondo quanto riferiscono le fonti dell’agenzia. Ma il divieto è lì, nero su bianco. E non è un caso unico.

Una norma locale analoga è stata emessa in un altro distretto di Wenzhou: si spiega, in quel caso che “l’educazione religiosa dei minori troppo vicina alle chiese, danneggia gravemente il normale corso del sistema educativo”. In almeno due casi, uno sempre a Wnzhou e l’altro a Wuhai, nella Mongolia interna (Cina settentrionale), sono stati chiusi campi estivi religiosi. Episodi e direttive simili sono riportate anche nella provincia di Henan (Cina orientale), dove a luglio è stata emessa la direttiva “Separare l’educazione dalla religione”. Un sacerdote riferisce di aver dovuto frequentare un corso di aggiornamento riguardo questa direttiva e che non ci sia spazio alcuno per le interpretazioni. A Changsha, nella provincia dello Hunan (Cina centrale), il locale direttore dell’ufficio educazione, Liang Guochao, ha anche realizzato un video in cui denuncia “l’infiltrazione della religione nell’educazione dei minori” e annuncia nuove direttive contro l’educazione religiosa.

Come si vede, le direttive sono tante, variegate e locali ma hanno tutte il medesimo obiettivo: i bambini non devono ricevere un’educazione religiosa. Non devono neppure esserne influenzati entrando in una chiesa. Coerente con il programma del presidente Xi Jinping che sta cercando di scacciare “influenze straniere”, fra cui la religione cristiana. O si “sinicizza”, cioè adotta un carattere puramente cinese, o viene combattuta. Fa parte di questa campagna anche l’abbattimento delle croci “troppo visibili nel paesaggio urbano” e delle chiese, dietro ogni scusa. Proprio a fine agosto è iniziato un braccio di ferro fra governo locale e fedeli, sull’abbattimento della chiesa di Santo Stefano a Wangcun, nella provincia dello Shanxi (Cina settentrionale, non lontano da Pechino). Le immagini drammatiche di un video girato sul posto e diffuso in Italia dall’agenzia missionaria Asia News, mostrano gruppi di fedeli cattolici che cercano di fermare la demolizione della loro chiesa. Come si vede dal video, i fedeli gridano “Gesù salvami!” e “Madre Maria, abbi pietà di noi!”, mentre ostacolano i lavori del bulldozer e l’operato dei poliziotti. Le autorità di Wangcun hanno infine bloccato i lavori di demolizione per tornare a trattare col popolo. I cattolici, circa un migliaio, hanno continuato a presidiare l’area della chiesa, con un sit in, pur subendo pressioni, intimidazioni e pestaggi da parte di teppisti in abiti civili ma palesemente collusi con la polizia locale.

In precedenza il governo aveva dato il permesso di restaurare la chiesa, un piccolo gioiello dei primi decenni del secolo scorso. Santo Stefano era stata riconsegnata nel 2012 alla diocesi in obbedienza alle leggi cinesi. I fedeli avevano cominciato il restauro, ma pochi mesi fa il governo locale aveva cambiato improvvisamente idea, decidendo di espropriare il terreno per costruire una piazza. “Dopo la demolizione si costituirà una piazza per arricchire la vita del popolo”. Ora la situazione resta molto tesa, nonostante il blocco dei lavori di demolizione. Nel tentativo di fermare le comunicazioni fra i fedeli, il 31 agosto è stato bloccato l’uso dell’app Wechat, una specie di Whatsapp cinese. Anche il sito della diocesi è stato oscurato. Fino al 30 agosto dava notizie sul sit in con immagini e filmati, anche delle violenze subite da fedeli e sacerdoti ad opera di teppisti all’ordine del governo locale.

Se la repressione aumenta, i cinesi che si convertono al cristianesimo fuggono in Italia, in cerca di libertà di religione. Si convertono a una miriade di confessioni diverse, almeno 14, fra cui molti culti e sette cristiane mai riconosciuti o apertamente perseguitati dal regime cinese. Ma spesso li accoglie una non lieta sorpresa, come spiega ad Asia News Francesco Portoghese, dell’associazione A Buon Diritto (Abd): solo 5 su cento ottengono lo status di rifugiato, gli altri sono respinti. Secondo il rapporto di Abd il numero di cinesi in fuga per motivi religiosi è quintuplicato. Secondo lo stesso rapporto “Essi abbandonano tutto per non rinunciare alla fede, abbracciata per sfuggire al materialismo imposto dal regime”. In molti casi, rinunciano al lavoro e rischiano la vita. Molti sono stati arrestati e hanno subito torture. Maria (nome scelto dalla signora all’arrivo in Italia) ha raccontato di essere stata catturata in Cina mentre evangelizzava e di essere stata portata in caserma, dove è stata “ustionata con acqua bollente” e le è stato “inciso il dorso delle mani con delle lame”. Invece, G. è “stato picchiato sulla schiena con un bastone in modo così violento da essere svenuto per il dolore… perché si rifiutava di rispondere alle domande riguardanti i responsabili e i fondi della Chiesa domestica”. Non potendo presentarsi a un ospedale per le cure G. si è ritrovato con una disfunzione del 25% al rene sinistro.

Nonostante tutto, nel 95% dei loro casi, non viene presa in considerazione neanche la protezione sussidiaria. Perché, spiega il rapporto Abd: “dichiarazioni incomplete o contraddittorie, la scarsa conoscenza dei culti che si afferma di praticare (sono almeno 14 le confessioni cristiane dei neo-convertiti, in molti casi neppure riconosciute) e i dubbi sulla fuga dal Paese”. Ma c’è da dire che il rapporto Abd contesta l’utilizzo di una traduzione “stringata e che a tratti appare approssimativa e superficiale”, in cui alcune dichiarazioni dei richiedenti vengono travisate, riportate in maniera incompleta e talvolta neanche registrate” Per i cristiani cinesi, le porte dell’Italia, il paese dell’accoglienza, si aprono molto difficilmente.

http://www.asianews.it/notizie-it/Cinesi-i...iosa-41686.html
04/09/2017, 15.15

CINA-ITALIA
Cinesi in fuga in Italia per non rinunciare alla fede religiosa


Un'associazione studia il fenomeno crescente. Si convertono dopo aver scoperto “una tendenza spirituale prima ignorata” abbandonando il materialismo inculcato dal regime comunista. Solo pochi ottengono protezione internazionale. Per le commissioni, essi non corrono pericolo in Cina a discapito delle risapute violazioni dei diritti umani.


Roma (AsiaNews) – Negli ultimi cinque anni è quintuplicato il numero dei cinesi che fuggono “in maniera quasi indistinta” per motivi religiosi dal Paese. Essi abbandonano tutto per non rinunciare alla fede, abbracciata per sfuggire al materialismo imposto dal regime. A sottolinearlo è il rapporto pubblicato dall'associazione italiana “A Buon Diritto” (Abd), che da anni si occupa di dare sostegno legale a rifugiati e richiedenti asilo in Italia.

Secondo i Global Trends dell’Unhcr (l’Alto commissariato Onu per i rifugiati), il numero dei cinesi richiedenti asilo nel mondo è salito da 10.617 nel 2010 a 57.705 nel 2015.

I richiedenti asilo seguiti da Abd sono membri di 14 movimenti “pseudo-cristiani” messi al bando dal governo, la maggior parte dei quali legati al culto “Almighty God”. La setta fa parte dei culti considerati “malvagi” da Pechino, i cui membri sono accusati dal governo di essere violenti e sovversivi. Nel 2015, due di essi sono stati giustiziati per l’omicidio di una donna. In seguito all’incidente, centinaia di fedeli sono stati arrestati. Assieme a sette e comunità religiose, la Cina porta avanti anche una campagna contro le comunità sotterranee e i “culti malvagi”.

Nel rapporto si afferma che i cinesi continuano l’attività religiosa in Italia. Essi si confrontano di rado sulle proprie esperienze passate con i connazionali per timore di avere a che fare con spie, tanto da richiedere “traduttori rigorosamente di nazionalità non cinese”.

Le storie raccolte dall'associazione sono dolorose. Maria (nome scelto dalla signora all’arrivo in Italia) ha raccontato di essere stata catturata in Cina mentre evangelizzava e di essere stata portata in caserma, dove è stata “ustionata con acqua bollente” e le è stato “inciso il dorso delle mani con delle lame”. Invece, G. è “stato picchiato sulla schiena con un bastone in modo così violento da essere svenuto per il dolore… perché si rifiutava di rispondere alle domande riguardanti i responsabili e i fondi della Chiesa domestica”. Non potendo presentarsi a un ospedale per le cure G. si è ritrovato con una disfunzione del 25% al rene sinistro.

Intervistato da AsiaNews, uno degli autori del rapporto e operatore legale di Abd, Francesco Portoghese racconta che ad accomunare i richiedenti asilo c’è “l’assoluta fedeltà al credo che viene professato”, a prescindere dalle differenze nei motivi e modalità della conversione.

“Alcuni di loro hanno abbandonato le loro famiglie pur di professare liberamente la loro religione, anche a costo di rinunciare alla compagnia di partner e figli”, afferma Portoghese. “Altri hanno rinunciato alle proprie carriere e alla possibilità di terminare gli studi”. Per l’operatore questo dimostra “uno spirito di abnegazione quasi di altri tempi”.

Nel rapporto, Abd racconta che i richiedenti asilo sono passati “da una concezione materialista della realtà, quale quella che caratterizza il regime cinese”, a “una tendenza spirituale prima ignorata. Ed è proprio la tenacia con cui si persegue la ‘nuova strada’ ad allarmare il governo”.

Per Portoghese, c’è “anche una dignità e una discrezionalità che si può comprendere solo approfondendo ogni situazione individuale. È fondamentale andare in profondità nelle loro storie per poterle comprendere, perché non sempre a domanda precisa corrisponde una risposta precisa e accettabile in sede di commissione”.

Pur essendo folto il numero di cinesi richiedenti asilo, rimangono pochi quelli a cui viene riconosciuto lo status di rifugiato. L’European asylum support office (Easo) riporta che “la nazionalità cinese è una di quelle con il più basso tasso di riconoscimento”.

Portoghese riferisce che nel 2016 solo il 5% delle domande d’asilo ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Ovvero, 13 risposte positive contro 264 negative.

Per l’operatore le motivazioni di questi rifiuti sono varie, fra cui la stessa novità del fenomeno, che non aveva mai raggiunto numeri rilevanti prima: “È necessario che si formi un orientamento compiuto sul fenomeno, ancora da investigare in profondità”.

Fra le cause elencate da Abd per i rifiuti vi sono le “dichiarazioni incomplete o contraddittorie, la scarsa conoscenza dei culti che si afferma di praticare e i dubbi sulla fuga dal Paese”. Per verificare l’elegibilità all’asilo i fuggitivi cinesi devono sottomettersi a un colloquio ufficiale. Nel rapporto Abd contesta l’utilizzo di una traduzione “stringata e che a tratti appare approssimativa e superficiale”, in cui alcune dichiarazioni dei richiedenti vengono travisate, riportate in maniera incompleta e talvolta neanche registrate.

Per l'associazione è sorprendente che non venga presa in considerazione neanche la protezione sussidiaria [tutela riconosciuta a quanti non rientrano nei parametri per l’asilo, ma sono comunque in pericolo di ‘danno grave’, ndr], “nonostante in Cina sia prevista e applicata in via del tutto arbitraria la pena di morte, e dopo che le torture e i trattamenti inumani e degradanti… siano talvolta stati inflitti anche agli arrestati per motivi religiosi”.
 
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view post Posted on 10/9/2017, 11:16

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http://espresso.repubblica.it/opinioni/set...n-cina-1.309261

Un dossier pubblica le storie dei prelati perseguitati dal regime di Pechino. L’accordo cercato dal papa non sarà facile

Tutti i vescovi prigionieri in Cina
Il vescovo Pietro Shao Zhumin

Francesco è il primo papa che ha sorvolato la Cina. Ma che vi metta anche piede è tutto da vedere. Nei giorni scorsi la Libreria Editrice Vaticana ha reso pubblico un dossier che è una clamorosa doccia gelata per chi continua a dare per imminente un accordo tra la Santa Sede e Pechino.

Il dossier, curato da Gianni Cardinale, esperto di geopolitica vaticana e firma eccellente di “Avvenire” e di “Limes”, non commenta ma documenta ciò che fino a ieri si conosceva in dosi solo parziali. Fornisce per la prima volta i nomi dei vescovi di ciascuna diocesi cinese, ufficiali e clandestini, legittimi e abusivi. Ma soprattutto mette in fila le biografie, compilate dalla segreteria di Stato, di 75 vescovi morti in Cina dal 2004 a oggi, tutti torchiati da anni o decenni di prigione, di lavori forzati, di campi di rieducazione, di arresti domiciliari, di poliziotti perennemente alle costole. Se questo è il trattamento che il regime comunista infligge ai vescovi cinesi sul campo, è chiaro che tutto ciò dovrà cessare, prima che il Vaticano accetti di firmare con le autorità di Pechino un accordo sulle nomine dei vescovi futuri.

Il calvario dei vescovi cinesi, infatti, non risale solo a tempi lontani, a Mao Zedong e alla Rivoluzione Culturale. Prosegue anche dopo l’uscita dalla prigione dei vescovi o futuri vescovi, costretti per sopravvivere a lavorare in una miniera di sale o in una cava di pietra, a pascolare porci, a cuocere mattoni, i più fortunati a risuolare scarpe o a fare commercio ambulante. Ancora nel 2005 c’è un vescovo, Giovanni Gao Kexian della diocesi di Yantai, di cui si apprende la morte dopo che dal 1999, sequestrato dalla polizia, se ne erano perse le tracce. Lo stesso accade nel 2007 a un altro vescovo, Giovanni Han Dingxiang, della diocesi di Yongnian, imprigionato per vent’anni, poi rilasciato ma di nuovo fatto sparire nel 2006, la cui morte è comunicata ai famigliari dopo che era già stato cremato e sepolto in luogo ignoto. Nel 2010 è un altro vescovo ancora, Giovanni Yang Shudao della diocesi di Fuzhou, a morire dopo aver passato ventisei anni in prigione e gli altri «quasi sempre a domicilio coatto e sotto stretto controllo». Per non dire delle tribolazioni degli ultimi vescovi di Shanghai, il gesuita Giuseppe Fan Zhingliang, morto nel 2014 dopo «aver sempre esercitato il ministero nella clandestinità», e il suo successore Taddeo Ma Daqin, agli arresti dal 2012 per essersi dissociato dalla Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi - in obbedienza a Roma che giudica l’appartenenza ad essa «incompatibile» con la fede cattolica - e da allora mai più liberato nonostante abbia ritrattato un anno fa la sua dissociazione. Di quest’anno sono infine il sequestro e la detenzione in località ignota del vescovo Pietro Shao Zhumin della diocesi di Wenzhou, di cui prima l’ambasciata di Germania in Cina e poi la stessa Santa Sede, lo scorso 26 giugno, hanno chiesto pubblicamente il ritorno in libertà, senza trovare ascolto.

A fronte di tutto ciò, l’ottimismo di cui dà segno papa Francesco ogni volta che tocca la questione Cina può essere spiegato solo come un esercizio di Realpolitik spinta all’estremo. Perché è vero che un negoziato è in corso tra le due parti, con incontri ogni tre mesi una volta a Roma e un’altra a Pechino. Ma a parte l’impressionante assenza di libertà di cui dà prova il dossier vaticano pubblicato in questi giorni, ci sono almeno due ostacoli a un accordo sulle procedure di nomina dei futuri vescovi. Il primo è che la conferenza episcopale cinese, a cui spetterebbe l’indicazione dei candidati, è attualmente fatta soltanto dei vescovi ufficialmente riconosciuti da Pechino, senza la trentina di vescovi “clandestini” che invece sono riconosciuti soltanto da Roma; e non c’è verso di convincere le autorità cinesi a integrare anche questi. Mentre il secondo ostacolo è dato da sette vescovi “ufficiali” che il regime pretende siano riconosciuti anche dalla Santa Sede, tre dei quali pubblicamente scomunicati e un paio con amanti e figli.
10 settembre 2017
 
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view post Posted on 19/12/2017, 19:19

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http://www.settimananews.it/vita-consacrat...ne-sulle-suore/

Cina: indagine sulle suore17 dicembre 2017/ Nessun commento
di: Lorenzo Prezzi
Le informazioni sulla Cina, oltre ai dati macro-enomici e politici di una potenza che si candida a pesare molto nel prossimo futuro (cf. i post di F. Sisci su Settimananews.it), diventano più difficili in altri campi come gli orientamenti di fede o i temi dei diritti umani.

Sul versante cattolico rimane centrale l’attesa soluzione della nomina dei vescovi e la riconciliazione fra la tradizione “sotterranea” e quella “legale” delle comunità dei fedeli. Dopo la lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI, c’è stata una stagione di nomine condivise (2007-2010), quella delle nomine non condivise (2010-2012) e l’attuale, che continua una sorta di patto di non aggressione: nominati in Cina ma non invisi a Roma. Più difficili da indagare risultano le questioni pastorali. Ci sono tracce sui seminari, sui santuari (cf. Testimoni 7-8/2017, p. 13), sull’ecumenismo (cf. Testimoni 3/2016, p. 15).

Frammentarie le indicazioni anche sulla vita monastica e consacrata. Erano quasi 2.000 i fedeli a festeggiare l’avvio del primo monastero di vita contemplativa femminile a Lin Tou (Shanxi, 1° maggio 2014). E molti attendono il ritorno di piccoli gruppi in formazione monastica in alcuni luoghi occidentali (St. Ottilien in Germania, Camaldoli in Italia, Septfons in Francia). Secondo due modalità diverse: chi compie l’intero cammino di formazione monastica all’interno di abbazie in Occidente e chi, invece, sviluppa il proprio cammino in Cina con temporanei soggiorni in Occidente (anche se in Cina non è ancora permessa la vita comune maschile).

I tre modelli
Da apprezzare è lo studio, a firma di P. Sidi-Brette e M. Chambon, apparso sull’agenzia Eglise d’Asie in tre successivi articoli sulla formazione e riforma della vita consacrata femminile. I dati generali della piccola minoranza cattolica in Cina sono già noti: 12-15 milioni di fedeli, 3.500 preti, 1.500 i seminaristi, una novantina i vescovi per 140 diocesi (45 legali e altrettanti clandestini; una dozzina non riconosciuti da Roma). Si parlava di 7.000 suore, ma lo studio ne riduce la stima: sarebbero 3.170, in 87 congregazioni ufficiali, e 1.391 in 37 congregazioni clandestine o non registrate.

La forma più tradizionale è quella delle vergini consacrate che continua a vivere in alcune diocesi e ambiti della vasta Cina. La prima sarebbe apparsa a nord di Fujian nel 1650. Facendo eco a pratiche spagnole, numerose giovani donne fecero voto di verginità per dedicarsi interamente al servizio della comunità cristiana. Rimanevano all’interno della propria famiglia e si occupavano del luogo di culto, della recita quotidiana delle preghiere, della visita ai malati. È una forma di vita che continua a sussistere anche se, nelle categorie codiciali, sarebbe più assimilabile all’ordo virginum che non alla vita religiosa.

Nelle quattro diocesi di Fujian sarebbero circa 90 e alcune centinaia quelle che fanno riferimento alle comunità “illegali”. Non sembra pronuncino voti espliciti, non hanno comunità e si dedicano al servizio delle comunità cattoliche locali.

Un caso emblematico è quello di suor Teresa che, nel 1988, avvia un biennio di servizio ad una parrocchia e poi la diocesi la invita a due anni e mezzo di formazione. Viene destinata a una diversa diocesi in cui operano 9 preti e 3 suore. Peraltro le suore erano 8, ma tre si sono sposate, una è partita in formazione e l’altra è rientrata nella sua diocesi. Le suore sono affiancate a un prete e turnano dopo cinque anni.

Teresa lavora nella parrocchia dell’amministratore diocesano, in un territorio lungo più di 150 km e abitato da 400.000 abitanti. È la presenza più stabile della parrocchia. Tiene aperta e pulita la chiesa, supervisiona i servizi dei volontari, segue gli eventuali lavori, organizza la liturgia, prepara battesimi e matrimoni, anima i campi estivi. Ha un ruolo molto vistoso e riconosciuto.

Ogni tre mesi le religiose della diocesi si confrontano. Avevano progettato una sorta di convento, ma le emergenze finanziarie sono troppe e finora tutto è fermo.

Suor Teresa conosce bene le congregazioni operanti in Cina. Conosce anche le difficoltà della vita comunitaria che le altre suore le raccontano. Sa di non avere uno statuto canonico preciso, ma ricorda la diffidenza delle vecchie suore nei confronti delle congregazioni diocesane. D’altra parte, da diversi anni nessuna giovane chiede più di entrare in questo servizio e che il favore concesso alle congregazioni forse segnerà la scomparsa del suo modo di consacrazione.

A nord della regione (Fujian) ci sono giovani donne che fanno voto di celibato, ma rimangono in famiglia e servono comunità cristiane di tipo rurale.

Le congregazioni
Un secondo modello è rappresentato dalle congregazioni religiose femminili. Più in particolare, delle famiglie religiose con un forte ancoraggio storico, come le suore del Cuore di Maria.

Nate nell’800, le giovani religiose emettevano i voti nelle mani del vescovo e venivano inviate in missione a due a due. Hanno fatto nascere piccole scuole, orfanatrofi, case per anziani, tipografie artigianali. La vita consacrata rispondeva a un vuoto amministrativo e ai bisogni sociali più acuti. Nel 1940, alla vigilia della rivoluzione, contava un centinaio di aderenti.

Dopo la bufera della rivoluzione, una ventina di suore si rifugiano a Taiwan e quelle che restano sul posto tornano in famiglia per evitare la morte. Tutto sembra scomparire nella rivoluzione culturale (1966-1976) di Mao, ma alcune di loro continuano la consacrazione in segreto.

Con le riforme di Deng Xiaoping (1979) qualcosa si muove e, dieci anni dopo, il vescovo e i fedeli danno riconoscimento pubblico alla rinata congregazione: una decina di suore anziane lascia il testimone a una ventina di giovani suore. Oggi la congregazione conta 93 suore e 3 novizie. Nel 2008 inaugurano la nuovo casa madre, a cui affiancano una casa per anziani e una serie di strutture per la formazione spirituale del popolo. La grande maggioranza fa servizi in parrocchia, mantenendo un ritmo di preghiera comune, a cui si è aggiunta l’adorazione perpetua.

Un terzo modello è costituito da congregazioni di recente fondazione diocesana, come le suore di san Giuseppe. Fondate nel 1983, esse respiravano l’apertura dei nuovi spazi di libertà e si mettevano a disposizione delle comunità “illegittime”. Per un decennio le postulanti erano una decina all’anno. Oggi sono 42. Vivono di carità, abitano una piccola casa con un annesso rifugio per gli anziani. Partite sulla base dell’entusiasmo e di una formazione elementare, hanno dovuto investire molto sull’aggiornamento, le lingue e il percorso accademico, anche all’estero. Dai servizi elementari di un contesto contadino sono passate all’accompagnamento e alla domanda di senso di una società che è esplosa nell’industria e nella globalizzazione.

Finanza, ruolo e carisma
Al di là dei vari modelli di vita consacrata e della loro attuale vitalità, rimangono alcune sfide che li riguardano tutti. Anzitutto le difficoltà di ordine finanziario. «Come la maggior parte delle congregazioni “illegali”, la maggioranza delle suore non beneficiano di una copertura sanitaria. Fra le 95 religiose del Cuore di Maria, per esempio, solo nove sono coperte. Per regolarizzare la loro situazione presso le assicurazioni, le suore del Cuore di Maria avrebbero bisogno di un milione di euro e di circa 100.000 euro all’anno. Le suore di San Giuseppe, legate alla Chiesa “sotterranea”, non beneficiano di alcuna assistenza medica e devono cercarsi un lavoro fuori della congregazione per rimediarla». È un problema che interessa la grande maggioranza delle suore e che non riceve attenzione dai fedeli. Le loro offerte sono finalizzate ad altro.

Una seconda sfida è costituita dal rapporto con i preti diocesani. Mentre la persecuzione infuria, e poi durante la rivoluzione culturale, preti e suore erano sullo stesso piano e correvano gli stessi pericoli. I nuovi spazi di libertà e la diversità dei servizi e ministeri li portano su strade divergenti.

Le suore hanno spesso una formazione intellettuale e professionale più accurata dei preti (in particolare di quelli “illegali”) e non si adattano a ruoli di semplici domestiche.

Inoltre, i fedeli riconoscono più facilmente il ruolo e la centralità del prete rispetto a quello della suora, distanziando di fatto le due figure. «I conflitti sono più numerosi e, in assenza di soluzioni, le suore sono quelle che devono abbandonare la parrocchia», correndo il rischio di perdere i beni e di vedere dissolta la congregazione.

Per evitare dispute, le suore del Cuore di Maria chiedono al vescovo che la parrocchia servita devolva una cifra stabile per la suora (fra i 70 e i 150 euro). Cosa che le parrocchie trovano talora troppo oneroso.

La terza sfida è l’identità carismatica. Nei cambiamenti radicali che si sono verificati e si verificano nella società cinese, il passaggio all’industria, al digitale, alla potenza economia e politica, al relativo benessere ecc., cambiano i servizi a cui le religiose sono chiamate: rimangono quelli agli anziani, ma non più le scuole, quelli elementari della sanità ma non più i dispensari. Da ridiscutere i servizi parrocchiali. «Ma, in radice, esse sono costrette a riprendere la questione di fondo: qual è il nostro specifico come religiose del Cuore di Maria o come religiose di San Giuseppe? Scelta contemplativa, vita apostolica? Quale tipo di apostolato?».

Il cammino post-conciliare della Chiesa insiste molto sul carisma del fondatore o di fondazione e le istanze romane e internazionali spingono perché esse definiscano meglio la loro identità spirituale. Ma, se sono nate nell’800, il fondatore è spesso un prete straniero che non è mai stato parte della congregazione, oppure nascono da donne votate al celibato che non si sono mai sentite fondatrici. In un contesto ultraminoritario, con problemi finanziari irrisolti, la differenziazione dei carismi è sentita come indebolimento davanti a una struttura amministrativa statale e anche religiosa “ufficiale” che snobbano i gruppi minori.

Due fenomeni ulteriori accompagnano la vita consacrata femminile in Cina.

Il primo è la rete internazionale di aiuto e sostegno. Da Roma, da Hong Kong, da Taiwan, dalle Filippine, dalla Corea del Sud, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Europa giungono in Cina persone, aiuti e affiancamenti.

In secondo luogo, il caso non infrequente di “suore senza fissa dimora”, sia in senso fisico che spirituale. Il corrispettivo dei clerici vagi di un tempo. Donne che faticano ad adattarsi a modelli di vita comunitaria o personale nel mezzo di mutazioni sociali e culturali di grande rilievo. Un segnale di allarme, ma che dice anche la sfida decisiva e la necessità di un sostegno fattivo. Molto del futuro del cristianesimo si gioca “nell’impero di mezzo”.
 
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view post Posted on 12/1/2018, 09:19

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https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/0...a-cina/4080261/

Papa Francesco, operazione Pechino. Perché è così difficile l’accordo con la Cina
Papa Francesco, operazione Pechino. Perché è così difficile l’accordo con la Cina
Cronaca | 9 gennaio 2018
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Più informazioni su: Chiesa Cattolica, Cina, Papa Francesco, Vaticano
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Marco Politi
Scrittore e giornalista
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Era il sogno di Giovanni Paolo II e l’obiettivo di Benedetto XVI, è la partita a cui papa Francesco sta dedicando molte energie: raggiungere un accordo tra Vaticano e Cina e normalizzare la situazione dei cattolici nell’immenso paese, che con il presidente Xi Jinping si affaccia oggi sulla scena internazionale come potenza globale. Non più – per dirla secondo la terminologia del regime – in quanto “Grande Nazione” (da guo) ma “Nazione Forte” (qiang guo).

Il confronto, iniziato seriamente nel 2007 con la “Lettera ai sacerdoti e fedeli della Chiesa cattolica di Cina”, si è fatto serrato con il pontificato di Francesco. In questi anni almeno sei volte si sono tenute riunioni bilaterali cino-vaticane, dedicate in prima linea alla questione delle nomine vescovili. La prospettiva di un accordo a tratti pare vicina, a tratti si allontana. Perché parecchi elementi contrastanti compongono il labirinto cinese. Un eccellente simposio sulla “Diplomazia di Francesco”, organizzato recentemente a Parigi dal Centro di Ricerche Internazionali della Facoltà di Scienze politiche sotto la guida di Alain Dieckhoff, Francois Mabille e Frederic Martel, ha gettato nuova luce sul rapporto tra due potenze, di cui l’una (la Cina) ha una tenacia “infinita” e l’altra (il Vaticano) la possiede “eterna”.

Tra i relatori il gesuita Benoit Vermander, docente presso l’università Fudan di Shanghai, e Pierre Morel già ambasciatore di Francia presso la Cina e la Santa Sede.

Un primo dato, sostanzialmente ignoto all’opinione pubblica internazionale, è che la gigantesca ondata di capitalistizzazione della Cina, con lo spostamento di masse enormi dalle campagne alle città, ha scosso in profondità le comunità cattoliche rurali e rimescolato gli strati cattolici urbani, che si erano trovati una nicchia nell’ “antico regime comunista” antecedente alla rivoluzione economica. Il risultato è una crisi del cattolicesimo cinese, che se nel 2005 poteva contare oltre 12 milioni di fedeli (tra Chiesa ufficiale e Chiesa clandestina) oggi sembra essere calato sotto i dieci milioni.

Anthony Lam del “Holy Spirit Center” di Hong Kong stima che tra il 1996 e il 2014 le vocazioni maschili (preti e religiosi) sono passate da 2300 a 1260. Le vocazioni femminili sono crollate da 2500 a 156. Un ruolo decisivo è giocato naturalmente anche dalla politica statale molto restrittiva nei confronti della comunità cattolica. Fatto sta che, sempre secondo Lam, se nel 2000 si registravano 134 ordinazioni sacerdotali, nel 2014 erano 78.


Il secondo elemento critico è dato dal forte accento che i leader cinesi attuali pongono sulla necessità imprescindibile di una “cinesizzazione” delle comunità religiose: cattoliche, protestanti, musulmane, che da un lato vengono riconosciute come “elemento positivo” della società, ma dall’altro devono muoversi assolutamente all’interno del quadro ideologico-politico dettato dal Partito comunista cinese. Per di più, a partire dal 1 febbraio 2018, entreranno in vigore nuovi regolamenti statali che impongono forti multe agli organizzatori di eventi religiosi “non ufficiali” e, come è stato detto al simposio, “proibiranno le donazioni alle comunità religiose, la diffusione di informazione religiosa on line, l’insegnamento ai ragazzi”.

La tradizione storica dell’Impero Cinese, è stato notato nel corso dei lavori del convegno, è quello di un “pluralismo senza tolleranza”. L’accettazione dell’esistenza, cioè, di una pluralità di fedi e confessioni ma sotto il controllo strettissimo dell’Autorità. E’ un’impostazione, che si è sostanzialmente trasferita nell’ideologia e nella prassi della Repubblica popolare cinese.


Certamente positivo è stato l’avvento di Francesco. Che non è europeo e dunque non proviene dalle nazioni colonialiste né dai paesi coinvolti nella guerra fredda. Un papa gesuita, appartenente ad un ordine con legami di stima per la Cina. Un papa del Terzo mondo, cioè la scena di politica economica su cui Pechino si sta molto impegnando.

La Cina, specie di fronte all’isolazionismo nazionalista degli Stati Uniti sotto la guida di Trump, ha scelto la strategia di presentarsi come alfiere di una globalizzazione positiva. In questo senso il dialogo con papa Francesco può diventare importante. Però troppo forte è ancora a Pechino il timore di una Chiesa, la cui capitale sia all’estero. Una Chiesa, che pur presentandosi non antagonista al regime cinese (secondo una linea che va da Wojtyla a Ratzinger, a Bergoglio), chiede tuttavia indipendenza nel proclamare i propri valori spirituali: è una autonomia che i cinesi non sanno maneggiare.


Francesco ha sollecitato a varie riprese Xi Jinping ad un incontro. Sarebbe stato possibile nel settembre del 2015, quando il Papa si recò alle Nazioni Unite a New York. Alla fine è stato il leader cinese ad arretrare.

Sia nella Chiesa che nella Cina i campi sono d’altronde divisi. In Cina i diplomatici sarebbero più disposti ad un accordo mentre la burocrazia di partito, arroccata nell’ “Associazione patriottica” del clero cinese resta refrattaria a presunte interferenze esterne (cioè vaticane). All’interno della Chiesa, invece, a una maggioranza di vescovi cinesi inclini al realismo si contrappone una parte di gerarchia convinta (vedi il cardinale Zen) che Francesco non capisca affatto il Partito comunista cinese.

Alla fine la questione trascende i tecnicismi di un possibile accordo sul meccanismo delle nomine vescovili. Padre Benoit Vermander, erede della lunga tradizione di inculturazione dei gesuiti in Cina, sottolinea l’esigenza di una “ricostruzione culturale” dei rapporti tra Cina e Chiesa cattolica. Per capirsi meglio e avere fiducia reciproca.
 
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view post Posted on 17/4/2018, 15:26
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Minori protetti dai pericoli della pedofilia e dell'indottrinamento religioso

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http://asianews.it/notizie-it/Henan,-chies...0%99-43646.html

17/04/2018, 12.39CINA-VATICANO
Henan, chiese vietate ai minori di 18 anni: ‘tagliano le gambe alla crescita della comunità cristiana fra i giovani’
Wang Zhicheng
Diffusa una circolare che proibisce anche l’educazione religiosa ai minori. I sacerdoti che non la seguono saranno destituiti. Finora il divieto è applicato in Henan e Xinjiang, ma si teme sarà applicato in tutto il Paese. Stupore perché i garanti del divieto sono due sacerdoti.



Pechino (AsiaNews) – Nell’Henan, una circolare con data 8 aprile proibisce a tutti giovani sotto i 18 anni di entrare in chiesa per partecipare alla messa. Essa vieta anche ai sacerdoti di organizzare qualunque attività – conferenze, campi estivi o invernali, ecc… - con i giovani. Riportiamo sotto il testo completo della circolare (e la foto del documento, con i timbri ufficiali), a firma dell'Associazione patriottica (Ap) dell’Henan e della Commissione per gli affari della Chiesa dell’Henan. La direttiva – giustificata come un’applicazione dei nuovi regolamenti religiosi – è attuata sia le comunità ufficiali e non ufficiali. Un sacerdote di Anyang afferma che ormai ogni domenica davanti all’entrata della sua chiesa vi sono impiegati dell’Ap che mandano via i minori che vogliono partecipare alla messa e hanno piazzato un cartello con il divieto. La circolare è stata diffusa in ogni città, villaggio, scuola. Secondo fonti di AsiaNews la direttiva è in atto non solo nell’Henan, ma anche nello Xinjiang. I cattolici temono che essa sarà applicata prima o poi in tutto il Paese, facendo ritornare la situazione ai tempi della Rivoluzione culturale. “In questo modo – racconta ad AsiaNews una ragazza – tagliano le gambe alla crescita della comunità cristiana, perché strappano i giovani dall’educazione religiosa”.

Nei giorni scorsi, sui social network cinesi sono apparse diverse critiche alla circolare, da parte di fedeli della Chiesa ufficiale e non. Alcuni notano con vergogna che il presidente dell’Ap dell’Henan è un sacerdote, il p. Wang Yuezheng of Zhengzhou e che il segretario della Commissione per gli affari della Chiesa dell’Henan è un altro sacerdote, p. Li Jianlin. Essi si domandano se i due sacerdoti sono conniventi e condividono tale divieto, o se sono soltanto delle vittime impotenti dello strapotere del Partito. Va detto che da quest’anno, p. Wang è membro della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, un organismo nazionale che dovrebbe agire come “consigliere” del Partito comunista cinese.

Va anche notato che, per continuare l’educazione dei giovani, diversi sacerdoti stanno cercando di mettere in atto modalità con cui sfuggire al divieto: anche i sacerdoti della Chiesa ufficiale sono costretti ad agire e proporre raduni non ufficiali!

Ecco il testo della circolare:



Avviso



I due organi della Chiesa ufficiale nella Provincia dell’Henan - l'Associazione patriottica cattolica dell’Henan, e la Commissione degli affari della Chiesa dell’Henan – hanno congiuntamente emesso un circolare in data 8 aprile 2018. Tale circolare, in tono molto severo, richiede alle filiali di questi due organi ad ogni livello di attuare i nuovi regolamenti sulle attività religiose, aderendo al principio di “separare la religione dall’educazione”, e in particolare proibisce “alle associazioni religiose di organizzare attività di qualsiasi forma per diffondere formazione religiosa ai minori”.

Qui di seguito vi sono le regole dettagliate riportate da tale circolare:

In tutta la Provincia, è vietato organizzare attività di qualsiasi forma quali scuola, classe, campo estivo o campo invernale, ecc. verso i minori per educazione o formazione religiosa;
Si invitano i fedeli che vanno a messa nelle chiese di lasciare i propri bambini in custodia ad altri per non portare i bambini con sé in chiesa;
Seppure in passato si usava prevalentemente le modalità di informare ed educare il popolo sulle sopraddette questioni, adesso si tratta di “linea rossa” e “linea di alta pressione”, e non devono essere trascurati;
Nel caso in cui non si seguano queste regole, i responsabili dei siti religiosi saranno ritenuti responsabili, pena la cancellazione della qualifica e la registrazione come addetti di attività religiosa, nonché chiudere tali siti religiosi;
La presente circolare e il suo contenuto deve essere diffuso a tempo debito ad ogni chiesa e sito religioso.
Associazione patriottica cattolica dell’Henan

Commissione degli affari della Chiesa dell’Henan

08/04/2018

http://www.asianews.it/notizie-it/Chiese-d...DEO)-43677.html
20/04/2018, 09.41CINA-VATICANOInvia ad un amico
Chiese demolite, tombe divelte, asili chiusi: la persecuzione nella Chiesa dell’Henan (VIDEO)
di Bernardo Cervellera
La chiesa del villaggio di Hutuo è ridotta a un cumulo di rovine; la tomba del vescovo di Luoyang, non riconosciuto dal governo, è stata dissacrata; ai bambini è vietato entrare nelle chiese; minacce contro genitori e anziani cattolici: se continuano a credere non riceveranno sussidi dal governo e pensione.



Roma (AsiaNews) – “La Chiesa cattolica della provincia dell’Henan, nella Cina centrale, è violentemente perseguitata! Pregate per loro!”: è l’appello che ci è giunto ieri da diverse parti della Cina, insieme a una lista di violenze avvenute in queste settimane e che pubblichiamo sotto. L’ultima è di ieri: la lapide e la tomba di mons. Li Hongye, sono state dissacrate e distrutte (v. foto 1). Mons Li (1920-2011) è stato vescovo di Luoyang, riconosciuto dalla Santa Sede, ma non dal governo. Ha passato decine di anni nei campi di lavoro forzato e altre decine agli arresti domiciliari. I fedeli pensano che la foga contro la tomba sia dovuta al fatto che sulla lapide vi erano i segni della sua carica episcopale.

Ieri, sempre nella diocesi di Luoyang è stata anche distrutta in modo completo una chiesa nel villaggio di Hutuo (Xicun, Gongyi) (v. foto 2 e video).

La violenza più squallida è avvenuta a Zhengzhou: il giorno di Pasqua, lo scorso 1° aprile, durante la messa, rappresentanti del governo sono entrati in chiesa e hanno portato via tutti i bambini e i minori di 18 anni per far rispettare il divieto che si sta ormai applicando in tutta la Cina: è vietato garantire educazione religiosa ai minori di 18 anni. Da allora, tutte le domeniche vi sono impiegati del governo che all’entrata delle chiese vigilano sull’attuazione del divieto.

Le ragioni di questa ondata di persecuzione sono varie:

alcuni sacerdoti sostengono che queste violenze e divieti avvengono per l’applicazione in modo sistematico dei nuovi regolamenti sulle attività religiose.
La persecuzione avviene nell’Henan (oltre che in Mongolia interna e nello Xinjiang) perché qui la comunità cattolica è una piccola minoranza. In un certo senso, l’applicazione dei regolamenti avviene in questa provincia come una prova di laboratorio, per vedere se vi sono resistenze, e per studiare come soffocarle. In seguito i regolamenti saranno applicati in tutto il Paese, anche nei luoghi dove i cattolici sono una buona percentuale della popolazione, come nell’Hebei o nello Shanxi.
La Chiesa dell’Henan è quasi completamente una Chiesa sotterranea e su 10 diocesi, eccetto la diocesi di Anyang, non vi sono vescovi riconosciuti dal governo; per le diocesi senza vescovo (ad esempio Luoyang), la Santa Sede tarda a nominare un successore. Il governo sembra accanirsi contro ufficiali e sotterranei, ma soprattutto contro questa Chiesa non ufficiale, tanto più che essa è “senza pastore”.
Un’ultima ragione, espressa da un sacerdote locale, è che mostrando tale violenza, il governo cerca di impaurire non tanto coloro che sono già cattolici, ma le persone che vorrebbero convertirsi al cristianesimo, cercando di fermare la potente rinascita religiosa in atto nel Paese.
Riportiamo qui sotto l’appello ricevuto da AsiaNews.



La Chiesa cattolica dell’Henan (Cina centrale) è violentemente perseguitata! Pregate per loro!



Diocesi di Zhengzhou

Il primo d’aprile 2018, domenica di Pasqua, mentre si teneva la messa, rappresentanti del governo sono entrati di corsa nell’edificio per trascinare via i bambini dalla chiesa. Da allora, ogni domenica, un’auto della polizia è parcheggiata all’entrata della chiesa e almeno tre rappresentanti della legge stanno di guardia all’entrata per bloccare i fedeli che vogliono portare i figli dentro la chiesa. Perfino a bambini in braccio alla madre viene vietata l’entrata.
In tre parrocchie della diocesi di Zhengzhou, ossia quella di Shuanghuaishu, di Jiayu e di Youfang, sono stati portati via libri di preghiera, libri dei canti e bibbie.


Diocesi di Shangqiu

Con mezzi sinistri, rappresentanti del governo minacciano i fedeli dicendo di “non permettere ai bambini cattolici di andare a scuola” e di “non dare più i 60 yuan al mese di sussidio governativo per i cattolici anziani”. Essi sono perfino andati di porta in porta dicendo loro: “Adesso, credere nella religione non è più permesso dal governo e per chiunque crede, ai suoi figli sarà vietato andare a scuola; i sussidi per i vostri anziani saranno stornati; e se continuate a non ascoltare questo consiglio, sarete espulsi dai pubblici uffici e se andate in pensione, vi verrà negata la pensione”.
Rappresentanti del governo hanno rotto le scritte religiose ai lati delle porte delle case dei fedeli [tali scritte vengono poste come segno di augurio per il Capodanno cinese].
Rappresentanti del governo conducono una campagna contro il credo religioso andando di porta in porta.


Diocesi di Kaifeng

All’entrata principale della chiesa di Qixian sono esposti striscioni con slogan del tipo: “Avvertimento contro i culti a Qixian – Campagna di educazione nella Chiesa cattolica”; “Nei luoghi di attività religiose non si deve predicare ai minori”.



Diocesi di Anyang

Fuori della cattedrale, rappresentanti governativi hanno esposto con la forza un cartello che dice: “I minori non possono entrare in chiesa”. Essi hanno inviato anche rappresentanti della legge per vigilarne l’osservanza ogni domenica all’entrata principale della cattedrale.
La scuola d’infanzia gestito dalla chiesa di Weihui è stato chiuso con la forza. Durante la notte, rappresentanti del governo hanno gettato fuori i banchi dei bambini e sigillato i cancelli d’entrata.
Insegnanti nelle scuole hanno domandato agli studenti di comunicare se i loro genitori credono in qualche religione; essi hanno anche chiesto ai genitori degli studenti di andare a scuola a registrare la loro appartenenza religiosa.
Il 17 aprile, la chiesa di Xincun, ha subito un raid da parte del governo del villaggio e della pubblica sicurezza, sequestrando tutti gli oggetti sacri.
La chiesa di Gaoqiangying, nella contea di Hua, è stata perquisita due volte: sequestrati tutti gli oggetti sacri e cacciati via i due custodi davanti alla chiesa.
Una casa costruita dalla chiesa della contea di Huaxian è stata sigillata con la forza.
La croce sull’apice della chiesa di Xincun è stata demolita.


Diocesi di Puyang

Chiese demolite.
I presidenti dei consigli parrocchiali sono stati forzati a comunicare al governo informazioni sui membri delle comunità (nome, carta di identità, unità di lavoro, indirizzo di casa, ecc.).


Diocesi di Xinxiang

Il 17 aprile 2018, il governo ha ordinato di demolire la croce della chiesa di Xishang nord, nella nuova area di sviluppo di Jiaozuo; sono stati portati via le bibbie per i bambini e i libri dalla chiesa; sequestrate le finanze della chiesa.



Diocesi di Luoyang

Il 19 aprile 2018, la chiesa del villaggio di Hutuo (Xicun, Gongyi) è stata demolita e ora è divenuta una rovina.
Sempre il 19 aprile 2018, la lapide e la tomba del defunto vescovo, mons. Li Hongye di Luoyang, sono state demolite.

Edited by pincopallino2 - 21/6/2018, 10:28
 
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http://www.lastampa.it/2018/05/18/vaticani...MHI/pagina.html

Cina, lo “strano caso” delle chiese dell’Henan chiuse ai bambini
I casi sono concentrati in una Provincia in cui proliferano le “House Churches” sempre più connesse con la galassia evangelicale globale, e anche sette di matrice apocalittica che sognano il crollo del sistema cinese come compimento storico delle attese messianiche

Una ordinazione di sacerdoti nella diocesi di HaiNan


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Pubblicato il 18/05/2018
Ultima modifica il 18/05/2018 alle ore 11:13
GIANNI VALENTE
ROMA
I cattolici cinesi stanno celebrando il mese dedicato a Maria con la devozione di sempre. Pellegrinaggi, rosari, adorazioni eucaristiche, cresime e comunioni, ordinazioni sacerdotali vedono in ogni diocesi la partecipazione di migliaia di fedeli. In molte foto rilanciate sui siti delle diocesi e delle parrocchie, si scorgono sempre miriadi di bambini e di adolescenti che prendono parte alle celebrazioni e alle feste mariane. Eppure, da settimane, continua ad essere rilanciata in tutto il mondo la segnalazione di misure restrittive messe in atto da apparati locali in alcuni villaggi e città dell’immenso Paese per vietare ai minorenni l’accesso alle chiese e alle attività parrocchiali, insieme a altre disposizioni repressive come la chiusura di una scuola d’infanzia gestita da cattolici.



I casi di accesso vietato alle chiese per i minori, segnalati da testimonianze locali – spesso anonime - sono concentrati nella Provincia cinese dell’Henan. In quella regione centrale della Cina, una circolare emessa lo scorso 8 aprile, recante i timbri delle sezioni provinciali dell’Associazione patriottica del cattolici cinesi e della Commissione per gli affari della Chiesa (organismi di trasmissione della politica religiosa governativa), ha effettivamente messo nero su bianco il divieto per i minori di entrare in chiesa e di partecipare a attività organizzate dalle comunità ecclesiali. Ma appaiono al momento infondate le affermazioni secondo cui tale divieto sarebbe in vigore e in progressiva applicazione in tutta la Cina. E proprio l’area circoscritta in cui sono stati disposti i divieti di accesso alle chiese per i minori è un elemento importante per cogliere in termini oggettivi e non frammentari quello che sta succedendo ai cattolici cinesi di quella particolare area del Paese. Riconoscendo in primis che, per gli addetti alla politica religiosa di Pechino, l’Henan non è una provincia come le altre.





L'escalation delle “Chiese domestistiche”

Negli ultimi lustri, l’Henan è diventato l’epicentro della crescita numerica esponenziale della rete di comunità cristiane di matrice evangelicale solitamente indicate come “Chiese domestiche” (House Churches), che si muovono fuori dai cosiddetti apparati «delle tre autonomie», imposti dal governo come strumenti di controllo delle comunità cristiane cinesi di ascendenza evangelica-protestante. Nell’Henan, fin dagli anni Ottanta, hanno iniziato a crescere le principali reti di Chiese domestiche cinesi, come le “congregazioni” Fangcheng (Fangcheng Fellowship) e Tanghe (conosciuta anche con la definizione in inglese di China Gospel Fellowship, Compagnia cinese del Vangelo). La rete delle “House Churches” sostiene di avere nel solo Henan migliaia di luoghi di culto e punti di incontro, e circa dieci milioni di adepti, con dei metodi di calcolo che includono tra gli affiliati anche molti non battezzati in «ricerca spirituale», coinvolti nei momenti di predicazione e nelle raccolte di fondi.



Le migliaia di “Chiese domestiche” dell’Henan appaiono sempre più connesse con la galassia d’impronta evangelicale, pentecostale e carismatica in espansione da decenni in vaste aree del mondo. Negli anni passati, i ricorrenti giri di vite degli apparati cinesi sulle attività delle “House Churches” dell’Henan considerate illegali hanno portato all’arresto di predicatori evangelicali provenienti dagli Usa - come il cinese-statunitense John Chao, arrestato in Cina nel marzo 2017 con l’accusa di aver attraversato illegalmente il confine con il Myanmar per svolgere le sue attività di predicazione - e da altri Paesi, Russia compresa. Nel giugno 2017, ad allertare gli apparati cinesi sull'attivismo delle “House Churches” è stata la vicenda di Lee Zing Yang (24 anni) e Meng Li Si (26 anni) una coppia di giovani cristiani cinesi rapiti e uccisi da una cellula jihadista in Pakistan, dove i due ragazzi, utilizzando visti per lavoro, avevano seguito i capi coreani del loro gruppo evangelicale e svolgevano proselitismo tra la locale popolazione musulmana. Il fatto di sangue ha messo in allarme la folta comunità cinese presente in terra pakistana e ha fatto innalzare l’allarme del governo centrale cinese, davanti allo spauracchio di gruppi stranieri e agenzie di intelligence capaci di reclutare giovani cinesi per poi coinvolgerli in azzardate campagne di proselitismo fuori frontiera, mettendo così a rischio anche le relazioni diplomatiche e commerciali tra Pechino e i Paesi vicini coinvolti nella “Nuova Via della Seta” (la grande iniziativa strategica cinese per il miglioramento dei rapporti e della collaborazione economica con 60 nazioni di Asia, Europa e Africa).



Apocalittici infiltrati e sacrifici umani

Nei villaggi e nelle campagne dell'Henan hanno attecchito negli ultimi decenni anche movimenti religiosi eterodossi e settari. Quella provincia è da anni base logistica della setta conosciuta come Fulmine d’Oriente, o come Chiesa di Dio onnipotente, che ha avuto effetti devastanti per le locali comunità cattoliche e evangeliche, mietendo adepti perfino tra sacerdoti, religiosi e pastori. La fondatrice della setta sostiene di avere ricevuto una nuova rivelazione, ultima e definitiva, mentre gli adepti accusano le comunità ecclesiali di aver tradito l’autentico messaggio di Cristo. I “missionari” di Fulmine d’Oriente si infiltrano nelle comunità ecclesiali, e solo dopo aver guadagnato la fiducia di tutti iniziano ad iniettare il veleno della loro dottrina. Sono stati documentati – come scrisse anche padre Vito del Prete sull’agenzia Fides, organo delle Pontificie Opere Missionarie – i loro metodi di plagio e anche casi di omicidi a danno di ex adepti che volevano uscire dalla setta.



L’impronta millenarista si ritrova anche in altre congreghe religiose presenti in Henan, sempre pronte a disseminare nelle loro dottrine deliranti anche elementi ripresi dal cristianesimo. Gruppi come la Chiesa di Elia, o il Movimento dei tre Gradi di Servitori, il cui leader, dopo aver annunciato più volte il ritorno di Cristo, è stato condannato a morte nel 2006 con l’accusa di aver ucciso una ventina di adepti dell’altra setta del Fulmine d'Oriente.



La geo-politica dei millenaristi

Le sette millenariste sincretiste cinesi dell'Henan condividono per molti aspetti lo stesso sostrato e le stesse dinamiche con molti gruppi evangelicali di “cristiani rinati” locali: conversioni di massa nei villaggi e nella campagne, attitudine miracolista all’uso propagandistico di guarigioni e eventi prodigiosi, ostentazione di poteri occulti e saperi misteriosi. A legarli, in molti casi, c'è anche la tinta apocalittica della loro comune avversione al governo comunista cinese, visto come il male, come un sistema diabolico di cui auspicare la fine. Per tanti dei loro adepti, avere contatti con gli apparati politici cinesi equivale a «trattare col demonio».



Nelle loro simbologie millenariste, il potere cinese viene identificato con la «Bestia che viene dal Mare» o con il Drago citati nell’Apocalisse. Il crollo del sistema cinese viene da loro vagheggiato come compimento storico di una attesa dalle venature messianiche. In questo orizzonte, l'immaginario di molti “cristiani rinati” cinesi e degli adepti delle sette sincretiste cinesi appare spesso consonante con le letture di matrice apocalittica che la destra religiosa Usa applica anche alle dinamiche geo-politiche. Una affinità ben presente anche alle centrali del pensiero neo-conservatore, avvezze all’uso politico della religione. Tengono ben presente questo bagaglio concettuale anche gli ideologi neo-conservatori che scommettono sull’espansione dei gruppi cristiani evangelicali cinesi per trasformare nei prossimi decenni l’assetto politico della Cina popolare. Ed eventualmente rovesciare l’egemonia del Partito comunista sulla società cinese.



Giro di vite per tutti

Le dinamiche religiose in atto nell’Henan sembrano fatte apposta per confermare pregiudizi e allarmismi del potere cinese nei confronti dei gruppi religiosi, a partire da quelli non «registrati», operanti fuori dagli organismi e dalle procedure della politica religiosa del Partito. Certe sette e certe reti comunitarie cristiane si configurano per i funzionari locali come realtà fanatiche eversive, “prodotti religiosi” di matrice occidentale da infiltrare tra la popolazione per destabilizzare politicamente la Cina. Lo sfruttamento geo-politico dell’estremismo religioso, esercitato negli ultimi decenni da potenze regionali e globali, conferma le apprensioni degli apparati cinesi.



In Henan è finita sotto il tiro degli organi politici anche la distrazione o la presunta «tolleranza» con cui funzionari d'apparato locali hanno assistito all’escalation delle sette e anche delle House Churches. Ci sono stati cambi recenti al vertice della struttura locale del Partito, e i nuovi arrivati vogliono che tutti vedano il cambio di registro: prelevamenti di predicatori, chiusure di luoghi di incontro di culto, cancellazione forzata di iniziative sociali. La nuova strategia degli apparati cinesi, in diversi casi, non è in grado di fare distinzioni e spara nel mucchio, applicando la “stretta” anche ai cattolici e forzando la mano in maniera arbitraria. Le disposizioni diffuse in Henan per tenere lontano i minorenni da chiese cattoliche di quella provincia non trovano infatti nessuna giustificazione nella Costituzione cinese, che a parole garantisce la libertà di religione e si oppone solo alle pratiche di plagio religioso e all’esercizio di pressioni per indottrinare le persone e spingerle alla conversione.



Domande aperte per i cattolici cinesi

Le informazioni veicolate dall’Henan sui divieti di ingresso in chiesa per i minori interpellano anche la Santa Sede. C’è chi immagina – o forse si augura - che gli episodi riferiti possano mettere in difficoltà e magari bloccare la delicata trattativa in atto tra i collaboratori di Papa Francesco e i funzionari cinesi intorno ai problemi e alle anomalie sopportati dalla Chiesa cattolica in Cina. In realtà, proprio i canali di contatto aperti tra il governo cinese e i palazzi d’Oltretevere possono servire a sciogliere nodi, a superare equivoci e incomprensioni su singole vicende, mostrando anche agli apparati periferici locali che le comunità cattoliche non sono risucchiate dalla deriva millenarista delle sette apocalittiche cinesi, e possiedono efficaci anticorpi in grado di immunizzarle dal miracolismo superstizioso e dal messianismo politicamente manipolabile.



L'espansione vorticosa di sette e comunità cristiane cinesi di impronta evangelicale-pentecostale interpella fatalmente anche il cammino futuro della Chiesa cattolica in Cina. Chiama in causa la sua natura apostolica e sacramentale. Spinge a chiedersi se la modalità di presenza e di annuncio cristiano delle dilaganti reti evangelicali sia il “modello unico” a cui sono chiamati in qualche modo a assimilarsi anche i cattolici cinesi.



Vescovi, clero e fedeli della Chiesa cattolica in Cina sono chiamati a scegliere se bisogna o conviene assimilarsi in maniera indistinta alla magmatica galassia evangelicale (come sembrano indicare le movenze visionarie e apocalittiche assunte anche da qualche comunità cattolica locale), oppure se il cattolicesimo in Cina può trovare e percorrere la sua strada verso il futuro, senza omologarsi agli schemi teorici e pratici imposti dalla propaganda neoconservative globale. Continuando a camminare nella fede degli Apostoli. E facendo anche tesoro, nelle circostanze date, di una Tradizione ecclesiale che ha sempre «dato a Cesare quel che è di Cesare», senza mai demonizzare il potere politico un quanto tale. Nemmeno quando ad esercitarlo erano gli Imperatori romani che perseguitavano i cristiani.

 
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