Laici Libertari Anticlericali Forum

Don Carli condannato per pedofilia su bimba di 9 anni. Gli danno parrocchia con bambini a Vipiteno, Salvato dalla galera per prescrizione, condannato a risarcimento, pagato dalla curia di Bolzano

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view post Posted on 30/8/2013, 06:22
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Pedofilia: su don Carli ora è scontro frontale

Don Gigi Carfagnini su facebook svela il nome della vittima e l'attacca. Lanzinger: "Gravissimo, lo denunciamo"


di Riccardo Valletti

BOLZANO. Risentimento, rabbia, insofferenza. Con queste parole si possono descrivere le poche righe con cui don Gigi Carfagnini, parroco della chiesa di Firmian, ha reagito alla sentenza di condanna in solido di Curia e Parrocchia al risarcimento di 700 mila euro alla vittima di don Giorgio Carli.

Un post su Facebook di inaudita veemenza, fatto ancor più raro e grave considerando che a scriverlo è stato un sacerdote, che parla di una sentenza inaccettabile (la definisce una “pagliacciata”), e di una condanna di don Giorgio “senza testimoni” e col solo resoconto di una ragazza, la vittima, con “evidenti segni di instabilità psichica”. Il prete ne cita addirittura il cognome, che negli ultimi dieci anni era sempre rimasto protetto dal segreto e dalla legge sulla privacy. «Tutti nel quartiere sanno che a violentarla è stato (nostro omissis)». In pochi minuti il post è rimbalzato su tutti i social network, fino a quando qualcuno lo ha rilanciato sul sito del nostro giornale (dove era in corso una battaglia tra colpevolisti e innocentisti), da dove è stato presto rimosso con evidente imbarazzo. Ma quella «finestra» è bastata a scatenare chiamate e mail di protesta al nostro giornale.

Don Gigi conferma tutto. Raggiunto al telefono mentre era in gita con i ragazzi del gruppo estivo del Corpus Domini, don Carfagnini parla di “uno sfogo personale”, ma non smentisce nulla di quanto scritto.

«Questa vicenda è scandalosa per tanti versi: prima di tutto per la condanna di don Giorgio, quando tutto il quartiere sapeva cosa era veramente successo a quella ragazzina; non è una questione di solidarietà tra preti, sono centinaia le persone che la pensano come me, quella ragazza aveva problemi mentali, eppure è bastata la sua versione dei fatti per condannare don Giorgio». Poi il risarcimento in solido, «è una vergogna, il Tribunale vuole punire la diocesi praticamente accusandola di aver insabbiato il caso, come se fossimo tutti conniventi; intorno a questa storia si è creata un'atmosfera insopportabile».

«Chiesa presa di mira». E c'è pure una questione di forma, «trattano la chiesa come se fosse una ditta, come se un suo dipendente avesse fatto un sbaglio per cui paga l'amministratore delegato; intanto quando lo hanno interrogato, il vescovo Egger aveva chiarito che non ne sapeva niente».

Denuncia in arrivo. Sul post nessuna marcia indietro, nemmeno quando gli si fa notare che il nome della vittima avrebbe dovuto essere tutelato. Su questo punto si pronuncia con poche ma chiare parole l'avvocato della vittima, Gianni Lanzinger: «È un fatto gravissimo, sbandierare il nome della mia assistita su facebook è stato come incitare la gente alla sua lapidazione, almeno morale; i responsabili di questa condotta ne dovranno rispondere in sede penale».

Due fazioni. E dopo anni di calma, i tizzoni sotto la cenere sono tornati a bruciare in un'ondata di commenti: da un lato la difesa, ancora granitica dopo più dieci anni, del prete accusato di pedofilia; sono i vecchi parrocchiani, quelli che lo hanno conosciuto e che hanno avuto modo di frequentarlo sia all’epoca dei fatti contestati in tribunale, che successivamente. Tutti, all'unisono, continuano a ripetere che è impossibile che “DonGi” abbia potuto commettere un simile abominio, e scaricano la loro rabbia a pioggia tra “malagiustizia” e “magistratura politicizzata”; «Avete rovinato la vita di un uomo e della sua famiglia – scrive Silvia Cappello – buttate m... su un uomo meraviglioso, fate schifo».

Dall'altro versante le pretese di giustizia di chi è stanco di sentir parlare del binomio preti-pedofilia, che plaude alla pena esemplare comminata a chi i preti è tenuto a controllarli e, in caso, denunciarli. «Per fortuna che c'è stata la denuncia – scrive Franco Ferrari – così è stato smascherato un altro pedofilo nascosto dietro una tonaca; le parrocchie non li denunciano, anzi li spostano da un'altra parte così possono continuare a fare del male». Le motivazioni della sentenza, d'altronde, sono chiare: la condanna al risarcimento della famiglia e della vittima arriva dopo la sentenza definitiva in Cassazione per don Carli, che venne giudicato colpevole di un reato ormai prescritto. Il vescovo e il parroco avrebbero dovuto vigilare sul suo operato quando era vicario a San Pio X con l'incarico per le attività giovanili. La diocesi, dal canto suo, ha risposto alla sentenza con un comunicato ufficiale in cui afferma di prendere atto della decisione del Tribunale, ma lamentando delusione e sorpresa per l'obbligo al risarcimento.

«Decisione incomprensibile – si legge nella nota – nonostante il vescovo Egger non fosse a conoscenza delle accuse mosse contro don Carli, e senza che nessuno sia stato né accusato né condannato». Parole chiare a cui i legali della vittima rispondono: «La sentenza è esecutiva».

29 agosto 2013
 
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view post Posted on 31/8/2013, 15:13
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La Curia: «Don Carfagnini ha sbagliato»

Il vicario don Tomasi: «Siamo pronti a fare appello». Intanto si pensa ad una regolamentazione dell’uso di facebook

di Antonella Mattioli

BOLZANO. «Quel post su Facebook è stato un errore grave. Dispiace perché come unico effetto ha solo quello di aumentare la tensione. Andava assolutamente evitato». Don Michele Tomasi, vicario del vescovo, stigmatizza la decisione di don Gigi Carfagnini, parroco della chiesa di Firmian, di mettere su facebook un attacco durissimo contro la giovane che nel 2003, a quindici anni dai fatti, ha denunciato don Giorgio Carli, all’epoca cooperatore parrocchiale a San Pio X (oggi opera presso la parrocchia di Vipiteno, ndr), raccontando di essere stata violentata dal sacerdote quando era ancora una ragazzina. Ricordiamo che don Carli è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, a sette anni e mezzo di carcere, pena condonata perché nel frattempo è intervenuta la prescrizione del reato. Prima in sede penale e ora anche in quella civile è stato stabilito che la Diocesi e la parrocchia di San Pio X, in solido con il sacerdote, dovranno pagare 700 mila euro rispettivamente alla vittima e ai genitori. È stata questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso, portando don Carfagnini non solo a prendere le difese di don Carli ma ad attaccare pesantemente la vittima, arrivando a mettere nome e cognome della giovane, che oggi ha una trentina d’anni, e a scrivere quella che è la “verità” dei fatti che si racconta nel quartiere. Un post quello del parroco di Firmian che, nonostante sia stato tolto qualche ora dopo, ha provocato una serie di reazioni, tornando a dividere l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti, e creando grande imbarazzo in Curia.

Don Tomasi, è stata la Curia ad intervenire affinché don Carfagnini togliesse il post da facebook, anche se ormai il danno era stato fatto?

«Non c’è stato nessun intervento. Io l’ho scoperto oggi leggendo il vostro giornale. Comunque, parleremo sicuramente con don Gigi, anche perché la cosa potrebbe avere conseguenze se dovesse scattare la denuncia. E poi dobbiamo discutere dell’uso dei nuovi sistemi di comunicazione. Sono mezzi che vanno veloci e possono fare male ».

Come spiega quest’attacco di don Carfagnini che per la prima volta, dall’inizio dell’inchiesta, consente di identificare la vittima?

«Sicuramente, don Carfagnini, persona molto generosa, è stato mosso da un moto dell’anima: pensava di far bene, prendendo le difese di una persona che sa innocente. Era invece una cosa che andava assolutamente evitata. Per nessun motivo al mondo poi andava messo il nome della ragazza. Ci tengo a precisare che la posizione di don Carfagnini non è la nostra».

La Curia però è sempre stata innocentista.

«Lo siamo da sempre: c’è la convinzione che la sentenza di condanna sia frutto di un grave errore. Ne era convinto il vescovo Egger, poi il suo successore Golser e oggi monsignor Muser: don Carli è innocente».

Adesso però c’è la condanna del giudice civile al risarcimento del danno: pagherete o farete appello?

«Il caso è complesso, lo stiamo valutando con gli avvocati. I tempi sono stretti ma sembra ci siano buone possibilità di fare appello».

Al di là dell’aspetto economico, la sentenza fissa un principio di più ampia portata per quanto riguarda la responsabilità del vescovo per l’operato di parroci e collaboratori.

«Stiamo studiando la sentenza, per capire se dice effettivamente questo. Non sarebbe giusto che il vescovo dovesse essere chiamato a rispondere di quanto fanno i suoi collaboratori».

30 agosto 2013
 
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view post Posted on 11/9/2013, 08:02
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http://www.personaedanno.it/index.php?opti...se=09&anno=2013

10/09/13

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"CHIESA E PEDOFILIA: NOTE A MARGINE DI UN LEADING CASE" - Trib. Bolzano, 21.8.2013, n. 679, gu. Pappalardo - Stefano ROSSI
Rossi Stefano

La sentenza in commento, pronunciata dal Tribunale di Bolzano in data 21.08.2013 (n. 679/2013), rappresenta – almeno per l’Italia – un leading case avendo sancito, nell'ambito di un processo civile, la responsabilità solidale della Diocesi e della Parrocchia per le azioni criminose compiute da un prete a danno di una minorenne.

La questione più spinosa e controversa, sotto il profilo giuridico, sta appunto nella qualificazione del rapporto che si viene ad instaurare tra il prete e la Diocesi rappresentata dal Vescovo, in particolare nella possibilità di sussumere tale rapporto nell’ambito della disciplina prevista dall’art. 2049 c.c.

Prima di entrare nel merito della questione, è tuttavia utile ripercorrere la sentenza, molto ben argomentata, che risolve anche alcuni nodi preliminari, non certi esclusivi della vicenda in commento, ma che potrebbero trovare svolgimento e attenzione anche in altri casi analoghi.

È bene rammentare che il prete, che chiameremo Giulio, dopo essere stato consacrato chierico, era stato assegnato ad una parrocchia di Bolzano, in qualità di vicario cooperatore e di responsabile della pastorale giovanile.

In questa funzione, approfittando della sua posizione di sacerdote, aveva carpito la fiducia di una bambina in occasione (e con la scusa) della preparazione prima della prima comunione e successivamente della cresima, imponendole il vincolo della promessa di mantenere segreti i loro incontri e inducendola, in un crescendo di ‘attenzioni’ e di minacce, a subire violenze sessuali ripetute.

Don Giulio veniva tratto a giudizio, ma arrivati in Cassazione veniva assolto per intervenuta prescrizione dei reati, con conferma delle statuizioni civili della sentenza di merito (Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2009, n. 17846), ovvero la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale cagionato dal reato, liquidato equitativamente in €. 500.000,00= a favore della minore ed €. 100.000,00= cada uno per i genitori di costei.

Con il processo instaurato avanti il Tribunale di Bolzano, i genitori della minorenne, hanno citato in giudizio don Giulio, la Parrocchia presso cui era stato assegnato e la Diocesi di Bolzano e Bressanone per sentirli condannare: a) il convenuto, ai sensi degli art. 2043 c.c. e 185 c.p., al risarcimento dei danni patrimoniali non coperti da giudicato in quanto successivi alla sentenza della Corte d’Appello di Trento – sez. dist. di Bolzano – con cui era stata affermata la responsabilità civile dello stesso per il fatto-reato commesso, quantificando in €. 7.000,00= i danni patrimoniali risarcibili; b) la Diocesi di Bolzano e Bressanone e la Parrocchia, a titolo di responsabilità solidale con il sacerdote, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2043 e 2049 c.c., al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali già definitivamente accertati con la sentenza del Tribunale trentino, oltre alle spese per la costituzione di parte civile e ai danni patrimoniali sorti successivamente.

La difesa di don Giulio contestava (inutilmente) la ricostruzione dei fatti di causa emergente dalla sentenza della Corte d’Appello e chiedeva dichiararsi l’inammissibilità della domanda risarcitoria per contrasto con il principio del ne bis in idem. In particolare si eccepiva che gli attori, costituitisi parte civile, avevano già ottenuto ristoro per il danno subito a mezzo della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, liquidati in via definitiva ed equitativa nel giudizio penale.

Il Tribunale di Bolzano rigetta tale interpretazione, notando come la domanda degli attori, proposta in sede di costituzione di parte civile, si differenziasse per petitum da quella oggetto del processo, non comprendendo il risarcimento dei danni patrimoniali futuri, ma limitandosi a rivendicare esclusivamente le spese sostenute sino ad allora per le cure e la psicoterapia a cui era stata sottoposta la minore.

A loro volta la Diocesi e la Parrocchia eccepivano, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva e l’avvenuta prescrizione della pretesa risarcitoria, oltre alla carenza di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 e/o 2049 c.c.

Sul punto della legittimazione passiva, il giudice trentino se la cava rapidamente, rilevando come la stessa attenga “alla correlazione tra soggetto contro cui un diritto è fatto valere ed il soggetto che tale diritto è tenuto ad osservare, secondo la prospettazione del rapporto controverso offerta dall’attore” (pg. 17; in dottrina C. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Giappichelli, Torino, 2007, 55).

Peraltro la contestazione della titolarità passiva, investendo un fatto costitutivo della domanda, e cioè che il soggetto convenuto non è quello che nella fattispecie concreta è tenuto per legge al comando richiesto al giudice, non integra un’eccezione in senso stretto (e cioè un fatto modificativo o estintivo), ma una mera difesa (Cass. civ. n. 15832/2011), consistente nella contestazione del fatto costitutivo della domanda (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2012, n. 17701).

Anche per tale motivo, l’accertamento, che deve essere operato dal giudice riguardo la predetta correlazione, si svolge agendo sulla stessa norma di diritto da applicarsi per la decisione del merito della causa, assumendo quindi come vera la ricostruzione dei fatti proposta dall’attore e conseguentemente identificando nel convenuto il soggetto tenuto a subire la pronuncia giurisdizionale (Cass. civ., sez, I, 6 aprile 2006, 8040)

Una seconda eccezione prospettata dalle difese degli enti ecclesiastici atteneva all’avvenuta prescrizione della domanda. Se infatti è vero che l’art. 2947, 3° co., c.c. sancisce che, in caso di reato, il termine di prescrizione del risarcimento è pari a quello prescritto per il reato connesso, tuttavia “in tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato, mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’ultimo comma dell’art. 2947 c.c., per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata alla sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato)” [Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27713].

Vi è però da rilevare che la proposizione di domanda giudiziale (ovvero, nella specie, la costituzione di parte civile nel procedimento penale) nei confronti di uno dei coobbligati in solido determina l’interruzione della prescrizione anche nei confronti degli altri obbligati, senza necessità che in quel processo venga accertata l’esistenza del vincolo di solidarietà (Cass. civ., 23 aprile 1982, n. 2534).

Meno convincente, in linea generale, appare un terzo principio enunciato sul punto dal giudice in sentenza, secondo cui il dies a quo per calcolare il termine di prescrizione sarebbe da individuare nel momento in cui l’attore ha acquisito una sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato (Cass. civ., sez. un., 18 novembre 2008, n. 27337). Volendo essere pratici, tuttavia, esso appare ragionevole, soprattutto se, operando un’analogia, si rapporta l’ipotesi in relazione alla quale il principio è stato sancito (ovvero i danni provocati da emotrasfuzioni infette) con il caso di specie (laddove il ricordo delle violenze, rimosso, è emerso dal subconscio della minore solo dopo alcuni anni).

A conferma poi il giudice rileva come le parti ecclesiastiche, pur avendone l’onere, non avessero contestato l’individuazione temporale operata dagli attori del dies a quo del calcolo della prescrizione. Sicchè anche questa eccezione veniva rigettata.

Un’ultima eccezione sollevata dalla Diocesi e dalla Parrocchia sottolineava come l’accertamento reso nel giudicato penale in ordine alla sussistenza del fatto di reato fosse ad essi inopponibile, in quanto non intervenuti, né chiamati in tale processo in qualità di responsabili civili (in precedenza si veda Trib. Lecce, sez. I pen., ord. 8 ottobre 2012, in www.penalecontemporaneo.it).

Detta eccezione è stata disattesa.

Si deve rammentare che la cosa giudicata rappresenta la forza vincolante che il provvedimento giurisdizionale spiega in quanto decide irrevocabilmente circa la sussistenza della ragione fatta valere in giudizio. Essa consiste nel valore normativo che la decisione assume sia come regola ormai indiscutibile per le parti nei rapporti tra loro, sia come criterio obbligatorio per il giudice in qualunque giudizio futuro sul medesimo oggetto.

A differenza di quanto si dispone per la materia civile, suol dirsi valere nel diritto penale il principio per cui il giudicato ha efficacia erga omnes. Ciò appare esatto, in quanto, per esempio, la parte lesa, ancorché non abbia partecipato al giudizio penale, non può mettere nuovamente in questione il fatto escluso dal giudicato penale, neppure in sede separata, e ai limitati effetti del risarcimento (art. 25 cod. proc. pen.).

Tuttavia più complesso appare estendere tali effetti a soggetti terzi che non abbiano partecipato a tale giudizio.

Per superare tale ostacolo il giudice rileva come la sentenza emessa dalla Corte d’Appello trentina sia stata annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione, in quanto il reato si era nel frattempo prescritto, pur facendo salve le statuizioni civili. Ciò comporta quindi che l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato diano luogo ad effetti analoghi a quelli del giudicato civile.

“Qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, ed il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidano sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, una tale decisione, se la predetta condanna resta confermata, comportando necessariamente, quale suo indispensabile presupposto, l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato, dà luogo a giudicato civile, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più essere messa in discussione “ (Cass. civ., 21 giugno 2010, n. 14921; Cass. pen., sez. IV, 21 gennaio 2004, n. 1484).

Sul punto, premesso che il giudicato a norma dell’art. 2909 cod. civ. “fa stato” tra le parti ed i loro aventi causa, è bene rammentare che il relativo vincolo preclusivo opera in una duplice direzione: in via immediata esplica effetti in ordine al rapporto accertato, impedendo la proposizione di nuove domande relative ad esso (c.d. efficacia diretta); in secondo luogo, ed in via mediata, la sentenza vale rispetto ad altri aspetti dello stesso rapporto (ovvero altri rapporti giuridici) diversi da quelli accertati a questo legati da un nesso si pregiudizialità-dipendenza; la precedente pronuncia non regola direttamente tali rapporti, ma ne condiziona in parte qua il contenuto (c.d. efficacia riflessa o indiretta).

Con l’espressione efficacia riflessa, peraltro, non si intende una diversa qualità degli effetti ed un diverso vincolo per il giudice e per le parti del secondo giudizio in ordine al rapporto deciso, perché l’accertamento di questo non è né più né meno immutabile di quanto avviene in caso di efficacia diretta, solo che si vuol solo evidenziare che taluni effetti investono un aspetto distinto del rapporto (o addirittura un rapporto distinto da quello oggetto del giudicato) ma giuridicamente collegato ad esso, e gli effetti coinvolgono dunque un diritto sostanziale (dipendente) in ragione dell’efficacia prodottasi in ordine ad una differente situazione soggettiva (pregiudiziale).

È soltanto il collegamento di pregiudizialità-dipendenza in senso giuridico che legittima l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti di soggetti eventualmente estranei al relativo giudizio; ma detta categoria giuridica è riscontrabile solo allorché un rapporto giuridico (pregiudiziale o condizionante) rientra nella fattispecie di altro rapporto giuridico (condizionato, dipendente) rendendo possibile che esso spieghi i suoi effetti nei confronti di soggetti in tutto o in parte diversi, nel rispetto dei diritti costituzionali del contraddittorio e di difesa; sicché ogni qual volta non possa riscontrarsi una tale coincidenza (sia pure parziale), ma emergano solo nessi di fatto o logici tra i due rapporti dedotti in giudizio, non vi sono i presupposti perché si determini detta efficacia riflessa (Cass. civ., sez. un, 12 marzo 2008, n. 6523).

Il giudice ha pertanto riqualificato il giudicato da penale a civile e poi ha valutato la sussistenza di un nesso di condizionamento tra quanto accertato nel giudicato e quanto da accertare (ovvero la responsabilità civile dei convenuti) nel processo in corso.

In tal senso più di recente si è affermato “ove l’azione di cui all'art. 2054 c.c. sia proposta separatamente da quella diretta, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 990 del 1969, contro l’assicuratore, quest’ultimo non è parte necessaria del processo. Pertanto, il giudicato maturato nel giudizio nel quale l’assicuratore non era parte non può essere ad esso esteso sic et simpliciter, ma potrebbe spiegare nei suoi confronti efficacia riflessa, nel senso di rendere non più controverso, e dunque irretrattabilmente accertato, quel rapporto giuridico rispetto al quale l’assicuratore medesimo si trovi in una situazione di giuridica dipendenza quale è il vincolo di solidarietà che sussiste tra il debito dell'assicurato ex delicto, di natura aquiliana, e quello dell’assicuratore ex lege, di natura indennitaria. A tal fine è necessaria, però, - non esistente nel caso de quo - una condanna del danneggiante assicurato al risarcimento del danno, da intendersi come statuizione che non solo investa la questione della responsabilità del predetto quanto al fatto illecito, ma anche l’esistenza di un suo debito nei confronti del danneggiato e cioè di una obbligazione risarcitoria in sé piena e conchiusa” (Cass. civ., Sez. III, 20 febbraio 2013, n. 4241).

Il Tribunale ha rilevato tale rapporto di condizionamento-dipendenza sulla base della relazione tra l’illecito commesso dal sacerdote e il titolo di responsabilità a cui sono stati chiamati gli enti ecclesiastici ex art. 2049 c.c., che si traduce in “un rapporto di solidarietà-dipendenza, ove invece la responsabilità del coobbligato-responsabile indiretto può essere invocata solo previo positivo accertamento della sussistenza di responsabilità del coobligato-autore del fatto illecito” (pag. 24 sentenza).

Si può giungere dunque all’analisi del punto centrale della sentenza, ovvero la qualificazione del rapporto tra sacerdote e Diocesi entro le coordinate dell’art. 2049 c.c.

Appare incontestato che don Giulio era stato incaricato vicario parrocchiale presso una parrocchia di Bolzano, essendogli affidate le mansioni relative all’educazione pastorale dei bambini e dei giovani e l’organizzazione della catechesi. Ora esclusa la possibilità di configurare una responsabilità diretta degli enti ecclesiatici, mancando un rapporto di immedesimazione organica tra il vicario parrocchiale e la Diocesi/Parrocchia, il giudice ha ritenuto sussistente un rapporto disciplinabile ai sensi dell’art. 2049 c.c.

Si rammenta che il principio espresso dall’art. 2049 c.c., secondo cui «i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti», ha costituito e costituisce tutt’ora una delle disposizioni più discusse a livello dottrinale in tema di responsabilità, connettendosi strettamente alla più ampia tematica della configurazione di una teoria generale della liability divisa tra le varie concezioni dei relativi criteri di imputazione.

Secondo Scognamiglio il criterio del rischio-profitto (imposto da Trimarchi) costituisce tutt’al più una ragione mediata della fattispecie di responsabilità, «il cui fondamento deve ricercarsi invece negli elementi e dati assunti dal disposto normativo»: questi elementi risiederebbero nella circostanza di avvalersi di altri per realizzare un fine o un interesse proprio, ossia il cd. rapporto di preposizione.

È pur vero che «una moderna interpretazione della norma non può non commisurarsi tanto ai criteri di organizzazione produttiva della grande impresa contemporanea, quanto al principio, desumibile dall’art. 41, 2° co., Cost., che subordina la legittimazione delle attività economiche all’attitudine ad accollarsi i danni prodotti, secondo canoni di efficienza sociale e non solo economica» (C. Salvi, La responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1988, 1241), per cui, in quest’ottica, assodata la natura oggettiva di tale responsabilità, poco importa se la ratio della responsabilità dipenda dal rischio, dalla esposizione al pericolo, dalla preposizione o dalla vicarietà, in quanto il preponente è chiamato a rispondere nei confronti di un terzo del danno cagionato da un soggetto per effetto dello speciale vincolo che lo lega, dal quale nasce il titolo dell’imputazione.

Notoriamente la responsabilità ex art. 2049 c.c. si configura alla ricorrenza di tre requisiti: a) il fatto illecito commesso dal preposto o commesso; b) il rapporto di preposizione; c) il nesso di occasionalità necessaria tra fatto illecito e incombenze svolte su incarico del preponente.

Se il primo requisito risulta, nel caso di specie, definitivamente accertato in sede penale, è sul rapporto di preposizione che si incentra l’analisi del giudice.

La terminologia usata dal legislatore, come si desume immediatamente dall’impiego del termine «padrone», appare arcaica, ma, più in generale, leggendo l’articolo «si direbbe che il legislatore sia fermo all’idea dell’azienda domestica, alla fase artigianale dello sviluppo economico: sembra cioè che la civiltà e la tecnica industriale ed i loro problemi siano rimasti estranei al codice». (P. Rescigno, Persona e comunità, Il Mulino, Bologna, 1966, 419)

Oltre che desueto, il lessico utilizzato nell’art. 2049 c.c. è generico, quanto all’impiego dei termini «committenti», «domestici» e «commessi»: il primo sostantivo è impiegato solo in tale articolo, gli altri vengono adoperati con significati differenti, così il vocabolo «committente» è utilizzato quale sinonimo di appaltante o di chi si incarica di eseguire una commissione, il termine «domestico» si riferisce a colui che svolge lavori domestici ai sensi della disciplina di cui al Libro V, Titolo IV, Capo II del codice civile, infine «commesso» è il lavoratore subordinato fornito di poteri di rappresentanza dell’imprenditore ai sensi degli artt. 2210-2213 c.c.

Tuttavia si deve sottolineare come una rigida determinazione degli elementi del rapporto rappresenterebbe «un ostacolo alla rilevazione di una realtà fluttuante e in continua evoluzione» (C. Scognamiglio, Responsabilità civile, in Noviss.DI, XV, 1968, 699), così l’identificazione di tale responsabilità attraverso il termine «institutoria» vuole indicare riassuntivamente la fonte del rapporto dal quale nasce l’obbligazione e la giustificazione del trasferimento del costo del danno in capo al gestore.

È comunque pacifico che la portata dell’art. 2049 c.c. non possa risolversi esclusivamente nell’individuazione di un rapporto di lavoro subordinato, dato che il rapporto di preposizione identifica anche le nuove forme di rapporto tra due soggetti posti in posizione asimmetrica.

«La responsabilità del committente o padrone per il fatto del commesso è subordinata al concorso di due requisiti, cioè che il commesso agisca su richiesta e per conto del committente, indipendentemente dalla permanenza dell’incarico e dalla continuità della prestazione, e che lo stesso sia legato da un vincolo di subordinazione nei confronti del committente, cui corrisponda un potere di direzione e sorveglianza da parte di costui sull’operato del primo. Occorre, inoltre, che, tra l’esecuzione dell’incarico e la consumazione dell’illecito, esista, se non un rigoroso nesso di causa ad effetto, almeno un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’evento lesivo sia stato reso possibile o comunque, agevolato, dall’adempimento dell’incarico» (Cass. 7 luglio 1976, n. 2548, MGC, 1976; Cass. 18 maggio 1976, n. 1748, MGC, 1976; Cass. 27 maggio 1976, n. 1111, MGC, 1976; Cass. 10 gennaio 1975, n. 99, MGC, 1975; Cass. 11 luglio 1975, n. 2766, MGC, 1975; Cass. 10 maggio 1974, n. 1354, MGC, 1974; Cass. 29 marzo 1972, n. 965, MGC, 1972; Cass. 30 dicembre 1971, n. 3776, MGC, 1971).

Così tra le figure che impegnano la responsabilità del preponente vanno annoverati gli apprendisti (Cass. 10 maggio 2000, n. 5957, GCM, 2000, 980; Cass. 9 novembre 1978, n. 5135, MFI, 1978; Cass. 22 dicembre 1970, n. 2732, RC, 1971, 369), i lavoratori domestici (Cass. 8 agosto 1961, n. 1918, MGI, 1961; Trib. Genova 28 marzo 1961, RGL, 1961, 307; App. Milano 23 ottobre 1958, RGL, 1958, II, 563), la guardia giurata (Cass. pen. 17 marzo 1988, RP, 1989, 394), il catechista di una parrocchia (Trib. Pescara 19 marzo 1998, PQM, 1998, 1, 46), l’elettricista (App. Palermo 27 novembre 2000, GM, 2001, 920), l’istruttore di un circolo sportivo (Trib. Roma 24 marzo 2000, GRom, 2000, 455) ed infine l’istruttore di un’associazione scout (Cass. 26 luglio 2001, n. 10213, MFI, 2001).

Si può affermare che in definitiva sia l’intensità della subordinazione (da valutare caso per caso) a determinare la sussistenza del rapporto prepositorio, andando oltre l’area del lavoro subordinato in senso proprio, per cui è sufficiente ad integrare tale rapporto che le sue caratteristiche siano tali da configurare l’attività del preposto come strumentale rispetto all’utilizzazione che ne fa il preponente. (C. Salvi, La responsabilità civile, cit., 1242)

Il rapporto di preposizione, dunque, non si collega necessariamente con un vincolo formale di subordinazione, configurandosi invece come situazione materiale nella quale si viene a trovare un soggetto nei confronti di un altro. Ne è una prova evidente il fatto che ogni volta che i giudici si sono trovati di fronte a forme di dissociazione tra datore formale e sostanziale, quali il prestito di dipendente o il distacco del lavoratore, hanno sempre individuato il preponente nel soggetto che, anche solo temporaneamente, ha effettivamente e liberamente utilizzato il lavoro altrui.

Sicchè si è giunti alla conclusione per cui l’art. 2049 c.c. risulta applicabile ogni volta che sussista una relazione qualificata tra l’attività del padrone o del committente e il comportamento dell’ausiliario, come indubbiamente avviene nel contratto di mandato o di agenzia.

In particolare, per la pronuncia della responsabilità per fatto altrui del mandante – secondo la giurisprudenza consolidata – è necessario che vi sia, oltre alla relazione di occasionalità con l’esecuzione del mandato, la spendita del nome del mandatario e l’apparenza della rappresentanza.

Così «questa Corte suprema ha ritenuto, nell’ambito dei principi vigenti in materia anzidetta, che il mandante può rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c., del fatto illecito commesso dal mandatario nell’esecuzione del mandato. Per altro, affinché possa sussistere la responsabilità indiretta del mandante per il fatto illecito compiuta dal mandatario è indispensabile che l’attività del mandatario, generatrice di responsabilità, possa mettersi in relazione di occasione oggettiva con il mandato, nel senso che il mandatario si sia avvalso della sua qualità e della sua posizione di rappresentante come mezzo per consumare l’illecito, e che, inoltre, la sua attività appaia verosimilmente, al terzo di buona fede, come rientrante nei limiti del mandato (Cass. 23 luglio 1976 n. 2013; conf. Cass. 27 giugno 1984 n. 3776)» (Cass. 13 giugno 1986, n. 3937, GCM, 1986, 6; Cass. 23 luglio 1966, n. 2013, GC, 1967, I, 571).

La disposizione contenuta all’art. 2049 c.c. configura quindi una tipica ipotesi di responsabilità canalizzata sul preponente, ma, per poter essere affermata, postula nel preposto la qualità di rappresentante. Pertanto, non è l’attività di mandatario a poter essere assunta, ai sensi della citata disposizione, come fonte di responsabilità extracontrattuale del mandante, bensì l’utilizzazione della qualità di rappresentante per la consumazione dell’illecito nelle ipotesi in cui il danneggiante abbia agito, oltre che come mandatario, anche nella distinta e non sempre compresente veste di rappresentante, ossia nel caso che atecnicamente continua ad essere indicato nella pratica come mandato con rappresentanza (Cass. 19 dicembre 1995, n. 12945, GCM, 1995, 12).

Ora determinato che il rapporto di preposizione è ben più ampio del solo rapporto di lavoro subordinato (M. Comporti, Fatti illeciti: le responsabilità oggettive. Artt. 2049-2053, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Giuffrè, Milano, 2009, 79), si deve verificare se sia possibile configurare una relazione di subordinazione gerarchica (che comporta poteri-doveri di direzione, vigilanza e controllo) tra il Vescovo, a capo della Diocesi, il parroco, quale referente della Parrocchia, e i chierici che svolgono la loro opera in tal ambito.

Il fatto che quello tra Diocesi/ Parrocchia e chierici non sia un rapporto di lavoro in senso stretto non esclude tuttavia la chiara sussistenza di un vincolo di subordinazione gerarchica tra il chierico e il suo vescovo, fondato sulla tipicità stessa della relazione canonistica, che non può non avere effetti sulla conseguente qualificazione civilistica.

In base al diritto canonico, il parroco è scelto e nominato dal vescovo (cfr. artt. 523 e 524 cod. can.) secondo criteri che ne debbano garantire l’idoneità all’incarico, non solo sotto il profilo della fede e della preparazione teologica, ma anche sotto quello della onestà dei costumi ed ogni altra qualità necessaria alla cura delle anime (cfr. art. 521 par. 2 cod. can.); e la parrocchia, che è un ufficio ecclesiastico che pone il parroco in posizione di autorità religiosa e morale sui suoi parrocchiani, è per tali ragioni sottoposta alla vigilanza del vescovo, che può sopprimerla, revocarne e sostituirne il parroco, ecc. (cfr. artt. 528 co. 2 e 538 cod. can.; cfr. anche, per altri esempi del potere di direzione, vigilanza e controllo, gli artt. 515 par. 1, 517 par. 2; 519; 520 par. 2).

Questa specialissima relazione gerarchica fra il vescovo e i suoi sacerdoti, ribadita dal Decreto Presbyterorum ordinis e concretizzata nello specifico dovere di obbedienza stabilito nei cann. 273 Cjc e 370 Cceo, si riflette nel dovere del vescovo diocesano di seguire con particolare sollecitudine i presbiteri curando che adempiano fedelmente gli obblighi propri del loro stato (cann. 384 Cjc e 192, § 4, Cceo). Vale a dire il complesso dei diritti e dei doveri che concretizzano il loro essere presbiteri al servizio della diocesi, senza limitazioni di sorta (in senso restrittivo però G. Feliciani, Il popolo di Dio, Bologna, il Mulino, 1995, 65).

Sembrerebbe non sussistere, quindi, alcun ostacolo a considerare il vescovo come “committente” del parroco, ai sensi della norma in esame: al parroco sarebbero, infatti, affidate competenze e compiti propri dell’autorità religiosa che, a livello apicale, nella diocesi è rappresentata dal vescovo.

Peraltro il ricorso, in ambito ecclesiasticistico, alla peculiare forma di responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c. vanta qualche precedente, nella nostra giurisprudenza, a proposito dei danni causati da un religioso in un incidente stradale occasionato da incombenze espletate con il consenso del direttore della casa di appartenenza, ma fuori dalle mansioni di economo specificamente disimpegnate (Cass. civ., sez. III, 5 gennaio 1985, n. 20, in Dir. eccl., 1985, II, 133 ss.; App. Roma, 18 gennaio 1982, ivi, 1984, II, 476 ss.).

Vi è da segnalare tuttavia che in dottrina non sono mancate voci che hanno giudicato abnorme tale omologazione del rapporto ecclesiale al nesso tra committente e preposto in quanto assolutamente inconciliabili con la natura delle relazioni esistenti all’interno della Chiesa. Il rapporto del ministro di culto con la confessione prescinde da qualsiasi scopo di carattere immediatamente utilitaristico o strumentale ed evoca piuttosto il ruolo di servizio che tutti i membri dell’organizzazione ecclesiastica ricoprono, nei riguardi della relativa base comunitaria, al fine di perseguire una “utilitas communis”, non propria (A. Licastro, I ministri di culto nell’ordinamento giuridico italiano, Giuffrè, Milano, 2005, 286). Nello stesso senso si è osservato che è sbagliato rapportare la relazione di servizio intercorrente fra il chierico diocesano e la diocesi alle figure tipiche del rapporto di lavoro per attribuire responsabilità patrimoniale al Vescovo per fatti illeciti civili e penali commessi da un chierico diocesano ed imputabili a questi come persona (P. Consorti, La remunerazione del clero. Dal sistema beneficiale agli Istituti per il sostentamento, Giappichelli, Torino, 2000, specie 161-171). Va comunque segnalato che nella relazione in parola esistono molti elementi oggettivi che la rendono in parte assimilabile ad una prestazione sinallagmatica, tanto che il facere del presbitero è remunerato in proporzione alla spendita di energie (sul punto cfr. N. Fiorita, Remunerazione e previdenza dei ministri di culto, Milano, Giuffrè, 2003).

Al tempo stesso, quanto al rapporto, vi è da considerare “l’ipotesi connessa con la missio canonica che il Vescovo conferisce ai chierici incardinati per l’esercizio del ministero”, ove sussiste un dovere canonistico di vigilanza che imputa al vescovo la duplice responsabilità di riparare i danni commessi dal chierico, pro quota (corresponsabilità), e, ai sensi del can. 128, per quanto rapportabile alla negligenza episcopale in materia di supervisione, vigilanza e selezione dei chierici o dei parroci. (M. Cozzolino, Profili di responsabilità del Vescovo nei confronti di minori vittime di abusi sessuali imputati a sacerdoti, in G. Dalla Torre, P. Lillo (a cura di), Sovranità della Chiesa e giurisdizione dello Stato, Giappichelli, Torino, 2008, 318-322).

Se si ha riguardo al tenore della normativa di diritto canonico, non vi è dubbio quindi che faccia capo al Vescovo un particolare «dovere di vigilanza» sull’attività ministeriale del presbitero, il cui negligente o abusivo adempimento può indubbiamente essere fonte di responsabilità secondo il diritto della Chiesa. Anzi, l’esperienza sembra avere dimostrato l’importanza di un corretto esercizio da parte del Vescovo, anche durante la fase antecedente l’ordinazione del sacerdote e il conferimento dell’incarico pastorale, di tutta una serie di specifici obblighi di controllo, previsti dal diritto canonico, e finalizzati proprio ad accertare l’idoneità del candidato ad essere ammesso al percorso di formazione e alla sua proficua prosecuzione.

Inoltre, già sulla base delle previsioni codicistiche, il Vescovo che abbia conoscenza (diretta o a seguito di denuncia) di fatti rientranti nella previsione del § 2 del can. 1395, c.j.c. – secondo cui il chierico che abbia commesso un delitto contro il sesto precetto del Decalogo, abusando di un minore al di sotto dei 16 anni, deve essere punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti – in quanto titolare della potestà giudiziaria, anche relativamente alla materia penale, ha precisi obblighi finalizzati all’accertamento dei fatti, e quindi alla punizione del colpevole, nonché alla tutela dei soggetti coinvolti attraverso l’adozione di idonee misure cautelari e disciplinari.

In tali termini se anche si può forse eccepire sulla corretta utilizzazione del termine “sottoposti” riferito ai chierici rispetto al vescovo, ma non anche ai religiosi ed alle religiose rispetto ai propri “superiori”, comunque, al di là di elementi linguistici formali, non è facilmente contestabile che tra chierici e vescovi sussiste una relazione gerarchica che “sottopone” i primi all’altro (L. Navarro (a cura di), L’istituto dell’incardinazione:natura e prospettive, Giuffrè, Milano, 2006).

Si rinvia per ulteriori riferimenti alle pagg. 29-30 della sentenza in commento.

Il giudice, svolta tale analisi, conclude per la sussistenza di un rapporto di preposizione fra vicario parrocchiale e Parrocchia, nonché tra vicario e Diocesi, in quanto attraverso l’attività di quest’ultimo l’ente ecclesiastico raggiunge i fedeli, così realizzando gli scopi pastorali immanenti all’ente stesso; dunque l’attività dei sacerdoti non può che rivelarsi come latamente strumentale rispetto alle finalità dell’ente di appartenenza.

Quanto al requisito del nesso di occasionalità fra incombenze e fatto dannoso, si deve rilevare come il panorama giurisprudenziale non offra, almeno nell’ultimo periodo, particolari spunti di riflessione, nella misura in cui il principio dell’occasionalità necessaria appare pienamente consolidato, nel senso di darne una lettura piuttosto ampia. L’accertamento del rapporto di causalità tra l’illecito e l’esercizio delle incombenze è svolto infatti con regole elastiche in base alle quali non è richiesta alcuna formalizzazione del rapporto di preposizione sotto il profilo eziologico: in questo senso non è necessario l’accertamento della sussistenza di un nesso di causalità in senso stretto, essendo sufficiente la sussistenza di una condizione di occasionalità necessaria, che abbia reso possibile o agevolato la condotta illecita del preposto.

«La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che in tema di fatto illecito, con riferimento alla responsabilità dei padroni e committenti, ai fini dell'applicabilità della norma di cui all’art. 2049 c.c., non è richiesto l'accertamento del nesso di causalità tra l’opera dell’ausiliario e l’obbligo del debitore, nonchè della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l’autore dell’illecito ed il proprio datore di lavoro e del collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente. è infatti sufficiente, per il detto fine, un rapporto di occasionalità necessaria., nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purchè sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro» (Cass. 6 marzo 2008, n. 6033, GCM, 2008, 3; Cass. 24 gennaio 2007 n. 1516, GCM, 2007, 1; Cass. 29 settembre 2005 n. 19167, GCM, 2005, 9; Cass. 7 gennaio 2002 n. 89, GCM, 2002, 1; Cass. 17 maggio 2001 n. 6756, GCM, 2001, 5; Cass. 13 novembre 2001 n. 14096, GCM, 2001, 11; Cass. 20 marzo 1999 n. 2574, GCM, 1999, 3; Cass. 10 dicembre 1998 n. 12417, GCM, 1998, 12; Cass. 7 agosto 1997 n. 7331, GCM, 1997, 7-8; Cass. 9 giugno 1995 n. 6506, GCM, 1995, 6).

La formula dell’occasionalità necessaria si compone di due elementi: l’occasione e la necessarietà. Da un lato, tramite il riferimento al concetto di occasione si vuole evidenziare come non sia necessario che l’esercizio delle mansioni assurga al ruolo di causa dell’illecito, secondo le regole generali dettate dagli articoli 40 e 41 del codice penale. D’altra parte, il richiamo alla nozione di necessità significa che l’espletamento delle incombenze affidate al commesso deve inserirsi quale componente, appunto, necessaria nella situazione dalla quale l’evento è scaturito, nel senso di averlo favorito o averlo reso almeno possibile.

Tuttavia, posto che anche l’arbitraria tracimazione dai compiti propri del preposto realizza un comportamento abusivo o comunque illegittimo, la giurisprudenza consolidata ha ritenuto, invece, insufficienti, per escludere il rapporto di occasionalità necessaria, l’eventuale abuso del preposto o la illegittimità del suo operato se l’attività si innesti, comunque, nel meccanismo dell’attività complessiva dell’ente e, conseguentemente, ritiene che il riferimento della condotta all’ente stesso può venire meno solo quando il preposto agisca come semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, e che quindi il suo comportamento, non importa se colposo o doloso, non sia perciò diretto al conseguimento di fini istituzionali che, in quanto propri dell’ente, possono anche considerarsi propri dell’ufficio nel quale il soggetto autore dell’illecito è inserito.

Nel caso di specie l’incontro tra don Giulio e la minore è stato agevolato, se non addirittura reso possibile, dalle mansioni che questi svolgeva presso la Parrocchia. Poiché, poi, preposto all’organizzazione della pastorale giovanile era proprio l’autore del reato (che, come emerge anche dalla lettura della sentenza della Cassazione penale, risulta sia stato coperto dal suo parroco che non voleva scandali stante la sua imminente nomina a vicario del Vescovo) risulta evidente il nesso di occasionalità necessaria fra le incombenze da questi esercitate (istruzione religiosa dei minori e cura dei corsi) ed il fatto-reato, nel senso che le prime hanno occasionato, o meglio agevolato, la commissione del secondo (cf. pagg. 31-33 sentenza).

Ritenuta sussistente la responsabilità solidale dei convenuti enti ecclesiastici ai sensi dell’art. 2049 c.c., il giudice li ha condannati in uno con don Giulio al risarcimento del danno non patrimoniale a favore degli attori come liquidato nella sentenza della Corte d’Appello, rinviando all’istruttoria per la quantificazione del danno patrimoniale futuro.

Alla fine anche l’Italia ha il suo “leading cases” in materia di risarcimento del danno da pedofilia a carico della Chiesa-Istituzione; ciò è dovuto al coraggio di una ragazza, alla tenacia dei suoi genitori, unita alla capacità e all’impegno del loro avvocato e all’indipendenza intellettuale di un bravo giudice, i quali ci ha fatto dono, senza dubbio con un pesante prezzo personale, di uno di quei casi che, passo dopo passo, punteggiano la storia del diritto di un paese e ne consentono l’avanzamento. Casi che chiamano gli studiosi a riflettere sull’essenza stessa del diritto e sulle sue connessioni con l’evoluzione della società, in tutte le sue sfaccettature: la garanzia dei diritti, la separazione dei poteri, il principio di laicità, il rapporto tra il diritto e la legge, tra il diritto e la morale.





Per riferimenti ulteriori in dottrina si veda:

D.G. ASTIGUETA, La persona e i suoi diritti nelle norme sugli abusi sessuali, in Periodica de re canonica, 2004, 623-691:

N. BARTONE, Il conflitto d’obbligo tra autorità ecclesiastica e autorità statale e il crimine di sesso del presbitero con il minore nella normativa comparata e interordinamentale, in Questioni attuali di diritto penale canonico, Città del Vaticano, LEV, 2012, 149-198;

P. CONSORTI, La responsabilità della gerarchia ecclesiastica nel caso degli abusi sessuali commessi dai chierici, fra diritto canonico e diritti statuali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2013;

A. LICASTRO, Danno e responsabilità da esercizio del ministero pastorale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2010;

A. LICASTRO, Riappare un “deja vu” nella giurisprudenza: la responsabilità oggettiva del vescovo per gli atti illeciti dei suoi sacerdoti, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2013.



Si ringrazia l'avv. Gianni Lanzinger per la concessione della sentenza

 
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view post Posted on 14/11/2013, 11:21
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Mentre la diocesi fa appello contro al sentenza civile che a condanna, don Giorgio Carli sta in mezzo ai bambini all'oratorio di Vipiteno

http://www.corriere.it/inchieste/reportime...1e116218a.shtml

[Esplora il significato del termine: Chiesa e pedofilia. Condannata diocesi al risarcimento: vescovo ha responsabilità civile sull’operato dei suoi preti Curia di Bolzano condannata dal Tribunale Civile a risarcire una vittima di un prete pedofilo. Una sentenza storica che equipara il vescovo ad un qualsiasi datore di lavoro. In questi giorni la Diocesi ha fatto appello Chiesa e pedofilia. Condannata diocesi al risarcimento: vescovo ha responsabilità civile sull’operato dei suoi preti Invia contenuto via mail Link: Pedofilia 4 ALTRI 4 ARGOMENTI Il caso è unico in Italia. Il tribunale civile di Bolzano ha condannato diocesi e parrocchia a risarcire una vittima di un prete pedofilo: la sentenza ha stabilito il principio secondo cui un vescovo, nei confronti dei preti, è come un datore di lavoro, obbligato a vigilare sui suoi dipendenti e per questo responsabile civilmente dei danni da essi provocati a terzi. Proprio in questi giorni gli enti ecclesiastici altoatesini hanno depositato il loro appello contro il verdetto, che crea un importante precedente giuridico. Secondo i giudici di Bolzano, infatti, la responsabilità della Curia rispetto ai reati commessi da un suo sacerdote è «oggettiva», ovvero prescinde dal fatto che il vescovo fosse o meno a conoscenza degli abusi, consumati in questo caso ai danni di una bambina all’interno della canonica e finanche in Chiesa. Don Giorgio Carli, all’epoca dei fatti vicario parrocchiale di San Pio X, è stato condannato nel 2008 in via definitiva a sette anni di carcere ma è a piede libero, essendo intervenuta la prescrizione prima del pronunciamento della Cassazione. Il prete si è sempre professato innocente ed è stato anche processato dal tribunale ecclesiastico, che lo ha assolto: ora fa il parroco a Vipiteno, vicino Bolzano, dove è anche responsabile del catechismo e dell’oratorio. 14 novembre 2013] Chiesa e pedofilia. Condannata diocesi al risarcimento: vescovo ha responsabilità civile sull'operato dei suoi preti
Curia di Bolzano condannata dal Tribunale Civile a risarcire una vittima di un prete pedofilo. Una sentenza storica che equipara il vescovo ad un qualsiasi datore di lavoro. In questi giorni la Diocesi ha fatto appello
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Il caso è unico in Italia. Il tribunale civile di Bolzano ha condannato diocesi e parrocchia a risarcire una vittima di un prete pedofilo: la sentenza ha stabilito il principio secondo cui un vescovo, nei confronti dei preti, è come un datore di lavoro, obbligato a vigilare sui suoi dipendenti e per questo responsabile civilmente dei danni da essi provocati a terzi.

Proprio in questi giorni gli enti ecclesiastici altoatesini hanno depositato il loro appello contro il verdetto, che crea un importante precedente giuridico. Secondo i giudici di Bolzano, infatti, la responsabilità della Curia rispetto ai reati commessi da un suo sacerdote è «oggettiva», ovvero prescinde dal fatto che il vescovo fosse o meno a conoscenza degli abusi, consumati in questo caso ai danni di una bambina all’interno della canonica e finanche in Chiesa.

Don Giorgio Carli, all’epoca dei fatti vicario parrocchiale di San Pio X, è stato condannato nel 2008 in via definitiva a sette anni di carcere ma è a piede libero, essendo intervenuta la prescrizione prima del pronunciamento della Cassazione. Il prete si è sempre professato innocente ed è stato anche processato dal tribunale ecclesiastico, che lo ha assolto: ora fa il parroco a Vipiteno, vicino Bolzano, dove è anche responsabile del catechismo e dell’oratorio.
14 novembre 2013
 
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view post Posted on 23/4/2014, 08:37
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http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2014/0...gnini-1.9088810

Diffamazione su facebook: interrogato don Carfagnini


La querela è legata al caso don Carli: il parroco di Firmian è accusato anche di aver reso noto il nome della parte lesa

BOLZANO. Primo atto processuale a carico di don Gigi Carfagnini, il parroco della Chiesa del quartiere Firmian , querelato per quanto pubblicato sulla propria bacheca facebook in relazione alla condanna di don Giorgio Carli con l’accusa di aver violentato per quattro anni e mezzo una parrocchiana che all’epoca dei fatti aveva otto anni. Come noto per quella vicenda don Giorgio fu in un primo tempo assolto per l’insufficienza degli elementi di prova (con un tribunale composto da tre giudici donne), e poi condannato in appello a 7 anni e mezzo di reclusione. Sotto il profilo della pena detentiva la sentenza rimase senza conseguenze in quanto, pur confermata in via definitiva dalla Cassazione, la sanzione risultò estinta per intervenuta prescrizione.

Rimasero però le prescrizioni civilistiche con un obbligo di risarcimento a carico di don Giorgio (e della Diocesi) per 700 mila euro. La disposizione contenuta nella sentenza penale venne poi ribadita anche nella sentenza di primo grado della causa civile avviata nei confronti del sacerdote e della Diocesi a seguito del mancato pagamento della somma.

Fu in occasione di queste fasi processuali che don Gigi Carfagnini fu autore di un post pubblicato (per alcune ore) sulla propria bacheca di facebook nella quale reagiva in maniera veemente alle disposizioni dei magistrati definendo la sentenza penale una «pagliacciata», prendendo le difese a spada tratta di don Giorgio, rivelando il nome (oltre a presunti problemi di instabilità psichica) della parte lesa, lanciando infine pesanti sospetti sul nonno (ormai defunto) della ragazza. Il messaggio (pur eliminato dopo poche ore da don Gigi) venne pubblicato da una terza persona anche sul sito del nostro giornale e da lì nacque la notizia di reato.

Don Gigi Carfagnini venne così querelato dalla parte lesa per diffamazione (della figura del nonno della vittima) e per aver reso noto il nome della parte lesa rimasta sempre riservato per effetto delle disposizioni sulla privacy. Nei giorni scorsi il sostituto procuratore Daniela Pol che conduce la nuova inchiesta penale, ha delegato la polizia a procedere all’interrogatorio del sacerdote.

Il parroco di Firmian è stato così sentito da un ispettore di polizia alla presenza del suo difensore , l’avvocato Alberto Valenti, e ha cercato di difendersi affermando di aver a suo tempo espresso il profondo disappunto per una vicenda che - a suo dire - avrebbe portato alla condanna di don Giorgio senza concerti elementi di prova, riportando alcune testimonianze indirette sul nonno della vittima, non pensando che un semplice “post” potesse diventare pubblico.

©RIPRODUZIONE RISERVATA
22 aprile 2014
 
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MAGO PROF. SILVA
view post Posted on 15/7/2014, 19:03




SONO DI BOLZANO E' HO SEMPRE SOSTENUTO LA CIARLATANERIA RELIGIOSA , SE POI DEVO COMMENTARE LA CONDANNA ALLA CURIA , DEVO SUBITO DIRE CHE SONO SODDISFATTO PRIMA PERCHE' IL DEFUNTO VESCOVO EGGER SI CREDEVA UN PADRE ETERNO COME PURE L'ATTUALE, I GIUDICI DI BOLZANO HANNO VOLUTO DIMOSTRARE AL MONDO INTERO CHE NON SI LASCIANO INFLUENZARE DALLA CIARLATANERIA RELIGIOSA.
 
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view post Posted on 16/7/2014, 08:23
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Il problema è che la diocesi di Bolzano sostiene l'innocenza di questo criminale, nonostante la Cassazione asserisca il contrario, e non ha mai pagato un euro di risarcimento, nonostante la condanna.

Anzi, ha riaffidato la parrocchia al prete.
 
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view post Posted on 21/7/2015, 22:01
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http://radionbc.it/bolzano-chiuso-caso-don...tenuto-segreto/

BOLZANO. CHIUSO IL CASO DON GIORGIO, SOTTOSCRITTO UN ACCORDO EXTRAGIUDIZIALE DAL CONTENUTO SEGRETO
Giudice
Il caso don Giorgio si è chiuso per sempre. Come si ricorderà si tratta del sacerdote accusato di aver abusato sessualmente di una bambina, all’epoca di 8 anni, che frequentava la parrocchia di San Pio decimo a Bolzano. Il sacerdote ha sempre negato i fatti contestati che riemersero sulla base di un sogno della presunta vittima e di successive cure psicologiche. Assolto in primo grado penalmente, il sacerdote venne condannato in appello, con successiva prescrizione del reato sancita dalla Cassazione che però confermò i risarcimenti in sede civili previsti dalla sentenza di secondo grado per 760 mila euro. A seguito dell’impossibilità del sacerdote di far fronte al pagamento, con successivo procedimento civile vennero citate in giudizio, per rispondere in solido, anche la Curia e la Parrocchia. Ora la vicenda è stata definitivamente chiusa con un accordo extragiudiziale i cui contenuti sono però destinati a rimanere segreti. Tutte le parti in causa hanno infatti sottoscritto un impegno di totale segretezza che prevede, in caso di violazione, pesanti penali.
 
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view post Posted on 21/7/2015, 22:17
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Sentenza epocale sancisce responsabilità diocesi di Bolzano. Curia chiude con accordo ma impone segreto

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view post Posted on 4/2/2017, 18:43
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“Un orco in canonica non va in prescrizione”
Storia di Anna, del sacerdote che abusò di lei e del risarcimento pagato dalla Chiesa dopo il processo
“Un orco in canonica non va in prescrizione”
di Antonio Armano | 4 febbraio 2017
| 0
La sentenza che ha condannato la curia di una provincia del Nord a risarcire una vittima di pedofilia per circa 800 mila euro costituisce un evento storico. Per quattro giorni il prete se l’è cavata sul lato penale con la prescrizione. Grazie alla “ex Cirielli”, la “legge salva Previti”, approvata dal governo Berlusconi. In questo […]
 
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view post Posted on 1/12/2018, 16:23

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Salvato dalla galera per prescrizione, condannato a risarcimento, pagato dalla curia di Bolzano

Don Carli condannato per pedofilia su bimba di 9 anni. Gli danno parrocchia con bambini a Vipiteno

d-giorgio
 
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view post Posted on 1/12/2018, 18:17

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Mag. Christoph Schweigl
Responsabile dell’unita pastorale

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don Giorgio Carli
incaricato per la pastorale di lingua italiana nell'Alta val d'Isarco

0472 765132 (c'è la segretaria telefonica)
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view post Posted on 4/12/2018, 16:59

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L'Opinione dell'Avv. Nino Marazzita
Il peccato nascosto
di a cura di Eleonora Fedeli
Dagli Stati Uniti alla Germania, dall’Irlanda
all’Italia. Migliaia di casi coperti
dal silenzio, nascosti sotto una coltre
di omertà e ipocrisia. La Chiesa fa un passo
indietro e condanna i responsabili degli abusi
sessuali: è vero pentimento o solo
preoccupazione per la perdita di credibilità?


E’ la vigilia di Pasqua del 1989 quando don Giorgio Carli, prete per mestiere, adocchia Alice, una bambina di nove anni che frequenta la parrocchia di San Pio X a Bolzano. Alice è una bambina allegra, simpatica e curiosa, una delle più piccole del gruppo di ragazzini che frequentano le lezioni di catechismo propedeutiche alla Prima comunione. Ogni settimana don Carli, prete giovane e dinamico, accompagna i suoi piccoli allievi nei loro primi contatti con Dio, spiegando loro il Vangelo e i sacramenti. Fa quello che ogni prete dovrebbe fare, insomma, se non fosse che con Alice decide di intraprendere quello che lui definisce un «percorso educativo individuale». Questo percorso, spiega don Carli alla piccola Alice, è destinato solamente alle persone speciali: «sei un frutto prezioso» le dice il prete, «io ti darò il seme e tu presto sarai un albero. E’ Dio a volere questo».
Inizia da qui la terribile storia di molestie e di abusi che Alice, venti anni dopo, racconta in oltre cinquecento pagine di deposizione, fitte di dettagli raccapriccianti, di paure e di sofferenze, dolori e ferite dell’anima. Leggendo alcuni estratti di questa confessione si rimane colpiti dall’abilità del prete di insinuarsi nella mente della bambina, piegando il significato delle parabole religiose a ignobili allusioni sessuali: «guarda», le dice il prete aprendo la patta dei pantaloni, «si alza e si abbassa. Proprio come nel discorso del seme, che da una cosa piccolina può nascerne una più grande». Con le sue attenzioni e i suoi gesti premurosi, don Carli riesce in breve tempo ad instaurare con la bambina un rapporto di fiducia e di dipendenza. Alice fa tutto quello che il prete le dice di fare, compreso mentire ai suoi genitori: «meglio star zitti», si raccomanda, spiegandole che qualcuno si sarebbe potuto risentire di tutto quel tempo che dedicava solo a lei. In fondo, le ripeteva don Giorgio, essere speciali comportava dei sacrifici: se Abramo era disposto a uccidere suo figlio per assecondare la volontà di Dio, cos’erano a confronto una piccola bugia e un po’ di tempo in meno con i suoi genitori?
Alice, in effetti, dovette sentirsi davvero preziosa, soprattutto quando don Carli le chiede di prendere il messale in mano. A nessun bambino era concesso un simile privilegio, quindi non se lo lasciò ripetere due volte. Il messale era molto pesante e il prete le intimava di non farlo cadere, altrimenti Dio si sarebbe arrabbiato moltissimo. Così, mentre Alice è immobile e il suo corpicino è tutto teso nello sforzo di reggere quel librone pesante, don Giorgio si approfitta di lei che non può muoversi, immobile sotto lo sguardo severo di Dio.
Alice viene violentata e abusata per almeno altri cinque anni. Per altri quindici ha tenuto sepolti dentro di sé quei ricordi terribili. Poi, un giorno, ha deciso di raccontare tutta la verità. In questa vicenda, però, la verità è valsa a poco. Dopo tre diverse fasi processuali, quando ormai la vicenda giudiziaria volge al termine, nonostante le responsabilità siano state accertate e le testimonianze riconosciute autentiche, don Carli continua indisturbato a celebrare la messa e a insegnare il catechismo a tutti quei bambini che si apprestano a fare la Prima Comunione. Infatti, grazie alla legge n. 251 approvata il 5 dicembre 2005 dal governo Berlusconi, nota come legge ex Cirielli, i reati di don Carli sono caduti in prescrizione.

Nella vicenda di Alice (il nome è di fantasia, naturalmente) stupisce l’abilità del prete di circuirla, di assoggettarne la mente alla sua volontà, di piegarla ai suoi desideri.
Don Carli mette in atto una tecnica tipica dei pedofili che operano all’interno della Chiesa: usa lo strumento di Dio, dei Vangeli, dei sacramenti. I preti, poi, sono gli unici capaci di sostituirsi veramente ai genitori. La loro è una qualifica superiore a quella di una madre e di un padre: la figura genitoriale, infatti, è una figura naturale, mentre quella del prete, intermediario tra Dio e i fedeli, è ufficiale, sovrannaturale.

Nei suoi racconti, Alice parla di stupri talmente violenti che la costringevano a tamponare il sangue con pezzi di carta. Una volta arrivata a casa, poi, li buttava nel water e nessuno si accorgeva di niente. Mi chiedo, però, come sia possibile non notare nulla di strano in una bambina che pochi minuti prima aveva subito simili abusi.
In questi casi i bambini diventano estremamente furbi, perché si sentono colpevoli. Sono loro che si devono proteggere, nascondere dai genitori. Sono loro ad aver sbagliato. Una volta un bambino, interrogato a proposito di un fatto di pedofilia, mi ha detto di volersi costituire dai Carabinieri, di voler andare in carcere. Io, stupito, gli chiesi perché: voleva essere punito per aver avuto rapporti con un prete.

Ad un certo punto, Alice trova il coraggio di confessare la storia del “percorso formativo” a un altro parroco e alla sua insegnante di religione. Entrambi, però, fanno finta di non capire. In un caso del genere, quale pena spetta a chi, pur sapendo, non denuncia fatti così gravi?

www.rominaciuffa.com/ipnosi-alzati-e-uccidi/
Segue da www.rominaciuffa.com/ipnosi-soggetti-abilitati/

IPNOSI. ASPETTI GIURIDICI
di Romina Ciuffa*
psicologa ipnotista
avvocato

PARTE 2. L’IPNOSI NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

In Italia mancano comunque esempi di riferimento sull’impiego dell’ipnosi ai fini della formazione della prova forense. Utile è però ricordare per analogia la condanna alla reclusione emessa nei riguardi di Don Giorgio Carli, parroco di Bolzano, per violenza sessuale ai danni di una parrocchiana all’epoca minorenne (sentenza della Corte di Appello di Bolzano del 16 aprile 2008), la quale si è basata sull’uso della distensione immaginativa per la riemersione del ricordo. Tale tecnica non sembra discostarsi molto dal modello ipnotico, a maggior ragione eriksoniano, in quanto utilizza un’atmosfera regressiva (permette alla memoria di allargarsi fino a rioccupare il terreno dal quale s’era ritirata) volta ad attivare animazioni fantasmatiche. Le caratteristiche intrinseche della modalità di recupero delle immagini presentate dal paziente, secondo la Rivista medica italiana di psicoterapia ed ipnosi e gran parte della dottrina, non possono costituire un fondamento attendibile in un contesto forense. Don Carli avrebbe violentato la vittima dai suoi 9 ai suoi 14 anni, e i ricordi dei fatti erano emersi solo nel corso di una terapia analitica cui lei si era sottoposta in quanto presentava sintomi non comprensibili; tali memorie erano dettagliate al punto da convincerla che contenessero la verità. In primo grado il prete fu assolto, in secondo fu condannato perché il tribunale del riesame accolse un diverso orientamento disposto a riconoscere la vicinanza tra sogno e realtà, tra materiale onirico e prove a carico. Per completezza di trattazione, si aggiunge che la Corte di cassazione ha in seguito decretato la sopraggiunta prescrizione del reato, ma con obbligo di risarcire economicamente la parrocchiana (Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2009, n. 17846): il giudice di legittimità non si è pronunciato sul punto oggetto del presente lavoro, ma confermando le statuizioni civili della sentenza di merito ha implicitamente ammesso e convalidado l’uso della procedura sopracitata.

https://www.vipiteno.eu/system/web/notvali...05443&sprache=3

Festa di compleanno degli anziani a Vipiteno
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Su iniziativa della Consulta degli anziani di Vipiteno e della vicesindaco Christine Eisendle Recla ha avuto luogo lo scorso sabato, nei locali della nuova scuola elementare "Dr. Josef Rampold", un pomeriggio degli anziani. Ad esso sono stati invitati tutti gli anziani che quest'anno hanno festeggiato i pieni 70, 80 o 90 anni. 41 anziane e anziani vipitenesi hanno accettato l'invito e hanno trascorso assieme al sindaco Fritz Karl Messner, alla consigliera comunale Valeria Casazza, al decano Cristoph Schweigl e a Don Giorgio Carli un piacevole pomeriggio di musica e balli. Holzer Gerold ha provveduto all'intrattenimento musicale.

12/10/2018
 
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view post Posted on 25/6/2020, 00:05

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Bisogna esserne certi della colpevolezza, atroce sarebbe se venisse condannato e fosse innocente. Queste storie non mi piacciono, troppo lacunose le accuse.e certo che sarebbe comodo per la famiglia della poiccola incassare quella bella cifra. Attenti dunque Giudici -
 
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view post Posted on 25/6/2020, 12:51

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La Cassazione ha accertato la responsabilià di don Carli.
 
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