Laici Libertari Anticlericali Forum

Le Iene 15-22 ottobre 2013. Don Pietro Tosi abusa, mette incinta 14enne e scorda il figlio. Il video, Migliarino (FE), prottetto da vescovi prete pedofilo. Perdonato dal Sant'Uffizio: resta in servizio e ammonimento orale

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view post Posted on 25/10/2013, 13:58
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Stupro in chiesa, Enzo Zattoni: "Il parroco tentò un secondo stupro"
Video Le parole di Erik e il flash mob

Nuovi retroscena sulla violenza di don Pietro nel racconto dello zio di Erik: "Io accusato per anni di aver abusato di mia sorella"

di Daniele Modica

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Ferrara, #PapaAscoltaErik, flash mob per Erik davanti al duomo
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(Foto Businesspress)
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Ferrara, 25 ottobre 2013 - L’inferno di Enzo Zattoni, zio di Erik, è cominciato alla fine dell’inverno 1981, quando è stato accusato di aver messo incinta la sorella appena 14enne, violentata invece dal parroco di Cornacervina, don Pietro. Oggi Enzo racconta quei giorni.

SE POTESSI tornare indietro, non ci penserei due volte: picchierei don Pietro per tutto quello che ha fatto a mia sorella e alla nostra famiglia. Per aver accusato degli innocenti».
Enzo, ripercorra quei giorni drammatici.
«Abbiamo taciuto per troppi anni. Lo stesso don Pietro mi diceva: Dovresti vergognarti a cercare la vendetta anziché il perdono. L’ho incontrato tanti anni fa nel suo studio, proprio lì dove aveva violentato mia sorella una volta, e dove ci aveva provato la seconda (ma per fortuna lei era riuscita a scappare). Era la sera del 17 febbraio 1984, il giorno in cui ci hanno sfrattati. Sono intervenuti i carabinieri prima che potessi fargli del male».
Parli del giorno in cui tutto è cominciato.
«L’8 febbraio del 1981 abbiamo avuto la notizia che mia sorella era incinta. Prima non ci eravamo accorti di niente. Vedevamo che era più chiusa, triste, distratta. Ma davamo la colpa all’età».
Cosa successe quella sera?
«Lei stava molto male. E abbiamo chiamato la guardia medica. Io ero preoccupato, ho coinvolto anche il campanaro, che era rimasto lì con noi. Incredibile»
Perché incredibile?
«Perché don Pietro successivamente mi ha suggerito che il violentatore avrebbe potuto essere proprio il campanaro».
Poi siete andati in ospedale.
«Sì, a Codigoro. Erano circa le 22. E il destino ha voluto che ad accoglierci fosse una suora, vicina a don Pietro. Il mattino successivo la suora ci ha confermato che mia sorella era incinta. E che aveva ricevuto una telefonata la mattina presto da parte di un uomo a cui lei avrebbe risposto: Non ho parlato con nessuno, tranquillo».
Quell’uomo poteva essere Don Pietro?
«Probabilmente, ma non abbiamo mai avuto certezze. Comunque quando al mattino del 9 febbraio siamo tornati a Codigoro lo abbiamo incontrato per la strada. Gli ho subito raccontato che mia sorella era incinta e lui ha risposto: Lo so».
Ma ancora non dubitavate di lui?
«No. Quando sono arrivato in ospedale mia sorella era distrutta, piangeva. Io cercavo di farle delle domande, ma in modo scherzoso, tipo: Ma guarda cosa mi hai combinato. Ma lei non voleva parlare. Il 10 febbraio a casa, sotto le insistenza di tutti i famigliari, è esplosa: È stato don Pietro».
Cosa ha provato in quel momento?
«Mi si è spezzato il cuore, una batosta. Mi sentivo annichilito, stranito. Non volevamo crederci. Io era stato in seminario, frequentavo la Chiesa».
Come avete agito?
«Con discrezione. Ci siamo rivolti ad un altro prete, che ci ha consigliato di parlare con il vescovo Franceschi. Lui a sua volta ci ha chiesto di stare in silenzio. Il prete che ci consigliava ha cominciato a dire che non poteva essere stato don Pietro: il colpevole, diceva, era da cercare in famiglia».
E da lì è cominciato il suo calvario.
«Sì, pensi che don Pietro mi aveva consigliato di andarmene dal paese. Aveva detto a mia madre: Meglio perdere un figlio che avere una vergogna simile».
Lei ha parlato di discrezione. Facevano bene i vescovi a non volere che la storia si sapesse?
«Assolutamente no. Un conto è la discrezione, un altro è l’omerta. In questi casi il silenzio è un atto criminale. Per tanto tempo ho lottato, poi ho rinunciato, non ce la facevo più. Una volta un avvocato del Vaticano è venuto da me, mi ha detto: Sentiamoci. Gli ho risposto: Non fatevi più vedere, ho il vomito».
Cosa direbbe oggi al Papa se ce l’avesse di fronte?
«Di richiamare i suoi vescovi: le gerarchie ecclesiastiche mi hanno trattato come un cane».
Lei crede in Dio?
«Si ci credo, ma la mia fede ha vacillato spesso. Credo che in questi trent’anni anche Lui ci abbia lasciati soli».


Daniele Modica
 
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26 ottobre 2013
Ferrara, il prete accusato di stupro: chiedo di morire, non so che fare
Dopo la denuncia alle "Iene" del figlio nato da quella violenza, don Pietro parla al "Resto del Carlino": "Con quella famiglia ho la coscienza a posto. Voglio morire, scriverò un libro"

11:11 - Dopo anni di silenzio, esce allo scoperto don Pietro Tosi, 87 anni, il sacerdote che nel 1980 abusò di una 14enne a Cornacervina e la lasciò incinta. "Verso quella famiglia ho la coscienza a posto - dice oggi a "Il Resto del Carlino" - ho fatto tutto quello che era possibile, ora non so cosa fare e chiedo a Dio di morire". Il figlio di quella violenza, Erik Zattoni, combatte una battaglia perché Papa Francesco riduca il sacerdote allo stato laicale e ha denunciato tutto alla trasmissione "Le Iene"


Il prete ora è in una casa di riposo e vive nel rimorso. Senza dubbio quel rimorso appare come un "sentimento" tardivo, molto probabilmente quel "sentimento" sarebbe rimasto segreto senza il clamore mediatico suscitato dalla trasmissione di Italia Uno e dalla successiva mobilitazione della Rete. "Sto morendo, sono finito, non ne posso più" ribadisce don Pietro al quotidiano bolognese ma non parla mai del giovane Erik, nè dell'episodio dello stupro: "Parlate con i miei avvocati" dice, e cita tra i legali il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani.

Scriverà un libro - "Non mi merito tutto questo, ho aiutato giovani, anziani, famiglie, poveri, insomma la mia gente. Non c'era niente a Cornacervina, io ho fatto costruire tutto" aggiunge il sacerdote, che promette di raccontare la sua vita in un libro. All'epoca respinse ogni addebito, minacciando le vie legali. Oggi la soluzione è arrivata dopo molti anni, nell'ambito della causa per il riconoscimento della paternità.
 
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Stupro in chiesa, il vescovo Rabitti: "Me lo confidò, lo allontanai"
Video Le parole di Erik e il flash mob

Intervista al monsignore: "Spretare don Pietro? Prima della prescrizione"



di Daniele Modica

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Ferrara, #PapaAscoltaErik, flash mob per Erik davanti al duomo
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Ferrara, 27 ottobre 2013 - «MI SENTIVO vicino a Rabitti (arcivescovo di Ferrara-Comacchio dal 2004 al 2012, ndr), lui mi ha seguito negli anni. Sapeva tutto dall’inizio alla fine. Mi era vicino. Mi conosceva». Così don Pietro Tosi nell’intervista esclusiva pubblicata ieri su Qn e Resto del Carlino. La domanda posta al sacerdote, che nel 1980 stuprò una ragazzina di 14 anni, intendeva indagare chi dei vescovi che si sono susseguiti a Ferrara negli anni, fosse a conoscenza di quell’orrore uscito pubblicamente solo 33 anni dopo grazie alla denuncia di Erik Zattoni, il ragazzo nato da quello stupro. Proprio monsignor Paolo Rabitti (77 anni domani) è stato raggiunto dal nostro giornale.

Quando era a capo della Diocesi, don Pietro era parroco di Cornacervina. Lei era a conoscenza di quella violenza?
«Lui ha sempre negato. Ma appena ho saputo ho agito di conseguenza».

In che modo lo ha saputo?
«Alla fine me lo disse lui stesso. Non in confessione, me lo confidò».

Di sua iniziativa?
«Sì, si rivolse lui a me».

Perché non si è mai emerso nulla?
«Chi doveva sapere, sapeva. Le assicuro, sono stati presi provvedimenti».

Perché la scelta di tenerlo nascosto alla gente?
«Mi scusi, se una sua parente di punto in bianco si desse ad attività poco onorevoli, chiamerebbe i giornali? Personalmente mi sono comportato facendo quello che era mio dovere fare sia nei confronti della vittima e della sua famiglia, che nei confronti del colpevole».

E, in pratica, cosa ha fatto?
«L’ho rimosso dall’incarico di parroco di Cornacervina. Sia chiaro: è uscito dalla parrocchia all’istante».

Non si poteva ridurre allo stato laicale?
«Il mio lavoro l’ho portato avanti in accordo con la Santa Sede, con cui mi sono continuamente confrontato».

Ma se la decisione toccasse a lei, lo farebbe?
«Faccio ciò che la Chiesa mi dice di fare».

D’accordo, ma non sarebbe stato più giusto ‘spretarlo’?
«Sarebbe stato giusto se il reato non fosse caduto in prescrizione, in quel caso si poteva procedere».

Secondo il diritto canonico ovviamente.
«Certo».

Non si poteva allontanare don Pietro dalla parrocchia un po’ prima? Magari non trent’anni dopo lo stupro...
«Il fatto è antico e, come lei sa, precedeva la mia venuta. Le assicuro che se l’avessi saputo prima sarei intervenuto per tempo, lo avrei rimosso immediatamente».

Ma non è stato così.
«Purtroppo sono stato informato successivamente».

Quando ha allontanato don Pietro, dalla parrocchia c’erano già stati processi?
«Non mi pare».

(Settembre 2011, la sentenza del tribunale sancisce la paternità del prete; un anno dopo, don Pietro è costretto a lasciare la parrocchia; il vescovo Rabitti è rimasto alla guida della diocesi fino al primo dicembre 2012, ndr)

Quando don Pietro è venuto a parlarle di quello che aveva fatto oltre trent’anni prima, era dispiaciuto?
«Era un uomo distrutto, triste, piangeva. Era in grande difficoltà».

Daniele Modica
 
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view post Posted on 15/1/2014, 15:40
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Caso Zattoni, muore il prete che mise incinta una ragazzina

Pietro Tosi è deceduto nel sonno nella casa di riposo dove viveva. Erik Zattoni è il figlio del prelato, che abusò della madre, allora 14enne

Ferrara, 15 gennaio 2014 - E' morto nel sonno, questa notte nella casa di riposo dove era ospitato da anni nel Copparese, don Pietro Tosi, il sacerdote ferrarese di 86 anni, al centro del caso fatto scoppiare nei mesi scorsi, da Erik Zattoni. Erik è il figlio che il sacerdote ebbe nel 1980, dopo aver abusato della mamma, allora una ragazzina di 14 anni, che dette alla luce il piccolo, mai riconosciuto legalmente.

La conferma è arrivata in mattinata dalla Curia della Diocesi di Ferrara-Comacchio che ha annunciato la morte per causa naturale. Zattoni è stato avvisato in mattinata dalla segreteria del vescovo di Ferrara, Luigi Negri.
Erik aveva condotto una battaglia anche in tribunale e alla fine la prova del Dna ha confermato la paternità del sacerdote. L’ottobre scorso, durante una puntata della trasmissione ‘Le iene', denunciò pubblicamente il caso, chiedendo giustizia anche per la mamma, che a 14 anni subì la violenza.

Lo stesso sacerdote che non riconobbe mai il figlio, ha sempre rifiutato ogni contatto con Erik e e chi gli chiedeva conto spiegava “non devo chiedere scusa a nessuno, ho già chiesto perdono a Dio. Mi sono confessato con un frate carmelitano e mi ha dato l’assoluzione. Sono in pace con la mia coscienza”.
 
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view post Posted on 16/1/2014, 12:16
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http://lanuovaferrara.gelocal.it/cronaca/2...rezza-1.8478836

«Lo hanno lasciato morire da sacerdote, quanta amarezza»
Erik Zattoni, il figlio del prete: il Vaticano ha perso un’occasione, ma farò in modo che questa storia non venga dimenticata
preti stupri



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di Alessandra Mura

«Dal Papa mi aspetto fatti concreti, ma se non ridurrà don Tosi allo stato laicale saranno solo belle parole». Così tre mesi fa si era conclusa l’intervista della “Nuova” a Erik Zattoni, il figlio naturale di don Tosi che nel 2011 era riuscito a far riconoscere dal Tribunale di Ferrara, senza alcun dubbio, la paternità del sacerdote che 32 anni prima aveva violentato sua madre, appena quattordicenne. Da quel 16 ottobre, però, nulla era cambiato. «E adesso è morto da prete - aggiunge amaramente Erik - Da parte del Vaticano è stata un’occasione persa, spero solo che questo non scoraggi altre persone a denunciare casi simili. Quando ho deciso di parlare, non l’ho fatto per infangare don Tosi, l’ho fatto per ottenere giustizia morale, volevo creare un precedente, ma ci sono riuscito solo in parte: una piccola cosa che poteva diventare grandissima».
È stata la Curia ad avvertire ieri mattina Erik della morte di don Tosi avvenuta nella casa di riposo di Cesta di Copparo in cui era ospite dal 2012. «Certo dispiace quando muore una persona, dispiace per i suoi familiari. Ma dal punto di vista affettivo io non perdo nulla, per me don Pietro resta un pedofilo che ha abusato di una ragazzina di 14 anni, l’ha messa incinta e poi ha fatto finta di niente. È morto senza nemmeno chiedere scusa, nè a mia madre nè a me. Ed è morto prete. In fondo era quello che temevo e immaginavo, vista anche l’età. Stavo ancora aspettando di essere ricevuto dal Papa, ma in questi tre mesi non ha avuto tempo per ricevermi. Io non so come funzionano queste cose in Vaticano, ma penso lo stesso che è stata persa l’occasione di dimostrare con i fatti che le cose stanno cambiando. È dal 2011 che una sentenza del Tribunale ha stabilito la verità, non c’era la necessità di accertare e appurare nulla, eppure non è stato fatto niente per ridurre don Tosi allo stato laicale. Anzi, l’unico a fare qualcosa è stato il vescovo Luigi Negri, che si era impegnato a farmi incontrare il Papa, e questo l’ho apprezzato». Ma quello che Erik prova ora, «è nient’altro che amarezza. Anche mia madre ha reagito allo stesso modo: “Lo hanno fatto morire da prete”, ha detto. Io però farò in modo che questa storia non sia dimenticata».
16 gennaio 2014
 
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view post Posted on 16/3/2014, 21:42
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http://www.leggo.it/SPETTACOLI/TELEVISIONE...ie/576978.shtml

"MIA MADRE STUPRATA DA UN PRETE. VOGLIO INCONTRARE
IL PAPA". LA STORIA DI ERIK A DOMENICA LIVE
| COMMENTA
Erik
Domenica 16 Marzo 2014

di Valeria Arnaldi
ROMA - “Mia madre aveva 14 anni. Si è recata in chiesa come al solito. Si fidava del prete, era un amico di famiglia, aveva dato loro la casa in cui vivevano. Lui la portò nel suo ufficio e le usò violenza. Le disse di non dire nulla, altrimenti avrebbe buttato fuori casa tutta la tua famiglia”.
Erik, figlio del prete del suo paese, ha scelto i microfoni di Domenica Live per raccontare la storia di sua madre. “Mia madre aveva 14 anni, lui 54, è stato anche un atto di pedofilia”.

La violenza risale al 1980. La vittima non raccontò a nessuno la sua storia, fino a quando non fu costretta dall’evidenza. Rimasta incinta, raccontò la sua storia ma nessuno volle crederle. Il prete arrivò perfino ad accusare uno degli zii della ragazza.

“Il prete disse che era stata colpa dello zio. Un legale del Vaticano propose allo zio di ritirare le accuse e lui avrebbe fatto in modo che la casa in cui vivevano rimanesse alla famiglia. La famiglia però non ha accettato, così è stata sfrattata. Lo zio ha dovuto fare l’esame del DNA per dimostrare che non era mio padre”.

La storia fu poi acclarata. La sentenza risale al 2011, ma nessun provvedimento è stato adottato dalla Chiesa, contro il prete.

“Ha continuato a fare tutto, nonostante la lotta di mia madre. Nel 2011 c’è stata la sentenza del tribunale. Il vescovo lo sapeva e l’ha lasciato al suo posto fino al 2012, perché era anziano. è rimasto a gestire un asilo nido e una materna. Avevo chiesto al Papa che questo prete fosse ridotto allo stato laicale. L’appello è rimasto inascoltato. Questo prete è morto da prete. Lasciare un pedofilo e un violentatore libero è pericolosissimo”.

Ora che il padre prete è morto, Erik chiede un incontro a Papa Francesco.
 
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view post Posted on 28/4/2014, 05:20
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http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_...isplay?ID=97788

Chiesa e pedofilia: il grande bluff di papa Francesco


Una delle novità del pontificato di Bergoglio più diffusamente riprese dai media italiani e stranieri sono le telefonate che il nuovo papa compie a persone comuni di qualsiasi ceto sociale e condizione, uomini, donne, ragazze e ragazzi, sia che scrivano al capo della chiesa cattolica, sia che non gli si rivolgano, ma siano da lui stesso cercati per le ragioni le più diverse. Questa pratica fa indubbiamente parte dell'ampia gamma di strategie di propaganda e informazione messe in atto dal nuovo pontificato per rispondere alla profondissima crisi del cattolicesimo istituzionale contemporaneo. A questo proposito, non sono neppure da trascurare le conseguenze dell'assunzione presso la Segreteria di Stato come advisor alla comunicazione (già durante il pontificato di Ratzinger) del giornalista americano dell'Opus Dei Greg Burke.

In quest'ottica, a mio parere, vanno inquadrate iniziative quali la diffusione delle prediche quotidiane tenute da Bergoglio a S. Marta (sull'esempio delle famose 'chiacchierate al caminetto' di Roosevelt a partire dagli anni trenta negli Stati Uniti). Oppure l'insistenza su temi come il ritorno all'evangelizzazione degli albori del cristianesimo, immagine che allo stesso tempo rimanda indirettamente alla situazione critica, specialmente in occidente, della religione cattolica. Da questo punto di vista, è possibile paragonare, con tutte le differenze del caso, Bergoglio alla figura di Gorbacëv, ma in un senso diverso da come è stato fatto da parte di molti commentatori: come lo statista sovietico cercò, senza successo, di rinnovare il comunismo tornando alla spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre, così Bergoglio tenta di richiamare i fedeli alla 'spinta propulsiva' (per rimanere nel linguaggio marxista) dell'invito evangelico di Cristo ai suoi seguaci di annunciare la fede.

Ovviamente, perché tale paragone funzioni è necessario possedere un'autentica visione storica di questi eventi: Gorbacëv non ebbe alcuna intenzione di abbandonare il comunismo, ma cercò di rinnovarlo e 'aggiornarlo' in una situazione di assoluta emergenza del sistema, in preda a una crisi strutturale oramai irreversibile, tornando alle origini leniniste (posizione assai chiara nei suoi discorsi e nelle politiche da lui perseguite). Nell'Europa occidentale la sua azione fu invece letta come una proposta di trasformazione radicale dell'Unione Sovietica, dando così vita al mito del Gorbacëv democratico che ha intenzionalmente prodotto il crollo del comunismo. Così Bergoglio a più riprese ha insistito sulla volontà di rispettare l'attuale struttura istituzionale e clericale della chiesa cattolica, presentandosi come 'figlio della Chiesa', operando solo alcuni minimi cambiamenti, spesso più d'immagine che reali, e promuovendo il ritorno all'evangelizzazione senza mettere in discussione il sistema cattolico, ma agendo totalmente entro di esso. Come del resto è naturale per una persona educata, cresciuta e promossa da tale struttura, membro, egli stesso, del governo della chiesa a livello locale e designato come capo dell'intera chiesa cattolica dai suoi colleghi cardinali.

Anche in questo caso si è diffuso il mito di un papa 'democratico', nel senso di rivoluzionario o riformatore radicale, innovatore e promotore di un sistema e di una struttura differenti, immagine ampiamente sfruttata sia dalla sfera clericale (ma anche laica) della chiesa, sia da molti commentatori e organi d'informazione laici, a tutto vantaggio e interesse della prima (anche se con declinazioni non sempre coincidenti). Diversi segnali fanno tuttavia ritenere che la conclusione potrebbe essere analoga a quella della vicenda del leader sovietico, seppur non con uguale tempistica: l'implosione del sistema clericale e istituzionale che governa la chiesa cattolica di fronte alle esigenze di libertà, dignità, trasparenza e diritti umani che ovunque emergono in maniera sempre più pressante e insistente. Questa divaricazione tra l'immagine propagandata, quella percepita e l'azione reale di papa Francesco appare evidente proprio se si analizzano attentamente le 'telefonate papali', mezzo efficace di promozione del mito. Infatti, a meno di pensare a fantomatiche 'intercettazioni' da parte di giornalisti esterni al Vaticano, quando non sono rivelate dagli stessi protagonisti queste chiamate telefoniche del papa a illustri sconosciuti sono abilmente diffuse dall'interno stesso del governo centrale della chiesa cattolica, con una selezione attenta della tipologia dei destinatari e un significativo silenzio sulle chiamate non fatte, sempre in funzione dell'immagine pubblica da coltivare e proiettare.

In effetti, questa strategia di propaganda entra in crisi e mostra tutte le proprie debolezze nel momento in cui si dimostra incoerente: quando cioè non viene fatta una telefonata che invece moltissimi cattolici (e non solo) si attendevano che avvenisse, anche in tempi celeri. Crisi tale che richiede il silenzio su questo 'non evento', altrettanto significativo quanto gli altri 'eventi'. Mi riferisco alla vicenda di don Pietro Tosi. Come è noto, don Tosi, il prete violentatore di una ragazza di 14 anni, è morto impunito a metà gennaio scorso. Ed è morto da sacerdote perché, a norma del diritto canonico e delle norme specifiche vigenti, non è stato ridotto allo stato laicale. In realtà, è sempre possibile per le autorità religiose cattoliche, volendolo, spretare simili criminali, ma ciò, in questo come in altri casi, non è avvenuto. A quanto risulta dalle notizie diffuse, il funerale è stato concelebrato da circa una ventina di sacerdoti, circostanza certamente non consueta. Durante la cerimonia è stata letta una vergognosa lettera del prete violentatore, in cui don Tosi si rivolgeva al proprio vescovo e si diffondeva in considerazioni sulla funzione consolatoria del suo sacerdozio.

Lettera quanto mai significativa, perché indirizzata alla gerarchia e imbevuta della consapevolezza di essere membro della casta che lo aveva, di fatto, difeso e protetto nonostante il suo crimine. E anche perché piena della convinzione di dover rendere conto solo ai suoi superiori religiosi e al soprannaturale, non a quella ragazza che aveva violentato, né a suo figlio nato dalla violenza, esseri umani devastati nella loro dignità e offesi in modo permanente senza alcuna riparazione. E neanche a tutti i parrocchiani e i fedeli per anni ingannati da un sacerdote abusatore di una minorenne, lasciata completamente da sola senza alcun aiuto economico ad affrontare una terribile violenza e una maternità all'età di 14 anni. Sempre secondo le cronache, don Andrea Turazzi, celebrante principale del funerale e qualche giorno dopo consacrato vescovo della diocesi di San Marino-Montefeltro, durante l'omelia si è riferito al presunto incontro tra il prete Tosi e dio nel 'dolore' e nella 'polvere'.

Tralasciamo il fatto che dolore e polvere sono, se mai esistite, conseguenze della scoperta pubblica del crimine compiuto, non del crimine stesso al momento in cui fu commesso. Ciò che colpisce in queste affermazioni è l'assoluta mancanza di consapevolezza della gravità delle violenze e di tutto quanto ne è seguito. Come anche, in filigrana, la persistente volontà di assolvere i criminali solo perché preti. Prova evidente di ciò è il comunicato emesso dal vescovo di Ferrara in occasione della morte di don Tosi. Negri infatti, pur riferendosi alle enormi sofferenze causate da Tosi, ha ricordato anche le opere di bene compiute dal prete. Affermazione sconcertante, se si tiene conto del fatto che proprio quel presunto bene ha consentito a don Tosi di potersi mascherare da persona onesta, compiere indisturbato il crimine ripugnante della violenza su una minorenne, negarlo proteggendosi dietro quella maschera e l'istituzione che per trent'anni l'ha coperto, rimanere impunito per decenni e fino alla morte, una volta che l'abuso è stato pubblicamente provato. Inoltre, il silenzio e l'omertà delle autorità religiose locali e centrali ha impedito di approfondire altre eventuali circostanze: è stato quello l'unico abuso compiuto da quel prete o, come accade in questi casi quasi sempre, ve ne sono altri? La Santa Sede, governo centrale della chiesa cattolica, è stata informata di questo crimine, come farebbero pensare le ripetute dichiarazioni di alcuni protagonisti della vicenda di aver sempre seguito le istruzioni che provenivano da Roma? E soprattutto, si può parlare di dolore e polvere per un simile criminale che ha sempre negato le proprie responsabilità? Ha senso farlo di fronte al vero dolore delle vittime e alla giustizia loro negata?

Proviamo a immaginare per un momento quale sarebbe stata la reazione della cosiddetta opinione pubblica di fronte ad affermazioni del genere (ha provocato grandi sofferenze, ma anche procurato molto bene) se, invece di un sacerdote, si fosse di un violentatore laico. Ora, le considerazioni sul significato di questa vicenda e di questa morte da impunito di un prete violentatore sono numerose e tutte rilevanti. La storia di don Tosi dimostra che nella chiesa cattolica (come è accaduto in altri casi quali quello di padre Maciel, il fondatore dei Legionari di Cristo, di padre Murphy e dei religiosi dell'Istituto Provolo di Verona violentatori di bambini e bambine sordi e muti) chi stupra una minorenne può morire rimanendo prete. Il fatto che esistano altri casi in cui alcuni sacerdoti vengono invece ridotti allo stato laicale, spinge ad altre considerazioni.

Se si analizzano attentamente quei casi, è possibile parlare non solo e non tanto di eccezioni, ma anche di decisioni opportunistiche in relazione al contesto locale o nazionale, alla preoccupazione per lo scandalo pubblico, all'età dei criminali coinvolti (criterio per cui praticamente sempre si cerca di attendere la morte dei sacerdoti già anziani riconosciuti colpevoli, piuttosto che spretarli), al potenziale coinvolgimento di altri personaggi oggettivamente complici delle violenze (in particolare dei vescovi e delle autorità religiose non solo locali). Ossia: i criteri in base ai quali la chiesa cattolica decide della gravità o meno di una violenza sono molto diversi da quelli vigenti nelle società democratiche, per quanto imperfette, incomplete e lacunose possano essere le leggi corrispondenti di queste ultime. Inoltre, vicende come quella di don Tosi costituiscono, nel caso specifico, l'ennesimo esempio della violenza contro le donne (con tutte le sue conseguenze) e sui minori da parte di una struttura patriarcale e maschilista mai messa in discussione, come la chiesa cattolica di fatto è. Non vi è dubbio, infatti, che vi sia una responsabilità istituzionale senza la quale un prete violentatore non sarebbe rimasto impunito così a lungo. E' proprio grazie alla considerazione, allo status sociale garantito dall'essere sacerdote e dall'istituzione di cui ha fatto parte, all'omertà istituzionale di cui ha goduto che don Tosi ha potuto cavarsela e ricevere l'omaggio di un simile funerale al momento della sua morte.

Non da ultimo, la grave situazione della chiesa italiana, in cui continuano a emergere casi di abusi su minori compiuti dal clero, nella persistente volontà dei suoi vertici di non procedere ad alcuna denuncia una volta che se ne abbia conoscenza. Per tornare al discorso con cui si è aperto questo articolo, è importante prendere in considerazione un altro aspetto di questa vicenda: il grande silenzio di Bergoglio, direttamente chiamato in causa da Erik Zattoni, il figlio della vittima di don Tosi, e anche dal vescovo Negri, nel tentativo, in realtà maldestro, di allontanare le responsabilità dai vescovi che lo precedettero e di rifugiarsi nell'applicazione rigorosa delle norme canoniche previste in questi casi. Si tratta, a mio parere, di un abituale gioco delle parti tra autorità religiose locali (i vescovi) e autorità suprema (il papa), tipico di una struttura altamente gerarchizzata e priva di qualsiasi riferimento efficace ai diritti umani. Ma anche di una smentita clamorosa dell'immagine che il papa sta cercando di presentare di se stesso e della propria istituzione. Infatti, Bergoglio telefona a preti, suore, seminaristi, laici e laiche, amici, persone comuni che spesso gli presentano i propri problemi e le difficoltà che attraversano, ma non a Erik. Papa Francesco, apparentemente così disponibile verso tutti, non ha trovato il tempo di chiamare personalmente il figlio di una ragazza violentata da un prete all'età di 14 anni che reclamava il proprio diritto a una forma di giustizia, per quanto imperfetta, con la riduzione allo stato laicale di quel sacerdote. Di tempo il papa ne ha avuto, essendo stata resa pubblica la richiesta di Erik diversi mesi prima della morte di don Tosi.

Eppure, è mancato qualsiasi intervento pubblico del capo di una chiesa che a livello locale, ma anche centrale, ha una chiara responsabilità in vicende come questa, se non altro proprio per la mancanza di un simile intervento. Tuttavia, Bergoglio ha trovato invece il tempo di promuovere uno dei vescovi a pieno titolo responsabili della copertura di don Tosi, cioè Paolo Rabitti, a membro della Congregazione dei vescovi. Quale sarà mai la competenza dimostrata da don Rabitti per meritare questa carica? E soprattutto, quali i criteri che utilizzerà nella scelta, insieme ai suoi colleghi, dei candidati all'episcopato (la principale competenza di questa Congregazione)? Forse la fedeltà istituzionale, ossia l'omertà e il silenzio di fronte ad analoghi crimini? Evidentemente, intervenire pubblicamente sulla vicenda di don Tosi, secondo queste strategie di propaganda, avrebbe significato esporsi oltre ogni limite in una questione così delicata per la chiesa cattolica come gli abusi commessi dai suoi preti e dalle sue suore. Anche solo operare in silenzio la riduzione allo stato laicale di quel prete, sarebbe stata una manifestazione di attenzione 'esagerata' e un precedente pericoloso, che magari avrebbe aperto la strada ad altre richieste di giustizia in tanti altri casi. Vengono in mente le parole che De Andrè mise in bocca al ladrone sulla croce accanto a Gesù: «ma forse era stanco, forse troppo occupato e non ascoltò il mio dolore. Ma forse era stanco, forse troppo lontano, davvero lo nominai invano».

Con una grande differenza: qui non c'è nessun ladrone, nessun dio e nessun cristo crocefisso, ma solo due vittime (una ragazza di 14 anni violentata da un prete rimasto impunito e coperto dai suoi superiori, divenuta madre a causa dello stupro, e suo figlio, rimasto di fatto senza padre per la vigliaccheria, l'arroganza e l'impunità del sacerdote criminale), un colpevole (il prete violentatore) e molti complici (tutti coloro che a diversi livelli lo hanno coperto e protetto). Le vittime sono rimaste senza verità e senza giustizia da parte della chiesa cattolica e del suo capo, il papa, che ha preferito tacere e non agire.
 
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