http://www.lastampa.it/2018/02/05/vaticani...chM/pagina.htmlAbusi in Cile, il Papa avrebbe ricevuto una lettera dalle vittime nel 2015
L’Associated Press rende nota una missiva inviata al Pontefice da Juan Carlos Cruz, abusato da padre Karadima, e consegnata dal cardinale O’Malley. Nel documento si descrivono nel dettaglio le violenze subite e le responsabilità del vescovo Barros
Salvatore Cernuzio
Città del Vaticano
Sembrava che l’invio dell’arcivescovo Scicluna, tra i massimi esperti in Vaticano nella investigazione dei casi di abusi su minori, avesse in qualche modo posto fine alla turbolenta bagarre sul “caso Barros” che ha accompagnato tutto il viaggio del Papa in Cile dello scorso 15-18 gennaio. Sulla vicenda del vescovo di Osorno, di cui da tre anni viene richiesta dai fedeli l’immediata rimozione per aver «coperto» i crimini del suo “padre spirituale” Fernando Karadima, emergono invece nuovi dettagli con una lettera di otto pagine – resa nota dall’Associated Press (AP) - che una delle ex vittime, Juan Carlos Cruz, avrebbe inviato nell’aprile del 2015 a Papa Francesco. Il documento sarebbe stato consegnato, sembra personalmente, al Pontefice dal cardinale Sean O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori.
Si tratta di una lettera nella lettera, datata 3 marzo 2015, nella quale Cruz - che oggi vive e lavora a Philadelphia e che in Cile è considerato insieme a James Hamilton e José Andres Murillo, un “simbolo” della denuncia degli abusi del clero cileno – trascrive al Pontefice la missiva inviata un mese prima al nunzio apostolico in Cile, Ivo Scapolo, che però non avrebbe mai avuto risposta.
Nel testo, tutto in spagnolo - pubblicato integralmente dal sito de La Tercera, uno dei più importanti e diffusi quotidiani cileni - l’uomo descrive fino al minimo dettaglio le violenze subite da Karadima, quasi sempre alla presenza di terzi, e la «macchina di distruzione» messa in moto dal sacerdote e dal suo “cerchio magico” per scoraggiarlo a denunciare quanto subito. Ad esempio la minaccia di isolamento o di inviare «un esercito di avvocati» nel caso lui o altri abusati avessero mai rivelato quanto accaduto, le varie pressioni psicologiche, o la lettera di credenziali inviata al cardinale Fresno e al rettore del seminario che Cruz frequentava da giovane (abbandonato dopo due anni per sua volontà) in cui veniva indicato come omosessuale. Un segreto che il giovane aveva confidato a Karadima durante una confessione, e che viveva con «grande sofferenza» al punto da spingerlo al suicidio qualora fosse stato reso pubblico.
Nella lettera Juan Carlos Cruz denuncia anche i presunti insabbiamenti da parte dei vertici della Chiesa cilena che non avrebbero in nessun modo ascoltato le richieste di aiuto, sue e degli altri ragazzi. Alcuni dei quali, dice, sono morti suicidi o vivono nell’angoscia di non essere riusciti a rivelare «l’orrore» subito alle loro mogli.
Il dito viene puntato non solo contro Barros ma anche verso Andrés Arteaga, Tomislav Koljatic e Horacio Valenzuela, oggi vescovi in Cile, ieri membri del “gruppo giovani” che faceva capo al carismatico parroco di El Bosque, legato alle élite del paese e formatore di buona parte del clero cileno. Nelle righe scritte al Papa, Cruz parla anche di «atteggiamenti sconvenienti» tra Karadima e i sacerdoti suoi collaboratori. «Loro stavano vicino e a volte dal nostro lato mentre Karadima abusava di noi. Anche, Santità, sono stati toccati in modo inopportuno da Karadima», si legge.
«Santo Padre, ho deciso di scrivere questa lettera perché sono stanco di combattere, piangere e soffrire» afferma ancora Cruz, che definisce «uno shock» la nomina di Barros come vescovo di Osorno. Lui e tante altre persone avevano «immediatamente» scritto «un reclamo formale» al nunzio «che abbiamo cercato di incontrare» ma che «non ha mai avuto la cortesia di riceverci».
«La sua “tolleranza zero” contro gli abusi non si applica in Cile…», è scritto ancora nella missiva. «Il sentimento generale di tanti cileni è che loro (i sacerdoti) si proteggano a vicenda e ignorino qualsiasi richiesta di aiuto o di rimedio». «Santo Padre, una cosa è il tremendo dolore e l’angoscia dell’abuso, tanto sessuale quanto psicologico al quale siamo stati sottoposti, ma forse ancora peggio è il terribile trattamento che abbiamo ricevuto dai nostri pastori», aggiungeva Cruz. «Per favore ci aiuti», era quindi il suo appello al Papa: «Voglio disperatamente credere in lei e mantenere la mia fede. Tutto quello che è successo negli ultimi anni e negli ultimi giorni mi dice il contrario».
La lettera – sottolinea Associated Press - sembra smentire le dichiarazioni dello stesso Papa Francesco, che, nell’intervista in aereo di ritorno dal Perù, affermava ai giornalisti di non aver mai avuto «evidenze» sul coinvolgimento di Barros nei crimini di Karadima, né di aver mai ascoltato direttamente alcuna vittima. «Non sono venuti, non si sono presentati, non hanno dato l’evidenza in giudizio. È rimasto per aria». Parole che seguivano le dichiarazioni rese alla stampa in difesa del presule di Osorno che avevano «provocato dolore nelle vittime» come aveva affermato il cardinale Sean O’Malley in una nota e per le quali il Papa aveva chiesto pubblicamente scusa.
Proprio O’Malley avrebbe consegnato la lettera di Cruz al Pontefice dopo averla ricevuta brevi manu da Marie Collins, membro di spicco dell’organismo dal quale si è volontariamente dimessa lo scorso anno in polemica con il Vaticano, come testimonia una fotografia del 2015 scattata a Santa Marta da Catherine Bonnett, psicologa francese, anche lei membro della Commissione. «Quando abbiamo dato» al cardinale Sean O’Malley, «la lettera per il Papa, lui ci ha assicurato che la avrebbe data al Papa e avrebbe parlato delle nostre preoccupazioni», ha commentato oggi all’AP la Collins, «in un secondo momento, ci ha assicurato che era stato fatto».
Quasi un enigma. Da parte sua, l’arcivescovo di Boston, interpellato sulla vicenda, ha replicato con un «no comment». Anche il Vaticano non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale.
http://lanuovabq.it/it/barros-la-lettera-c...entisce-il-papaBarros, la lettera choc che smentisce il Papa
EDUCAZIONE06-02-2018
L’Associated Press ha pubblicato ieri una lettera esclusiva (QUI), redatta da Juan Carlos Cruz, una delle vittime del sacerdote cileno Fernando Karadima, una missiva che di fatto smentisce il Papa sul caso della pedofilia nel clero cileno e la copertura di alcuni vescovi. Il documento, secondo diverse testimonianze di membri della commissione pontificia per la tutela dei minori, sarebbe stato recapitato nelle mani di Francesco nell’aprile 2015 dal cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, presidente della stessa commissione.
Juan Carlos Cruz non denuncia soltanto Fernando Karadima, già condannato sia a livello civile che canonico, ma sottolinea la “copertura” che l’attuale vescovo di Osorno, Juan Barros, e altri vescovi (in particolare Andrés Arteaga, Tomislav Koljatic e Horacio Valenzuela) avrebbero al tempo offerto. Si tratta di alcuni sacerdoti, oggi appunto vescovi, che avevano come mentore proprio il Karadima e che, a detta di Cruz, erano «vicini» mentre le vittime venivano abusate e in qualche modo partecipavano, perché venivano a loro volta «toccati» in modo «inappropriato» dal Karadima. La lettera chiede al Papa di prestare ascolto a queste denunce e di restare fedele alla sua “tolleranza zero”.
Il “caso Barros” era esploso durante il recente viaggio di Francesco in Cile (vedi QUI e QUI), quando il pontefice fece una difesa appassionata del monsignore. «Il giorno in cui qualcuno mi porterà delle prove contro il vescovo Barros, allora parlerò», disse Francesco prima di celebrare la messa fuori dalla città cilena di Iquique. «Ma non c'è una singola prova. È tutto calunnia. È chiaro?».
Nella conferenza stampa sull’aereo di ritorno verso Roma, pur portando delle scuse e distinguendo tra la parola “prova” e quella “evidenze”, il Papa di fatto confermava che il vescovo Barros rimaneva al suo posto finché, appunto, non si fossero manifestate queste «evidenze» per inchiodarlo. Non solo. La giornalista Nicole Winfield, dell’Associated Press, presente sull’aereo fece notare a Francesco che «ci sono le vittime di Karadima che dicono che Barros fosse lì...», ma il Papa rispose: «Lei, con buon volontà, mi dice ci sono delle vittime, ma io non le ho viste perché non si sono presentate» (vedi QUI).
Ma la lettera spuntata ieri sembra appunto smentire queste affermazioni. A questo punto poi troverebbe una ragione anche il comunicato piuttosto inusuale che il cardinale O’Malley (vedi QUI) ha fatto circolare dopo la difesa che Francesco ha fatto di Barros in terra cilena, prima della conferenza stampa sull’aereo. Il cardinale statunitense, con parole molto esplicite, si metteva dalla parte delle vittime e stigmatizzava le parole del Papa, ritenendole, di fatto, poco sensibili rispetto alla testimonianza delle vittime. C’è da pensare che il cardinale di Boston, che aveva consegnato al Papa la missiva di Juan Cruz nell’aprile 2015, fosse un po’ deluso dalle parole del pontefice di cui, tra l’altro, è vicinissimo collaboratore, in quanto membro del gruppo di nove cardinali che supportano da vicino il pontefice nel governo della chiesa universale.
Di certo la faccenda mostra una certa confusione nella gestione di un caso delicato. Mentre scriviamo il cardinale di Boston si trincera dietro a un «no comment» e dal Vaticano tutto tace, l’ultimo atto ufficiale dalla Santa Sede è di qualche giorno fa, quando il 29 gennaio è arrivata la nomina papale del vescovo maltese Charles Scicluna come inviato in Cile, «per ascoltare coloro che hanno espresso la volontà di sottoporre elementi in loro possesso» sul caso Barros. Tanti avevano salutato questa notizia come l’indicazione che alcune novità, scriveva ad esempio il vaticanista Andrea Tornielli, «sono finalmente arrivate in mano al pontefice». C’è da chiedersi però come fossero state considerate le informazioni contenute nella missiva di Juan Cruz e che verosimilmente erano nella mani del pontefice dal 2015, tra l’altro proprio in quell’anno Francesco approvava il reato “di abuso di ufficio episcopale” e nel 2016 con un Motu proprio ne ratificava la procedura per colpire appunto i vescovi “negligenti”.
Tra l’altro Barros è stato nominato vescovo di Osorno proprio da Francesco nel 2015. Ma il Vaticano, attraverso la Congregazione per la Dottrina della fede, aveva già condotto su Barros e gli altri vescovi vicini a Karadima un’istruttoria che aveva portato alla decisione di esonerarli dai loro uffici. Ma con una lettera firmata dal Papa nel gennaio 2015 e inviata ai vescovi cileni quella richiesta di esonero viene bloccata e poco dopo Barros viene promosso da ordinario militare a vescovo di una diocesi, quella di Osorno.
Se la Dottrina della fede non aveva condotto una buona istruttoria sui vescovi cileni, chi ha fornito informazioni rassicuranti al Papa? Come mai la lettera consegnata dal cardinale O’Malley nella primavera 2015 non è stata considerata degna di attenzione? Quali novità hanno determinato la nomina del vescovo Scicluna? La faccenda diventa un rompicapo e uno scoglio molto difficile per il pontificato di Francesco.
Lorenzo Bertocchi
http://www.latercera.com/nacional/noticia/...ros-2015/57844/La carta al Papa Francisco en que Juan Carlos Cruz denunciaba al obispo Barros en 2015
Autor: Carlos Reyes y Sebastián Rivas
Actualizado: 05 Feb 2018
Según ha relatado Cruz, el documento, de ocho páginas, habría sido entregado al Pontífice por el cardenal estadounidense Sean O'Malley.
“Santo Padre, me animé a escribirle esta carta porque estoy cansado de pelear, llorar y sufrir”. Así comienza una carta fechada el 3 de marzo de 2015 y cuyo remitente es Juan Carlos Cruz, uno de los denunciantes de los abusos cometidos por el sacerdote Fernando Karadima.
El destinatario era el Papa Francisco, que por esos días recibía críticas tras designar a Juan Barros, uno de los sacerdotes cercanos a Karadima, como obispo de Osorno.
El motivo de la carta -y de su envío directo al Pontífice-, según explica Cruz en el mismo texto, era que exactamente un mes antes había enviado una misiva al nuncio apostólico en Chile, Ivo Scapolo, en que hacía denuncias contra Barros de sus años junto a Karadima.
“En enero se conoció la designación de Juan Barros Madrid como obispo de Osorno. Santo Padre, para mí y muchísima gente fue un verdadero shock que se hiciese ese nombramiento. Sabiendo todo lo que se sabe. Inmediatamente escribí una denuncia formal al nuncio Ivo Scapolo, a quien hemos tratado de ver y jamás ha tenido la cortesía de recibirnos”, asegura Cruz.
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“Santo Padre, una cosa es el tremendo dolor y angustia del abuso tanto sexual como psicológico al que fuimos sometidos, pero quizá hasta peor es el terrible maltrato que hemos recibido de nuestros pastores”, dice Cruz en la carta, para luego cuestionar la conducta tanto de Barros como de los actuales obispos Andrés Arteaga, Tomislav Koljatic y Horacio Valenzuela. “Ellos estaban cerca y a veces parados a nuestro lado cuando Karadima nos abusaba. Incluso, Santo Padre, ellos eran tocados en forma muy inapropiada por Karadima”, afirma, para luego transcribir de forma íntegra la carta enviada al nuncio Scapolo donde hacía estas denuncias.
Luego de eso, Cruz continúa planteándole al Papa Francisco su mirada sobre la situación de los sacerdotes chilenos, a los que critica por la actitud ante las denuncias de abusos sexuales. “Su ‘tolerancia cero contra el abuso’ no se aplica en Chile. No es necesario que me detenga acá, puesto que es cosa de ver lo que ha pasado en el país en este tema (…) El sentimiento general de muchos chilenos es que ellos se protegen entre ellos e ignoran cualquier llamada de auxilio o de reparación”, plantea.
Finalmente, cierra la carta con un pedido concreto al Pontífice: “Por favor ayúdenos. Quiero desesperadamente creer en usted y mantener mi fe. Todo lo que ha pasado en los últimos años y en los últimos días me dice lo contrario”, señala.
Según la versión de Cruz y otros testimonios, dicha carta habría sido entregada en abril de 2015 al cardenal estadounidense Sean O’Malley, el máximo asesor de Francisco en la lucha contra los abusos. Los mismos testimonios aseguran que O’Malley les señaló posteriormente a Cruz y a miembros de la comisión contra los abusos constituida por el Vaticano que había hecho llegar la carta al Papa.