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Preti pedofili e malversazioni nella diocesi di Savona, Ratzinger e Vescovi sotto accusa. Spretati don Nello Giraudo e don Giorgio Barbacini.

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GalileoGalilei
view post Posted on 28/6/2011, 10:28 by: GalileoGalilei
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Articolo n° 171556 del 28 giugno 2011 delle ore 09:38

Don Rebagliati replica al Vescovo: “Non ho lasciato Noli volontariamente, costretto a dimettermi”


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Savona. Dopo Francesco Zanardi, che ieri ha voluto replicare alle parole di Monsignor Vittorio Lupi sulla questione preti e pedofilia, oggi arriva un’altra replica alle dichiarazioni del Vescovo di Savona. Stavolta a smentire Vittorio Lupi è Don Rebagliati che sembra negare di aver lasciato la guida della parrocchia di Noli di sua spontanea volontà. Di seguito pubblichiamo la lettera aperta che Don Carlo Rebagliati ha inviato al Vescovo, ai confratelli presbiteri, ai Laici credenti ed ai media locali.

“Oggi, 28 giugno ricorre il 35 anniversario della mia ordinazione presbiterale e proprio oggi ho deciso di scrivere alcune riflessioni. Ricordo, quando 35 anni or sono insieme a 5 miei compagni, prostrati davanti all’altare della cattedrale di Savona, durante il canto delle litanie dei Santi, quali grandi emozioni ho provato e quale speranza, non disgiunta da tremore, sgomento e paura ha invaso il mio animo. La cattedrale era traboccante di fedeli, provenivano dalle nostre parrocchie di origine e da quelle in cui prestavamo servizio: fu un intenso momento di partecipazione ecclesiale e un momento di grande speranza.

Da allora questi 35 anni si sono svolti realizzando nella vita della Chiesa locale proprio tutti questi sentimenti; La gioia grande è scaturita in tanti momenti di apertura, quando per esempio durante i Convegni Ecclesiali si è toccato con mano la bellezza di essere Chiesa: la speranza che promana dal lavoro concreto con tante persone di buona volontà che il Signore ti ha posto accanto e con te condividono la gioia del lavoro pastorale. Quale dono immenso sono stati i tanti ”poveri” incontrati sul mio cammino, quanti tentativi di risposta per alleviare la sofferenza del prossimo, quanti successi assaporati dopo un lungo impegno e quante delusioni conseguenti alla insufficiente capacità di analisi e di intervento conseguente. Ma quale gioia costante nel toccare con mano che lo Spirito lavora, silenzioso e presente nel cuore di tante persone, magari considerate lontane o indifferenti. Se dovessi esprimere con le parole di un Salmo la mia vita di presbitero userei il Salmo 121 “Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore! .Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte Gerusalemme! Ma se dovessi descrivere la mia pochezza userei ancora un Salmo: il 129 “ Dal Profondo a te grido, o Signore, Signore ascolta la mia voce”.

Insieme a tanto entusiasmo, si sono presentati sempre dei momenti difficili: difficile infatti è essere coerenti con il Vangelo, difficile è il comprendersi reciprocamente, difficile è il rapporto con i Superiori. Spesso il Vangelo mette a nudo le mie incoerenze, altre volte l’esigenza dell’incontro quotidiano con i fratelli, mi fa toccare con mano la mia inadeguatezza, ma la cosa che più mi da noia e mi riempie di amarezza è quando i confratelli e i Superiori non sanno comprendermi. Quante volte in questi 35 anni ho sperimentato questa solitudine e quante volte invano ho cercato di superarla. Mi è stato più facile affrontare e risolvere problemi quotidiani che mi coinvolgevano con gli ultimi, i lontani, i diseredati che non quelli creati dalla gente di chiesa: siano essi fedeli impegnati, siano confratelli o vescovi.

Sono certo di non essere mai stato un conformista e quando ho ricoperto degli incarichi strettamente legati all’aspetto istituzionale l’ho fatto con quella creatività e con quella disinvoltura che tende a risolvere i problemi quando via via si presentano, alla luce del buon senso ispirato dalla fede piuttosto che seguire strettamente delle procedure consolidate, ma poco efficaci nel momento dell’ emergenza. Nella vita delle nostre comunità si presentano spesso momenti di emergenza, che impegnano risorse che non provengono dalla prassi consolidata, ma esigono, alla luce del vangelo, di improvvisare creativamente delle soluzioni. Mai avevo compreso la parabola dell’amministratore disonesto (Lc. 16,1-8) fino a che non mi sono trovato a fare l’Economo diocesano, quando ho compreso che l’amministrazione dei beni della chiesa non sempre può seguire le norme del Codice Civile, e la giustizia amministrativa deve essere calibrata sul concetto di giustizia presente nella bibbia e che Gesù definisce superiore a quella degli Scribi e dei Farisei.

Per questo non mi trovo a mio agio in una chiesa dove si fanno scelte di speculazione, dove si investe soprattutto nel cemento, dove la prima preoccupazione è quella che risponde alla domanda : Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?” (cfr. Mt.6,) Sono i pagani che hanno questa tra le prime loro preoccupazioni.
Ma non mi trovo bene nemmeno in una chiesa che neghi nella prassi il concetto di popolo di Dio espresso nel documento conciliare “Lumen Gentium” e nemmeno quando la visione del rapporto con gli altri sia inferiore alle prospettive tracciate da un altro documento conciliare la “ Gaudium et Spes”. Sono convinto dell’urgenza di dare delle risposte precise e risolutive ai problemi della famiglia e più in generale della sessualità: Non accetto, per esempio, che si dica che la convivenza è uno stato peccaminoso, perché gli ultimi matrimoni da me celebrati, una ventina circa, hanno coinvolto esclusivamente persone che convivevano e non oso neppure pensare che la celebrazione del sacramento sia vista solo nell’ottica di porre fine ad una situazione di peccato.

Che dire poi dell’educazione dei nostri ragazzi? Qui non ci sono vie di mezzo: Gesù a questo proposito è stato drastico: mi pare invece che la chiesa sia quasi possibilista. Ritengo di estrema necessità la chiarezza su questo punto: dobbiamo garantire a qualunque costo che i nostri ragazzi ricevano dalle istituzioni cattoliche una formazione umana, cristiana e sociale ineccepibile. Non so per quale ragione la Congregazione per la Dottrina della Fede mi abbia costretto a lasciare le parrocchie di Noli e di Tosse. Ho obbedito: farò il prete in maniera diversa. Non mi spavento. Ma a questo proposito chiedo al Vescovo di rispettare il suo impegno di fornirmi delle motivazioni scritte circa le ragioni che lo hanno convinto a pormi di fronte all’alternativa o dai le dimissioni da parroco o te le facciamo dare. O chiedi tu di essere rimosso e allora avrai l’assegno del Sostentamento Clero fino alla pensione o saremo costretti a rimuoverti con provvedimenti più radicali. Ne sono stati testimoni Don Margara e don Macchioli.

Qual è il motivo di questo provvedimento disciplinare? Esigo di saperlo ufficialmente. Gesù ha detto “In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna”. Poiché dicevano di lui: “È posseduto da uno spirito immondo”, per questo non è in grado di perdonare (Mc 3,28-30). “Gesù non mi può salvare”, questa è la bestemmia contro lo Spirito Santo. Egli infatti ha reso e continua a rendere testimonianza che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio venuto a cancellare i peccati del mondo con la sua morte e risurrezione. Dio, dice la Scrittura, vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. (1 Tm 2,4). Il credente non deve vivere nella paura di non essere salvato. Ciò costituisce un grave affronto alla bontà di Dio, Padre di infinita misericordia.

E la chiesa? La nostra chiesa? Si apre all’azione dello Spirito o si ripiega su se stessa? Ho l’impressione che si abbia troppa paura del vangelo, dell’avventura da vivere con la nostra gente, partecipando ai sui problemi, alle gioie e alle pene di tutti. Spesso ci chiudiamo nelle nostre sacrestie e pretendiamo di vedere da là la realtà che ci circonda. Ma le sacrestie spesso sono buie e maleodoranti: hanno del mondo una visione limitata, preconcetta, hanno un angolo visuale ristrettissimo.
Usciamo in piazza, affrontiamo insieme agli altri i problemi che affliggono oggi l’umanità, leggiamoli alla luce del Vangelo, annunciamo la lieta notizia del Risorto; difendiamo la vita a qualunque costo.

Spero da oggi di vivere il mio essere prete in questa prospettiva di speranza, spero che tanti uomini e tante donne, tanti giovani e tanti ragazzi possano gustare la gioia di sentirsi amati da Dio e possano percepire la bellezza di essere inseriti in un ambiente gioioso dove a scapito del no, prevalga sempre il si.
No alle situazioni troppo concentrate su se stessi, si al dialogo vero, all’incontro con gli altri, avendo presente che “ il totalmente Altro” si può incontrare solo se si è capaci di mettersi in gioco con gli altri che di Lui sono costantemente l’immagine più pertinente. Non teniamo le chiese chiuse, non barrichiamoci nelle sacrestie o nelle curie: il nostro posto è là dove la gente vive, soffre, gioisce, pecca (forse) ma vive e sa che il perdono, se richiesto, verrà concesso: riesce a risorgere, senza rancori, perché “ La gloria di Dio è l’uomo vivente”.

Stella S. Bernardo, 28 giugno 2011
Vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo
35° anno della mia ordinazione sacerdotale
Don Carlo Rebagliati



http://www.ivg.it/2011/06/don-rebagliati-r...o-a-dimettermi/
 
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