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Sgarbi: “chiese moderne brutte? Colpa di architetti atei”

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Felipe-bis
view post Posted on 25/9/2009, 20:09




La prima foto rappresenta esattamente la chiesa così com'é. Stanno a Roma entrambe e le ho viste dal vivo.
Saranno pure chiese, ma per me non sono affatto brutte; è Sgarbi -e chi gode dei suoi sproloqui- che ha un brutto cervello.
 
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vaticANO
view post Posted on 25/9/2009, 20:10




No beh, la seconda è orribile mica cazzi, la prima si vede lontano un miglio che è vera, c'è pure il cartello del bus dell'atac.
 
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Felipe-bis
view post Posted on 25/9/2009, 20:15




Diciamo che la foto non rende. E' bello l'interno ad anfiteatro, all'esterno certo il color cemento armato non dona. In più comincia a cadere a pezzi...
 
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fermakon
view post Posted on 26/9/2009, 01:44




evidentemente ho un brutto cervello.
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Felipe-bis
view post Posted on 26/9/2009, 09:19




CITAZIONE (fermakon @ 26/9/2009, 02:44)
evidentemente ho un brutto cervello.
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Ma non tu! Nemmeno l'hai viste dal vivo, 'ste chiese, magari ti piacerebbero. :D Sgarbi non ha scuse. Ha bisogno di soldi, d'altra parte...
 
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fermakon
view post Posted on 26/9/2009, 10:46




CITAZIONE (Felipe-bis @ 26/9/2009, 10:19)
Ha bisogno di soldi, d'altra parte...

Questo sempre! Poveretto. Gli hanno anche battuto all'asta la collezione di quadri per ripianare i debiti.
Ma a me sta simpatico lo stesso :)
 
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view post Posted on 26/9/2009, 10:58

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CITAZIONE (Felipe-bis @ 25/9/2009, 21:09)
La prima foto rappresenta esattamente la chiesa così com'é. Stanno a Roma entrambe e le ho viste dal vivo.
Saranno pure chiese, ma per me non sono affatto brutte; è Sgarbi -e chi gode dei suoi sproloqui- che ha un brutto cervello.

Anch'io l''ho vista dal vivo la prima, un terribile viaggione sul 105, costretto dalla ragazza studente di architettura. E l'ho trovata brutta. Come la Cappella Polare di Tromso (Norvegia) che da lontano sembra fighissima.
(Comunque a me paiono brutte molte chiese anche di epoche precedenti)

VaticAno, si vede lontano un miglio che é vera? Ma la luce va in due direzioni diverse?
Hai mai visto un sito riguardante un'opera in costruzione? C'é la foto di "come dovrebbe venire" che si fa inserendo il progetto nella foto del luogo dove dovrebbe sorgere.
 
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Felipe-bis
view post Posted on 28/9/2009, 11:34




De gustibus non disputandum est.
 
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vaticANO
view post Posted on 28/9/2009, 11:58




No no, non è il gusto che aiuta a capire l'arte.
E' ciò che essa provoca in noi che ci aiuta a comprendere il suo ruolo, il nostro fabbisogno, il sentirci attratti da una cosa perchè essa rispecchia una personale sensibilità, un'emozione forte, che non si trova nelle altre opere.

Il gusto con l'arte non ha molto a che fare, quella è estetica.
Il che è altra cosa, immateriale, dettata dalle regole personali.

Per capire un'opera bisogna entrare nel pensiero dell'artista, cercando di immedesimarsi in lui, cercando di carpirne tutti i sentimenti, i valori, che hanno portato l'uomo a realizzare qualcosa.
Non è che se una cosa è brutta allora è priva di senso o di scopi, anche perchè il brutto può essere una tua opinione, poi c'è qualcun'altro che invece la considera meravigliosa.
Il bello e il brutto in arte se esiste lo dobbiamo solo all'ignoranza di chi guarda, e che tende a sottovalutare una costruzione, una tela, una scultura bronzea.

Come quelli che si fermano davanti a un quadro di Basquiat o di Mondrian per 2 secondi, dicendo...lo sapevo fare anch'io.
Ma capisci perchè l'ha realizzata? Capisci il contesto che l'ha portato a esprimersi in questo modo?

E' quello a cui bisogna mirare.

Il povero cretino pensa che l'arte sia la Gioconda, la fotografa, la esalta, ma in realtà la Gioconda è una delle opere peggiori di Leonardo, che ahimè, nel ritratto non era certamente un dio.
 
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Felipe-bis
view post Posted on 28/9/2009, 13:20




Insomma... non sono proprio proprio d'accordo. Ho come l'impressione che a volte non sia davvero indispensabile conoscere l'intenzione dell'artista nel realizzare la sua opera, un giudizio puramente estetico può prescindere -secondo me- da questo.
Anche perché una stessa opera può suggerire sensazioni e suggestioni diverse a seconda di chi la osserva, e questo aggiunge, e non toglie, significato all'opera stessa. Sempre secondo me.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/47226

CITAZIONE
A Tor Tre Teste è nata una chiesa bellissima.
Ma smemorata e muta
Il papa in visita alla nuova chiesa costruita a Roma da Richard Meier. Fatta solo di pareti nude, incapaci di narrare la fede cristiana. Pietro De Marco la mette a confronto col duomo di Monreale e dice come farla rivivere

di Sandro Magister


ROMA, 24 marzo 2006 – La foto qui sopra è di una chiesa nuovissima nella periferia di Roma, in località Tor Tre Teste. L’ha ideata e costruita un architetto dei più rinomati al mondo, l’ebreo americano Richard Meier, in occasione dell’Anno Santo del 2000. È intitolata a Dio Padre Misericordioso.

Domenica 26 marzo Benedetto XVI visiterà questa chiesa e vi celebrerà messa. Sarà la sua seconda visita a una parrocchia romana, da quando è papa.

La nuova chiesa è ritenuta un capolavoro dell’architettura religiosa contemporanea ed è meta di numerosi visitatori e turisti.

A questi viene detto che essa ha la forma di una barca: la barca della Chiesa con al timone il successore di Pietro.

Viene spiegato che le tre vele di cemento levigato e bianchissimo simboleggiano la Trinità, e che la vela più grande indica la protezione di Dio sul suo popolo.

Viene fatto loro notare che un raggio di sole, al tramonto, illumina il crocifisso posto sopra l’altare.

Ma appunto, tutto ciò dev’essere detto e spiegato. Perchè la chiesa è nuda e spoglia e taciturna, sia fuori che dentro. È stata pensata così, in omaggio a quell’assenza di immagini che è il dogma di tanta architettura sacra moderna.

Lo stesso crocifisso che è sopra l’altare – un bel crocifisso del Seicento di legno e cartone – hanno dovuto prenderlo e portarlo lì da un’altra chiesa della periferia romana.

In un altro angolo è stata provvisoriamente collocata una Madonnina biancoazzurra su una colonnetta di plastica.

Piccoli segni – questi ultimi – della volontà di riempire un vuoto avvertito come insostenibile.

C’è infatti qualcosa che stride tra la nudità di queste pareti pur geometricamente incantevoli e la straripante ricchezza di immagini che distingue due millenni di arte cristiana.

È attraverso queste immagini che la fede cristiana ha parlato alle genti e s’è trasmessa di generazione in generazione. L’improvviso mutismo dell’arte religiosa moderna è questione seria che investe anzitutto la Chiesa.

La quale ne è consapevole, nelle sue menti più avvertite.

Ne è consapevole papa Joseph Ratzinger, come risulta da tante sue pagine sull’arte cristiana scritte da teologo e cardinale.

Ne è consapevole la conferenza episcopale italiana, quando promuove – come parte del suo “progetto culturale” – una storia-catechesi dell’arte cristiana in Italia in tre splendidi, illustratissimi volumi curati da Timothy Verdon, di cui il primo è già in libreria, stampato dalle edizioni San Paolo.

C’è un abisso tra le nude pareti della chiesa di Meier e, ad esempio, i più di seimila metri quadrati di mosaici che rivestono la cattedrale di Monreale in Sicilia – capolavoro dell’arte normanna del XII secolo – con le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, gli angeli e i santi, i profeti e gli apostoli, i vescovi e i re, e il Cristo “Pantocrator”, reggitore di tutto, che dall’abside avvolge con la sua luce, il suo sguardo, la sua potenza il popolo cristiano.

Il confronto tra questi due modelli antitetici – il duomo di Monreale e la chiesa di Meier – è un confronto anche tra due teologie e tra due tipi di presenza cristiana nel mondo.

È quanto fa Pietro De Marco nella nota che segue. De Marco è professore di sociologia della religione all’Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.


Per una chiesa abitabile dalla “Civitas Dei”

di Pietro De Marco


Ho rivisto il duomo di Monreale. Avviene di trovarsi sgomenti di fronte a un’apparizione così totale e inattesa. L’ho rivisto con occhi nuovi, nell’unità del suo impianto murario e della coltre di mosaici che lo riveste: architettura ed icona, simboli che aprono all’oltre di quelle mura e di quelle immagini, rappresentazione della Città di Dio.

Ciò che appare alla comunità radunata in quel duomo è, infatti, una epifania della “Civitas Dei” quale sussiste nel coro degli angeli, nella sovranità del Risorto, nei santi e contemporaneamente nell’insieme di uomini in cammino di salvezza sulla terra, che si specchiano nella storia sacra che qui invade le pareti: così come nel “De Civitate Dei” di sant’Agostino la storia biblica costituisce l’orditura della drammatica narrazione delle storie del mondo.

Per il fedele, volgere i passi verso la cattedrale è accedere al monte di Sion. Dice la Lettera agli Ebrei, 12, 22-24: “Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quella di Abele”.

Lo stare nella cattedrale è autentica contemplazione della Gerusalemme del cielo, è partecipazione per immagine alla Città di Dio. Il concreto spazio dell’edificio e l’immane mosaico in cui si dispiega la notizia del sapere salutare sono la presenza ammaestrante del mistero. E sono ad un tempo, in quel popolo radunato, l’evidenza delle “duae civitates”: protesa al cielo o già celeste la Città di Dio; non aperta al cielo la città “carnale” che a Dio si oppone.


* * *

Rimuginando queste cose, mi è parso di capire meglio una mia tenace diffidenza per la purezza aniconica, priva di immagini, degli interni delle chiese contemporanee, di alta o di modestissima architettura, cattoliche e non cattoliche o di uso misto, come avviene frequentemente nel nord d’Europa.

La parete bianca, in uno spazio sacro, agisce come uno specchio vuoto, oppure come uno schermo bianco per i fantasmi e le passioni dell’anima. Le storie, le immagini che vi si proiettano sono ad arbitrio le storie della propria singolarissima vita. Certo, qualcosa di simile avviene anche di fronte all’immagine sacra, alla statua del Sacro Cuore, alle lacrime di Maria, eppure in modalità tutt’affatto diverse. L’immagine sacra accoglie e assorbe il moto, l'irraggiamento della nostra anima; vi si sostituisce e viene incontro all’anima come l’Altro salutare, come mondo sacro e ricco di senso che spezza il circolo solipsistico.

Immersa, invece, nel biancore aniconico l’anima non esce veramente da sé, se non nella eventuale forma di una quiete da saturazione estatica, pericolosamente ai limiti dell'irreligione. Quelle pareti che sembrano veicolo di trascendenza, perché così illusoriamente prossime all’indicibilità di Dio, sono invece impenetrabili alla trascendenza proprio perché vuote e prive di forme. Al Dio delle grandi fedi ci si approssima solo percorrendo le tracce, i segni, i saperi che ci sono stati da lui rivelati e donati, e senza i quali la fede si smarrisce.

Ma vi è nel complesso figurale di Monreale, dominato dal gesto ammaestrante del Cristo “Pantocrator”, reggitore di tutto, qualcosa che mi preme di più sottolineare. Senza icona della storia salvifica e della Gerusalemme celeste lo spazio della chiesa, di ogni chiesa cristiana, non perde solo e genericamente sacralità. Perde la sua abitabilità da parte del popolo cristiano.

Anche in chi sia inconsapevole di tale cittadinanza viene trasferito un sapere effettivo, in certo modo sperimentale, per il solo fatto di immergersi nella vertigine architettonico-figurale di una chiesa. Vertigine dell’intero, del cielo e della terra.

L’arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, ha ricordato in una sua recente lettera pastorale la visita del grande teologo tedesco Romano Guardini in quel duomo, nella Settimana Santa del 1929. Abbiamo perso – notava Guardini pensando al cristianesimo nordico – un modo essenziale della partecipazione orante, quello che “si svolge guardando”, un modo che invece “lì ancora c'era” nei fedeli raccolti per la liturgia del Sabato Santo: “la capacità di vivere-nello-sguardo, di stare nella visione, di accogliere il sacro dalla forma e dall’evento, contemplando”.

Non, dunque, salto nel buio, disperata e non biblica metafora della fede. Ma salto nella luce, e memoria e via alla Luce. Orante tra altri uomini, preso nell’azione liturgica e nel divino congegno delle immagini per cui mi sono presenti il primo Adamo e il secondo, Cristo, i martiri e i beati, mi scopro membro della “Civitas Dei” tutta, mi so già e non ancora uomo, anzi cittadino, celeste.

La verità stessa della vita ultraterrena – che non è certo il nostro ricongiungimento con l’anima del mondo – riceve una particolare luminosità nel vederla contigua con le forme dell’esistenza dei pellegrini sulla terra. Il relativo declino, nell’ultimo secolo, di questa apertura dell’anima alla “civitas” degli angeli e dei beati non deve far dimenticare che tale corpo terreno-celeste della chiesa è un orizzonte vitale della spiritualità e devozione cattolica. L’arte delle chiese – che in questo ha raggiunto il suo grado eccelso nell’età barocca – esprime la vertiginosa continuità dell’unica “civitas” ove morti e viventi, santi e peccatori, coesistono nell’armonia tra il tempo che ci divora e l’eternità beata.


* * *

Questo sapere della divina cittadinanza è essenziale al sapersi cristiani. Di tale sapere, però, se l’impuro iconico delle chiese cattoliche e ortodosse è veicolo e conferma vivente, il puro aniconico è negazione.

Perciò dovremmo diffidare degli spogli spazi di preghiera comune e di culto, in cui appare magari solo una croce e senza l’immagine del Figlio. L’anima non riposa in se stessa. L'annuncio cristiano dice cosa diversa: “Cor quiescit in Te”, il cuore riposa in Dio, scrive Agostino; un Dio di parole e atti, di forme e figure, che edifica un popolo e traccia visibili percorsi di grazia. La parete bianca svuota i saperi della fede, mentre sono in realtà iconici, e non vuoti, gli stessi segni religiosi non figurativi dell’ebraismo e dell’islam.

La visita alla prestigiosa chiesa del Padre Misericordioso costruita dall’architetto Richard Meier a Roma Tor Tre Teste impone una riflessione critica sull’intelligencija ecclesiastica e laica, non solo italiana, che alimenta il gusto dominante per l’impoverimento iconico degli spazi e sacri.

Appartiene alla stessa deriva intellettuale l’evidenza che la chiesa di Meier è tenuta come un qualsiasi spazio chiesastico bello, destinato a cultori e turisti, tendenzialmente desacralizzato fino alla celebrazione liturgica, come se prima e dopo la celebrazione esso fosse uno spazio neutro.

Non è, comunque, la qualità architettonica che fa problema, anche se legittima è la polemica di grandi architetti contro la mediocre follia di tanta contemporanea architettura di chiesa. La chiesa di Meier è formalmente bella. Ma questa condizione non è né necessaria né sufficiente per una chiesa abitabile dalla “Civitas Dei”.

Insisto: a sancire la trasparenza dell’oggetto architettonico alla celeste Gerusalemme e ad aprire il luogo alla fiducia del credente sono i segni visibili dell’uso sacro, catechetico e rituale. Decisiva, per la fruibilità sacra di uno spazio, non è la struttura muraria, ma lo sono l’arredo decorativo e iconografico – di cui Monreale è paradigma – e il corredo funzionale: vasi sacri, vesti, ogni altro oggetto dedicato al rito.

Questi segni, nella chiesa di Meier e in altre chiese moderne, così come in molta architettura romanica “ripulita” dai restauri del Novecento, sono troppo assenti o rimossi. Nella chiesa del Padre Misericordioso l’altare non appare come altare, se non analogo a tanti altri elementi sconsacrati, poiché è un monolite di travertino senza segni qualificanti, né una croce, una tovaglia, un leggío, insomma senza traccia della sua destinazione: un oggetto disponibile. Mentre è la sua gelosa delimitazione che rende l’oggetto sacro non più disponibile ad altro.

Ogni chiesa siffatta tornerà ad essere spazio sacro se la “plebs sancta”, il popolo dei fedeli, prenderà il coraggio di rompere l’incanto perverso dell’interno bianco, vuoto, spiritualistico più che spirituale, reintroducendo eversivamente “brutte” statue del Sacro Cuore, una grotta di Lourdes, una grande immagine di padre Pio, una teca con un corpo di cera di un Santo, degli ex voto, le candele e una Via Crucis; insomma quello che c’è in ogni chiesa che non sia stata denudata dal purismo di parroco e parrocchiani, o di qualche ufficio di curia.

Il sacro iconico, meglio se realizzato in modi alti da mani di artista, deve poter essere sfiorato, toccato, se si ardisce di farlo. Solo se la chiesa di Meier reggerà all’irruzione del sacro iconico ordinario, per cui io lì possa parlare, intimamente e spudoratamente, con la presenza anche artisticamente inelegante del Dio con noi, solo allora sarà una chiesa in cui potrà sostare non spaesata la “Civitas Dei” terrena.

Sottolineo il “non spaesata”. Contro la tesi dei teologi aniconici per cui lo spaesamento è in sé itinerario di fede.

Ora, devo dire che quella chiesa (la prima foto) finora l'ho vista solo da fuori, ogni volta che sono andato era chiusa, ma da fuori un pò dell'interno si vede lo stesso.
Adesso -a proposito di quello che scrive VaticANO nel suo ultimo post- vorrei chiedere a voi se la lettura di questo giudizio, che è solo un'opinione, ha cambiato la vostra percezione dell'opera. Per me, no, mi piaceva prima e mi piace adesso. Sarà che sono un sostenitore del minimalismo, o che sono un ignorante...
 
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vaticANO
view post Posted on 28/9/2009, 15:02




Sei un sostenitore del minimalismo? E scusa, Gaudì non ti aggrada?
 
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Ashmael
view post Posted on 28/9/2009, 15:43




C'è chi ci ha fatto persino un blog

http://bruttechiese.blogspot.com/

Certe chiese farebbero diventare ateo anche Gesù. Vedi il parallelepipedo con strani intagli nella prima foto. Se lì si adorasse Chtulhu di Lovecraft capirei...
E comunque, cosa abbiano avuto in mente i creatori di obbrobri consimili è difficile immaginare.
Di certo i loro concetti estetici sono piuttosto bizzarri, per usare un eufemismo.
Devo dire che ho visto anche chiese moderne dall'aspetto non sgradevole, non paragonabili a cattedrali gotiche, ma quanto meno riconoscibili come luoghi di culto.
 
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view post Posted on 28/9/2009, 21:32

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CITAZIONE (vaticANO @ 28/9/2009, 12:58)
No no, non è il gusto che aiuta a capire l'arte.

Sentenza abbastanza grave su un tema tutt'altro che univoco.
Dipende parecchio dal modo nel quale concepisci l'arte.
Che ti segnalo é un concetto non ben definito.
A mio modo di vedere il gusto é fondamentale non solo per capire ma persino per valutare l arte.

CITAZIONE
E' ciò che essa provoca in noi che ci aiuta a comprendere il suo ruolo, il nostro fabbisogno, il sentirci attratti da una cosa perchè essa rispecchia una personale sensibilità, un'emozione forte, che non si trova nelle altre opere.

E quello che descrivi é appunto un sentimento soggettivo che puó ben essere influenzato dal gusto.

CITAZIONE
Il gusto con l'arte non ha molto a che fare, quella è estetica.

Che secondo le piú diffuse visioni filosofiche riguardo l'arte é intimimamente legata all'arte stessa.
CITAZIONE
Il che è altra cosa, immateriale, dettata dalle regole personali.

Mentre invece l'arte é materiale, vero? Ed é assolutamente oggettiva? Chissá perchè esistono giudizio contrastanti allora.

CITAZIONE
Per capire un'opera bisogna entrare nel pensiero dell'artista, cercando di immedesimarsi in lui, cercando di carpirne tutti i sentimenti, i valori, che hanno portato l'uomo a realizzare qualcosa.

Allora sarebbe uno sforzo del tutto privo di senso.
La grandezza di un'opera si ha quando questa riesce a esprimere con la piú grande universalitá quelli che sono i sentimenti di un'epoca. Il che del tutto ignorandone l'autore. L'autore deve trasparire dall'opera non vicevera. É studiando le opere che si conosce un autore e non viceversa.

CITAZIONE
Non è che se una cosa è brutta allora è priva di senso o di scopi, anche perchè il brutto può essere una tua opinione, poi c'è qualcun'altro che invece la considera meravigliosa.

Anche la profonditá di un senso o la validitá di uno scopo sono fattori soggettivi
CITAZIONE
Il bello e il brutto in arte se esiste lo dobbiamo solo all'ignoranza di chi guarda, e che tende a sottovalutare una costruzione, una tela, una scultura bronzea.

Ah, quindi tutte le opere sarebbero ugualmente valide? Perchè l'ovvia conseguenza del tuo pensiero é che qualunque critica, qualunque detrazione di un'opera verrebbe subito giustificata da un'ignoranza di chi critica. Ignoranza nei confronti della personalitá dell'artista poi.

CITAZIONE
Come quelli che si fermano davanti a un quadro di Basquiat o di Mondrian per 2 secondi, dicendo...lo sapevo fare anch'io.

La domanda in realtá é tutt'altro che campata in aria. Oltre alla validitá del messaggio é da considerare anche l'abilitá nell'esprimerla.

CITAZIONE
Ma capisci perchè l'ha realizzata? Capisci il contesto che l'ha portato a esprimersi in questo modo?

Questo puó servire per decifrare un'opera. Ma una crosta resta una crosta anche se dietro ci sono tutte le buone intenzioni possibili.

Pensa alla musica. Riesci a valutare una canzone dal solo messaggio? E riguardo il valore musicale gli accordi conteranno un pochino, no?

CITAZIONE
Il povero cretino pensa che l'arte sia la Gioconda, la fotografa, la esalta, ma in realtà la Gioconda è una delle opere peggiori di Leonardo, che ahimè, nel ritratto non era certamente un dio.

Piú che cretino forse semplicemente ignora ció che é venuto dopo.

Ah, Riguardo Gaudí le case le trovo belle, il giardino stupisce per l'eccentricitá e poi nulla piú, la chiesa l'ho trovata di rara bruttezza ed il fatto che l'autore sia stato investito da un tram mentre la guardava fa quasi credere in un dio offeso da quella chiesa.
 
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fermakon
view post Posted on 30/9/2009, 00:24




Sulla Sagrada Famiglia non posso che essere d'accordo: davvero ripugnante. Anche se la riscoperta dell'arco a catenaria (o come diavolo si chiama) è un'intuizione felicissima. Belle le case.
Sull'arte in generale.. boh?
Credo ci sia un problema: se dobbiamo andare ad indagare cosa l'artista volesse trasmettere, non saremmo in grado di capire opere non documentate e, inoltre, a parole lo stesso artista potrebbe raccontarci ogni genere di vaccata (anche se di solito provvedono, appunto, i critici);
Se dobbiamo attenerci alle sensazioni che a noi trasmette, il parere non può essere univoco: la Monna Lisa, personalmente, non è proprio nulla che valga la pena andare a vedere ( al Louvre è esposta la zattera della Medusa, più bella e sempre priva di osservatori). Ma ci sono tonnellate di pagine scritte da fior fior di critici che spiegano nei minimi dettagli la piega della bocca e che ne sostengano lo status di capolavoro. Io non capirò nulla di arte, ma quella là non mi dice proprio niente.
Quelli che dicono "questo lo averi potuto fare anche io" sono i soliti poveretti afflitti dalla sindrome dell'uovo di Colombo, e come risposta meritano soltanto un "e allora perchè non lo hai fatto, così si andava tutti in vacanza coi profitti?!?"

Vorrei attirare l'attenzione su quelle sculture (secondo me obbrobriose) esposte presso l'anfiteatro Flavio a Roma e opera Jiménez Deredia, un artista sudamericano. Voi, cosa ne pensate?
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Secondo lui (ho seguito l'intervista) testimoniano i punti di contatto tra le varie culture americane e vogliono essere un messaggio di pace in quella che, sempre secondo lui, è la città della pace universale.
Secondo me sono una riproposizione in brutto di Botero, senza quella vena caustica.

Però, ditemi voi? Dov'è la pace?
E soprattuto: perchè questo signore deve farsi pubblicità piazzando le sue chiaviche davanti al Colosseo e ai Fori?
 
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Ashmael
view post Posted on 30/9/2009, 08:41




Sculture proprio brutte. Ma chissà, a qualcuno possono piacere. Quanto all'arte, secondo me un'opera d'arte dovrebbe comunicare qualcosa a livello estetico, emotivo o spirituale. Quelle statue non mi comunicano granchè, ma comunicano sempre più delle famose scatolette di "merda d'artista" di Duchamp, pura provocazione. Certo, l'artista e il critico possono dire qualsiasi cosa, e comunque,non sapremo mai cosa esattamente volevano comunicare, per esempio, gli artisti delle caverne di Lascaux e Altamira.
 
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48 replies since 16/9/2009, 18:09   6330 views
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