Un articolo "innocentista"
http://www.tempi.it/interni/007005-guai-ai-teneri22 Giugno 2009
Guai ai teneri
Contraddizioni, stranezze e lacune delle accuse contro don Conti, il parroco di Roma troppo affettuoso finito sotto processo perché «dava le chiavi di casa a tutti»
di Chiara Rizzo
approfondimenti
* La onlus antipedofilia che vuole la condanna
Ci sono due modi per affrontare la vicenda di don Ruggero Conti, il parroco della chiesa della Natività di Maria Santissima a Roma accusato di aver abusato di sette minorenni, in due casi anche offrendo denaro in cambio delle attenzioni, mettendo così in atto anche il reato di induzione alla prostituzione. Il primo modo è prendere “di pancia” la vicenda, un groviglio umano che va ben oltre l’inchiostro dei verbali e degli articoli apparsi sui giornali, fatto di carne e sangue, di amicizie e tradimenti, di fiducia e rancori, di odii violenti e profondissimo affetto. Ad esempio, alla prima udienza del processo a carico di don Conti, il 16 giugno a Roma, due ex compagni di scuola si sono incontrati per la prima volta dopo l’arresto del sacerdote, avvenuto il 30 giugno 2008 (il prete, dopo avere ottenuto i domiciliari, è tornato in carcere a marzo, per le misure più restrittive previste dal pacchetto sicurezza approvato dal Parlamento nel frattempo). Uno dei due si era appena costituito parte civile, come presunta vittima degli abusi. L’altro era in mezzo alla folla accorsa a sostenere don Ruggero. Due amici di infanzia su due barricate diverse, che non riuscivano più a parlarsi senza un fremito di rabbia reciproca. Il secondo modo per raccontare questa storia, invece, è “guardarla” con la testa, per esempio esaminando le accuse mosse verso il sacerdote e cercando di capire chi sono le persone coinvolte.
Primo punto: le accuse. Le sette presunte vittime raccontano di aver subìto abusi in un arco di tempo che va dal 1998 al maggio 2008. Per cinque di questi ragazzi, le ultime molestie risalgono al 2002. Uno dei ragazzi di quest’ultimo gruppo descrive un episodio avvenuto nel 2001, durante un campeggio estivo di due settimane (il ragazzo era allora quindicenne e sarebbe stata molestata da don Ruggero fino al 2002).
Nel 2008 al pubblico ministero Francesco Scavo Lombardo, il ragazzo racconta che la prima settimana della vacanza dorme in camera con altri tre coetanei, tra cui il nipote del sacerdote. Nella stanza c’è un letto a castello e uno matrimoniale. La presunta vittima si trova nel piano superiore del letto a castello, quando don Ruggero entra e, senza salire sulla scaletta, lo costringe a subire un rapporto orale. Si aggiunga un dato, a queste dichiarazioni. In media, un letto a castello è alto un metro e sessanta. Don Ruggero è alto un metro e settantotto centimetri e pesa 140 chili, presumibilmente non è proprio un tipo scattante. Il pm, a questo punto, cerca di capire meglio la circostanza. Chiede se qualcun altro si è accorto del fatto, e il ragazzo risponde di non poterlo dire (nessuno degli altri in camera, però, ha confermato le accuse). E come mai non si è divincolato tentando di attirare l’attenzione degli altri? Poi il pm si ferma un attimo a pensare a voce alta: forse – dice – lei ha avuto paura di farlo per timore che la vedessero e quindi la vergogna era tanta. Sì la vergogna era tanta, ammette a questo punto anche il ragazzo. L’avvocato Nino Marazzita, legale della presunta vittima e di un secondo accusatore, nonché parte civile nel processo per conto dell’associazione antipedofilia “La caramella buona”, spiega a Tempi: «È possibile che gli altri non si siano accorti. Ho seguito il caso di una ragazza violentata dal padre mentre dormiva in camera con altre sei persone, nessuna delle quali li vedeva. È possibile insomma che accadano fatti che sfuggono all’esperienza comune. All’esperienza teorica comune».
A proposito di cose sfuggevoli. Il ragazzo prosegue le sue dichiarazioni al pm, dicendo che la seconda settimana della vacanza, dopo la partenza degli altri tre compagni di stanza, lui si trasferisce in camera con don Ruggero. Dice anche: dormivo nello stesso letto. Stranamente non mi ha toccato. Secondo Marazzita «queste parole sono una prova di sincerità. Cercherò di capire se le accuse prenderanno corpo e diventeranno prove nel corso del dibattimento. Sono garantista, infatti, e credo profondamente nel dibattimento». Intanto don Ruggero è dietro le sbarre. Forse l’avvocato Marazzita ha verificato le accuse dei ragazzi, prima che venissero formalizzate? «Sì. Ma dopo che i ragazzi avevano deposto davanti ai carabinieri. Non ho parlato con le persone che difendono don Ruggero, perché si sono rifiutate di incontrarmi. Ho controllato se i miei due clienti si erano parlati prima, e non lo avevano fatto». Davanti al pm, però, uno degli assistiti di Marazzita si contraddice. Prima sostiene di aver mantenuto il silenzio sugli abusi per ben dieci anni (gli episodi che lo riguarderebbero risalgono al 2001), ma pochi minuti dopo racconta a Scavo Lombardo di essersi scambiato confidenze sulle molestie di don Ruggero con un amico, la presunta vittima delle violenze in campeggio, ovvero l’altro cliente dell’avvocato Marazzita. Che ribatte: «È vero, si sono parlati, ma senza raccontarsi i dettagli».
Quattromila abusi in sei anni?
Altri due dei ragazzi accusano don Ruggero di induzione alla prostituzione. Il pm Scavo e il capitano del comando provinciale dei Carabinieri di Roma interrogano una di queste due vittime, un ragazzo che avrebbe subìto molestie fino al maggio 2008, anche in cambio di denaro. Gli chiedono insistentemente quante volte si sarebbero verificati questi episodi, ma lui fornisce risposte vaghe. Poi, alle domande incalzanti, alla fine quantifica: in sei anni, tre-quattromila volte. Traducendo: esclusi domeniche e festivi, si tratterebbe di una media di 2,8 abusi al giorno (senza contare quelli eventuali su altre vittime). Poco dopo il ragazzo cambia versione. E al pm che gli chiede nuovamente quante volte don Ruggero lo abbia “palpato”, più o meno, anche se sbaglia di una decina di volte non fa nulla, il ragazzo risponde: sei o settecento volte. Nel capo d’accusa infine, si parla di quattro o cinque volte al mese (cioè trecentosessanta episodi in sei anni).
Tra le dichiarazioni di tutti i ragazzi che accusano Conti, sono diversi i campi oscuri. «Non ricordo». «Di quel periodo, in quanto ai volti, ho oscurità totale». E anche: «Io ricordo un fatto del genere, ma
l’ho sempre associato a un sogno».
Gli screzi con il “vice” don Claudio
Secondo punto. I ragazzi e i genitori che sostengono don Ruggero sono un dato di fatto. Sono centinaia. Si chiamano Andrea, Lorenzo, Francesco, Karl Heinz, Micol, Jessica. Gli scrivono una media di cento lettere alla settimana, e alla prima udienza alcuni di loro si sono accalcati in aula per fargli coraggio. Ma allora, chi è veramente questo parroco di borgata? I coetanei delle presunte vittime lo descrivono a Tempi sulla scia dei loro ricordi. Tra loro c’è anche chi sarà chiamato dalla difesa a testimoniare in aula. «A ragazzi che non hanno un padre, lui ha fatto da padre. Ha dato loro da mangiare e tutto quello di cui avevano bisogno». Qualcuno racconta delle tante serate in cui don Ruggero li lasciava giocare alla Playstation che aveva in casa: «La sera, quando stava sul divano, noi giocavamo e lui dopo due secondi s’addormentava subito. Ve lo ricordate? Magari uno segnava un gol, e lui allora russava più forte». Ancora: «Eravamo tutti i giorni a casa di Ruggero. Mangiavamo lì, poi lui si addormentava. Ma si chiudeva in camera. Comunque non c’invitava mai in meno di quattro o cinque persone».
Una mamma: «Io faccio l’infermiera, e siccome Ruggero aveva avuto problemi di salute, mi capitava spesso di piombare a casa sua per portargli le medicine finito il mio lavoro. Era un porto di mare: se ci fosse stato qualcosa di anomalo, lo avremmo visto. I miei figli li ho sempre mandati da lui, tranquilla. Li lasciava giocare fino a tardi, d’estate, e qualche volta dava il permesso di fermarsi a dormire lì. Ma guai se non avevano il pigiama». Dunque: da queste parole don Ruggero appare una persona affettuosa, generosa ma attenta. Si sa anche che per la parrocchia ha fatto costruire un centro con campi da calcetto, basket, pallavolo: l’unico così attrezzato, in un quartiere di periferia. È anche noto che aveva trovato lavoro alla madre di una delle presunte vittime, che viveva in una situazione economica molto grave. Sicuramente don Conti è una persona anche molto espansiva, e certi suoi atteggiamenti possono risultare equivoci. Don Ruggero, per esempio, aveva l’abitudine di chiedere un bacio della buona notte sulla guancia a tutti, quando portava i ragazzi in campeggio. Chi lo conosce assicura: «Una cosa innocente». Il sacerdote era anche solito lasciare le chiavi del suo appartamento a chiunque gliele chiedesse: «Amava le tecnologie avanzate, era l’unico a possedere certe cose nel quartiere. Maxischermi, Playstation e Wii (due console per giochi, ndr): tutto quello che aveva lo spendeva così, per dare modo ai suoi ragazzi di divertirsi. Perciò capitava spesso che gli chiedessero le chiavi di casa, e lui lasciava fare» dice un amico. Anche quest’aspetto, però, è sembrato anomalo, perlomeno a chi ha mosso le prime accuse, il viceparroco don Claudio, che quelle chiavi non le ha mai avute.
Terzo punto. Don Claudio Peno Brichetto, appunto. È stato il viceparroco di don Ruggero, con cui ha avuto alcuni screzi, nel 2006. Don Claudio è anche la prima persona che si è rivolta alla diocesi di Porto-Santa Rufina, a Roma, denunciando i presunti casi di pedofilia. La curia ha avviato verifiche, poi ha archiviato. Perché? Forse perché il vescovo conosceva i trascorsi di don Peno Brichetto? Ad esempio gli era noto che la diocesi di Lugano, la prima dove don Claudio aveva fatto richiesta di ricevere i voti, lo aveva rifiutato. E questa è un’altra storia da raccontare.