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Il rapimento di Emanuela Orlandi. Intrecci tra Vaticano e banda De Pedis, De Pedis voleva rientrare da un prestito alla IOR di Marcinkus?

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view post Posted on 14/5/2012, 15:23
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14 maggio 2012
Vicino alla bara di De Pedis, cassetta con resti di ossa

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La polizia scientifica nel cortile interno della Basilica Di Sant’Apolinare a Roma
La polizia scientifica nel cortile interno della Basilica Di Sant’Apolinare a Roma
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Vicino alla bara di De Pedis ritrovata cassetta con resti di ossa

La cassetta contenente resti ossei sarebbe stata trovata vicino alla bara di Enrico De Pedis e non al suo interno, come si era appreso in un primo momento. Le ossa saranno sottoposte ad analisi, al pari di quelle contenute in altre cassette rinvenute nello stesso ambiente, ma più lontano.

Procura Roma: si analizzerà anche materiale contenuto in ossario cripta

L’apertura della tomba di Enrico De Pedis si inscrive in «un’attività investigativa finalizzata «alla ricerca dei resti di Emanuela Orlandi». Lo afferma il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, in una nota relativa all’attivà in corso oggi presso la basilica di Sant’Apollinare. In quest’attività investigativa rientrerà anche «un’analisi del materiale contenuto nell’ossario presente nella cripta della Basilica».

Orlandi: «Ero certo che in bara non ci fosse Emanuela»
«Che Emanuela non ci fosse in quella bara non ne avevo dubbi». Questo il primo commento di Pietro Orlandi, subito dopo essere uscito dalla basilica di Santa Apollinare a Roma, dove è stata riaperto il sepolcro di Enrico De Pedis, l’ex boss della banda della Magliana, il cui nome è collegato alla scomparsa di Emanuela Orlandi, il 22 giugno del 1983. «Finalmente - ha aggiunto - si può mettere un punto su questa pista, una delle tante che si sono susseguite negli anni».

Pietro Orlandi non ha assistito personalmente all’apertura della bara di De Pedis, ma ha detto «Oggi è stato fatto un passo importante per risolvere un mistero che va avanti da anni. Forse dopo tanto tempo c’è la volontà di fare chiarezza. Questo era un dubbio che andava fugato in ogni caso. Mi auguro sia l’inizio della collaborazione tra magistratura e Vaticano per arrivare alla verità».

Conferma delle impronte: «È lui»

Gli esami dattiloscopici hanno confermato che il cadavere nella tomba tumulata nella basilica di Sant’Apollinare è di Enrico De Pedis. Le impronte infatti hanno permesso l’identificazione del cadavere consentita anche grazie al buono stato di conservazione del corpo.

Nella bara c’è il corpo di un uomo corrispondente a quello di De Pedis

Nella bara tumulata nella basilica di Sant’Apollinare «c’è il corpo di un uomo corrispondente a quello di Enrico De Pedis»: è quanto si è appreso da «fonti qualificate» dopo i primi accertamenti seguiti all’apertura della bara dell’ex boss della Magliana. La certezza che il corpo appartenga all’ex boss arriverà dall’esame del Dna, ma da una prima «ispezione visiva» gli investigatori parlano di «un corpo di uomo corrispondente a quello di De Pedis».

Il cugino di Emanuela: «Non credo alla pista della banda della Magliana»
«Sinceramente no»: così il cugino di Emanuela Orlandi, Pasquale Lo Russo, ha risposto ai cronisti davanti alla basilica di Sant’Apollinare e Roma che gli chiedevano se credesse nel coinvolgimento della banda della Magliana nella scomparsa della cugina, di cui non si hanno più notizie dal 1983, quando aveva 15 anni.

Lo Russo, all’esterno della basilica nel cuore di Roma, mostrando a telecamere e fotografi la foto della cugina per la quale è stata anche organizzata una petizione, ha detto: «Quello che uscirà fuori dalla basilica è un’incognita - ha concluso - spero tanto che la verità venga a galla. Oggi si sta verificando qualcosa di importante grazie alla caparbietà prima del papà di Emanuela e poi del fratello Pietro».

Non c’è invece la mamma di Emanuela Orlando: «Poco prima di venire ho sentito la mamma di Emanuela - ha continuato - mi ha chiamato dicendomi che sarebbe voluta venire, ma non se la è sentita».

Leggi l'articolo completo: Il caso orlandi - Vicino alla bara di De Pedis, cassetta con resti di ossa | italia| Il SecoloXIX
 
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http://www.iltempo.it/adnkronos/?q=YToxOnt...zE4LnhtbCI7fQ==

Caso Orlandi: legali De Pedis, altri resti non in tomba 'Renatino' ma in muro ossario
Roma, 14 mag. (Adnkronos) - Nello stesso ambiente dove era collocata la nicchia contenente il sarcofago di De Pedis sono presenti altre cripte che contengono i resti di un cimitero di epoca prenapoleonica. A spiegarlo sono i legali della vedova di Enrico 'Renatino' De Pedis, gli avvocati Lorenzo Radogna e Maurilio Prioreschi. "Nella bara e nella tomba di De Pedis non c'erano altre ossa - sottolineano i legali - Nell'ossario di fronte alla cripta dove e' sepolto De Pedis sono stati trovati altri resti. Il muro dell'ossario e' stato abbattuto e al di la' c'erano oltre 200 cassette contenenti resti ossei".

(Sod/Col/Adnkronos)

14-MAG-12 16:23
 
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www.ogginotizie.it/136879-omicidio-...ojtyla-parte-1/

EMANUELA ORLANDI - CASO APERTO
data articolo16 maggio 2012

Omicidio Estermann – Un delitto collegato al caso Orlandi e all’attentato a papa Wojtyla. PARTE 1

"Edizioni Oggi" propone uno dei casi ancora senza soluzione, che nel corso degli anni è stato ingigantito da numerose versioni dei fatti, verità mischiate a menzogne, depistaggi, fino a coinvolgere ambienti insospettabili come alti vertici del Vaticano, mafia, banche (IOR e Banco Ambrosiano), servizi segreti italiani e di altri Paesi, misteriosi omicidi, sparizioni di prove e testimoni, attentati, criminalità organizzata e molto altro. Il tutto a partire dal rapimento di una ragazza di 15 anni, figlia di un impiegato dello Stato del Vaticano, Emanuela Orlandi.
Sono passati 29 anni dal sequestro di Emanuela Orlandi, ed oggi le cronache tornano ad occuparsi del caso in occasione dell'apertura della tomba di uno dei protagonisti della vicenda, Enrico De Pedis, detto "Renatino", capo della tristemente nota banda della Magliana. Un caso che sta suscitando aspre polemiche.
Il fratello della ragazza scomparsa, Pietro Orlandi, ancora oggi è profondamente impegnato nella ricerca della verità, e con lui la Redazione di "Edizioni Oggi".
Per inaugurare l'inchiesta, partiamo da uno dei tanti avvenimenti collaterali. Uno strano omicidio avvenuto diversi anni dopo il rapimento Orlandi. Esporremo vari episodi che, apparentemente scollegati con l'oggetto dell'inchiesta, sono invece strettamente connessi, nel tentativo di ricomporre il mosaico della verità.

Il 4 maggio 1998 l’austero e nobile ambiente della Gendarmeria Vaticana, il Corpo della Guardie Svizzere, è scosso da uno scandalo senza precedenti. Il nuovo comandante del Corpo, colonnello Alois Estermann, la moglie Gladys Meza Romero e il caporale Céderic Tornay sono trovati morti. Nessuno, al di fuori delle autorità vaticane, ha mai potuto verificare come si siano svolti i fatti, e questo ha alimentato molte versioni e contrastanti nonché inquietanti collegamenti. Gli aspetti della vicenda che non convincono sono diversi, e molti i fatti celati entro le mura papali, a cominciare dai poco chiari traffici di monsignor Paul Marcinkus, già numero uno della Banca Vaticana (lo IOR), alla troppo repentina scomparsa di papa Albino Luciani (Giovanni Paolo I) proprio quando aveva manifestato l’intenzione di “riordinare” la struttura della Curia romana, per finire all’attentato al suo successore, papa Wojtyla, passando per la scomparsa di Emanuela Orlandi e fino agli alti prelati che fungevano da informatori per il Cremlino e quindi al mistero dei tre cadaveri: il neo-comandante delle Guardie Svizzere, la moglie, e un caporale fino ad allora sconosciuto.
Il caporale Cédric Tornay probabilmente era stato avvicinato da qualcuno, dopo aver terminato il servizio straordinario di guardia, nell’androne d’entrata di uno dei diversi edifici vaticani. Con qualche pretesto mai chiarito viene condotto nella palazzina dove si trova la residenza del comandante Estermann, nei pressi del Palazzo Apostolico, quindi colpito violentemente alla testa e perde conoscenza. Pochi minuti prima delle 21 la persona che colpì il caporale Tornay, quasi certamente con l’aiuto di complici, si introduce nell’alloggio del comandante Estermann che, secondo indiscrezioni, stava conversando al telefono, e lo uccide con due colpi di pistola, uno al torace e uno alla testa. La moglie è uccisa con un solo colpo.
Nell’alloggio viene quindi portato il caporale Tornay ancora stordito, il quale viene freddato con un colpo sparato in bocca. La commedia è inscenata: l’arma del delitto viene messa fra le mani del caporale, e un altro colpo è esploso verso il soffitto, elemento importante per fare risultare che lo stesso Tornay ha sparato, alla prova del guanto di paraffina. Il caporale Tornay ha ucciso il proprio comandante, la moglie e quindi ha rivolto l’arma contro se stesso, suicidandosi.
Perché questa ingegnosa messa in scena di un omicidio-suicidio? Che cosa si doveva nascondere? Perché il capitano Estermann doveva morire?
In ogni caso, i killer si allontanano in silenzio e fanno perdere le loro tracce attraverso uno dei numerosi sotterranei del Vaticano. I corpi della signora, impiegata del corpo diplomatico venezuelano all’ambasciata del proprio Paese, del caporale Tornay e del comandante Estermann vengono scoperti da una suora, la cui identità non è mai stata rivelata e che probabilmente non è mai esistita.
Fin qui quello che secondo gli elementi delle indagini, potrebbe essere lo scenario della tragedia avvenuta nel tardo pomeriggio del 4 maggio 1998 in Vaticano. Nei fatti, la versione che fu offerta dalle autorità vaticane fu completamente diversa. Addirittura paradossale la testimonianza resa da più parti circa il giovane caporale Tornay (era nato nel 1974) arruolatosi da circa tre anni nel Corpo: viene descritto come un pazzoide, omosessuale, che oltretutto si sarebbe anche prostituito diverse volte, tossicodipendente e molto altro. Accuse che i fatti reali hanno smentito con la più clamorosa evidenza.
Viene dato l’allarme. I primi a giungere sul luogo della strage sono il Sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Re, l’Assessore agli Affari Generali della stessa Segreteria vaticana, monsignor Pedro Lopez Quintana, e l’ispettore della Vigilanza Camillo Cobin. Subito dopo il maggiore della Gendarmeria Raul Bonarelli e il portavoce della Sala Stampa Joaquin Navarro-Valls. Nessuno si preoccupa di informare gli agenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, che secondo il protocollo dovrebbero collaborare con la Gendarmeria. In sostanza, nessuna comunicazione alle autorità italiane: le indagini sono svolte dal Corpo interno del Vaticano nella persona del giudice unico Gianluigi Marrone, il quale affiderà poi il caso al professor Nicola Piccardi che successivamente lo archivierà come omicidio-suicidio. A parte il fatto che la scena del delitto non viene messa in sicurezza, ma invasa da diverse persone, e quindi irrimediabilmente inquinata, la versione ufficiale dei fatti è la seguente: “Il caporale Cédric Tournay in preda a raptus di follia, si è introdotto nell’appartamento del proprio comandante, il colonnello Estermann, e lo ha ucciso con la pistola di ordinanza, una Sig Sauer 9.41mm di fabbricazione svizzera, quindi si è suicidato. Il caporale Tournay ha lasciato ad un commilitone una lettera d’addio per la madre, da consegnare se fosse accaduto qualcosa. E’ tutto molto chiaro, non c’è spazio per altre ipotesi”.
Nella lettera in questione vi era scritto: “Spero che tu, mamma, mi perdonerai perché sono stati loro a costringermi a fare quello che ho fatto. Quest'anno dovevo avere l'onorificenza e il colonnello me l'ha negata. Dopo tre anni, sei mesi e sei giorni passati a sopportare tutte le ingiustizie, l'unica cosa che io volevo me l'hanno rifiutata”.
Secondo le parole del caporale, la lettera sarebbe stata un messaggio di spiegazioni alla madre per il suo gesto. Una classica lettera d'addio di un suicida. Se è così, il gesto di Cédric Tornay non è stato dettato da un raptus, anzi è più che evidente la premeditazione, addirittura scritta in una lettera. Una differenza non trascurabile.
Il 6 maggio sono resi noti i risultati delle autopsie: il colonnello Estermann è stato ucciso da due colpi di pistola, uno lo ha colpito allo zigomo sinistro raggiungendo la colonna cervicale e il midollo spinale, l’altro alla regione deltoidea e fuoriuscito dalla spalla sinistra per rientrare dal lato sinistro del collo, fino a recidere i tessuti cerebrali e il canale midollare. La signora Gladys Meza è stata uccisa da un proiettile penetrato dalla spalla sinistra che ha raggiunto la colonna cervicale. Il caporale Céderic Tournay è morto per un proiettile penetrato dalla cavità orale che ha raggiunto la parete occipitale inferiore (CONTINUA)



www.ogginotizie.it/137227-omicidio-...ojtyla-parte-2/

EMANUELA ORLANDI - CASO APERTO
data articolo17 maggio 2012

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Omicidio Estermann – Un delitto collegato al caso Orlandi e all’attentato a papa Wojtyla. PARTE 2

Nel febbraio ’99 il caso viene definitivamente archiviato come omicidio-suicidio, a fronte di numerose verifiche necroscopiche, anatomiche e istopatologiche, tossicologiche, balistiche e molto altro, fra cui circa 38 audizioni di persone informate sui fatti, cinque rapporti del Corpo di Vigilanza, rilievi tecnici e fotografici.
Molte cose non quadrano. Non quadrano per niente, a cominciare dalla lettera del caporale: una accurata perizia calligrafica rivela incoerenze di forma ed evidenzia che non è scritta con la calligrafia di Cédric Tornay. E inoltre, se il colonnello Estermann al momento dell’omicidio era al telefono con qualcuno, dove sarebbe finito questo prezioso testimone? Di lui non vi è mai stata traccia.
A mettere in dubbio la versione vaticana, anche la posizione dei corpi, specie quella del presunto omicida-suicida. Secondo la versione ufficiale, il giovane, dopo aver sparato al comandante e alla signora, si è inginocchiato e, piegandosi in avanti, si è sparato in bocca con la pistola d'ordinanza, che sarebbe poi finita sotto il suo corpo. La ricostruzione evidenzia l’impossibilità che si sia verificata questa versione. Cédric Tournay doveva essere privo di sensi quando è stato colpito dal proiettile, per il semplice fatto che se si fosse sparato, come afferma la versione ufficiale, non si sarebbe piegato in avanti, ma sarebbe balzato all’indietro, per effetto dello stesso colpo sparato dalla bocca alla base del cranio. Inoltre, secondo la versione ufficiale sono stati sparati cinque colpi, (due al colonnello Estermann, uno alla moglie, uno a Tournay e uno al soffitto), senza silenziatore. Possibile che nessuno abbia udito ben cinque spari?
La madre del caporale Tournay, Muguette Baudat, è sempre stata convinta che la morte del figlio sia stata una messinscena ben architettata da una organizzazione occulta all’interno del Vaticano, che aveva lo scopo di coprire verità scottanti. Ma che cosa poteva giustificare tutto questo?
Alla signora Baudat è stato negato di conoscere gli atti dell'inchiesta, anche dopo l'archiviazione, e ai suoi avvocati Jacques Verges e Luc Brossollet, è stato impedito sia di partecipare allo svolgimento dell'inchiesta, sia l'accesso alla relativa documentazione. Gli stessi hanno poi pubblicato, nel 2002, un libro-inchiesta con le loro verità sui fatti descritti.
E veniamo quindi alla nostra inchiesta, che trae spunto da una recente conferenza stampa, nella quale è stato ipotizzato un collegamento fra la morte del comandante Estermann, il rapimento di Emanuela Orlandi e l’attentato a Giovanni Paolo II. Un’ipotesi suggerita proprio dagli stessi legali Brossollet e Verges, che hanno offerto prove inequivocabili della “commedia” orchestrata in Vaticano, a partire da una autopsia disposta dalla madre del caporale Tournay, eseguita il 14 maggio ’99 all’Istituto Medico Legale di Losanna, che smentisce completamente la versione ufficiale, nella quale è stata scoperta la frattura alla base del cranio, in corrispondenza del colpo dietro l’orecchio sinistro che il caporale avrebbe ricevuto prima di morire e che ha anche provocato un’emorragia con presenza di sangue e muco nei polmoni. Un'altra scoperta ribalta la tesi che il caporale si sia ucciso con la sua pistola, poiché il nuovo esame autoptico ha stabilito che a uccidere il giovane è stato un proiettile da 7mm. Infine, la rottura degli incisivi, a riprova che un'arma gli è stata introdotta a forza in bocca.
A margine di tutto questo, l’articolo pubblicato in Germania dal quotidiano “Berliner Kurier”, secondo la quale il colonnello Alois Estermann sarebbe stato un informatore, se non un agente attivo, della tristemente celebre STASI, la polizia della Germania Orientale, con il nome in codice “Werder”. Stessa versione la offre anche il giornale polacco “Super Express”, dopo avere intervistato il “capo”, Markus Wolff detto “Misha”, ed anche Pietro Orlandi è della stessa opinione.
Secondo le rivelazioni dei giornali, sembra che Estermann fosse un agente della STASI dal 1979, ancor prima di entrare nella Gendarmeria Vaticana. In veste di spia, “Werder” avrebbe redatto e consegnato ai propri superiori almeno sette rapporti, fra il 1981 e l’84. Dopo avere concesso l’intervista la giornale polacco “Super Express”, Markus Wolff ritrattò tutto in un’altra intervista al quotidiano italiano “Repubblica” nell’aprile 2005, dicendo che l’agente “Werder” non era il colonnello Estermann ma un monaco benedettino inserito nella redazione de “L’Osservatore Romano”.
Perché quindi il colonnello Estermann, morto appena nove ore dopo essere stato nominato comandante della Guardia Svizzera, sarebbe stato ucciso con un’operazione preparata a tavolino, e studiata nei minimi particolari? Ha forse a che vedere con il fatto che seguiva il papa in ogni suo spostamento e che la promozione a comandante della Gendarmeria gli avrebbe consentito di esercitare maggiore potere e più libertà, pericolosa per qualcuno? O forse che, se è vero che era un agente della polizia segreta della Germania Est, poteva essere informato sui progetti di attentato al pontefice e sul previsto rapimento di un cittadino vaticano? Oppure, paradossalmente, forse esserne addirittura parte? Forse era semplicemente un testimone scomodo, tanto da doversi assicurare che mai avrebbe potuto rivelare informazioni scottanti.
In ogni caso, una delle ipotesi più fondate è quella secondo cui, durante tutto il tempo trascorso al servizio nella Guardia Svizzera, Estermann sarebbe stato una spia della STASI infiltrata nel Vaticano e, proprio per questo, avrebbe avuto parte nell'attentato a Giovanni Paolo II e nel caso Orlandi. Il movente del triplice delitto avvenuto in Vaticano la sera del 4 maggio 1998, sarebbe quindi da ricercare nell'attività di spionaggio svolta da Estermann. Secondo questa versione Cédric Tornay sarebbe stato a sua volta una vittima, coinvolta forse per caso nell'assassinio dei due coniugi per mano di uno o più assassini mai identificati.

Edited by GalileoGalilei - 22/5/2012, 10:41
 
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http://www.repubblica.it/cronaca/2012/05/1...33/?ref=HRER1-1

A VICENDA
Caso Orlandi, "indagato
monsignor Pietro Vergari"


L'ipotesi di reato sarebbe quello di concorso in sequestro di persona. L'alto prelato era rettore della chiesa di Sant'Apollinaire fino al '91 , chiesa dove è stato sepolto il boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis. La procura: "E' un atto dovuto"

ROMA - Monsignor Pietro Vergari è indagato nell'inchiesta sulla scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi. Un'indagine che vede ipotizzato il reato di sequestro di persona aggravato dalla minore età dell'ostaggio e dalla morte dello stesso. Massimo riserbo sulle cause che hanno portato alla decisione di iscrivere sul registro degli indagati l'altro prelato.

Don Pietro Vergari, ex rettore della Basilica di Sant'Apollinare, dove fu sepolto il boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, è indagato dalla Procura di Roma per concorso nel sequestro di Emanuela Orlandi. L'iscrizione nel registro degli indagati, secondo quanto si è appreso, è avvenuta di recente e comunque, secondo i magistrati, sarebbe "un atto dovuto".

Il provvedimento della procura è stato preso nell'ambito dell'inchiesta sulla scomparsa della ragazza di 15 anni sparita in circostanze misteriose il 22 giugno del 1983. Monsignor Pietro Vergari è stato fino al '91 rettore della basilica di Santa Apolinare, dove si trova la tomba del boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis.

E' giusto di lunedì scorso l'apertura, svolta dagli esperti della scientifica, della tomba di Enrico De Pedis nella cripta della Basilica Sant'Apollinare, nonchè dell'intero locale sottostante la stessa chiesa. Ispezioni ed esami che non sono ancora concluse. Oltre al corpo di De Pedis, intorno alla tomba gli investigatori hanno trovato altre cento cassette contenenti ossa umane che ora sono all'esame
della polizia scientifica.

L'APERTURA DELLA TOMBA DI DE PEDIS /FOTO 1

Non è però chiaro se vi sia un collegamento tra l'iscrizione nel registro degli indagati di Vergari e tale atto istruttorio. A quanto si è appreso, comunque, negli ultimi tempi la Santa Sede sta collaborando con chi indaga. Le stesse operazioni nella basilica sono infatti avvenute in accordo tra Vaticano e Procura.

A collegare la scomparsa della ragazza con De Pedis fu una telefonata giunta nel settembre 2005 alla redazione della trasmissione televisiva "Chi l'ha visto?": "Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi - disse - per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant'Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti, all'epoca".

LA TESTIMONIANZA DEL FRATELLO DELLA RAGAZZA /VIDEO 2

De Pedis fu ucciso il 2 febbraio 1990 in un regolamento di conti a Campo de' Fiori. Sepolto inizialmente al cimitero del Verano in una tomba della famiglia della vedova Carla di Giovanni, questa poi riuscì a farne tumulare la salma a Sant'Apollinare grazie al via libera dell'allora arcivescovo vicario di Roma, Ugo Poletti, ottenuto anche in relazione ad una dichiarazione scritta propria di monsignor Pietro Vergari: "Si attesta che il signor Enrico De Pedis nato in Roma - Trastevere il 15/05/1954 e deceduto in Roma il 2/2/1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la Basilica e ha aiutato concretamente tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana".

Nel sito internet 3 del monsignore si legge: "Tra le più belle esperienze della mia vita sacerdotale in Roma mi è stata carissima quella della visita alle carceri di Regina Coeli. Tra le centinaia di persone incontrate dei più diversi stati sociali, parlavamo di cose religiose o di attualità; Enrico De Pedis veniva come tutti gli altri, e fuori dal carcere, ci siamo visti più volte: normalmente nella chiesa di cui ero rettore, sapendo i miei orari e altre volte fuori, per caso. Mai ho veduto o saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza dei suoi familiari. Aveva il passaporto per poter andare liberamente all'estero. Mi ha aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri. Quando seppi dalla televisione della sua morte in via del Pellegrino, ne restai meravigliato e dispiacente. Qualche tempo dopo la sua morte i familiari mi chiesero, per ritrovare un po' di serenità, poiché la stampa aveva parlato del caso e da vivo aveva espresso loro il desiderio di essere un giorno sepolto in una delle antiche camere mortuarie, abbandonate da oltre cento anni, nei sotterranei di S. Apollinare, di realizzare questo suo desiderio. Furono chiesti i dovuti permessi religiosi e civili, fu restaurata una delle camere e vi fu deposto. Anche in questa circostanza doveva essere valido come sempre, il solenne principio dei Romani 'Parce sepulto': perdona se c'è da perdonare a chi è morto e sepolto. Restammo d'accordo con i familiari che la visita alla cappella funeraria era riservata ai più stretti congiunti. Questo fu osservato scrupolosamente per tutto il tempo in cui sono rimasto rettore, fino al 1991".

Allo stato nell'ambito di questa inchiesta risultano indagati Sergio Virtù, Angelo Cassani, detto 'Ciletto', Gianfranco Cerboni, detto 'Gigetto'. Tutti soggetti che hanno fatto parte del gruppo che ha infiammato la capitale tra gli anni Settanta e Ottanta. Gli indagati sono stati individuati sulla base di una serie di riscontri oltre che dalle dichiarazioni di pentiti della banda della Magliana. Tutto ripartì da dichiarazioni rese in diversi momenti da Sabrina Minardi, ex compagna per un periodo di Renatino.

(18 maggio 2012)
 
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view post Posted on 20/5/2012, 14:21
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Emanuela Orlandi, la lettera che accusa il prete
20/05/2012 - Pescata tra i faldoni una missiva anonima ricevuta dalla madre
Emanuela Orlandi, la lettera che accusa il prete
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di Dario Ferri
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Una lettera anonima arrivata prima delle confessioni di Sabrina Minardi. E ripescata oggi tra i faldoni dell’inchiesta, visto che sembra coincidere perfettamente con la storia, salvo in un particolare: nessun complotto. Solo un monsignore, e De Pedis come persona che ha smaltito il cadavere. Ne parla il Corriere della Sera:



È anonima, evidentemente, scritta da persona informatissima. Perlomeno di quel che sarebbe successo di lì a breve. Il testo «anticipa» la confessione- choc e sembra preparare il terreno alla pista della banda della Magliana. Allude, lancia messaggi in codice. A leggerla bene, chissà quanti indizi contiene. «Prima di tutto la notizia peggiore ma forse liberatoria: Emanuela è morta la notte della sua scomparsa…», premette la misteriosa autrice, che dice di sé: «Nel 1983 ero l’amante di De Pedis, non per amore ma per trasgressione. Facevo da autista e segretaria… Ritiravo buste al banco di Santo Spirito dell’Eur e le consegnavo a politici, magistrati, poliziotti, preti…». In pratica, è l’autoritratto della Minardi, che parlò anche di incontri di «Renatino» con Andreotti.

MOVIMENTIAMOCI LA GIORNATA – Per fortuna una puntata della saga di Emanuela Orlandi non poteva, assolutamente, non riservare un finto colpo di scena che poi si rivela una boiata pazzesca, come nella tradizione della storia. Sono stati infatti rinvenuti altri resti ossei, oltre a quelli di Enrico De Pedis, all’interno del sepolcro nella Basilica di Sant’Apollinare a Roma dove è custodito il corpo del boss della Banda della Magliana. La scoperta è avvenuta durante le operazioni di smuramento per estrarre la salma, operazione richiesta dagli inquirenti che vogliono far luce sul giallo della scomparsadi Emanuela Orlandi, la ragazza all’epoca 15enne sparita nell’estate del 1983.

Leggi anche:

Debunking Emanuela Orlandi – 2

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Poi, il clou:

«La sera del 22 giugno Enrico mi chiede di caricare in via Cavour un uomo dalla camicia gialla… Aveva con sé un borsone… La destinazione era Sant’Apollinare…». Eccola, la scena: «Era mezzanotte, ci aprì personalmente Monsignore. Entrammo in una specie di sacrestia e vidi a terra una ragazza molto giovane. Sembrava morta… Camicia gialla mi fece accostare con il bagagliaio aperto e arrivò con la giovane avvolta in una coperta… Monsignore diceva: mi raccomando, in un luogo consacrato…».

Attenzione a similitudini e dettagli:

La Minardi nel 2008 raccontò di Emanuela chiusa in un sacco e gettata in una betoniera. Qui compare un «borsone». Invece che di prete, l’anonima parla di «Monsignore». La frase sul «luogo consacrato» fa anch’essa riflettere. E la banca? Merita approfondimenti? La lettera si concludeva con la sepoltura: «Accompagnai Camicia gialla a Ponte Milvio, andai a prendere Enrico e alle tre di notte portammo il corpo a Prima Porta… Lui lampeggiò, il cancello fu aperto da un uomo anziano… Poi Enrico mi diede 10 milioni…». Vaneggiamento? Non pare. Si tratta della «firma preventiva», per quanto anonima, dell’omicidio, oppure di un raffinatissimo depistaggio?

E DIAMO L’ANNUNCIO – L’annuncio è stato dato in pompa magna dalle agenzie di stampa nel primo pomeriggio, ma in modo diverso: si faceva capire che queste ossa fossero state ritrovate chissà dove, dentro. Poi però la festa dell’occulto è finita:

Nella tomba di Enrico De Pedis gli unici resti rinvenuti appartengono al boss della Banda della Magliana. Nella bara non e’ stato trovato altro e le altre ossa sono state rinvenute in un ambiente vicino alla cripta del De Pedis, non dentro la sua tomba. Si tratta di alcune cassette – circa duecento – con i resti di un cimitero di epoca prenapoleonica. Resti che saranno ora sottoposti ad accertamenti tecnici. Queste ossa potrebbero risalire alla meta’ dell’800, ma le analisi saranno effettuate per verificare che non ci siano altri resti non compatibili con questa datazione.
Stando a quanto si e’ appreso, dunque, nella bara del boss della Banda della Magliana (aperta per tentare di far luce sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazza scomparsa a quindici anni, il 22 giugno del 1983) e’ stato rinvenuto solo il cadavere dell’uomo ucciso in un regolamento di conti il 2 febbraio 1990 a Campo de’ Fiori, non altre ossa o resti.
Lunghe le operazioni della polizia scientifica che da questa mattina e’ impegnata nell’operazione che ha portato all’accertamento dell’identita’ dei resti tumulati nella bara. L’esame delle impronte digitali ha confermato che il corpo e’ quello di De Pedis. Per ora non si prevedono tempi brevi per completare le indagini in corso nella basilica di Sant’Apollinare. (ASCA)

Per essere chiari, insomma, un ambiente vicino alla cripta non è di certo una bara, nella chiesa c’era una specie di ossario, quelle ossa potrebbero appartenere a gente morta tre o quattrocento anni fa.



Leggi anche:
Debunking Emanuela Orlandi – 3



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LA MAPPA DELLA TOMBA DI DE PEDIS – Alla tomba, descrive minuziosamente l’Ansa, si accede attraverso un cunicolo che conduce a due porte, una a destra e una a sinistra. Quella di destra introduce nell’ambiente in cui era collocata la tomba di De Pedis. Qui, poggiato sopra il pavimento in palladiana, c’era il loculo in marmo che conteneva i resti di “Renatino”, sistemati in tre bare, una dentro l’altra: quella più esterna di zinco, dentro la quale ce n’era una di rame e poi una di legno. Sopra la lapide in marmo, la scritta “Enrico De Pedis” in lettere dorate. Sulla parete sovrastante il loculo, c’è appesa una ceramica che raffigura una Madonna con Bambino e due angioletti, mentre sulla lastra che copre il loculo è poggiata una foto di De Pedis in giacca scura e camicia rosa, posta in una cornice con un fregio in argento. La porta di sinistra introduce, invece, nell’ossario, in cui sono sistemati i resti di molte persone vissute nei secoli scorsi. L’ossario è stato risistemato e bonificato nel 2005, per riparare ai danni del tempo e dell’umidità. E in quell’occasione i resti ossei sono stati tutti collocati in cassette zincate. La presenza di un ossario in quest’area della chiesa è legata al fatto che un tempo nella zona attigua all’edificio sacro c’era il collegio germanico-ungarico. Molti seminaristi, studenti o sacerdoti che studiavano nel collegio, ma anche esponenti di famiglie facoltose che pagavano per questo, vennero sepolti nella chiesa. Quando intervennero le leggi napoleoniche, che ai primi dell’Ottocento vietarono le sepolture nelle chiese, i resti furono trasferiti nella cripta. Quest’ambiente e’ preceduto da un’area adibita a magazzino dopo la quale c’era un muro tirato di recente, una volta terminati i lavori di bonifica. Dietro quel muro, il vano con le cassette contenenti le ossa. Per questo, oggi, durante l’ispezione, per accedere a questa zona è stato necessario abbattere questo muro.

LA LEGGENDA METROPOLITANA – C’è anche da dire altro. A voler dar credito alla leggenda metropolitana, nella bara si sarebbero dovuti trovare i resti di Emanuela Orlandi. Anzi: la procura di Roma ha diramato un comunicato per dire che in effetti proprio quelle stava cercando, in realtà. Se anche per ipotesi fossero state trovate, questo non porterebbe certo ad accusare De Pedis di qualcosa: è evidente che egli era già morto quando le ossa sono arrivate lì (o, per assurdo, è più probabile che ci fossero già prima: la scuola di musica era frequentata proprio dalla ragazzina vaticana), e quindi di prove concrete di un qualsiasi coinvolgimento di Renatino nella scomparsa di Emanuela continuano a non esserci.

A PARTE LA MINARDI – A parte le parole di Sabrina Minardi. Dice infatti Raffaella Notariale di “Chi l’ha visto?”:

‘Sabrina Minardi era stata seguita e pedinata dagli investigatori che, nel 1984, volevano arrestare De Pedis che era latitante da tempo. E’ per questo che ho pensato di rintracciarla, era stata la sua amante per diverso tempo, non poteva che sapere diverse cose”, ha aggiunto la Notariale che nel 2006 rintraccia e intervista l’ex moglie del calciatore Bruno Giordano che poi fu amante di De Pedis. ‘La Minardi, pur nella sua precaria condizione di salute, venne poi avvicinata dai magistrati della Procura di Roma che si stavano occupando della scomparsa di Emanuela Orlandi e le sue dichiarazioni diedero nuovo impulso alle indagini permettendo ai magistrati di iscrivere diverse persone nel registro degli indagati. Evento storico, mai avvenuto nelle precedenti inchieste sull’affaire Orlandi”.

E infatti:

“Il timore, adesso, – riprende Raffaella Notariale – è che si possano fermare le indagini che hanno riscontrato nessi tra le malefatte della Banda della Magliana e la sparizione di Emanuela. Quella sepoltura resta scomoda e per raggiungere l’obiettivo della tacitazione, c’è chi potrebbe avere urgente bisogno di un capro espiatorio: Sabrina Minardi, chi meglio di lei? E’ talmente malmessa… Si ha ovviamente la necessità impellente di sminuire la teste dalla quale è partito tutto. E’ il solito meccanismo, ma con un po’ di esperienza di retroscena, si sa che questa è la regola. Mi pare che qualcuno abbia già cominciato”.

GRIDARE AL LUPO – Una tra queste è sentir parlare di generici poteri forti e forze occulte anche da un onorevole come Walter Veltroni. Invece di lasciar parlare i fatti. Che dicono che quelle ossa, fino a prova contraria, non c’entrano con Emanuela Orlandi. Oppure di ascoltare gli esperti. Che dicono anche altro, come ha fatto il direttore dell’Istituto di Medicina legale dell’Universita’ di Tor Vergata, Gianni Arcudi all’Ansa:

Ad ogni modo, ha precisato Arcudi riferendosi ai resti ossei rinvenuti nelle cassette ed all’ipotesi ventilata da alcuni che una parte di questi possa essere ricondotta a Emanuela Orlandi, ‘e’ difficile che i resti di un essere umano possano ridursi a scheletro in un arco di tempo di trenta anni, considerando che la scomparsa della ragazza e’ avvenuta nel 1983′. ‘In generale – spiega l’esperto – se le ossa rinvenute sono in buono stato, attraverso indagini antropologiche e’ abbastanza semplice stabilire, ad esempio, da quanto tempo quei resti umani siano diventati ossa. Cio’ – prosegue – puo’ essere stabilito sulla base del peso delle ossa rinvenute e del loro colore; piu’ le ossa sono datate nel tempo, infatti, piu’ assumono un colore biancastro e non giallognolo, a seguito della rarefazione del calcio’. Se poi si hanno a disposizione reperti di ossa lunghe, come femore o tibia, rileva lo specialista, ‘e’ possibile effettuare il calcolo, sulla base di precise tabelle, della statura del soggetto cui appartenevano tali resti. In presenza del cranio e dei denti, inoltre, si puo’ risalire all’eta’ del soggetto al momento della morte’. Per risalire invece al sesso, spiega Arcudi, ‘un’importanza rilevante hanno le ossa del bacino ed anche la considerazione di alcuni parametri relativi a cranio e mandibola’. Ad un primo screening di questo tipo, afferma Arcudi, ‘ai fini identificativi si puo’ inoltre affiancare l’analisi del dna’.

In presenza, pero’, di frammenti ossei minuti, l’analisi diventa piu’ difficile: ‘La via prima – sottolinea il medico legale – rimane quella del profilo genetico attraverso l’analisi del dna, a patto che ci siano le condizioni e che le ossa siano ancora sottoponibili ad una simile indagine. Questo dipende dal tipo di conservazione e dal tipo di struttura ossea sulla quale va eseguita l’analisi’. Su alcuni resti infatti, come ad esempio i denti o le vertebre, precisa Arcudi, ‘e’ possibile effettuare l’analisi del dna mitocondriale, che si conserva per un periodo molto piu’ lungo’. Indubbiamente piu’ facile, conclude, e’ invece ‘stabilire se si tratti di ossa umane o di resti animali’.


NIENTE COMPLOTTISMO - Insomma, ai fini dei fatti e ascoltando il parere degli esperti, di discorsi ce ne sono pochi. Sabrina Minardi, nel frattempo indagata dalla procura per aver detto il falso a causa dell’omicidio di un bambino non confessato nelle sue deposizioni ma trovato scritto nel libro della Notariale, non ha detto parole a cui si è trovato riscontro, a parte il covo-cantina ritrovato a Monteverde all’inizio dell’indagine. La Maisto ha seguito, a quanto pare, la pista dei De Tomasi perché ha identificato, con perizia fonica, la possibile somiglianza tra la voce del figlio di Sergione e l’anonimo che ha chiamato “Chi l’ha visto?” dicendo di cercare nella tomba di De Pedis, ormai sette anni fa. Sempre secondo il magistrato, ci sarebbe anche una somiglianza, addirittura più stretta, tra Giuseppe De Tomasi e il “Pierluigi” che chiamò per tranquillizzare i genitori di Emanuela nei primi giorni dopo la sua scomparsa.

MA PERO’ – c’è un piccolo dettaglio che non combacia nella ricostruzione degli inquirenti. Giusto un dettaglio. Sergione, quando venne rapita la Orlandi, era in carcere, arrestato il giorno prima, il 21 giugno 1983 – ordinanza Lupacchini. E De Pedis? Perché De Pedis è sepolto a Sant’Apollinare? Il magistrato Gerunda, tra i primi ad occuparsi del caso Orlandi, racconta che Renatino fosse convinto di essere figlio illegittimo di una nota famiglia romana, la cui cappella oggi si trova proprio a Sant’Apollinare. Per questo ha insistito per farsi seppellire nella chiesa. Altri raccontano di frequentazioni – provate e persino ammesse dall’interessato – con monsignor Casaroli, all’epoca alta sfera vaticana. Vero, De Pedis conosceva Casaroli. Ma perché l’uomo di Chiesa era solito fare ore di volontariato in una casa di correzione che aveva visto spesso ospite il giovane Renatino. Un terzo filone vuole la sepoltura come la diretta conseguenza della conversione di De Pedis sotto la guida dei preti della basilica, seguendo i cui insegnamenti Renatino si sarebbe redento. Sia come sia, del coinvolgimento diretto di De Pedis nella storia della Orlandi, dopo anni di indagini, non c’è uno straccio di prova. Il perché della sua sepoltura in chiesa, a prescindere dalle opinioni politiche di chi sente urtata la propria sensibilità da una scelta del genere, è un affare privato tra il possessore dell’immobile e la famiglia del defunto. Cosa c’entri De Pedis con la Orlandi è un mistero che solo Uòlter potrebbe svelarci. Nell’attesa, “pace ai morti”, direbbero in Romanzo Criminale.
 
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view post Posted on 20/5/2012, 15:06
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http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-ital...agazze-1237386/

Orlandi, il fratello: “Don Vergari? Suor Dolores teneva ragazze lontane da lui”

TAG: emanuela orlandi, piero vergari, pietro orlandi, sant'apollinaire

Pietro Orlandi (LaPresse)

ROMA – Per Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, la ragazza, cittadina vaticana, scomparsa misteriosamente nel 1983, commenta la notizia che Piero Vergari, ex rettore della Basilica di S. Apollinare dove era sepolto Enrico De Pedis, è indagato per concorso in sequestro di persona ”è una notizia importante che conferma la volontà di capire e di accertare i fatti”

”Io non ho mai conosciuto personalmente don Vergari – aggiunge Orlandi – Ma quello che posso dire, perché me lo hanno raccontato alcune delle amiche di Emanuela che in questi anni ho contattato, è che suor Dolores, la direttrice della scuola che frequentava Emanuela, faceva di tutto per tenere lontane le ragazze da don Vergari, perché non entrassero in contatto con lui”.

Colpisce, in ogni caso, il fatto che Orlandi tiri fuori una voce simile dopo così tanti anni. Dopo averla “covata” per tanti anni solo oggi, il fratello di Emanuela, decide di rivelare un particolare che allo stato attuale non è dimostrabile.
 
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view post Posted on 22/5/2012, 09:41
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http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/a...lo/lstp/455110/

22/05/2012 - IL CASO
Padre Amorth: "Orlandi, fu
un delitto a sfondo sessuale"

Emanuela Orlandi, la ragazza scomparsa nel 1983 a Roma
Il capo degli esorcisti:
"Attirata in una trappola"
GIACOMO GALEAZZI
città del vaticano

«E' un delitto a sfondo sessuale», sostiene il capo mondiale degli esorcisti, padre Gabriele Amorth. L'anziano sacerdote, molto stimato da Benedetto XVI, rivela a La Stampa una pista interna per la scomparsa nel 1983 della cittadina vaticana davanti alla chiesa di Sant'Apollinare, da poco riferita riservatamente ai familiari della ragazza.

«Come dichiarato anche da monsignor Simeone Duca, archivista vaticano, venivano organizzati festini nei quali era coinvolto come "reclutatore di ragazze" anche un gendarme della Santa Sede. Ritengo che Emanuela sia finita vittima di quel giro - spiega padre Amorth - Non ho mai creduto alla pista internazionale, ho motivo di credere che si sia trattato di un caso di sfruttamento sessuale con conseguente omicidio poco dopo la scomparsa e occultamento del cadavere». E ancora: «Nel giro era coinvolto anche personale diplomatico di un'ambasciata straniera presso la Santa Sede».

Una testimonianza che padre Amorth ha reso pubblica ora nel suo libro «L'ultimo esorcista» e che presenta tratti in comune con la lettera anonima arrivata alla madre di Emanuela Orlandi nella quale si riferisce di una trappola nella quale fu attirata la quindicenne nella sacrestia di Sant'Apollinare.

Monsignor Pietro Vergari, parroco della basilica negli Anni 80, continua a protestare la sua estraneità ai fatti («Sono tranquillo, non ho nulla da nascondere»), ma è considerato dagli inquirenti un elemento centrale nella sparizione.

«Nell'ispezione nella cripta non hanno trovatonulla se non appunto il corpo di De Pedis - afferma don Vergari -. Tutte quelle ossa ritrovate non sono altro che ossa antichissime, risalenti a secoli fa quando anche i laici venivano sepolti nelle chiese. Ora dicono che faranno indagini approfondite ma non vedo proprio che cosa possano trovare».

Il prelato è finito nel registro degli indagati della procura di Roma, per concorso nel sequestro della ragazza, in concomitanza di una perquisizione presso il suo domicilio nel corso della quale è stato sequestrato un computer. Vergari, già sentito nel 2009 come testimone a proposito del seppellimento del capo della banda della Magliana, De Pedis nella cripta di Sant'Apollinare, sarà presto convocato in procura per essere interrogato, questa volta nella veste di indagato, dai pm Capaldo Maisto. Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ricorda che suor Dolores, la direttrice della scuola di musica frequentata dalla sorella nel palazzo di Sant'Apollinare, raccomandava alle studentesse di stare alla larga dal rettore della basilica.

Nell'inchiesta sulla scomparsa della figlia di un commesso pontificio, un gendarme vaticano è stato sentito in procura come persona informata dei fatti, mentre su una decina di ossa ritrovate a Sant'Apollinare sarà effettuato il test del Dna per compararlo con quelli della Orlandi e di Mirella Gregori, l'altra ragazza scomparsa 29 anni fa a Roma.

I resti saranno analizzati a Milano dagli esperti del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense. Il coinvolgimento di don Vergari apre scenari inquietanti. Osserva Pietro Orlandi: «Emanuela scomparve alla sette di sera. Mai sarebbe salita su una macchina con un sconosciuto. Se l'avessero presa con la forza, a quell'ora in pieno centro qualcuno se ne sarebbe accorto. L'ipotesi della basilica ha un senso. Se a Emanuela qualcuno avesse detto di seguirlo a Sant'Apollinare non si sarebbe insospettita. Un luogo sacro non dovrebbe spaventare nessuno».

Dunque potrebbe essere caduta in un tranello teso da qualcuno che era in rapporti con l'allora rettore della basilica. «Che a Sant'Apollinare ci fossero giri strani e gravitasse un pezzo di malavita romana, non solo De Pedis con cui don Vergari era in confidenza, è purtroppo qualcosa di risaputo», precisa Pietro Orlandi: «Le amiche della scuola di musica di Emanuela mi dissero che suor Dolores, la direttrice, non le faceva andare a messa o cantare nel coro a Sant'Apollinare ma preferiva che andassero in altre chiese proprio perché diffidava, aveva una brutta opinione di monsignor Vergari».

Per il momento gli indagati restano cinque: don Vergari, Angelo Cassani, Gianfranco Cerboni, Sergio Virtù e Sabrina Minardi.
 
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view post Posted on 4/6/2012, 12:02
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Con riferimento alla Orlandi la pista non è nuova. Ne accennarono la ex compagna di De Pedis, Sabrina Minardi, alludendo a dei festini con ragazzine nell'ambiente intorno a Marcinkus.

Qualche giorno fa ne ha parlato anche il prete esorcista padre Amorth.


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Per chi volesse approfondire: https://laici.forumcommunity.net/?t=16891959

http://www.corriere.it/cronache/12_giugno_...990543816.shtml

La missiva che annunciava l'uccisione dell'ostaggio e' stata spedita da boston
Emanuela Orlandi, Mirella Gregori
e la pista dei preti pedofili a Boston
I legami con la città dello scandalo: una lettera col timbro postale di «Kenmore Station» e le telefonate dell'«Amerikano»


ROMA - C'è un filo robusto - rimasto sottotraccia nelle decine di faldoni dell'inchiesta aperta da 29 anni presso la Procura di Roma - che lega la scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori allo scandalo dei preti pedofili a Boston. Una vicenda che nel 2002 sconvolse la Chiesa cattolica, lasciò sgomenti milioni di fedeli americani per i sistematici abusi su minori coperti dai vertici ecclesiastici e portò alle dimissioni dell'arcivescovo Bernard Francis Law, poi tornato a Roma nel 2005 in qualità di arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore.


Mirella, Emanuela. Due ragazzine quindicenni accomunate da un atroce destino: la prima sparì nel piazzale di Porta Pia il 7 maggio 1983, dopo aver detto alla mamma che doveva incontrarsi con gli amici, e la seconda (figlia del messo pontificio di Wojtyla) il successivo 22 giugno, all'uscita della lezione di flauto a Sant'Apollinare. Un duplice mistero che da tre decenni fa perdere il sonno agli investigatori. E che - considerata l'ipotesi di una mai chiarita Vatican connection - solletica fantasie, ambizioni e congetture di stuoli di giallisti, detective, giornalisti, persino veggenti. L'ultimo colpo di scena, il 14 maggio, ha portato all'apertura della tomba del boss Enrico De Pedis, sepolto nella basilica a ridosso della scuola di musica della «ragazza con la fascetta».

Una manifestazione per la Orlandi (Corbis)Una manifestazione per la Orlandi (Corbis)
Ma ora c'è di più. Un timbro, un fermo posta: entrambi localizzati in Kenmore Station, nel centro di Boston. L'uno agli atti, l'altro no. Il primo risale alle prime rivendicazioni dell' affaire Orlandi-Gregori, il secondo fu usato dall'associazione pedofila Nambla (North American Man Boy Lover Association) ed è emerso 19 anni dopo. Vale la pena spiegarlo, questo indizio principe. Metterlo a fuoco, contestualizzarlo.

Macchina indietro di 29 anni: luglio 1983. Il Papa è da poco rientrato dai bagni di folla nella sua Polonia, le elezioni in Italia hanno appena spianato la strada a Bettino Craxi ma, sul doppio sequestro, è buio totale. Quello di Mirella è «silente» ormai da due mesi e lascia attoniti i genitori, gestori di un bar vicino alla stazione Termini, mentre quello di Emanuela, inaspettatamente, deflagra: è Giovanni Paolo II, con l'appello del 3 luglio all'Angelus («Sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è in afflizione per la figlia...»), a proiettare uno dei tanti casi di missing people in una dimensione planetaria. L'effetto è immediato. Il 5 luglio a casa del «postino» papale arriva la prima telefonata del cosiddetto «Amerikano», italiano incerto e poche battute in inglese, che getta sul piatto una richiesta secca: libereremo «tua figliola», dice, in cambio della scarcerazione di Ali Agca.

Vincenzo Parisi, del Sisde, traccerà il seguente profilo dell'inquietante personaggio: «Straniero, verosimilmente anglosassone, livello culturale elevatissimo, appartenente (o inserito) nel mondo ecclesiale, formalista, ironico, calcolatore...». Trattativa vera o di facciata, quella sull'attentatore di Wojtyla? Un dato è certo: di contatti con la Santa Sede, attraverso il famoso codice «158», il dominus dell'intera vicenda ne ebbe più d'uno.

Il giallo infiamma l'estate. A luglio l'«Amerikano» telefona ancora, lancia ultimatum sulla vita di Emanuela. Ma all'improvviso smette, tace. Agosto viene così «riempito» da un altro soggetto, il Fronte Turkesh, i cui messaggi (scoprirà l'ex giudice Ferdinando Imposimato) altro non sono che depistaggi della Stasi e del Kgb per tenere sotto scacco l'odiato Papa anticomunista e filo-Solidarnosc.

Settembre, mese chiave dell'intrigo. Il 4 l'«Amerikano» riappare e fa trovare una busta dentro un furgone Rai, contenente un messaggio a penna e uno spartito di Emanuela. Ancora: al bar dei Gregori, il 12, giunge una telefonata choc. Un anonimo elenca i vestiti indossati e la marca della biancheria intima di Mirella, che solo la madre conosce. È un complice dell'«Amerikano»? Entrambe le ragazze sono in suo pugno?
Ed eccoci al 27 settembre 1983, all'ulteriore rivendicazione (o messinscena?) che, riletta oggi, fa correre brividi lungo la schiena. Richard Roth, corrispondente da Roma della Cbs , riceve una lettera che preannuncia «un episodio tecnico che rimorde la nostra coscienza». Gli investigatori, scrive l' Ansa il giorno dopo, sono sicuri: si tratta dei «veri rapitori di Emanuela» o di «quelli che l'hanno tenuta prigioniera». Sulla busta c'è il timbro di partenza: Kenmore. Ma a quale episodio «tecnico» si allude? «L'imminente uccisione dell'ostaggio».

Non basta: una perizia grafologica accerta che il messaggio del 4 settembre e questo del 27 sono opera della stessa mano. L'«Amerikano» si è spostato sulla East coast? O ha trasmesso i suoi scritti a qualcuno, forse per continuare i depistaggi?

Tale pista all'epoca non fu percorsa ma adesso, alla luce dei nuovi indizi, potrebbe riprendere quota. Gennaio 2002, Boston: scoppia lo scandalo. Il cardinale Law è accusato di aver coperto per molti anni sacerdoti pedofili della diocesi. Maggio 2002, si apre il processo davanti alla Corte di Suffolk: Law nella deposizione risponde a monosillabi, si scusa per aver controllato poco i «collaboratori». 7 giugno 2002: fuori dal tribunale le mamme delle vittime (per lo più maschietti, ma non solo) protestano. E, dentro, l'interrogatorio è incalzante: «È emerso in una precedente deposizione - attacca il rappresentante dell'accusa - che 32 uomini e due ragazzi hanno formato il gruppo Nambla. Per contattarlo si può scrivere presso il Fag Rag, Box 331, Kenmore Station, Boston... Cardinale Law, ha inteso?». Pausa. Nell'aula risuona una frase sibilata, poco più di un soffio.

«I do», risponde l'arcivescovo. Sì, è vero. Il Fag Rag , che sta per «Giornalaccio omosessuale», faceva quindi proseliti per conto del temutissimo sodalizio pedofilo degli States, proprio dalla stazione da cui partì la lettera su Emanuela. Nella sequenza di omissioni e depistaggi che da sempre alimenta il giallo della «ragazza con la fascetta», la pista di Boston, 29 anni dopo, fa balenare il più spaventoso e sconvolgente degli scenari.

Fabrizio Peronaci4 giugno 2012 | 9:23


 
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view post Posted on 2/8/2012, 21:02




Emanuela Orlandi? Forse ha ragione padre Amorth

Si fa un gran parlare in questi giorni di colui che è divenuto il quinto indagato per la scomparsa di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana sequestrata nel 1983. Oltre ai quattro della banda della Magliana, infatti, nelle indagini figura un insospettabile. Un ecclesiastico: è monsignor Piero Vergari, rettore di Sant'Apollinare all'epoca dei fatti, rimosso dall'incarico nel 1991, un anno dopo aver perorato la causa dell'"indegna sepoltura" in Sant'Apollinare del boss "Renatino" De Pedis con una lettera al cardinal Poletti in cui descrisse il gangster romano come "grande benefattore".

Ne "L'ultimo esorcista", il libro che padre Gabriele Amorth ha scritto con Paolo Rodari (in libreria dallo scorso gennaio) Amorth conferma la pista vaticana, così:

NOTA SUL CASO ORLANDI di padre Gabriele Amorth

Non ci sono prove per dire che in Vaticano ci sia Satana, nel senso che non ci sono prove per dire che ci sono persone che in Vaticano svolgono riti satanici. Persone che sono volutamente schiave di Satana e che lavorano per instaurare il suo regno di buio, morte e distruzione in questo mondo. Io, almeno, non ho prove.

Però voglio dire due cose. La prima riguarda papa Paolo VI. È il 29 giugno 1972. È l’omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo. Paolo VI se ne esce con questa terribile denuncia. Dice: «Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fi da della Chiesa... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza... Crediamo in qualche cosa di preternaturale (il Diavolo) venuto nel mondo proprio a turbare, per soffocare, i frutti del Concilio ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé». E ancora, ecco cosa disse il 15 novembre 1972 durante l’udienza generale: «Uno dei bisogni maggiori della Chiesa è la difesa da quel male che chiamiamo demonio. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa... Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifi uta di riconoscerla esistente... È il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora: è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana».

Infine il 3 febbraio 1977, ancora durante l’udienza generale: «Non è meraviglia se la scrittura acerbamente ci ammonisce che “tutto il mondo giace sotto il potere del Maligno”».

Paolo VI parla spesso del demonio. E spesso lega la sua fi gura alla Chiesa. Perché? Forse perché vuole semplicemente ammonire la Chiesa, chiederle di essere prudente, di fuggire le tentazioni di Satana. Ma, a mio avviso, c’è di più. Paolo VI in qualche modo si accorge che Satana è dentro la Chiesa, forse addirittura dentro il Vaticano. E lancia l’allarme.

La seconda cosa che voglio dire riguarda un libro. Nel 1999 è uscito un libro che s’intitola Via col vento in Vaticano. L’autore, anonimo, era un monsignore della curia romana. Presto tutti seppero il suo nome, Luigi Marinelli. Prima della pubblicazione del libro Marinelli venne più volte a confi darsi con me. Era indeciso se pubblicare il libro o meno. Perché questa indecisione? Perché il libro è una collezione di aneddoti piccanti. Storie di carriere, arrivismi, avventure amorose. E anche riti e pratiche poco chiare, che si avvicinano al satanismo.

Certo, non tutto quello che c’è scritto in quel libro è vero, ma in gran parte lo è. Questo è il mio parere. Ora, questo libro, appena uscito, sparì dai banchi delle librerie. Il Vaticano fece comperare tutte le copie. E poi, cosa ancora più curiosa, l’uscita fece pochissimo chiasso sui giornali. Perché? Come fu possibile che rivelazioni così esplosive non scatenassero il solito can-can dei media? Diffi cile rispondere. Di certo c’è un fatto: questo libro conferma che quando Paolo VI parlava in qualche modo della presenza del demonio nella Chiesa non aveva tutti i torti. Doveva essere un allarme per la Chiesa, ma non lo fu.

Vorrei, in proposito, fare un esempio. Parlare di una vicenda relativamente recente nella quale, a mio avviso, quella parte minoritaria che dentro le sacre mura lavora per il male e non per il bene può aver preso il sopravvento. È la vicenda che prende il nome di Emanuela Orlandi.

Emanuela Orlandi è una ragazza di quindici anni, figlia di un dipendente del Vaticano, precisamente di un dipendente che lavora nella prefettura della casa pontificia, uno insomma che nel suo lavoro ha occasione spesso di vedere da vicino il Papa. Emanuela è una ragazza solare e vivace.

Improvvisamente il 22 giugno del 1983 scompare. Ancora oggi non è stata trovata. Scompare dopo essere andata a lezione di musica. Emanuela, infatti, suona il fl auto presso la chiesa di Sant’Apollinare in Classe dove c’è una sorta di con servatorio. Secondo le ultime informazioni raccolte prima della sua scomparsa, Emanuela sale su una macchina nera. Ma non è certo. È sicuro che alle 19.15 è stata vista per l’ultima volta da due compagne di scuola, in corso Rinascimento. Dopo di che di Emanuela non si sa più nulla, sparisce.

Pochi giorni dopo appaiono molti manifesti con l’immagine di Emanuela per tutta Roma e con l’appello perché chiunque l’abbia vista nelle ore precedenti o successive alla sua sparizione si faccia avanti.

Nei giorni successivi, e ancora nei mesi e negli anni successivi, si dice di tutto riguardo a questo rapimento.

Le tesi sulla scomparsa della povera Emanuela restano molteplici. Non voglio elencarle. Voglio soltanto dire cosa penso io. Premetto però che non parlo perché sono a conoscenza di fatti, ma parlo riportando quelle che sono le mie sensazioni. Le sensazioni che da subito ho provato quando ho saputo della scomparsa della giovane Emanuela.

Io penso che una ragazza di quindici anni non sale su una macchina se non conosce bene la persona che le chiede di salire. Credo che occorrerebbe indagare dentro il Vaticano e non fuori. O comunque indagare intorno alle persone che in qualche modo conoscevano Emanuela. Perché secondo me solo qualcuno che Emanuela conosce bene può averla indotta a salire su una macchina. Spesso le sette sataniche agiscono così: fanno salire su una macchina una ragazza e poi la fanno sparire.

Il gioco è facile purtroppo. Fanno salire in macchina la loro preda, la narcotizzano con una siringa e poi fanno di questa ragazza ciò che vogliono.

Beninteso, mi auguro che le cose non stiano in questo modo. Mi auguro che se davvero, come penso, di setta satanica si tratta, almeno questa setta non abbia nulla a che vedere con il Vaticano. Mi auguro che questa storia che sembra non fi nire mai fi nisca presto. Ma non mi esimo dal dire che spesso in tutto il mondo scompaiono giovani donne in questo modo. Può sparire una ragazza così vicina a un luogo che dovrebbe essere santo come è il Vaticano? Purtroppo sì. Perché Satana è ovunque.

www.ilfoglio.it/palazzoapostolico/6439
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“Le gravi ipotesi di padre Amorth sono ignorate dal Vaticano”





PIETRO ORLANDI
Intervista con Piero Orlandi alla vigilia della Marcia per Emanuela in programma a Roma. L’esorcista aveva parlato di festini e adescamenti da parte di un gendarme

GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Pietro Orlandi, lei domenica guiderà un corteo a Roma per chiedere la verità sulla scomparsa di sua sorella Emanuela. Come si svolgerà la manifestazione?


«L'appuntamento è per domenica 27 a piazza del Campidoglio alle 9.30. Verrà appesa la gigantografia di Emanuela sulla facciata del palazzo del Campidoglio e dopo alcuni interventi, tra i quali quelli di Alemanno, Zingaretti e Veltroni, inizierà la marcia che ci porterà a S.Pietro. Marceremo in silenzio per Emanuela e per tutte quelle persone alle quali la giustizia è stata negata. La presenza di tanti comuni d'Italia è la dimostrazione che c'è un Paese onesto con un forte senso della giustizia che crede che valori come verità, giustizia e rispetto della vita siano fondamentali in una società civile. Credo che anche una semplice marcia può determinare l'inizio di un cambiamento nelle coscienze di chi ci governa e nella nostra chiesa».


La procura di Roma ha indagato l'ex rettore della basilica di Sant'Apollinare, monsignor Piero Vergari e sta interrogando persone informate dei fatti. Come valuta le novità dell'inchiesta?


«In maniera positiva. Mi auguro che questa collaborazione tra Vaticano e magistratura, dalla mia famiglia richiesta da anni perché decisiva per arrivare alla verità, sia dettata da una sincera e trasparente volontà di fare chiarezza».


In tutto il mondo i mass media stanno seguendo il caso Orlandi: spera che questa mobilitazione spinga a parlare chi in Italia e in Vaticano finora non lo ha fatto?

«Me lo auguro di cuore. Certo, la pressione dell'opinione pubblica in quest'ultimo periodo è stata determinante. Il tentativo portato avanti per anni nel cercare di far dimenticare e seppellire questa vicenda mi pare definitivamente fallito. Se c'è determinazione e volontà credo ci siano elementi, costituiti da anni di indagine, che possono portare quanto prima a conoscere tutta la verità su quanto accaduto a mia sorella. Quella della Santa Sede dovrebbe essere una collaborazione attiva, hanno le capacità per farlo. Emanuela è una cittadina vaticana e il primo Stato interessato a pretendere chiarezza deve essere il Vaticano».


Nella nuova edizione del libro "Mia sorella Emanuela" che lei ha scritto con Fabrizio Peronaci compare la trascrizione integrale del colloquio avuto con Alì Agca nel 2010. Quali indicazioni le ha fornito l'attentatore di Giovanni Paolo II?

«Ha fornito uno scenario che io credo sia giusto approfondire, se non altro per poter poi scartare questa pista senza lasciare dubbi in sospeso. Agca sostiene che mia sorella sia stata rapita da elementi del Vaticano, con la collaborazione del Sismi per il prelevamento e della Cia, per la gestione del sequestro. Parla anche di un ruolo dell'Opus Dei, mi ha indicato Villa Tevere, come loro sede, e consigliato di parlare con il cardinale Giovanni Battista Re».


Lei l'ha fatto?

«Sì, l'ho incontrato. Ha allargato le braccia dicendo di non saperne nulla. Poi mi fatto una sua ipotesi, legata ai servizi segreti dell'Est: che Emanuela sia stata rapita per evitare che Agca facesse i nomi dei mandanti dell'attentato al Papa».


Chi ritiene possa fornire elementi utili all'inchiesta? Si aspetta rogatorie alla Santa Sede per qualche ecclesiastico o gendarme vaticano?

«Non dovrebbero essere necessarie rogatorie. La collaborazione dovrebbe essere spontanea, dettata da quei valori che ci ha insegnato Gesù: verità e rispetto della vita».


Quale messaggio si sente di rivolgere alle tante persone che, a partire dai comuni italiani, la sostengono nella sua ricerca della verità?

«Grazie a tutti, di cuore. Questa solidarietà mi dà la forza di andare avanti. Non la dimenticherò mai».


Crede alla pista dell'adescamento sessuale indicata dal capo mondiale degli esorcisti, padre Gabriele Amorth?

«Credo che sia giunto il momento che le persone convinte che i fatti siano andati in un certo modo comincino a fare i nomi. Non basta dire: io credo, io ho sentito. Le dichiarazioni di padre Amorth sono pesantissime a prescindere che siano legate o meno a Emanuela. Parla con sicurezza dell'esistenza di festini e adescamenti da parte di un gendarme, e queste valutazioni dovrebbero essere subito preso in considerazione dal Vaticano. E' una questione morale che riguarda la credibilità della Chiesa. Sono rimasto colpito e imbarazzato difronte alle dichiarazioni recenti del segretario generale della Cei, secondo il quale i vescovi non essendo pubblici ufficiali non sono tenuti a denunciare fatti legati alla pedofilia. Queste parole non fanno bene alla Chiesa».

L'ispezione nella tomba del boss della Magliana, Renatino De Pedis a Sant'Apollinare ha aiutato l'indagine sulla scomparsa di sua sorella?

«Siamo in attesa che terminino le analisi sulle ossa. Qualora fossero negative, come spero con tutto il cuore, avremo tolto un dubbio che ci assillava da anni.

Quali sviluppi si attende? Crede che i cinque indagati saranno rinviati a giudizio?

«Mi aspetto che le indagini vadano avanti a 360 gradi e non escludo nulla. Valuterà la magistratura, nella quale continuo a confidare».


http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage...i-15402//pag/1/
 
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Caso Orlandi, tre persone ascoltate dai pm. Altre audizioni in programma
Gli atti istruttori sono stati svolti dal procuratore aggiunto di Roma Capaldo che coordina l'inchiesta sulla scomparsa della ragazza, avvenuta nel 1983. Al momento ci sono almeno indagati tra cui un sacerdote e persone che erano vicine al boss della banda della Magliana De Pedis
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 23 febbraio 2013
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Caso Orlandi, tre persone ascoltate dai pm. Altre audizioni in programma

Più informazioni su: Benedetto XVI, Papa.
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Tre persone sono state sentite oggi in Procura a Roma nell’ambito dell’inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi, avvenuta nel giugno del 1983, quando la ragazza aveva 15 anni. Gli atti istruttori sono stati svolti dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Tra loro ci sarebbe un ex allievo della scuola di musica frequentata dalla ragazza. Altre audizioni sarebbero programmate la prossima settimana.

L’ultimo vero colpo di scena sulla vicenda si era registrato il 19 maggio quando era emerso che tra gli indagati c’era monsignor Pietro Vergari, rettore fino al 1991 della basilica di Sant’Apollinare, dove si trova la tomba del boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis. Monsignor Vergari è accusato di concorso nel sequestro aggravato dalla morte e dalla minore età dell’ostaggio. Gli altri indagati sono Sergio Virtù, autista di De Pedis, Angelo Cassani, detto “Ciletto”, e Gianfranco Cerboni, detto “Gigetto”, stretti collaboratori del boss il cui sepolcro era stato ispezionato pochi giorni prima (senza esito). Quinta indagata è Sabrina Minardi, già amante di “Renatino”, unica supertestimone (spesso caduta in contraddizione) di questa vicenda. La procura, nell’inverno del 2009, volendo capire le ragioni della sepoltura di De Pedis nella cripta della Basilica, raccolse le dichiarazioni, come persone informate sui fatti, della vedova Carla Di Giovanni, di monsignor Vergari e dell’attuale rettore don Petro Huidobro.

Proprio dal caso Orlandi, peraltro, riparte la serie di “Inchieste” di Gianluigi Nuzzi su La7. Nei giorni scorsi il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, aveva lanciato un appello al Papa per ricordare “con una preghiera” la sorella in occasione dell’ultimo Angelus.
 
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http://www.giornalettismo.com/archives/791...amico-del-boss/

Le intercettazioni “erotiche” del prete amico del boss
23/02/2013 - Don Vergari e le sue telefonate su La7
Le intercettazioni "erotiche" del prete amico del boss

di Dario Ferri


Don Pietro Vergari sarà l’ospite non invitato di Le inchieste di Gianluigi Nuzzi su La7 in onda stasera. Il prete che ha permesso la sepoltura di Renatino De Pedis, boss della Banda della Magliana, a Sant’Apollinare sarà al cento della puntata che parlerà del rapimento di Emanuela Orlandi e dell’esame della scientifica sulle ossa nella basilica. Ma soprattutto, scrive il Corriere:

E infine le intercettazioni: conversazioni inedite dal contenuto erotico fra don Vergari e un seminarista (scovato e intervistato anche lui), fra don Vergari e la vedova del Boss alla quale chiede consigli sulla versione da dare agli investigatori e, ancora, fra lui e una non identificata «eccellenza» (quindi un vescovo) che il monsignore chiama quando scopre di essere indagato. L’«eccellenza» lo liquida in modo brusco: «Non si rivolga a me, stia calmo (…) Il suo telefono è sotto controllo ».
 
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http://mentiinformatiche.com/2013/03/emanu...la-orlandi.html

Emanuele Orlandi: Abusi sessuali sui ragazzi nella scuola della Orlandi
10 marzo 2013 luca Cronaca Nessun commento

Nell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi irrompe una novità che potrebbe condizionare i passi dell’indagine. Una decina di giorni fa infatti sono stati sentiti quattro testimoni che avrebbero tutti confermato come negli anni in cui la giovane frequentava la scuola di musica della basilica di Sant’Apollinare, un loro amico abbia subìto ripetuti abusi sessuali da diverse persone collegate tra loro. Tra questi, un professore della scuola – sembra che si tratti di un sacerdote – che aveva anche insegnato a Emanuela prima che sparisse. Sembra quindi che la pista sessuale assuma, mese dopo mese, sempre più corpo in questo ultimo troncone dell’inchiesta che da trent’anni cerca di trovare verità sulla misteriosa scomparsa. Emanuela sparì dopo la lezione di musica. Venne riaccompagnata nel complesso della basilica, venne portata via in auto? O, forse, mai uscì da Sant’Apollinare? Sono domande che si ripetono. Non abbiamo una risposta certa ma gli inquirenti della squadra mobile della capitale ritengono che di certo la studentessa si fidò di qualcuno che conosceva. Era troppo schiva, attenta e seria per poter accettare inviti da sconosciuti. I SOSPETTI Adesso la storia di questo abuso che seppur ormai caduto in prescrizione dà conferma a certi sospetti su chi frequentava la basilica o l’istituto di musica. La procura sta infatti verificando non solo i seminaristi che in quegli anni, per l’accusa, venivano ospitati dal rettori in camerette attigue, ma anche i professori. Tra loro ci sarebbe stato chi «amava le ragazzine – spiega una fonte – i ragazzini per qualche appuntamento inconfessabile ». Tra l’altro questa ultima storia è particolarmente drammatica. Sembra infatti che il giovane frequentante della scuola fosse arrivato lì in una situazione di profondo disagio. Il padre lo aveva iscritto al corso di musica per dargli sollievo dopo l’improvvisa morte della fidanzata, rimasta vittima di uno scioccante incidente stradale. Così lo studente e il padre erano convinti che la musica gli avrebbe fatto bene. Il professore avrebbe invece approfittato di questa situazione di bisogno, utilizzando il disagio del minore come leva per ottenere prestazioni sessuali. Una storia nemmeno commentabile che ha segnato questo uomo per tutta la vita. Ancora oggi ha difficoltà relazioniali. Certo se si tratta di una diabolica coincidenza o di qualcosa di diverso è ancora presto per dirlo. Sarebbe comunque interessante sapere – ad esempio – se don Vergari, appunto il rettore della basilica – era a conoscenza delle perversioni sessuali di almeno un professore, forse persino sacerdote, che frequentava la scuola. TELEFONATA EROTICA Né bisogna dimenticare la telefonica erotica che qualche anno fa proprio don Vergari ebbe con un ex seminarista che dopo esser arrivato dall’estremo oriente venne ospitato in una struttura nell’alto lazio proprio di Vergari. Nella telefonata, intercettata dagli inquirenti, il giovane sacerdote si masturbava raccontando e descrivendo all’ex rettore di Sant’Apollinare l’autoerotismo, alludendo a «yogurt », «latte» e grossi ortaggi. Vergari cercava di cambiare discorso, non accondiscendendo alle sollecitazioni del suo ex discepolo che insisteva per poter ancora dormire insieme, vicini. Ancora nessuna novità invece dall’analisi delle ossa, oltre 250 mila frammenti recuperati sotto la cripta di Sant’Apollinare dove si è scavato nel maggio scorso nella speranza di ritrovare segni della Orlandi o di Mirella Grigori, l’altra romana scomparsa nello stesso periodo da casa sempre nella capitale. Dal laboratorio Labanoff dell’istituto di medicina legale di Milano dove si stanno verificando tutti i reperti si aprono i sacchi di ossa compiendo verifiche per sesso, età e periodo storico su quelle che potrebbero appartenere alle due ragazze. Ma purtroppo finora ogni controllo, con approfondimento anche in strutture per la datazione delle ossa americane, ha dato esito negativo
 
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www.giornalettismo.com/archives/859...orlandi-flauto/



Aggiornato al 3 aprile 2013 ore 21:37


Chi l’ha visto e il flauto di Emanuela Orlandi
03/04/2013 - Il programma di Raitre e la storia della scomparsa della ragazzina di cittadinanza vaticana


di Dario Ferri


Il flauto di Emanuela Orlandi a Chi l’ha visto? Durante la puntata del programma di Raitre condotto da Federica Sciarelli si è parlato di un oggetto presuntamentamente appartenuto alla ragazzina di cittadinanza vaticana scomparsa in Corso Rinascimento il 22 giugno del 1983 a Roma, dopo essere uscita dalla scuola di musica che si trovava di fronte alla basilica di Sant’Apollinare, a pochi passi da piazza Navona.

IL FLAUTO DI EMANUELA ORLANDI – La Orlandi, figlia di Ercole, postino in Vaticano, e di Maria, che abitava dalle parti di Porta Sant’Anna, nel giorno della sua sparizione uscì per andare a lezione di musica nella scuola che si trovava di fianco a Sant’Apollinare ed era poi uscita dirigendosi a piazza delle Cinque Lune e poi a Corso Rinascimento. Qualche tempo fa scrivevamo su Giornalettismo:

La ragazza deve entrare alla scuola di musica alle 16 e 30, arriverà tardi (lo testimoniano tutte le alunne), tanto da meritarsi una nota di demerito. Sapeva di rischiarla, e a suonare il flauto ci teneva tantissimo: una settimana dopo avrebbe avuto un saggio per passare al livello successivo di insegnamento.

Questa è la zona della basilica:


Visualizzazione ingrandita della mappa

LA STORIA A CHI L’HA VISTO? - Federica Sciarelli racconta che un uomo ha contattato la redazione del programma per dire che conosceva il luogo in cui era nascosto il flauto appartenuto ad Emanuela Orlandi. Ha affermato di averlo trovato e nascosto lui e si è detto disposto a farlo ritrovare. Fiore De Rienzo ha trovato un flauto dentro un astuccio nero avvolto in carta di giornale, e l’ha portato alla sorella Natalina Orlandi per chiederle se lo riconosceva. “A trent’anni di distanza qualcuno ha voluto indicarci dove trovarlo, in una formella che raffigurava la via Crucis”, dice De Rienzo, mentre mostra il pacco a Natalina. “La scatola potrebbe essere”, dice lei. E anche il flauto, una volta fuori, sembra, secondo la sorella, essere quello della Orlandi.

LA SCATOLA DEL FLAUTO – “Anche la scatola me la ricordavo così io, un pochino rovinata”, dice ancora Natalina. Uno scherzo di cattivo gusto, ipotizza la Sciarelli prima di cominciare con l’intervento in studio di De Rienzo. Che dice che ha trovato il flauto in un posto chiuso, rimasto intatto per molti anni. “Sotto la formella ho trovato l’involto, avvolto in due giornali. Uno dei due giornali è del 1985, del 29 maggio 1985. C’è un’intervista a Ercole Orlandi e a Maria che si rivolgono ad Alì Agça per chiedergli di dire la verità”. Alcune foto prese dalla tv dell’oggetto:


“Rampone & Cazzani Milano, F I S M”, si legge sulle scritte sul flauto inquadrato dalla televisione. Si tratta di un’azienda che produce strumenti a fiato, specializzata in sassofoni, ma che commercializza anche flauti.
 
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http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nic...onista-1541163/

Emanuela Orlandi: il flauto, il telefonista: si prepara il 30mo?

Pubblicato il 24 aprile 2013 11.49 | Ultimo aggiornamento: 24 aprile 2013 11.59


"Se l’analisi del Dna sul flauto dimostrerà che era davvero di Emanuela Orlandi allora le parole di questo ennesimo teste volontario potranno essere prese in considerazione, altrimenti farà la fine degli altri che sono venuti a raccontarci favole. Insomma, vedremo”: questo il commento che si raccoglie tra gli inquirenti dopo la nuova puntata del “flauto ritrovato”.

La stessa persona che ha indicato a “Chi l’ha visto?” un flauto traverso marca Rampone&Cazzani affermando che si tratta di quello di Emanuela Orlandi, sparita il 22 giugno del 1983, ha raccontato ai magistrati Giancarlo Capaldo e Simona Maisto l’ennesima “verità” sulla scomparsa della ragazzina del Vaticano.

Con un singolare tempismo, perché siamo a ridosso dalla ricorrenza dei 30 anni della scomparsa nel nulla di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983, sembra assistere a un crescendo di eventi preparatori: il flauto, il telefonista (ormai ampiamente coperto dalla prescrizione) e c’è da credere a qualche nuovo colpo di teatro nelle prossime settimane.

Rispetto a tutte le piste rivelate in questi 30 anni e etichettabili sotto la parola “bufala”, questa volta c’è una variante: non si è trattato di un rapimento a scopo di estorsione, politica o economica che fosse, tesi che infatti si è rivelata fin troppo inconsistente man mano che le indagini sono proseguite, ma di una messinscena di un non meglio specificato “gruppo di intelligence” che voleva fare non meglio precisate “pressioni sulla Curia del Vaticano”.

Messinscena con Emanuela di fatto consenziente perché allontanatasi di casa volontariamente con l’aiuto di “alcune amiche” e infine approdata a Parigi dove “ancora oggi forse abita”. Di Emanuela viva e almeno in primo periodo a Parigi ha parlato a suo tempo Ferdinando Imposimato, l’ex magistrato diventato avvocato e dal 2002 legale rappresentante della signora Maria Pezzano, madre di Emanuela.

Il nuovo misterioso “supertestimone”, le iniziali del cui nome e cognome pare siano M. F. A., ha intanto ammesso di avere creato lui la messinscena con la formella di una stazione della via Crucis mettendo il flauto negli stabilimenti cinematografici abbandonati di Castelromano.

E pur affermando di essere stato “uno dei principali telefonisti del finto sequestro” non sa dire a chi avrebbe telefonato né quando, non è quindi né “Mario” né Pierluigi né il cosiddetto Americano, che man mano telefonarono a casa Orlandi, in Segreteria di Stato e all’avvocato Gennaro Egidio, legale di Ercole Orlandi, padre di Emanuela fino al 2005, data in cui è deceduto.

Il problema però è che agli atti dell’inchiesta e nelle cronache di questa ormai trentennale vicenda non esistono altre conversazioni e registrazioni di telefonate diverse da quelle dei personaggi appena citati. A chi avrebbe quindi telefonato più e più volte questo nuovo asserito “supertestimone”? Non si sa. Perciò, come dicono in procura, vedremo.

“Ero un appassionato di cinema, e per la mia creatività alcuni della Curia vaticana mi proposero di collaborare con sacerdoti un po’ peccatori per creare situazioni da usare contro certi Paesi dell’Est”,

ha anche detto il nuovo “superteste” con evidente allusione agli appoggi che Papa Wojtyla dava alla sua Polonia contro l’Unione Sovietica e il mondo comunista. Il racconto di questa new entry tira in ballo una non meglio precisata “intelligence” e così ricorda quello dell’”ex 007 Lupo”, al secolo il bergamasco Luigi Gastrini, che nel 2011 con una telefonata in diretta a RomaUnoTv convinse Pietro Orlandi che “Emanuela è viva e sta in un manicomio a Londra”, notizia che si rivelò una bufala assoluta.

Anche Gastrini disse che aveva fatto parte dei servizi segreti e che era presente come supervisore sulla scena del “sequestro” di Emanuela. E anche lui parlò, ancor più confusamente del nuovo arrivato, di misteriose ma imprecisate trame interne al Vaticano e maneggi di soldi illeciti da parte della banca vaticana Ior. M. F. A. invece sulla scena del “sequestro”, sempre in corso del Rinascimento, di fronte a palazzo Madama, questa volta però finto per sua stessa ammissione, sarebbe stato presente solo “per fotografare la Bmw sulla quale c’era Enrico Renatino De Pedis”, l’ormai famosissimo “Renatino” promosso da romanzi, film e serie televisive a “capo della banda della Magliana” e di fatto uscito di scena quando l’anno scorso venne aperta la tomba nella quale riposava nei sotterranei della basilica di S. Apollinare.

Cosa ci facesse nella nuova versione di M.F.A., che è stata rivelata sul Corriere della Sera da Fabrizio Peronaci, Enrico Renatino De Pedis con la “sua” Bmw, che peraltro non risulta aver mai posseduta, in corso del Rinascimento non è ben chiaro: forse si prestava al finto sequestro? No, a quanto pare è stato fotografato da MFA solo per poterlo poi accusare del “rapimento”. Dove sono queste foto? Non si sa, tanto per cambiare.

E qui viene in mente la serie di fandonie raccontate a “Chi l’ha visto?” da Maurizio Giorgetti, che tra le altre cose assicurava di avere avuto in mano foto di Emanuela in tempi recenti, chiusa in un monastero tra la Grecia e la Turchia, foto che però non ha mai esibito “perché mi sono state rubate”. Ovviamente.

Sta di fatto che secondo la sceneggiatura proposta da M.F.A. Emanuela pur di allontanarsi da casa acconsentì a salire sull’auto di un finto prete assieme a una sua amica in corso del Rinascimento, poco dopo essere uscita dalla scuola di musica Ludovico da Victoria nella vicina piazza S. Apollinare.

“L’idea era di liberarla presto, il tempo di avere in mano la denuncia di scomparsa per esercitare pressioni, ma il piano fallì soprattutto per l’appello del Papa all’Angelus, il 3 luglio, che diede risalto mondiale al caso”.

Qui c’è un primo punto debole: la denuncia della scomparsa venne fatta da Natalina Orlandi, sorella di Emanuela, già il 23 giugno, cioè il giorno immediatamente successivo alla scomparsa, perciò fino al 3 luglio sono passati oltre 10 giorni, durante i quali il testo della denuncia era più che disponibile. Comunque “Emanuela non subì violenze di nessun tipo, visse in due appartamenti e in due camper, le procurammo un pianoforte e la rassicuravamo dicendole che la famiglia era al corrente. Questo fino a dicembre 1983”.

E poi? Mistero. Notiamo comunque che mentre la “superteste” ha parlato di stupro di Emanuela prigioniere da parte di monsignor Marcinkus, capo dello Ior, e infine di sua uccisione, M.F.A. invece esclude ogni violenza.

Il secondo punto debole è il volersi addossare anche la scomparsa, pure questa finta, di Mirella Gregori, ragazza romana scomparsa un mese e mezzo prima di Emanuela. La sentenza istruttoria del dicembre ’97 del magistrato Adele Rando ha escluso che i due casi siano collegati, cosa che anche a “Chi l’ha visto?” preferiscono ignorare. Per giunta, M.F.A. afferma che Mirella “si innamorò di un nostro operatore, andò all’estero e tornò una sola volta a Roma, nel 1994, per incontrare sua madre in un caravan in corso d’Italia”. “Questa è una balla assoluta”, commenta Maria Antonietta Gregori, sorella di Mirella: “Se mia madre avesse incontrato davvero mia sorella io lo avrei saputo di sicuro. Io e il resto della famiglia”.

Dunque: la pista del sequestro politico, quella del sequestro malavitoso, quella del manicomio londinese, quella delle orge con prelati e diplomatici, quella delle messe nere in Vaticano e delle orge in S. Apollinare, la pista di Emanuela viva e felice sposa di un suo rapitore islamico prima a Parigi, poi in Ungheria, poi in Turchia e altri Paesi orientali, poi le “rivelazioni” del romanziere Luis Rocha “l’ho vista e le ho parlato”, infine la recentissima pista del rapimento voluto dall’Iran e con Emanuela oggi viva in un convento di clausura italiano. Ed ecco la nuova pista firmata M.F.A.. Dato che costui è un innamorato del mondo del cinema, potremmo concludere così: “Ciak, si gira!”. Non a caso tra poco si deve celebrare il trentennale della scomparsa di Emanuela.

Intanto ci associamo alla procura: vedremo. E speriamo sia la volta buona… Se non altro perché poi non se ne parli più.
 
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view post Posted on 3/6/2013, 17:19
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http://www.leggo.it/NEWS/ITALIA/emanuela_o...ie/287292.shtml


EMANUELA ORLANDI, IL FRATELLO: "IL PAPA
MI HA DETTO 'TUA SORELLA STA IN CIELO'"
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Lunedì 3 Giugno 2013

ROMA - «"Lei sta in cielo". È questa la frase che papa Francesco ha detto prima a mia madre e poi a me quando, come tanti altri fedeli, lo abbiamo incontrato dopo la messa che celebrò nella parrocchia di S. Anna in Vaticano pochi giorni dopo la sua elezione: parole che mi hanno fatto gelare il sangue».

A rivelarlo è Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, quando mancano ormai pochi giorni all'anniversario dei trent'anni dalla scomparsa della ragazza figlia di un dipendente vaticano, sparita in circostanze mai chiarite il 22 giugno 1983. Pietro non si rassegna e continua a chiedere che sia fatta luce sulla vicenda di Emanuela anche con la collaborazione del Vaticano.

«Da quando è stato eletto il nuovo papa - spiega - ho chiesto più volte di poter avere un incontro personale con lui. Ho inviato quattro fax diretti al suo segretario personale, mi sono accertato che li avesse ricevuti, ma per ora non ho avuto risposta. A questo punto, vedo poche possibilità».
 
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