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Don Marco Dessì condannato a 6 anni in Cassazione per violenze su bimbi in missione, Il pedofilo beneficia di sconto per prescrizione. Ecco che vanno a fare certi "missionari"

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view post Posted on 3/6/2007, 16:32
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Il dentista-detective che ha smascherato Don Dessì


Cagliaritano, 39 anni, Gianluca Calabrese è il dentista-volontario che ha fatto scattare le indagini contro don Marco Dessì, il prete-pedofilo missionario in Nicaragua.

di GIORGIO PISANO
([email protected])
Che il prete fosse un maiale se n'è accorto tardi. Però se n'è accorto. E quando se n'è accorto ha smesso provvisoriamente di fare il dentista per indossare i panni dell'investigatore. Lo ha fatto con paura, con la morte nel cuore, sperando d'essersi sbagliato. Invece aveva visto giusto: don Marco Dessì, missionario di Villamassargia emigrato in Nicaragua per aiutare orfanelli e sbandati, era soltanto un pedofilo. Crudele, onnipotente e delirante, uno che violentava bambini e al culmine del piacere diceva: ecco, tu sei mio figlio ora, io ti ho generato. Don Marco Dessì, sessant'anni e una vita per gli altri (in tutti i sensi), è stato condannato in primo grado a dodici anni di reclusione. Dunque, in attesa del giudizio di Cassazione, va considerato presunto innocente. Anche se per altri, molti altri, è solo un maiale non presunto.

IL PRETE PEDOFILO. Un maiale vestito da sacerdote: perché ha approfittato della miseria, ha oltraggiato gli ultimi, ha imposto la legge del desiderio a innocenti che cercavano solo un piatto e un letto. L'uomo che l'ha smascherato è uno strano tipo, stranissimo anzi se si pensa agli standard di oggi. Si chiama Gianluca Calabrese, cagliaritano. Fa il dentista. Ha trentanove anni, sposato con Ignazia, commercialista. Cattolico non irreggimentato, ogni tanto impacchetta una tendina e se ne va a meditare in montagna. Dice che gli piace pregare. E ascoltare. Ascoltare cosa? «Ascoltare quello che mi sta intorno». Matto e lucidissimo, fastidiosamente iperrazionalista, non ha il culto della ricchezza. Non ha brividi per i cabrio che fanno tendenza e nemmeno per i Suv che sono un'autocertificazione su ruote di un benessere raggiunto ed esibito. Preferisce dirottare i suoi guadagni su quelli che non hanno niente e impegnarsi per loro.

IL DENTISTA. Diciamolo subito, fa ridere un dentista così, è un traditore della categoria, uno che estrae dai ricchi per dare ai poveri. Mica come quel suo collega sassarese esentasse (nel senso di evasore) che preferiva investire le parcelle in appartamenti e Lamborghini. Gianluca, che ha già la coroncina di capelli attorno al vuoto craniale come un ragioniere di banca invecchiato presto, ha scelto il volontariato laico. Lui dice che il movente è: senso di giustizia. Ma anche la speranza per un mondo diverso. Come se la carità potesse fare rivoluzioni. «Non le fa, certo. Ma a me la politica non interessa». Ammette che a spingerlo verso il volontariato è stato anche il senso di colpa, quel groppo che può colpire quando - tra tagliolini e bistecca - ti sparano in tivù gli occhi di un bambino affamato.

LA TEORIA. «Troppo comodo pensare che quel bambino non ce l'hai spedito tu nella merda. Sbagliato: ce l'hai spedito anche tu». Il bello di questo singolare dentista è che non pretende di dare lezioni a nessuno. Si muove con Ignazia, che è la sua anima e il suo contabile (per dovere d'ufficio) e va a fare il cavadenti gratis. Ora, uno che mette naso e pinze dentro la bocca del prossimo ama certamente andare in fondo alle cose. Ma lui lo ha fatto e lo fa con uno scopo preciso: passare su questa terra leggero ma con almeno un buon motivo. Mai e poi mai avrebbe immaginato di dover fare lo spione, il grande accusatore, soprattutto abbattere quello che sembrava un totem: di fratellanza, giustizia, applicazione concreta del Vangelo.
Cos'è Solidando?
«È un'associazione di volontariato che abbiamo costituito dopo una visita in Nicaragua tre anni fa. Io ci andavo per conto mio già da tempo».
Cosa fa il dentista volontario?
«Cura gratuitamente pazienti che non hanno la possibilità di pagare. Nel 2004, insieme ad altri colleghi, abbiamo raccolto i soldi per fare un cinema itinerante».
Itinerante, dove?
«Tra i villaggi, le scuole, le missioni come quella di don Marco che raccoglieva complessivamente milleduecento ospiti».
Di che età?
«Dai tre ai sedici anni, dalla scuola materna alle superiori, ragazzi di famiglie poverissime e rimasti soli a causa della guerra civile».
Quando ha conosciuto don Marco?
«Proprio nel '91. Ci ospitò in una delle sue missioni. Hogar del niño, si chiamava: Casa del bambino».
Che impressione le fece?
«Ottima. Non era uomo di preghiera ma faticava dalla mattina alla notte. Mi piaceva perché era fuori dell'ordinario, un sacerdote molto laico».
E disponibile.
«Di più, aperto. Non poneva vincoli al volontariato: vuoi fare cinema?, fai cinema. È grazie a lui se ho convinto tanti a venire in Nicaragua».
Il primo sospetto.
«Ad alcuni, a cominciare da Ignazia, non quadrava la rendicontazione economica delle missioni. Chessò, gli davi ventimila euro ma poi era tempo perso chiedergli che ne aveva fatto».
Non rispondeva?
«Sì ma in maniera vaga. Io, in ogni caso, non ho avuto cattivi pensieri».
In che senso?
«Non ho pensato male. Però, per credere devo vedere. Altrimenti resto scettico».
Quando succede?
«Estate di due anni fa. Ero a Cagliari e un amico mi sussurra che don Marco non è affatto quel che penso. Resto di ghiaccio ma non mi convinco».
Fedelissimo fino alla morte.
«Sì, perché avevo un'idea precisa di lui. Era un sacerdote speciale per me, quindi era inevitabile che diventasse oggetto di chiacchiere. In ogni caso l'amico di Cagliari torna alla carica e quasi con aria di sfida mi provoca: indaga, mi dice».
E lei?
«Torno in Nicaragua. Era agosto del 2005, incontro Marlon Rivas, un ragazzo che non vedevo da molti anni. Lo avevo lasciato bambino in un orfanatrofio di don Marco. Era un adolescente, allora. Il prete mi ha fottuto, mi fa. Ti ha imbrogliato, chiedo io? No, fottuto, proprio fottuto. Come dite voi quando uno abusa sessualmente di un altro? Resto secco ma non riesco tuttavia a sentirmi davvero sicuro di quelle parole».
E che altro voleva?
«Non lo so. Avevo davanti una straordinaria figura di benefattore, un prete sicuramente potente ma altrettanto generoso, buono. I bambini lo chiamavano babbo, lo adoravano».
Quanti ne ha violentato?
«Sei sono quelli che hanno testimoniato al processo ma io credo siano almeno un centinaio. Era in Nicaragua da 35 anni e non si è fermato un attimo».
Come finisce con Marlon Rivas?
«Finisce che gli chiedo di portarmi altre testimonianze, una non mi può bastare. E le testimonianze arrivano. A quel punto mi arrendo. Comincio a pensare ma sono scosso: è stato come se avessi conosciuto Gesù e poi, d'improvviso, mi si fosse presentata davanti un'altra persona con lo stesso nome».
Va in crisi?
«Inevitabile. Mi domando come ho fatto a non accorgermene prima, come ho potuto non cogliere certi dettagli. Mi spavento pensando che in vita mia non avevo mai visto così intimamente legati il bene e il male. Com'è possibile che siano uno la faccia nascosta dell'altro?».
Poi?
«Decidiamo di approfondire, di indagare. Nel gennaio del 2006 torniamo in Nicaragua con una telecamera digitale: volevamo raccogliere le testimonianze dal vivo».
Il prete se ne accorge?
«No, anche perché ci eravamo organizzati bene. Don Marco era amico del presidente della repubblica Ortega, del capo della polizia locale, del nunzio apostolico. Ci avesse scoperto, sarebbe stata la fine».
La fine?
«Il Nicaragua non è l'Europa, è Far West: uccidere un uomo non è un problema. Ci siamo mossi con la massima cautela. Mi sentivo sempre più tormentato».
Perché?
«Mi faceva orrore la mia ipocrisia: di giorno baci e abbracci e la notte uscivo di nascosto. A filmare, a raccogliere prove contro una persona che mi sorrideva, mi stringeva la mano, mostrava di stimarmi».
Lui non ha davvero mai sospettato?
«No. Abitava a una decina di chilometri dalla missione. Aveva giustificato questa scelta asserendo che, stando in sede, i postulanti non gli avrebbero dato tregua».
L'ha ricevuto un invito a casa sua?
«No».
Strano: prete sardo, volontari sardi. Un bicchiere insieme è d'obbligo.
«Ci ho pensato soltanto più tardi, a cose fatte. No, non ci ha mai detto venite a casa mia».
Cosa succede dopo?
«Rientrati a Cagliari riceviamo una telefonata dal suo braccio destro. Vuol sapere cosa ci sia di vero sulle voci che circolano, voci che parlano di un'indagine segreta su pedofilia e dintorni».
Che rispondete?
«Che sono sciocchezze, naturalmente. E lui dice: okay, per l'Italia purtroppo non posso fare niente ma a certa gente del Nicaragua penserò io».
Che significa?
«Quello è un posto di banditi, vige la legge della violenza, del più forte. Con due centesimi si può corrompere chiunque o quasi».
Cosa decidete di fare?
«Dopo un periodo agitato e di paura, stabiliamo che dobbiamo agire. Ma agire in modo pesante: bisognava dargli un colpo secco, mortale, altrimenti ci avrebbe fatto a pezzi. Così, ci appelliamo al vescovo di Cagliari, monsignor Mani ».
E Mani?
«Ci manda a Roma da un cardinale che visiona i video, si atterrisce ma non dice una parola. Ricordo con grande pena che non riusciva a trovare il prelato giusto a cui affidare questa vicenda. Tanto più che per il Vaticano era storia vecchia».
Vecchia?
«A Roma sapevano tutto già dal '91 e avevano invitato don Marco a ritirarsi subito in solitaria preghiera nel convento dei frati di Frosinone. Don Marco non aveva obbedito: se ne infischiava dei precetti del Vaticano. Aveva gli amici giusti».
Dal '91 al 2006 passano quindici anni.
«Lo so. Solo di recente la Chiesa ha assunto una linea unitaria contro i preti pedofili che fino a non troppo tempo fa se la cavavano con un trasferimento, il silenzio delle alte sfere e tre avemaria».
Meglio tardi che mai.
«Ora la linea è cambiata solo per ragioni economiche. Dopo lo scandalo dei preti pedofili in Usa, 45 milioni di dollari per il risarcimento alle vittime, il Vaticano è diventato più sensibile. Gli hanno toccato l'anima, cioè la cassaforte».
Conseguenze?
«Mentre prima non si presentava mai denuncia alla magistratura ordinaria, adesso la musica è cambiata. E proprio questo ha tradito don Marco. Non era aggiornato: e si è rovinato con le sue mani».
Si spieghi meglio.
«Della giustizia ecclesiastica se ne infischiava. Per questo andava e veniva dal Nicaragua senza timori. Quando qualcuno gli ha fatto sapere che lo avevamo denunciato alla magistratura italiana, ha commesso un passo falso, la prova della colpevolezza».
Che ha fatto?
«Ha celebrato una messa lacrime e sangue annunciando che andava all'estero per affrontare un male che non dava scampo. Poi, ha intestato ad amici tutte le sue proprietà. Non immaginava di essere già sotto intercettazione».
Perché, che ha fatto?
«Ha ordinato a un suo sgherro di minacciare i testimoni, tentare di corromperli. Nel frattempo dava disposizioni per mettere al sicuro i suoi beni. Lo hanno arrestato mentre si preparava a tornare in Nicaragua».
Sbagliato dire che ha preso molti bambini per fame?
«Purtroppo no».
E quelli che non ci stavano?
«Li ricacciava in strada. Attenzione, però: don Marco non usava violenza. Solo e sempre rapporti consenzienti: i bambini mica capivano, si fidavano di lui».
Ha fatto passare tanto tempo prima di dare l'allarme: perché?
«Bisognava tenere i nervi a posto, raccogliere prove schiaccianti. Ci fossimo mossi sull'onda della fretta, don Marco ci avrebbe sbaragliato».
Lo ha visto al processo?
«Sì. Per un attimo i nostri sguardi si sono incrociati».
E cosa si sono detti?
«Nulla. Purtroppo non c'era più nulla da dire».
Ha provato qualcosa vedendolo in manette?
«Un profondo senso di pena. Don Marco è malato, solo malato. Credo che il modo migliore di aiutarlo sia tenerlo in carcere. Ma dev'esser chiaro che siamo di fronte a un uomo che ha fatto grandissimo bene e grandissimo male. Tutta questa storia mi fa pensare al fior di loto».
Per cosa, per l'eleganza?
«Il fiore di loto è una meraviglia che sboccia guardando il cielo e affondando le radici in acquitrini putridi. Insegna che dal male può nascere il bene. Basta volerlo».
Morale?
«Una, importante: mai scoraggiarsi, mai tacere. Anzi, chi sa parli. Durante questa avventura insieme a Solidando e Rock no war ho conosciuto persone straordinarie, bellissime. Magistrati compresi».
E allora?
«La solidarietà e gli aiuti non devono fermarsi. A me resta in eredità un dolore infinito».
Non ci dirà che ha perdonato?
«E come potrei condannare? Il perdono nasce dalla compassione verso il prossimo. Chi sono io per giudicare?».


03/06/2007 14:39
 
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DOMENICA, 15 GIUGNO 2008

Pagina 6 - Sardegna

Il missionario di Villamassargia condannato in primo grado a 12 anni di carcere

Domani appello per don Dessì

La difesa: «Contro di me una congiura per interesse»



PROCESSO PER PEDOFILIA I fatti sarebbero avvenuti in comunità in Nicaragua



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CAGLIARI. La giustizia terrena l’ha punito il 23 maggio dell’anno scorso con dodici anni di carcere: violenza sessuale su sei ragazzi della comunità Betania, a Chinandega, un paesino del Nicaragua. La Chiesa l’ha sospeso dal sacerdozio e per lui le porte del Vaticano sembrano essersi chiuse per sempre.
Ma don Marco Dessì, missionario sessantenne nato e cresciuto a Villamassargia, non ha abbandonato la speranza in un miracolo giudiziario, una sentenza d’appello che ristabilisca la sua verità: contro di me soltanto una congiura legata a interessi, alla volontà di portarmi via la comunità messa in piedi con trent’anni di lavoro. L’appuntamento-bis coi giudici è fissato per domani mattina a Bologna, il giudizio abbreviato davanti alla Corte d’Appello si apre alle 9 in punto. I suoi fedeli, che restano numerosi e increduli davanti a quanto la Procura di Parma ha accertato, lo aspetteranno davanti al palazzo di giustizia per fargli coraggio. Difficile che don Marco decida di parlare. Ancora più difficile che il suo difensore, l’avvocato Pierluigi Concas, insista perchè lo faccia. Troppo complesso l’intreccio di testimonianze, di incidenti probatori e di conversazioni telefoniche intercettate perchè ogni fatto possa trovare una spiegazione. Se è stata davvero una congiura, è stata organizzata bene. I giudici dell’appello però dovranno riesaminare ogni passaggio di questa storia popolata di orfani e adolescenti sventurati. Finiti, secondo il tribunale di Parma, sotto il controllo intimo del missionario. Un sacerdote a due facce, che raccoglieva fondi e organizzava l’assistenza ai ragazzi ma li usava come oggetti per dare sfogo alle sue inclinazioni sessuali forti. I racconti agli atti del procedimento sono raccappriccianti. Il quadro definito nel processo riporta a violenze sessuali piene, compiute almeno a partire dal 1999: quanto avvenuto prima è prescritto. Poi molestie sessuali ripetute negli anni, con i ragazzi costretti a subire ogni volontà del sacerdote che si autoproclama loro creatore e dominus assoluto. Poi il materiale pedopornografico: nel computer di don Marco sono state trovati 1440 file compromettenti ed è stato il pm di Parma Lucia Russo a confermare che il prete ha continuato a scaricare foto di bambini sino a due giorni prima dell’arresto, avvenuto il 4 dicembre di due anni fa. Infine le intercettazioni, dove l’accusa ha trovato le conferme di una personalità diversa da quella conosciuta e osannata a livello internazionale: don Dessì ha cercato di bloccare l’inchiesta del Vaticano e quella della magistratura ordinando di corrompere chi l’accusava. Nelle conversazioni registrate si parla di tentativi da compiere ai piani alti del potere nicaraguense per annacquare le prove, c’è una sequenza di conversazioni con l’alter ego di don Marco a Chinandega in cui emerge chiaramente un’organizzazione dedita al business più che all’assistenza degli orfani.
Diametralmente opposta la lettura degli atti proposta dal difensore nei motivi d’appello. L’avvocato Concas sostiene che ogni elemento d’accusa contro don Marco ha un’origine precisa: si chiama Marlon Rivas ed è uno dei ragazzi, ora adulto, ad aver subìto le attenzioni proibite del missionario. Lui parla, lui denuncia e gli altri seguono a ruota. Marlon incontra gli altri ragazzi, comunica il proprio disagio, racconta quanto gli è accaduto. Secondo il difensore «tutto ciò fa ritenere che vi sia stato un reciproco influenzamento, prodotto dalla copresenza e interazione fra le presunte vittime nelle situazioni di rivelazione dell’abuso, che prende avvio nel 2005». Il difensore propone dunque la tesi della reazione a catena, le vittime parlano «solo se sollecitate e intervengono comunque dopo una serie di contatti tra i rivelanti ovvero dopo che era noto il contenuto di altrui dichiarazioni». Comunque sia - per l’avvocato Concas - l’accusa va ridimensionata: «Grazie a Dio ci sono stati soltanto dei toccamenti» riferisce il testimone Oscar Ignacio Santos Romero. Così come per i film pedopornografici: solo ricordi sfumati, nessuno che riferisca di averli visti davvero con don Marco. Ma c’è dell’altro, per la difesa: «I racconti degli ipotizzati abusi provengono tutti da soggetti ormai adulti» mentre la consulenza su cui si basa l’accusa è fondata su «strumenti nati per la valutazione di testimonianze rese da soggetti di età minore». Di più: «La letteratura scientifica nazionale e internazionale riconosce l’impossibilità di individuare indicatori specifici di abuso sessuale». E nel processo si parla di fatti accaduti anni prima, in un’arco temporale indefinito che abbraccia almeno tre decenni. Per il difensore nessun tentativo da parte di don Marco di influenzare i testimoni o di condizionarli con le minacce: «Quando parla al telefono - ha scritto l’avvocato Concas nel ricorso - don Dessì si preoccupa soltanto di salvare la comunità di Chinandega». Il testo di una telefonata con l’ambasciatore Coen: «Quanto è accaduto mi addolora per l’amore che ho per il Nicaragua, però non è tanto questo, è che mi immagino che i progetti di Chinandega verranno colpiti e ci metteranno molto tempo per recuperare credibilità, recuperare con i benefattori se se ne va la stima che hanno avuto sino ad ora. Allora più che altro vorrei che lei facesse qualcosa per Betania, per la fondazione Chinandega 2001, per il bene che ha fatto in tanti anni». (m.l)

http://stage7.presstoday.com/_Standard/Articles/4015319

Edited by GalileoGalilei - 22/9/2008, 22:15
 
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Don Dessì, in appello il pm chiede
conferma della condanna a 12 anni


PARMA, 22 SETTEMBRE - Il pm chiede davanti alla corte d’appello di Bologna la conferma della condanna a 12 anni per don Marco Dessì. Il 12 maggio dello scorso anno il gup Roberto Spanò aveva ritenuto il sacerdote sardo colpevole di violenza sessuale ai danni di tre ragazzi di una comunità in Nicaragua.

Oggi in aula l’avvocato Marco Scarpati, che assiste le parti offese, ha ricordato come il sacerdote “non ha mai dato segno di pentimento o contrizione, mai chiesto scusa, mai avvicinato le parti per chiedere scusa, ma al contrario le ha anche minacciate”.

Il pm, nel corso della sua requisitoria, durata un’ora, ha detto che la condanna a 12 anni è dura ma giusta e ha analizzato rapidamente tutto il materiale probatorio raccolto dal pm Lucia Russo (in base al quale si era giunti alla condanna di primo grado a Parma).

Il 31 ottobre prenderanno la parola i difensori e poi la corte dovrebbe riunirsi in camera di consiglio per raggiungere un verdetto.

Oggi la Corte ha respinto alcune richieste dei difensori, che volevano introdurre nuovo materiale probatorio, in particolare un passaporto che a dire dei legali smentirebbe che una delle vittime all'epoca di una presunta molestia si trovasse nella città dove aveva detto di essere.

VICENDA SCONVOLGENTE

Quella di don Dessì è stata una vicenda che ha destato molto clamore e sgomento. Il sacerdote era noto per il suo impegno per raccogliere fondi per la sua comunità in Nicaragua ed era sostenuto da alcune associazioni di volontariato.

Le successive indagini hanno portato tra l'altro alla scoperta di centinaia di file pedopornografici nel computer del sacerdote, poi arrestato il 4 dicembre 2006.
22/09/2008
 
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Unione Sarda, L' (Nazionale)
"Pedofilia, seconda puntata"
Data: 23/09/2008
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Cronaca Locale
QUOTIDIANO INDIPENDENTE FONDATO NEL 1889

WWW.UNIONESARDA.IT

Edizione del 23/09/2008

L'Unione Sarda

Cronaca Regionale Pagina 108

Pedofilia, seconda puntata

Don Marco e le violenze ai bimbi del Nicaragua
Si riparla del caso del sacerdore di Villamassargia condannato in primo grado per le violenze sessuali ai danni dei bambini del Nicaragua, dove aveva creato una comunità d'accoglienza.
DAL NOSTRO INVIATO
LUCIO SALIS

BOLOGNA Era il padre spirituale di bambini che un padre non lo avevano mai avuto e ne ha abusato. Per questo, Marco Dessì merita i dodici anni di carcere cui è stato condannato dal Tribunale di Parma. A chiedere la conferma della pena è Attilio Dardani, rappresentante dell'accusa nel processo d'appello al sacerdote di Villamassargia, in corso a Bologna. Parla sommessamente, il Procuratore generale, la sua voce si sente appena in quella grigia aula dalle volte altissime dell'antico palazzo di giustizia. Non cerca parole a effetto, nessuna concessione alla retorica mentre rievoca il dramma degli orfanelli dell'Hogar del Niño di Chinandega (Nicaragua). Marco Dessì le ascolta quasi rannicchiato sul banco degli imputati, senza dar segni di emozione. Smagrito, la lunga barba sempre più grigia, le mani giunte, le spalle un po' curve, sembra sentire il peso di un calvario che vive da quel 4 dicembre 2006 in cui i carabinieri gli misero le manette e lo condussero a Buoncammino. Fuori dall'aula, i fratelli, le sorelle lo osservano in ansia attraverso i vetri della porta, per fargli giungere almeno uno sguardo di conforto.
Ieri non era il giorno della pietà, in Corte d''ppello, ma della resa dei conti, per quel prete un tempo considerato quasi santo, in Sardegna e in Nicaragua. Promotore di una missione, Betania, in cui avevano trovato rifugio le vittime innocenti di un paese martoriato dalla guerra. Bambini di strada, soli, affamati. E sono loro oggi, diventati adulti, ad accusarlo di averli sottoposti a violenze sessuali inaudite. Lui, padre Marco, durante il processo di primo grado non si è difeso, non ha pronunciato una parola. I suoi legali, Pierluigi Concas, di Cagliari e Massimo Iasonni, di Bologna, puntano sulla tesi del complotto, (con una memoria scritta che illustreranno nella prossima udienza, fissata per il 31 ottobre).
Ma, per il Procuratore, non regge. Lo dimostrano le circostanze, quasi casuali, da cui è nata l'inchiesta. Il primo a scoprire l'altra faccia dell'orfanotrofio Hogar del Niño, ha ricordato Dardani, è stato, nel 1991, il giornalista cagliaritano Cesare Corda, invitato da Padre Marco in Nicaragua in segno di gratitudine per aver collaborato alla raccolta di fondi destinati alla missione. Appena arrivato, si rese subito conto del tenore di vita, men che modesto, riservato agli orfani, mentre il sacerdote e il suo entourage non si facevano mancare niente. Poi, parlando con i bambini, seppe degli abusi. Prima di ripartire, si consultò con due volontari italiani che lavoravano nella missione, Pignone Carmelita e Angelo Caterina. Quest'ultimo affrontò don Marco, ricevendo come risposta terribili minacce: «Stai attento, posso trovare cento bambini disposti a dire le stesse cose sul tuo conto». Al rientro in Italia, i tre informarono le autorità del Vaticano, ma la loro denuncia provocò solo il trasferimento, per un breve periodo, di padre Marco. Poi, tutto tornò come prima.
Fino al 2005. Quando un nipote di Cesare Corda parlò degli abusi sessuali che si commettevano a Chinandega con Gianluca Calabrese, dentista cagliaritano, socio del gruppo di volontariato Solidando, che trascorreva lunghi periodi lavorando gratis nella missione del sacerdote di Villamassargia. Il professionista rimase sconvolto dalle rivelazioni, ha detto il Procuratore, poi partì per il Nicaragua deciso a compiere un'inchiesta personale. Parlò con Marlon, considerato il principale accusatore del sacerdote, quindi con altri giovani che erano stati ospiti dell'orfanotrofio. Dalle loro parole emerse una realtà sconvolgente. Padre Marco rivolgeva le sue attenzioni, preferibilmente, verso bambini fra gli 8 e i 12 anni. Chi faceva resistenza, veniva emarginato, gli altri ricevevano piccoli doni, ma soprattutto erano ammessi nel Coro del Getsemani. Promozione ambitissima dai piccoli, perché consentiva di partecipare a viaggi all'estero e magari di essere adottati. Il sogno di tutti.
Calabrese registrò in un videotape le sconvolgenti testimonianze e informò l'associazione di volontariato Rock no war, di Modena che, insieme a Solidando, aveva procurato ingenti finanziamenti per Betania. Naque così la decisione di informare il Vaticano. La Congregazione per la dottrina della fede invitò i volontari a rivolgersi alla magistratura italiana, intanto mandò i suoi ispettori in Nicaragua. Al termine dell'inchiesta, intimò a don Marco, pena la scomunica, di rientrare in Italia e ritirarsi a Frosinone, in una comunità di preghiera. Il sacerdote ubbidì, ma non sapeva di essere anche nel mirino della magistratura. Si scatenò allora in una serie di telefonate in Nicaragua (intercettate dai carabinieri) dalle quali emersero la sua preoccupazione di mettere al riparo il patrimonio accumulato a Betania, ma anche minacce di morte (pronunciate da un suo collaboratore) nei confronti degli accusatori. A completare il quadro della sua personalità contribuì anche il ritrovamento, nel computer personale, di 1400 foto pedopornografiche.
Le accuse delle giovani vittime hanno trovato poi conferma nella testimonianza di altri volontari. Sono assolutamente attendibili, ha detto il Procuratore, citando le perizie disposte dalla Procura di Parma. vero - come ha rilevato la difesa di don Marco - che uno dei ragazzi dice di essere stato molestato dal prete durante un viaggio del coro a Houston, mentre si trattava di Miami, ma può essere un errore dovuto allo stress creato dalla testimonianza in tribunale.
Da questa sconcertante vicenda, ha concluso il Procuratore, emerge la figura di un sacerdote che ha causato un vulnus irreparabile ai minori che aveva in custodia e ha fatto poi di tutto per sottrarsi alla giustizia. Come si deduce da un certificato medico, dell'ospedale di Carbonia, nel quale si diagnostica un sospetto di tumore. Nei successivi accertamenti, disposti dalla magistratura a Cagliari, il tumore è sparito.
23/09/2008

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La Nuova Sardegna pag. 6
"don dessì va condannato a 12 anni"
Data: 23/09/08

MARTEDÌ, 23 SETTEMBRE 2008

Pagina 6 - Sardegna

dall’inviato Mauro Lissia

«Don Dessì va condannato a 12 anni»

Per il missionario di Villamassargia l’accusa chiede la conferma della sentenza di 1º grado






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BOLOGNA. Il processo a don Marco Dessì non si riapre, la sentenza d’appello arriverà il 31 ottobre. C’è la richiesta del procuratore generale Attilio Dardani: conferma del primo grado, 12 anni di carcere per le violenze sessuali compiute sui ragazzi della comunità nicaraguenza di Betania. Più i risarcimenti alle parti offese, che si annunciano pesantissimi. Al magistrato dell’accusa è bastata un’ora: una requisitoria recitata a voce bassa, per respingere con decisione la tesi difensiva del complotto e ribadire che i racconti degli ex ospiti del religioso di Villamassargia sono più che attendibili.
A dimostrarlo, insieme all’esito degli incidenti probatori e la lunga sequenza di intercettazioni telefoniche, la «sofferenza psichica dei ragazzi, che anche a distanza di anni - ha sostenuto il pg - mostrano di aver subìto una ferita destinata a condizionare le loro vite».
Un solo punto interrogativo, un’incertezza nella ricostruzione accusatoria di Dardani che ha finito per coincidere specularmente con quella del pm di Parma: la vicenda di Ricardo Nunez Mena, uno dei ragazzi abusati. Il giovane ha raccontato di aver subìto le attenzioni di don Dessì nell’estate del 1998, quando si trovava a Houston insieme agli altri componenti il coro di Chinandega. I difensori Pierluigi Concas e Massimo Jasonni hanno dimostrato documenti doganali alla mano che non è possibile. La Corte d’Appello - presidente Stefano Valenti, consiglieri Iolanda Ricchi e Alberto Pederali - aveva respinto la produzione della difesa già all’udienza del 16 giugno scorso perché l’acquisizione delle carte è avvenuta informalmente, senza la rogatoria internazionale. Ma agli atti del processo è rimasto comunque il passaporto coi timbri di entrata e uscita che confermano l’errore di luoghi e date commesso da Nunez, sul quale il pg Dardani non ha potuto sorvolare: «Forse si è sbagliato, forse ricorda male», ha tagliato corto l’accusa. Ma su questo episodio, rubricato nel capo d’imputazione, i giudici potrebbero ancorare una riduzione della pena.
Sono altri però gli aspetti sui quali i difensori dovranno lavorare nel corso della discussione: il pg Dardani ha difatti tirato dritto sul contenuto delle intercettazioni telefoniche («una prova fondamentale») e ha puntato il dito sul tentativo di don Dessì di evitare l’inchiesta del Vaticano col pretesto di un tumore ai polmoni. Era stato l’ospedale Sirai di Carbonia a certificare il sospetto che il sacerdote fosse malato, legando la diagnosi ad accertamenti diagnostici apparentemente inequivocabili. Più avanti però, quando il padre della comunità di Chinandega sarà visitato a Cagliari, quel sospetto si dissolve: sano come un pesce. Il pg Dardani ha letto in quest’iniziativa che i difensori ritengono assolutamente innocente una strategia cinica, un modo per dissuadere la Santa Sede dal proposito di andare a fondo sulle denunce di pedofilia avanzate dalle associazioni Solidando e e Rock no War insieme al comune di Correggio attraverso le ormai ex vittime di don Marco. Non solo: è sempre il missionario di Villamassargia che appena richiamato in patria dal Vaticano e sospeso per sei mesi dal suo lavoro in Nicaragua a impegnarsi in una serie di telefonate col suo referente di Chinandega, conversazioni che per l’accusa appaiono inequivocabili. Il prete ordina al suo uomo di fare qualsiasi cosa per fermare l’emorragia di accuse a suo danno, parla di soldi, di sanzioni, di vendetta. E quando si sente dire che quei testimoni scomodi, al ritorno in comunità, non avrebbero avuto vita lunga don Dessì resta muto e con quel silenzio sembra approvare la gravissima minaccia contenuta nelle parole del collaboratore.
Ma in quella fase Don Dessì parla a ruota libera perché - siamo nel 2006 - è convinto che sia solo il Vaticano a indagare su di lui. Invece c’è già la Procura di Parma ad ascoltare i suoi lunghi colloqui al telefono. Colloqui che a giudizio dell’accusa lo incastrano alle proprie responsabilità. Responsabilità gravissime - ha insistito il pg - perché don Dessì si trovava in una posizione di dominio nei confronti dei 170 ospiti della comunità, sfruttava il suo carisma e l’autorità che gli derivava dal ruolo di missionario in Nicaragua, legatissimo ai governanti locali fino al punto da proporre al suo referente a Betania di chiederne l’intervento a sua difesa. «Siamo di fronte a un padre che avrebbe dovuto essere vicino ai ragazzi sofferenti della sua comunità - ha detto Dardani - e che invece sceglie di invadere la loro intimità».
Parlare dunque di complotto quando le prime avvisaglie di quanto avveniva a Betania risalgono a dieci anni prima che partisse l’inchiesta, per l’accusa appare una tesi azzardata: «Già il giornalista Cesare Corda, in una visita alla comunità nicaraguense, s’era accorto delle stranezze che caratterizzavano la vita nella comunità - ha spiegato Dardani - e aveva visto come soltanto certi ragazzi potessero mangiare al tavolo di don Dessì insieme agli ospiti». Perché secondo l’accusa a Betania esistevano livelli diversi di privilegio, legati alla disponibilità dei ragazzi nei confronti del sacerdote: chi ne assecondava le voglie poteva far parte del coro di Chinandega e dunque viaggiare di frequente all’estero - ha ricordato il pg - mentre chi gli stava lontano non aveva alcuna chance di guadagnarsi un premio.
Per il legale delle parti civili Marco Scarpati il comportamento di don Marco rientra nella casistica della pedofilia: «Secondo le più accreditate ricerche scientifiche su questo tema - ha detto l’avvocato - lo 0,7% degli uomini ha tendenze pedofile nei confronti dei ragazzi fra i 10 e i 12 anni. Ebbene, guarda caso nel computer attribuito all’imputato sono state trovate 1400 immagini pornografiche con ragazzi di quell’età. Mi chiedo chi abbia messo le foto nel computer, chi se non don Marco Dessì, considerato che le ultime foto risultano scaricate dalla rete appena poche ore prima dell’arresto». Ma c’è un altro aspetto che per il difensore di parte civile inchioda il sacerdote alle accuse e obbliga la Corte d’Appello a confermare la sentenza di condanna: «Durante l’inchiesta e poi nel corso dei due gradi di giudizio l’imputato non ha manifestato alcun segno di ravvedimento, ma ha opposto un ostinato mutismo. Nessun riguardo per le vittime, nessun segnale neppure per i tanti ragazzi che ancor’oggi sono ospiti della comunità di Betania. Sarebbe stato suo dovere cercare di chiarire, scusarsi per quanto è accaduto, ma non ha mai aperto bocca». Mentre l’avvocato Scarpati parlava don Marco lo guardava impassibile, stretto fra i carabinieri, seduto come una statua nella panca degli imputati. In slenzio, come se quel giudizio, almeno quel giudizio, non lo riguardasse.
La prossima udienza sarà quella della decisione. Parleranno i due avvocati della difesa, è possibile che ai giudici venga sottoposta una richiesta di rogatoria internazionale per i documenti doganali già prodotti: il tentativo è di alleggerire la posizione dell’imputato cancellando almeno uno dei sei episodi di violenza sessuale contestati. Se la Corte d’Appello dovesse concederla, i tempi da qui alla sentenza si allungherebbero. Ma è stato lo stesso presidente ad annunciare i tempi della camera di consiglio, un’anticipazione che la dice lunga sulla disponibilità ad accogliere nuove istanze di rinnovazione del dibattimento.
 
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Pedofilia, sconto in appello
per padre Marco Dessì Don Marco Dessi, il sacerdote di Villamassargia condannato in primo grado a dodici anni di reclusione per violenza sessuale sui bambini della sua missione in Nicaragua, ha avuto uno sconto di pena. Ieri, la corte d'appello di Bologna ha confermato il giudizio di primo grado ma ha ridotto la pena a otto anni Sconto di pena per il sacerdote delle missioni. Padre Marco Dessi, condannato in primo grado a dodici anni di reclusione dal Tribunale di Parma per violenza sessuale sui bambini delle missioni, ha incassato un grande successo. Ieri, la Corte d'appello di Bologna ha confermato il giudizio di primo grado, ma ha ridotto la pena di un terzo e lo ha condannato a otto anni, "perchè gli sono state riconosciute le attenuanti generiche", ha dichiarto il difensore di parte civile. Alla lettura della sentenza, in aula erano presenti solo i suoi familiari che hanno preferito non rilasciare dichiarazioni. "Parzialmente soddisfatto" si è detto, invece, il suo difensore legale, Pierluigi Concas, che ha visto accolta la sua richiesta di una condanna meno severa: "Restano da approfondire alcune questioni di diritto di cui discuteremo in Cassazione", ha dichiarato. Sul fronte dell'accusa, l'avvocato Marco Scarpati, che rappresenta le vittime del sacerdote e le associazioni che si sono costituite parte civile, si è limitato a rilevare che "probabilmente la Corte ha conceso all'imputato le attenuanti generiche".

LA VICENDA. La vicenda ha inizio nel maggio del 2007, quando un gruppo di ex orfanelli del Nicaragua, oggi adulti, ha denunciato per molestie sessuali il prete di Villamassargia. Grazie alle loro drammatiche testimonianze, il Tribunale di Parma ha condannato in primo grado il sacerdote a dodici anni di reclusione.

LE REAZIONI. Dopo la decisione del Tribunale di Bologna che ha ridotto la pena a otto anni, i bambini accusatori del prete accettano la decisione senza recriminazioni. Marlon, l'ex colaboratore di Marco Dessi nella missione di Chinandega, e diventato oggi il suo più grande accusatore, dice: "Non abbiamo mai cercato la vendetta, ma solo giustizia. E l'abbiamo ottenuta grazie ai magistrati italiani. Ottenuto questo risultato, per quanto ci riguarda il sacerdote può uscire dal carcere anche domani. Per quanto riguarda lo sconto di pena, ha detto, ce lo aspettavamo perchè Dessì era incensurato".
 
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La Nuova Sardegna pag. 4
"non è stato un complotto, don dessì stuprava bimbi - mauro lissia"

Data: 21/03/09
Cronaca Locale
Pagina 4 - Sardegna «Non è stato un complotto, don Dessì stuprava bimbi» Agli atti del processo i racconti raggelanti delle violenze sessuali commesse a Betania Dopo lo sconto di pena, la Cassazione MAURO LISSIA
CAGLIARI. La tesi del complotto, una rete di accuse che avrebbe finito per soffocare la resistenza difensiva di don Marco Dessì, non regge alla prova degli atti processuali: a denunciare gli abusi sessuali commessi dal missionario di Villamassargia sui ragazzini della comunità di Betania, in Nicaragua, sono stati testimoni esterni «del tutto estranei ai fatti». Soltanto dopo quelle denunce le indagini della Procura di Parma hanno messo in luce attraverso i drammatici racconti delle vittime una sequenza terrificante di episodi, che dai verbali degli incidenti probatori e degli esami testimoniali emergono affollati di dettagli sconvolgenti. E quando il quadro dei fatti era già definito, è saltato fuori il computer del sacerdote con quelle 1400 immagini pedopornografiche, una sorta di sigillo per un fascicolo d’indagine già ricco di elementi difficilmente smentibili. Infine l’impegno di don Dessì, dimostrato dalle conversazioni telefoniche intercettate, di «neutralizzare con ogni mezzo» chi l’accusava e di cercare una copertura politica «presso persone influenti» del Nicaragua, con chiari tentativi di corrompere la polizia locale «nella consapevolezza della veridicità dei fatti storici che le prove tendevano a riprodurre».
Nella motivazione della sentenza emessa il 30 ottobre dalla corte d’appello di Bologna, i giudici - presidente Stefano Valenti, consiglieri Alberto Pederiali e Iolanda Ricchi - ricalcano punto per punto l’analisi compiuta dal gup di Parma il 23 maggio 2007 ma arrivano comunque a uno sconto della pena da infliggere a don Marco: da dodici a nove anni di carcere. Trovano insomma un punto di equilibrio, com’è spiegato nelle ultime pagine, tra la pena edittale stabilita per i reati commessi e le richieste dei difensori Pierluigi Concas e Massimo Jasonni, decisi fino all’ultimo a smontare una ricostruzione accusatoria basata - hanno sempre sostenuto i legali - su racconti contradditori e condizionati. Ma lo sconto di pena non è stato concesso perchè il missionario più potente del Nicaragua merita le attenuanti generiche, piuttosto per una diversa valutazione sulla gravità - peraltro riconosciuta e confermata - dei fatti addebitati al religioso. Fatti che abbracciano quasi vent’anni di attività di don Dessì nella comunità di Betania a Chinandega, dove un oscuro missionario arrivato dalla lontanissima Sardegna era riuscito a costruire un munitissimo centro di potere, legato alla politica alta e a personaggi in grado di garantire una sorta di immunità a chi lavorava a Betania. Grazie a quest’immunità - risultata poi solo apparente - don Dessì poteva trattare i bambini («soltanto quelli da otto a tredici anni, poi perdeva l’interesse sessuale») come fossero oggetti di piacere a sua disposizione. Il tutto in una comunità dove il privilegio di ambienti comodi, con l’aria condizionata e la tv digitale, veniva riservato al sacerdote. Che agli ospiti - quelli che poi lo denunceranno - offriva cibi prelibati in tavole apparecchiate senza risparmio, mentre i bambini mangiavano «solo riso, quasi sempre contenuto in tegami coperti di mosche».
La motivazione dei giudici di Bologna elenca minuziosamente i racconti delle sei vittime accertate e sono racconti inquietanti. Bambini oggi adulti riferiscono ogni sorta di violenza sessuale, le fasi delle testimonianze raccolte da specialisti sembrano quelle di un film hard: «Io gli dicevo di smetterla - racconta una delle piccole vittime - perchè mi faceva male e lui mi diceva che dovevo stare calmo e continuava, continuava... io piangevo e lui ‘che bello, come mi piace’. E quando non ce la facevo più lui diceva ‘sì, aspetta un attimo che adesso finisco...». Sembra impossibile, ma il protagonista di queste performance agghiaccianti è un prete per anni sostenuto da un’intensa rete di solidarietà internazionale, finanziato da associazioni benefiche italiane, rispettato dal Vaticano che però poi, con apprezzabile dimostrazione di rigore, lo sospenderà dal sacerdozio affidandolo alle cure investigative della Procura di Parma.
La motivazione dei giudici di secondo grado non mette fine al processo ma ne apre la terza parte, che avrà luogo davanti alla Corte di Cassazione. Davanti ai magistrati di piazza Cavour a Roma i difensori si batteranno nel tentativo di accreditare all’imputato un nuovo sconto di pena legato all’interpretazione delle norme e alla validità delle procedure.
 
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http://giornaleonline.unionesarda.ilsole24...rticolo=2334720


Villamassargia Processo al sacerdote
In Cassazione dopo la condanna per abusi sessuali
Domenica 22 marzo 2009

A pproda in Cassazione la vicenda di padre Marco Dessì, il sacerdote di Villamassargia condannato per pedofilia a Bologna. Il suo difensore, avvocato Pierluigi Concas, ha annunciato che impugnerà la sentenza emessa nell'ottobre scorso dalla Corte d'Appello di Bologna. Obiettivo: far ottenere all'imputato almeno un ulteriore sconto di pena.
Per ora, restano comunque agli atti i verdetti dei due precedenti giudizi. Secondo i quali, Padre Marco Dessì ha commesso abusi sessuali nei confronti dei bambini che ospitava nell'orfanotrofio di Chinandega, in Nicaragua. Anche la sentenza di appello, emessa dai giudici di Bologna, ha confermato, dopo quella di Parma, le gravissime responsabilità del missionario, condannato a 12 anni di carcere in primo grado, a 8 anni in secondo. Violenza sessuale ai danni di minori e possesso di materiale pedopornografico (1400 fotografie) i reati che la magistratura ha ritenuto provati, aldilà di ogni ragionevole dubbio. Mentre ha ritenuto inattendibile la linea difensiva adottata dall'imputato, che si ritiene vittima di una congiura ordita ai suoi danni da quei bambini (oggi adulti) che lo accusano di averli sottoposti ad atroci sevizie proprio nel momento in cui erano più deboli e indifesi. Si tratta infatti di minori abbandonati in strada nel Nicaragua degli anni '80-'90. Piccoli, orfani e affamati, che don Marco accoglieva nella missione realizzata a Chinandega con i fondi raccolti in Sardegna e nelle penisola. Ben presto però i bambini si rendevano conto che dovevano pagare a caro prezzo quella ospitalità: il loro benefattore durante la notte li portava nella sua camera e li costringeva a subire umilianti sevizie. Inutili le suppliche dei bambini perché si fermasse, o avesse pietà. Chi protestava veniva espulso dalla missione o perdeva benefici, come far parte del coro e prendere parte a viaggi all'estero per raccogliere fondi.
Queste cose le vittime le hanno raccontate ai giudici di Parma, che hanno condotto l'inchiesta. Confessioni sconvolgenti, rese fra le lacrime: il terrore delle visite notturne, le torture, le minacce per imporre il silenzio, i sensi di colpa che le vittime si portano dentro ancora oggi. Don Marco ha sempre assistito impassibile agli interrogatori, «Durante tutta l'inchiesta, non ho mai sentito la sua voce» dichiarò il Pm Lucia Russo dopo il processo di primo grado. Ma né lei né il Gup Roberto Spanò si limitarono a prendere per buone le accuse delle vittime. Cercarono e trovarono infatti numerose testimonianze proprio fra quei volontari che, in Sardegna e nella penisola, sostenevano la missione Betania. Ma il suggello finale al quadro accusatorio lo diede proprio lui, don Marco, quando, non sapendo di essere intercettato, minacciava di morte i suoi accusatori o si proponeva di corrompere la polizia del Nicaragua per farli arrestare.
LUCIO SALIS
 
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view post Posted on 19/4/2009, 10:19
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Gazzetta di Parma
"Don Dessì: il 27 maggio processo in Cassazione"

Data: 19/04/2009
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Cronaca Locale
CRONACA 19-04-2009
ABUSISESSUALI CONDANNATO A 8 ANNI IN APPELLO

Don Dessì: il 27 maggio processo in Cassazione

II Ultimo atto per don Marco Dessì. Il processo contro il sacerdote sardo - condannato a 8 anni lo scorso 31 ottobre dalla Corte d'appello di Bologna per violenza sessuale su alcuni ragazzi della comunità di Chinandega, in Nicaragua, di cui era responsabile - arriva in Cassazione il prossimo 27 maggio. A giudicare l'ex missionario, sospeso a divinis dal Vaticano, sarà la terza sezione della Suprema Corte.
In primo grado, pur potendo contare sullo sconto di un terzo grazie alla scelta del rito abbreviato, fu condannato a 12 anni dal gup Roberto Spanò. In appello, la difesa del sacerdote - rappresentata dagli avvocati Pierluigi Concas e Massimo Jasonni - che aveva tentato di scardinare il quadro accusatorio, aveva comunque ottenuto una riduzione della pena.
Un'inchiesta complessa, quella condotta dal pm Lucia Russo, partita dopo le denunce, raccolte da alcuni volontari italiani, da parte di sei ragazzi che poi si appoggiarono ad alcune associazioni, come «Rock no war» di Modena e «Solidando» di Cagliari. Sul computer del prete furono trovati 1.442 file pedopornografici, alcuni dei quali scaricati anche due giorni prima dell'arresto, avvenuto il 4 dicembre 2006.
 
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Cassazione. Nuovo processo in appello per don Dessì


La Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 31 ottobre del 2008 che ha condannato don Marco Dessì.

Sarà necesario un nuovo processo di appello. Usciranno fuori da questo processo i fatti antecedenti all'11 agosto 1998, per i quali era necessaria una richiesta del Ministero della Giustizia.

Pertanto è prevedibile che presto don Dessì sarà completamente libero.

Altri aggiornamenti in questi giorni.

http://www.dalpaesedeibalocchi.com/2009/06...in-semiliberta/

giugno 2nd, 2009 at 21:28
Don Dessì presto in semilibertà?
» by Lucignolo in: Senza categoria

la Nuova Sardegna — 28 maggio 2009 pagina 09 sezione: SARDEGNA

ROMA. Ci sarà un nuovo processo d’appello per don Marco Dessì(nella foto), il missionario di Villamassargia accusato di violenze sessuali nella comunità per orfani di Betania, a Chinandega in Nicaragua. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di Bologna del 31 ottobre 2008 – otto anni di carcere – con rinvio a un nuovo collegio d’Appello, ma soprattutto ha cancellato una parte del capo d’imputazione.

I giudici hanno accolto pienamente l’eccezione avanzata dall’avvocato Pierluigi Concas(nella foto piccola) annullando senza rinvio le accuse riferite ai fatti avvenuti prima dell’11 agosto 1998, perchè fino a quella data per procedere contro un cittadino italiano che commette reati all’estero era indispensabile una richiesta del ministero della giustizia, che agli atti del procedimento non c’è. Poi l’articolo 604 del codice penale è stato modificato e la punibilità dei cittadini italiani all’estero è divenuta incondizionata. Ma per i fatti successivi i giudici – in linea con le richieste del procuratore generale – hanno annullato la sentenza perchè sia un’altra corte, sempre a Bologna, a valutare le accuse rimaste in piedi ed eventualmente stabilire una pena congrua. Per don Dessì e per i suoi difensori – oltre Concas, l’avvocato Massimo Jasonni – è una vittoria clamorosa, che riapre una vicenda sepolta sotto due sentenze di condanna. E’ inevitabile che i prossimi giudici bolognesi accordino all’imputato un nuovo sconto sulla pena, se non altro perchè mancheranno nelle carte del giudizio alcuni fatti considerati accertati e comunque gravissimi dai primi giudici. Come dire che per il missionario sessantenne la speranza di acquistare presto almeno la semilibertà è una prospettiva tutt’altro che remota. I motivi del ricorso elaborati dagli avvocati Pierluigi Concas e Massimo Jasonni erano bastati a convincere il procuratore generale, che a conclusione del suo intervento ha chiesto l’annullamento della sentenza. Poi i giudici della terza sezione – presidente Ernesto Lupo – a tarda sera hanno confermato le valutazioni dell’accusa pubblica: il processo di secondo grado dev’essere rifatto daccapo. Don Dessì aveva già beneficiato dello sconto sulla pena accordato dai giudici di Bologna, dopo che quelli di Parma – il processo si è svolto con il rito abbreviato – il 23 maggio 2007 gli avevano inflitto dodici anni di reclusione giudicandolo colpevole di violenza sessuale nei confronti di minori e di possesso di materiale pedopornografico ora il missionario. Già la condanna a otto anni, stando ai calcoli dei difensori, prometteva di fargli ottenere la semilibertà nel giro di due, massimo tre anni. Ora la prospettiva di un terzo giudizio riaccende le speranze del religioso, che ha sempre assistito alle udienze in perfetto silenzio. La data del nuovo processo sarà fissata nelle prossime settimane. – Mauro Lissia

Edited by GalileoGalilei - 18/3/2010, 08:47
 
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Il Papa: don Marco non è più prete
Aveva abusato di minori in Nicaragua

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Marco Dessì era stato condannato per violenze sessuali di stampo pedofilo su bambini in Nicaragua. Ora non è più un prete.

di LUCIO SALIS

Padre Marco Dessì è fuori dalla Chiesa. Il missionario di Villamassargia condannato per abusi sessuali su bambini del Nicaragua è stato cacciato con un decreto emesso da Papa Benedetto XVI, che lo ha “dimesso dallo stato clericale”, e x officio et in poenam, cum dispensatione ab omnibus oneribus e sacris ordinibus manantibus . Aldilà delle solenni espressioni in latino, significa che il sacerdote è stato ridotto allo stato laicale.

IL DECRETO Come recita il decreto (emesso l'8 gennaio scorso dal Sommo Pontefice), Marco Dessì «automaticamente perde i diritti propri dello stato clericale, la dignità e i compiti ecclesiastici; non è più tenuto agli altri obblighi connessi con lo stato clericale; rimane escluso dall'esercizio del sacro ministero né può avere un compito direttivo in ambito pastorale». Quindi, divieto assoluto di celebrare messa e altri sacramenti, di portare l'abito talare e «insegnare alcuna disciplina teologica» perfino "negli istituti anche non dipendenti dall'Autorità ecclesiastica". Fulminato e incenerito. Con un provvedimento inappellabile, emesso dalla più alta autorità di Santa Romana Chiesa. Si pensava che il verdetto del Vaticano arrivasse dopo l'esaurimento dei vari gradi di giudizio presso i tribunali italiani, invece la giustizia della Santa Sede ha bruciato i tempi. Ma c'è una spiegazione. Nel confermare la notizia, un'autorevolissima fonte del Vaticano spiega che l'intervento del Papa è collegato a una vicenda che non lasciava più alcun dubbio sulla colpevolezza di Marco Dessì. Certezza legata alle indagini compiute direttamente dagli ispettori dalla Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio).

LA VICENDA Tutto ha avuto inizio nel 2005, quando una rappresentanza di volontari cagliaritani ed emiliani che lavoravano in Nicaragua (delle onlus Solidando e Rock no war) ha sollecitato l'intervento della Santa Sede per porre fine alle violenze sessuali di Dessì nei confronti dei bambini, in prevalenza orfani, ospiti della missione Betania. La risposta è stata immediata e decisa. Con un atteggiamento di rottura rispetto al passato, quando le autorità ecclesiastiche spesso tendevano a schivare i casi di pedofilia, seppellendoli sotto una coltre di prudenza, che molti bollavano come insabbiamento. Stavolta non è accaduto. Di fronte a una denuncia circostanziata, la Chiesa ha voluto vederci chiaro, ha indagato, e di fronte alla scoperta di una terribile realtà, ha invitato i volontari a rivolgersi alla magistratura italiana. Ma ha fatto anche di più: li ha sostenuti, non solo moralmente, durante l'inchiesta giudiziaria. Un mutamento epocale, che coincide, in buona parte, con l'avvento al pontificato di Joseph Ratzinger. Non a caso, mentre l'iter processuale italiano procede secondo ritmi lentissimi, che rischiano di sfociare nella prescrizione, il Papa ha voluto rimarcare, personalmente, un confine netto fra il missionario condannato per pedofilia e Santa Romana Chiesa. Con un decreto di dimissione adottato, in suo nome, dalla Congregazione per la dottrina della fede.

L'AUTODIFESA Questo non significa che a Marco Dessì non sia stato garantito il diritto alla difesa. La Chiesa non ama le azioni di brusca rottura e ha quindi tentato di venire incontro alla sua pecora nera (sia pure nella misura consentita dai gravissimi fatti emersi nell'inchiesta) con una moral suasion tendente a provocarne le dimissioni spontanee. Tentativo fallito. D'altro canto, il prete di Villamassargia, che pure è assistito da un validissimo collegio di avvocati, non è mai stato un buon difensore di se stesso. Se nei confronti dei magistrati italiani ha tenuto un atteggiamento di chiusura assoluta («non ho mai sentito la sua voce», ha detto il Pubblico ministero di Parma Lucia Russo) non è stato più disponibile con le autorità vaticane. Che hanno aperto nei suoi confronti un processo amministrativo penale canonico , durante il quale sono finalmente riuscite a fargli presentare una memoria difensiva, giudicata peraltro non convincente. Da qui la decisione di promuoverne la dimissione ex officio, e di farlo sapere a tutti gli interessati. Perché sia ben chiaro che la Chiesa non si nasconde e prende nettamente le distanze dal chierico che ha tradito i suoi principi, arrecandole un danno enorme, in terra di missione ma anche in Italia, dove Marco Dessì è conosciutissimo.

LA PUNIZIONE Non è la prima volta che la punizione di un prete pedofilo viene divulgata. L'anno scorso, l'arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori ha inviato al parroco dell'Immacolata concezione di Ginestra Fiorentina una sentenza di condanna, per abusi sessuali su minori, emessa dalla Congregazione per la dottrina della fede nei confronti di don Roberto Berti. Il sacerdote dovrà trascorrere 8 anni in meditazione presso una casa di preghiera lontana dalla diocesi fiorentina. Il parroco ha affisso il documento nella bacheca della chiesa, perché tutti i fedeli lo leggessero. Anche il decreto che priva Marco Dessì dell'abito talare è stato notificato al nunzio apostolico in Nicaragua, monsignor Jean Paul Gobel, perché faccia sapere alla popolazione locale che il fondatore della missione Betania è stato espulso dalla Chiesa cattolica.

LA PUBBLICITÀ Analoga comunicazione è stata inviata ai superiori della confraternita Gesù divino operaio, della quale Marco Dessì fa parte, e alle onlus Solidando (di Cagliari) e Rock no war (di Modena) che, attraverso spettacoli e altre manifestazioni, avevano assicurato al missionario fondi ingenti, creando un autentico movimento in suo favore. Tutta gente che deve essere informata. Compresa la popolazione del Sulcis, dove Marco Dessì aveva raggiunto un altissimo livello di popolarità, tanto da essere considerato una sorta di santo. Per questo, dalla Congregazione per la dottrina della fede è partito un messaggio diretto a monsignor Giovanni Paolo Zedda, vescovo di Iglesias. La Chiesa, insomma, si preoccupa di far sapere di non avere niente da nascondere: chi ha infangato il suo nome presentandosi come ministro di Dio è stato severamente punito. Due copie del decreto sono state inviate anche a Marco Dessì, nel carcere di Saluzzo, dove sta scontando la pena, in un reparto riservato ai detenuti per reati a sfondo sessuale. Gliele consegnerà il vescovo locale, Giuseppe Guerrini. L'ex sacerdote di Villamassargia dovrà firmarne una, per accettazione della condanna. Potrebbe anche non farlo, ma un eventuale rifiuto non cambierebbe il suo destino, ormai segnato. L'unica speranza che gli è rimasta è una riduzione della pena. Probabile, dopo che la Corte di Cassazione ha giudicato prescritti alcuni episodi che gli venivano addebitati e ha disposto la celebrazione di un nuovo processo in Appello. Nel prossimo autunno.

Giovedì 04 febbraio 2010 08.43
 
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Dessì espulso dalla Chiesa
Decreto di Benedetto XVI
Marco Dessì era stato condannato per abusi sessuali su bambini del Nicaragua. Ora non è più prete: un decreto inappellabile del Sommo Pontefice lo ha dimesso dallo stato clericale. Nel maggio scorso la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna per le imputazioni antecendenti l'agosto 1998
Padre Marco Dessì è stato espulso dalla Chiesa. Il missionario di Villamassargia condannato per abusi sessuali su bambini del Nicaragua è stato estromesso con un decreto promulgato l'otto gennaio da Papa Benedetto XVI, che lo ha "dimesso dallo stato clericale" e ridotto allo stato laicale. Per Dessì divieto assoluto di celebrare messa e altri sacramenti, di portare l'abito talare e "insegnare alcuna disciplina teologica", perfino "negli istituti anche non dipendenti dall'Autorità ecclesiastica". Si tratta di un provvedimento inappellabile promulgato dalla più alta autorità di Santa Romana Chiesa a seguito di indagini compiute direttamente dagli ispettori dalla Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio). Un verdetto, quello del Vaticano, che arriva prima della fine dei vari gradi di giudizio dei tribunali italiani, segno che le gerarchie ecclesiastiche non hanno dubbi sulla colpevolezza di Dessì.

La vicenda. Il sacerdote sardo era stato condannato il 23 maggio del 2007 dal gup Roberto Spanò a 12 anni per violenza sessuale su tre ragazzi della comunità di Chinandega, in Nicaragua, di cui era responsabile. Dessì sta scontando la pena nel carcere di Saluzzo in un reparto riservato ai detenuti per reati a sfondo sessuale. Il processo d'appello si era chiuso con uno sconto di pena, dopo che il procuratore generale aveva chiesto la conferma del verdetto di primo grado. A Bologna il sacerdote aveva tentato, attraverso i propri legali, di dimostrare che nulla aveva a che vedere con quelle pesantissime accuse. Avendo scelto il rito abbreviato aveva avuto diritto, come in primo grado, a uno sconto di un terzo della pena. Un'inchiesta complessa, quella condotta dal pm Lucia Russo, che delineò l'immagine di un sacerdote che raccoglieva fondi in tutto il mondo per assistere quei ragazzi di cui poi, secondo l'accusa, abusava. Nel computer di don Dessì furono trovati 1.440 file con immagini pedopornografiche. Materiale che il prete, stando alle imputazioni, continuò a scaricare fino a due giorni prima dell'arresto, avenuto il 4 dicembre 2006. Le indagini partirono dopo le denunce, raccolte da alcuni volontari italiani, da parte di sei ragazzi nicaraguensi che poi si appoggiarono ad alcune associazioni, come Rock no war di Modena e Solidando di Cagliari.

Dessì può tuttavia sperare in una nuova riduzione della pena dopo che la Corte di Cassazione ha giudicato prescritti alcuni episodi che gli venivano addebitati e ha disposto la celebrazione di un nuovo processo in Appello il prossimo autunno. Nel maggio 2009 la terza sezione penale della Cassazione ha infatti annullato senza rinvio la sentenza di condanna per quanto riguarda tutte le imputazioni relative ai fatti precedenti l'agosto 1998. Processo da rifare, invece (annullamento con rinvio alla corte d'appello di Bologna) per gli altri episodi al centro del processo.
(04 febbraio 2010)
 
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view post Posted on 18/3/2010, 08:36
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Pedofilia, "L'ex sacerdote
non deve essere scarcerato"
Il religioso, condannato a 12 anni per abusi sessuali su bambini è stato espulso dalla chiesa, ma secondo l'associazione che fece aprire l'indagine si rischia la scarcerazione per cavilli giudiziari. "Potrebbe tornare in Nicaragua per regolare i conti con i testimoni"

Pedofilia, "L'ex sacerdote non deve essere scarcerato"

L'Associazione Solidando Onlus di Cagliari ha diffuso una nota nella quale esprime il timore che Marco Dessì, ex sacerdote missionario in Nicaragua, torni in libertà. Il religioso, dopo una lunga inchiesta partita proprio da Parma, era stato condannato in primo grado a 12 anni di reclusione, con rito abbreviato, per abusi sessuali su minori accolti nella missione sudamericana affidata alla sua responsabilità. Recentemente era stato espulso dalla Chiesa con un decreto di Benedetto XVI (la vicenda). L'associazione, dalla quale era partita la denuncia degli abusi, teme che Dessì possa essere rimesso in libertà per una serie di cavilli giudiziari e possa, quindi, ritornare in Nicaragua per ''regolare'' i conti con quanti hanno testimoniato contro di lui e con i loro familiari.





http://unionesarda.ilsole24ore.com/Articoli/Articolo/172776

Don Marco: nessun perdono
Trasparenza e rapidità per il preete

Don Marco: nessun perdono Trasparenza e rapidità per il preete DON MARCO DESSI'
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Il caso del prete pedofilo di Villamassargia ha fatto da apripista alla lettera di Benedetto XVI sugli abusi sessuali del clero. Una nota ufficiale inviata dal Vaticano anche a quelli che denunciarono la vicenda.

di LUCIO SALIS

Domani il Papa divulgherà una lettera sulla pedofilia. È destinata a tranquillizzare i fedeli della Chiesa d'Irlanda, dopo lo scandalo, illustrato nel Murphy commission report , per il quale lo stesso Ratzinger aveva pubblicamente espresso «vergogna». Ma, indirettamente, riguarderà tutti gli altri Paesi nei quali è esploso il fenomeno dei preti pedofili. Compresa la Germania, dove schizzi di fango hanno sfiorato la stessa figura del Pontefice, (o meglio, il fratello Georg, direttore del coro di Ratisbona).

TRASPARENZA Ormai è un'onda montante che la Chiesa affronta mostrandosi aperta, pronta a discutere pubblicamente, per arginare l'accusa di aver fatto finta di non vedere anche i casi più scabrosi e di averne insabbiati altrettanti. È in corso una strategia della trasparenza che, insieme a Ratzinger, ha visto scendere in campo cardinali (ultimo monsignor Rino Fisichella) e dignitari della Chiesa abituati a operare in silenzio. Come monsignor Charles J. Chicluna, severo Promotore di giustizia (Pm) della Congregazione per la dottrina della fede (l'ex Sant'Uffizio), capo degli 007 in tonaca, custode dei più scabrosi segreti della Santa sede. Il quale ha addirittura rilasciato un'intervista (tradotta in quattro lingue, la prima e unica che si ricordi) al quotidiano L'Avvenire , in cui ha citato 3000 casi, fra efebofilia, attrazione per adolescenti dello stesso sesso, rapporti eterosessuali e vera e propria pedofilia.

IL CASO SARDO Con una franchezza un tempo impensabile, oggi indispensabile per difendere l'immagine della Chiesa cattolica nel mondo. Per coincidenza di tempi, l'operazione non abbiamo niente da nascondere investe anche la Sardegna. Uno degli ultimi casi di cui si è dovuta occupare la Congregazione per la dottrina della fede riguarda infatti Marco Dessì, l'ex missionario di Villamassargia ridotto dal Papa allo stato laicale dopo aver abusato, per anni, dei bambini del Coro del Getsemani (ancora una volta un coro) nell'Hogar del nino (orfanotrofio) di Chinandega (Nicaragua). Nei giorni scorsi, la Congregazione ha comunicato, con una lettera ai volontari sardi ed emiliani che lo avevano denunciato, di aver cacciato Dessì dalla Chiesa. Una nota ufficiale, intestata Congregatio pro doctrina fidei , sormontata dallo stemma vaticano, numero di protocollo 239/2006-31234, inviata alle associazioni Solidando, di Cagliari e Rock no war di Modena.

IL MESSAGGIO Firmata dal segretario della Congregazione, Luis F. Ladaria, arcivescovo titolare di Thibica, spedita per posta, come quelle che partono dai palazzi di giustizia di tutta Italia. E, a parte un tocco di solennità tipico del mittente (accanto al protocollo: in responsione fiat mentio huius numeri) si nota lo stile burocratico «A riscontro della Sua pregiata…» e sbrigativo col quale si liquida «il signor Marco Dessì, una volta sacerdote della Pia Associazione Gesù divino operaio , condannato per abuso di minori dalla competente autorità italiana». Ma è il significato più profondo della missiva a colpire. Mentre in tutte le parti del mondo la Chiesa cattolica viene accusata di occultare e sopire gli scandali, in questo caso dà testimonianza di aver ricevuto da un gruppo di cittadini una denuncia contro un suo ministro, di aver svolto le opportune indagini e di aver fatto giustizia.

LA CONDANNA Tutto alla luce del sole. Con la necessaria prudenza, ma in tempi accettabili: meno di cinque anni, fra la denuncia e la sentenza. Intanto la magistratura italiana arranca, fra Cassazione e appelli. Dalla lettera emerge inoltre la severissima procedura applicata nei confronti di Dessì, “dimesso dallo stato clericale ex officio et in poenam” con un decreto della Congregazione autorizzato dal Pontefice in persona. Come lo stesso Chicluna dichiarò al cronista (e poi ha confermato nell'intervista ad Avvenire) «nel 10 per cento dei casi, quelli particolarmente gravi e con prove schiaccianti, il Santo Padre si è assunto la dolorosa responsabilità di autorizzare un decreto di dimissione dallo stato clericale». Non si è ritenuto opportuno neppure celebrare un processo penale o amministrativo, com'è avvenuto nel 20 per cento delle vicende su preti pedofili. Per accertare le responsabilità di Dessì, infatti, nel 2005 Chicluna inviò in Nicaragua il suo vice, padre Pedro Funes Miguel Diaz. Al suo rientro, emise un precetto che intimava al prete sardo di tornare immediatamente in Italia, ritirarsi in una casa di preghiera e di astenersi dalla celebrazione dei sacramenti.

LE PAURE Anche oggi il Vaticano teme che, una volta scontata la pena (8 anni), l'ex prete possa rientrare in Nicaragua dove, coi soldi dei benefattori, ha realizzato scuole, ospedali, e istituti di ricovero. Patrimonio di valore che, mentre era confinato in Italia, si premurava di far intestare a parenti. Da qui, l'emissione, il 13 gennaio scorso, di un decreto penale, a pena di interdetto, col quale «per il bene delle anime e per impedire la reiterazione dei delitti denunciati», si inibisce a Dessì di rimettere piede in Nicaragua senza il permesso scritto della Congregazione. Anche l'associazione Solidando, in un comunicato, esprime la preoccupazione che «Marco Dessì possa tornare in Nicaragua per regolare i conti con quanti hanno testimoniato contro di lui e con i loro familiari, già pesantemente minacciati», ma soprattutto «che possa riprendere le sue pratiche illecite ai danni dei minori».

LA MORALE Dopo aver richiamato i termini della triste vicenda, Solidando scrive: «La Santa Sede ci ha incoraggiato nel nostro proposito di denunciare il fatto alla magistratura italiana». Successivamente, la stessa Congregazione per la dottrina della fede ha contribuito all'assistenza dei giovani arrivati in Italia dal Nicaragua per deporre in Tribunale e si è preoccupata di tutelarli al rientro nel loro Paese. Riguardo alla dolorosa esperienza nel paese del centro America, Solidando precisa di aver agito contro Marco Dessì «con il solo scopo di pervenire alla verità e come responsabilità morale nei confronti di tutte le persone che hanno sostenuto e sostengono i nostri progetti».

Giovedì 18 marzo 2010 08.25

Edited by GalileoGalilei - 18/3/2010, 20:03
 
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06/07/2010 -
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Pedofilia: 7 anni a don Dessì in appello

Nuova condanna e rischio prescrizione più lontano per padre Marco Dessì, il religioso accusato di pedofilia. Oggi la Corte d'appello di Bologna si è nuovamente pronunciata, ed ha emesso per don Dessì una sentenza di condanna a 7 anni.

Il missionario sardo era stato arrestato all’inizio di dicembre 2006, con l’accusa di pedofilia, e rinchiuso nel carcere di via Burla. L'inchiesta della Procura di Parma, condotta dalla Pm Lucia Russo, aveva preso il via dopo l'esposto presentato da alcune associazioni umanitarie rappresentate dall'avvocato reggiano Marco Scarpati.
Il sacerdote sardo era stato condannato il 23 maggio del 2007 dal gup Roberto Spanò a 12 anni per violenza sessuale. Il processo d'appello si era chiuso con uno sconto di pena, e lo scorso maggio la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna per le imputazioni relative ai fatti precedenti l'agosto 1998. Ora, la nuova pronuncia dei giudici di appello bolognesi.
 
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14/07/2011 -
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Don Dessì, il processo torna in appello

Monica Tiezzi
La Cassazione annulla per la seconda volta la sentenza di condanna della Corte d'Appello nei confronti di Marco Dessì, l'ex missionario sardo della Confraternita «Gesù divino operaio», accusato di abusi sessuali su alcuni bambini del Nicaragua, e rinvia di nuovo il procedimento ai giudici di secondo grado.
Il nuovo colpo di scena nell'intricata vicenda giuridica è arrivato ieri sera dalla quarta sezione penale della Cassazione, chiamata a giudicare la sentenza di appello che, nel luglio 2010, aveva condannato Dessì a sette anni per abusi sessuali su minori.
La motivazione della Cassazione sarà depositata nei prossimi giorni, ma dal dispositivo della sentenza sembrano essenzialmente tre i punti che, accogliendo le motivazione della difesa, hanno indotto i giudici supremi ad annullare la condanna: il non dovuto risarcimento danni e pagamento delle spese processuali nei confronti di uno dei ragazzi denuncianti, previsto invece dalla sentenza d'appello; la caduta dell'aggravante di atti di violenza su infraquattordicenni; una valutazione errata del computo della pena nella continuazione dei reati.
Il primo punto fa riferimento alla denuncia di una vittima che aveva sostenuto di essere stata molestata durante un tour del coro fondato dall'ex missionario, a Houston, mentre la difesa ha dimostrato, con documenti doganali, che il ragazzo non si trovava negli Usa quando sarebbero avvenuti i fatti. Le vittime quindi avrebbero tutte compiuto i 15 anni all'epoca degli abusi e, anche in considerazione di questo, cadrebbe un'aggravante e sarebbe sbagliato il computo della pena.
«Siamo soddisfatti, la Cassazione ci ha dato ragione», ha commentato ieri sera a caldo Massimo Jasonni, legale di Dessì assieme a Pierluigi Concas.
Marco Dessì, 63 anni, - che nel febbraio 2010 è stato «dimesso dallo stato clericale» da papa Benedetto XVI in seguito all'inchiesta interna del Vaticano - ha atteso la sentenza nella casa di famiglia in Sardegna, dove si trova da circa sei mesi, quando - scaduti i termini della custodia cautelare - ha lasciato il carcere di Saluzzo.
Resterà libero finchè non sarà messa la parola fine alla sua vicenda processuale.
L'inchiesta aveva preso le mosse nel 2006 dalla denuncia delle associazione umanitarie «Rock no war» e «Solidando» - rappresentate dall'avvocato reggiano Marco Scarpati - che avevano raccolto, con show e manifestazioni, fondi per la missione «Betania» di Chinandega gestita da don Dessì, e alle quali erano giunte voci inquietanti sul comportamento del sacerdote.
Le denunce di sei ragazzini - raccolte su dvd da un volontario che si era recato in Nicaragua - erano quindi approdate alla procura di Parma.
La complessa inchiesta del pm Lucia Russo aveva scoperto, tra l'altro, che Dessì aveva archiviato nel suo pc 1440 file con immagini pedopornografiche, scaricate fino a due giorni prima dell'arresto, il 4 dicembre 2006.
Il sacerdote era stato condannato in primo grado il 23 maggio 2007 dal gup Roberto Spanò a 12 anni per violenza sessuale su tre ragazzi, ed era stato rinchiuso nel carcere di Saluzzo. Pena ridotta a otto anni in appello.
La Cassazione però, nel maggio 2009, aveva annullato senza rinvio la sentenza di condanna per tutte le imputazioni relative a fatti avvenuti prima dell'agosto '98, e stabilito che si doveva tornare al giudizio della Corte d'Appello per i restanti episodi. La seconda sentenza dei giudici di Bologna, nel luglio 2010, aveva ulteriormente ridotto la pena a sette anni.
Ora, dopo il secondo pronunciamento della Cassazione, il procedimento torna, per la terza volta, in Corte d'Appello.


http://www.gazzettadiparma.it/primapagina/...n_appello_.html
 
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Bologna, processo a don Dessì
Condanna si riduce a sei anni


Il sacerdote di Villamassargia era stato condannato in primo grado a 12 anni, ridotti a 9 e, dopo un annullamento della Corte Suprema, diventati 7 al secondo processo d'appello. LEGGI L'ARTICOLO COMPLETO SU L'UNIONE SARDA

Ancora uno sconto di pena per don Marco Dessì al termine del quarto processo per gli abusi sessuali commessi su alcuni minori ospiti della sua missione in Nicaragua. Ieri mattina la terza sezione della Corte d'appello di Bologna gli ha ridotto la pena a 6 anni, uno in meno rispetto alla precedente pronuncia di secondo grado che era stata annullata dalla Cassazione. In precedenza il religioso originario di Villamassargia era stato condannato a 12 anni in primo grado e a 9 nel primo processo d'appello, che fu a sua volta annullato dalla Suprema Corte.

Sabato 31 marzo 2012 07:24
 
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