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Don Marco Dessì condannato a 6 anni in Cassazione per violenze su bimbi in missione, Il pedofilo beneficia di sconto per prescrizione. Ecco che vanno a fare certi "missionari"

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GalileoGalilei
view post Posted on 23/9/2008, 22:53 by: GalileoGalilei
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http://stage7.presstoday.com/_Standard/Articles/5657657

Unione Sarda, L' (Nazionale)
"Pedofilia, seconda puntata"
Data: 23/09/2008
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Cronaca Locale
QUOTIDIANO INDIPENDENTE FONDATO NEL 1889

WWW.UNIONESARDA.IT

Edizione del 23/09/2008

L'Unione Sarda

Cronaca Regionale Pagina 108

Pedofilia, seconda puntata

Don Marco e le violenze ai bimbi del Nicaragua
Si riparla del caso del sacerdore di Villamassargia condannato in primo grado per le violenze sessuali ai danni dei bambini del Nicaragua, dove aveva creato una comunità d'accoglienza.
DAL NOSTRO INVIATO
LUCIO SALIS

BOLOGNA Era il padre spirituale di bambini che un padre non lo avevano mai avuto e ne ha abusato. Per questo, Marco Dessì merita i dodici anni di carcere cui è stato condannato dal Tribunale di Parma. A chiedere la conferma della pena è Attilio Dardani, rappresentante dell'accusa nel processo d'appello al sacerdote di Villamassargia, in corso a Bologna. Parla sommessamente, il Procuratore generale, la sua voce si sente appena in quella grigia aula dalle volte altissime dell'antico palazzo di giustizia. Non cerca parole a effetto, nessuna concessione alla retorica mentre rievoca il dramma degli orfanelli dell'Hogar del Niño di Chinandega (Nicaragua). Marco Dessì le ascolta quasi rannicchiato sul banco degli imputati, senza dar segni di emozione. Smagrito, la lunga barba sempre più grigia, le mani giunte, le spalle un po' curve, sembra sentire il peso di un calvario che vive da quel 4 dicembre 2006 in cui i carabinieri gli misero le manette e lo condussero a Buoncammino. Fuori dall'aula, i fratelli, le sorelle lo osservano in ansia attraverso i vetri della porta, per fargli giungere almeno uno sguardo di conforto.
Ieri non era il giorno della pietà, in Corte d''ppello, ma della resa dei conti, per quel prete un tempo considerato quasi santo, in Sardegna e in Nicaragua. Promotore di una missione, Betania, in cui avevano trovato rifugio le vittime innocenti di un paese martoriato dalla guerra. Bambini di strada, soli, affamati. E sono loro oggi, diventati adulti, ad accusarlo di averli sottoposti a violenze sessuali inaudite. Lui, padre Marco, durante il processo di primo grado non si è difeso, non ha pronunciato una parola. I suoi legali, Pierluigi Concas, di Cagliari e Massimo Iasonni, di Bologna, puntano sulla tesi del complotto, (con una memoria scritta che illustreranno nella prossima udienza, fissata per il 31 ottobre).
Ma, per il Procuratore, non regge. Lo dimostrano le circostanze, quasi casuali, da cui è nata l'inchiesta. Il primo a scoprire l'altra faccia dell'orfanotrofio Hogar del Niño, ha ricordato Dardani, è stato, nel 1991, il giornalista cagliaritano Cesare Corda, invitato da Padre Marco in Nicaragua in segno di gratitudine per aver collaborato alla raccolta di fondi destinati alla missione. Appena arrivato, si rese subito conto del tenore di vita, men che modesto, riservato agli orfani, mentre il sacerdote e il suo entourage non si facevano mancare niente. Poi, parlando con i bambini, seppe degli abusi. Prima di ripartire, si consultò con due volontari italiani che lavoravano nella missione, Pignone Carmelita e Angelo Caterina. Quest'ultimo affrontò don Marco, ricevendo come risposta terribili minacce: «Stai attento, posso trovare cento bambini disposti a dire le stesse cose sul tuo conto». Al rientro in Italia, i tre informarono le autorità del Vaticano, ma la loro denuncia provocò solo il trasferimento, per un breve periodo, di padre Marco. Poi, tutto tornò come prima.
Fino al 2005. Quando un nipote di Cesare Corda parlò degli abusi sessuali che si commettevano a Chinandega con Gianluca Calabrese, dentista cagliaritano, socio del gruppo di volontariato Solidando, che trascorreva lunghi periodi lavorando gratis nella missione del sacerdote di Villamassargia. Il professionista rimase sconvolto dalle rivelazioni, ha detto il Procuratore, poi partì per il Nicaragua deciso a compiere un'inchiesta personale. Parlò con Marlon, considerato il principale accusatore del sacerdote, quindi con altri giovani che erano stati ospiti dell'orfanotrofio. Dalle loro parole emerse una realtà sconvolgente. Padre Marco rivolgeva le sue attenzioni, preferibilmente, verso bambini fra gli 8 e i 12 anni. Chi faceva resistenza, veniva emarginato, gli altri ricevevano piccoli doni, ma soprattutto erano ammessi nel Coro del Getsemani. Promozione ambitissima dai piccoli, perché consentiva di partecipare a viaggi all'estero e magari di essere adottati. Il sogno di tutti.
Calabrese registrò in un videotape le sconvolgenti testimonianze e informò l'associazione di volontariato Rock no war, di Modena che, insieme a Solidando, aveva procurato ingenti finanziamenti per Betania. Naque così la decisione di informare il Vaticano. La Congregazione per la dottrina della fede invitò i volontari a rivolgersi alla magistratura italiana, intanto mandò i suoi ispettori in Nicaragua. Al termine dell'inchiesta, intimò a don Marco, pena la scomunica, di rientrare in Italia e ritirarsi a Frosinone, in una comunità di preghiera. Il sacerdote ubbidì, ma non sapeva di essere anche nel mirino della magistratura. Si scatenò allora in una serie di telefonate in Nicaragua (intercettate dai carabinieri) dalle quali emersero la sua preoccupazione di mettere al riparo il patrimonio accumulato a Betania, ma anche minacce di morte (pronunciate da un suo collaboratore) nei confronti degli accusatori. A completare il quadro della sua personalità contribuì anche il ritrovamento, nel computer personale, di 1400 foto pedopornografiche.
Le accuse delle giovani vittime hanno trovato poi conferma nella testimonianza di altri volontari. Sono assolutamente attendibili, ha detto il Procuratore, citando le perizie disposte dalla Procura di Parma. vero - come ha rilevato la difesa di don Marco - che uno dei ragazzi dice di essere stato molestato dal prete durante un viaggio del coro a Houston, mentre si trattava di Miami, ma può essere un errore dovuto allo stress creato dalla testimonianza in tribunale.
Da questa sconcertante vicenda, ha concluso il Procuratore, emerge la figura di un sacerdote che ha causato un vulnus irreparabile ai minori che aveva in custodia e ha fatto poi di tutto per sottrarsi alla giustizia. Come si deduce da un certificato medico, dell'ospedale di Carbonia, nel quale si diagnostica un sospetto di tumore. Nei successivi accertamenti, disposti dalla magistratura a Cagliari, il tumore è sparito.
23/09/2008

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La Nuova Sardegna pag. 6
"don dessì va condannato a 12 anni"
Data: 23/09/08

MARTEDÌ, 23 SETTEMBRE 2008

Pagina 6 - Sardegna

dall’inviato Mauro Lissia

«Don Dessì va condannato a 12 anni»

Per il missionario di Villamassargia l’accusa chiede la conferma della sentenza di 1º grado






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BOLOGNA. Il processo a don Marco Dessì non si riapre, la sentenza d’appello arriverà il 31 ottobre. C’è la richiesta del procuratore generale Attilio Dardani: conferma del primo grado, 12 anni di carcere per le violenze sessuali compiute sui ragazzi della comunità nicaraguenza di Betania. Più i risarcimenti alle parti offese, che si annunciano pesantissimi. Al magistrato dell’accusa è bastata un’ora: una requisitoria recitata a voce bassa, per respingere con decisione la tesi difensiva del complotto e ribadire che i racconti degli ex ospiti del religioso di Villamassargia sono più che attendibili.
A dimostrarlo, insieme all’esito degli incidenti probatori e la lunga sequenza di intercettazioni telefoniche, la «sofferenza psichica dei ragazzi, che anche a distanza di anni - ha sostenuto il pg - mostrano di aver subìto una ferita destinata a condizionare le loro vite».
Un solo punto interrogativo, un’incertezza nella ricostruzione accusatoria di Dardani che ha finito per coincidere specularmente con quella del pm di Parma: la vicenda di Ricardo Nunez Mena, uno dei ragazzi abusati. Il giovane ha raccontato di aver subìto le attenzioni di don Dessì nell’estate del 1998, quando si trovava a Houston insieme agli altri componenti il coro di Chinandega. I difensori Pierluigi Concas e Massimo Jasonni hanno dimostrato documenti doganali alla mano che non è possibile. La Corte d’Appello - presidente Stefano Valenti, consiglieri Iolanda Ricchi e Alberto Pederali - aveva respinto la produzione della difesa già all’udienza del 16 giugno scorso perché l’acquisizione delle carte è avvenuta informalmente, senza la rogatoria internazionale. Ma agli atti del processo è rimasto comunque il passaporto coi timbri di entrata e uscita che confermano l’errore di luoghi e date commesso da Nunez, sul quale il pg Dardani non ha potuto sorvolare: «Forse si è sbagliato, forse ricorda male», ha tagliato corto l’accusa. Ma su questo episodio, rubricato nel capo d’imputazione, i giudici potrebbero ancorare una riduzione della pena.
Sono altri però gli aspetti sui quali i difensori dovranno lavorare nel corso della discussione: il pg Dardani ha difatti tirato dritto sul contenuto delle intercettazioni telefoniche («una prova fondamentale») e ha puntato il dito sul tentativo di don Dessì di evitare l’inchiesta del Vaticano col pretesto di un tumore ai polmoni. Era stato l’ospedale Sirai di Carbonia a certificare il sospetto che il sacerdote fosse malato, legando la diagnosi ad accertamenti diagnostici apparentemente inequivocabili. Più avanti però, quando il padre della comunità di Chinandega sarà visitato a Cagliari, quel sospetto si dissolve: sano come un pesce. Il pg Dardani ha letto in quest’iniziativa che i difensori ritengono assolutamente innocente una strategia cinica, un modo per dissuadere la Santa Sede dal proposito di andare a fondo sulle denunce di pedofilia avanzate dalle associazioni Solidando e e Rock no War insieme al comune di Correggio attraverso le ormai ex vittime di don Marco. Non solo: è sempre il missionario di Villamassargia che appena richiamato in patria dal Vaticano e sospeso per sei mesi dal suo lavoro in Nicaragua a impegnarsi in una serie di telefonate col suo referente di Chinandega, conversazioni che per l’accusa appaiono inequivocabili. Il prete ordina al suo uomo di fare qualsiasi cosa per fermare l’emorragia di accuse a suo danno, parla di soldi, di sanzioni, di vendetta. E quando si sente dire che quei testimoni scomodi, al ritorno in comunità, non avrebbero avuto vita lunga don Dessì resta muto e con quel silenzio sembra approvare la gravissima minaccia contenuta nelle parole del collaboratore.
Ma in quella fase Don Dessì parla a ruota libera perché - siamo nel 2006 - è convinto che sia solo il Vaticano a indagare su di lui. Invece c’è già la Procura di Parma ad ascoltare i suoi lunghi colloqui al telefono. Colloqui che a giudizio dell’accusa lo incastrano alle proprie responsabilità. Responsabilità gravissime - ha insistito il pg - perché don Dessì si trovava in una posizione di dominio nei confronti dei 170 ospiti della comunità, sfruttava il suo carisma e l’autorità che gli derivava dal ruolo di missionario in Nicaragua, legatissimo ai governanti locali fino al punto da proporre al suo referente a Betania di chiederne l’intervento a sua difesa. «Siamo di fronte a un padre che avrebbe dovuto essere vicino ai ragazzi sofferenti della sua comunità - ha detto Dardani - e che invece sceglie di invadere la loro intimità».
Parlare dunque di complotto quando le prime avvisaglie di quanto avveniva a Betania risalgono a dieci anni prima che partisse l’inchiesta, per l’accusa appare una tesi azzardata: «Già il giornalista Cesare Corda, in una visita alla comunità nicaraguense, s’era accorto delle stranezze che caratterizzavano la vita nella comunità - ha spiegato Dardani - e aveva visto come soltanto certi ragazzi potessero mangiare al tavolo di don Dessì insieme agli ospiti». Perché secondo l’accusa a Betania esistevano livelli diversi di privilegio, legati alla disponibilità dei ragazzi nei confronti del sacerdote: chi ne assecondava le voglie poteva far parte del coro di Chinandega e dunque viaggiare di frequente all’estero - ha ricordato il pg - mentre chi gli stava lontano non aveva alcuna chance di guadagnarsi un premio.
Per il legale delle parti civili Marco Scarpati il comportamento di don Marco rientra nella casistica della pedofilia: «Secondo le più accreditate ricerche scientifiche su questo tema - ha detto l’avvocato - lo 0,7% degli uomini ha tendenze pedofile nei confronti dei ragazzi fra i 10 e i 12 anni. Ebbene, guarda caso nel computer attribuito all’imputato sono state trovate 1400 immagini pornografiche con ragazzi di quell’età. Mi chiedo chi abbia messo le foto nel computer, chi se non don Marco Dessì, considerato che le ultime foto risultano scaricate dalla rete appena poche ore prima dell’arresto». Ma c’è un altro aspetto che per il difensore di parte civile inchioda il sacerdote alle accuse e obbliga la Corte d’Appello a confermare la sentenza di condanna: «Durante l’inchiesta e poi nel corso dei due gradi di giudizio l’imputato non ha manifestato alcun segno di ravvedimento, ma ha opposto un ostinato mutismo. Nessun riguardo per le vittime, nessun segnale neppure per i tanti ragazzi che ancor’oggi sono ospiti della comunità di Betania. Sarebbe stato suo dovere cercare di chiarire, scusarsi per quanto è accaduto, ma non ha mai aperto bocca». Mentre l’avvocato Scarpati parlava don Marco lo guardava impassibile, stretto fra i carabinieri, seduto come una statua nella panca degli imputati. In slenzio, come se quel giudizio, almeno quel giudizio, non lo riguardasse.
La prossima udienza sarà quella della decisione. Parleranno i due avvocati della difesa, è possibile che ai giudici venga sottoposta una richiesta di rogatoria internazionale per i documenti doganali già prodotti: il tentativo è di alleggerire la posizione dell’imputato cancellando almeno uno dei sei episodi di violenza sessuale contestati. Se la Corte d’Appello dovesse concederla, i tempi da qui alla sentenza si allungherebbero. Ma è stato lo stesso presidente ad annunciare i tempi della camera di consiglio, un’anticipazione che la dice lunga sulla disponibilità ad accogliere nuove istanze di rinnovazione del dibattimento.
 
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