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Don Marco Dessì condannato a 6 anni in Cassazione per violenze su bimbi in missione, Il pedofilo beneficia di sconto per prescrizione. Ecco che vanno a fare certi "missionari"

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GalileoGalilei
view post Posted on 15/6/2008, 10:00 by: GalileoGalilei
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DOMENICA, 15 GIUGNO 2008

Pagina 6 - Sardegna

Il missionario di Villamassargia condannato in primo grado a 12 anni di carcere

Domani appello per don Dessì

La difesa: «Contro di me una congiura per interesse»



PROCESSO PER PEDOFILIA I fatti sarebbero avvenuti in comunità in Nicaragua



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CAGLIARI. La giustizia terrena l’ha punito il 23 maggio dell’anno scorso con dodici anni di carcere: violenza sessuale su sei ragazzi della comunità Betania, a Chinandega, un paesino del Nicaragua. La Chiesa l’ha sospeso dal sacerdozio e per lui le porte del Vaticano sembrano essersi chiuse per sempre.
Ma don Marco Dessì, missionario sessantenne nato e cresciuto a Villamassargia, non ha abbandonato la speranza in un miracolo giudiziario, una sentenza d’appello che ristabilisca la sua verità: contro di me soltanto una congiura legata a interessi, alla volontà di portarmi via la comunità messa in piedi con trent’anni di lavoro. L’appuntamento-bis coi giudici è fissato per domani mattina a Bologna, il giudizio abbreviato davanti alla Corte d’Appello si apre alle 9 in punto. I suoi fedeli, che restano numerosi e increduli davanti a quanto la Procura di Parma ha accertato, lo aspetteranno davanti al palazzo di giustizia per fargli coraggio. Difficile che don Marco decida di parlare. Ancora più difficile che il suo difensore, l’avvocato Pierluigi Concas, insista perchè lo faccia. Troppo complesso l’intreccio di testimonianze, di incidenti probatori e di conversazioni telefoniche intercettate perchè ogni fatto possa trovare una spiegazione. Se è stata davvero una congiura, è stata organizzata bene. I giudici dell’appello però dovranno riesaminare ogni passaggio di questa storia popolata di orfani e adolescenti sventurati. Finiti, secondo il tribunale di Parma, sotto il controllo intimo del missionario. Un sacerdote a due facce, che raccoglieva fondi e organizzava l’assistenza ai ragazzi ma li usava come oggetti per dare sfogo alle sue inclinazioni sessuali forti. I racconti agli atti del procedimento sono raccappriccianti. Il quadro definito nel processo riporta a violenze sessuali piene, compiute almeno a partire dal 1999: quanto avvenuto prima è prescritto. Poi molestie sessuali ripetute negli anni, con i ragazzi costretti a subire ogni volontà del sacerdote che si autoproclama loro creatore e dominus assoluto. Poi il materiale pedopornografico: nel computer di don Marco sono state trovati 1440 file compromettenti ed è stato il pm di Parma Lucia Russo a confermare che il prete ha continuato a scaricare foto di bambini sino a due giorni prima dell’arresto, avvenuto il 4 dicembre di due anni fa. Infine le intercettazioni, dove l’accusa ha trovato le conferme di una personalità diversa da quella conosciuta e osannata a livello internazionale: don Dessì ha cercato di bloccare l’inchiesta del Vaticano e quella della magistratura ordinando di corrompere chi l’accusava. Nelle conversazioni registrate si parla di tentativi da compiere ai piani alti del potere nicaraguense per annacquare le prove, c’è una sequenza di conversazioni con l’alter ego di don Marco a Chinandega in cui emerge chiaramente un’organizzazione dedita al business più che all’assistenza degli orfani.
Diametralmente opposta la lettura degli atti proposta dal difensore nei motivi d’appello. L’avvocato Concas sostiene che ogni elemento d’accusa contro don Marco ha un’origine precisa: si chiama Marlon Rivas ed è uno dei ragazzi, ora adulto, ad aver subìto le attenzioni proibite del missionario. Lui parla, lui denuncia e gli altri seguono a ruota. Marlon incontra gli altri ragazzi, comunica il proprio disagio, racconta quanto gli è accaduto. Secondo il difensore «tutto ciò fa ritenere che vi sia stato un reciproco influenzamento, prodotto dalla copresenza e interazione fra le presunte vittime nelle situazioni di rivelazione dell’abuso, che prende avvio nel 2005». Il difensore propone dunque la tesi della reazione a catena, le vittime parlano «solo se sollecitate e intervengono comunque dopo una serie di contatti tra i rivelanti ovvero dopo che era noto il contenuto di altrui dichiarazioni». Comunque sia - per l’avvocato Concas - l’accusa va ridimensionata: «Grazie a Dio ci sono stati soltanto dei toccamenti» riferisce il testimone Oscar Ignacio Santos Romero. Così come per i film pedopornografici: solo ricordi sfumati, nessuno che riferisca di averli visti davvero con don Marco. Ma c’è dell’altro, per la difesa: «I racconti degli ipotizzati abusi provengono tutti da soggetti ormai adulti» mentre la consulenza su cui si basa l’accusa è fondata su «strumenti nati per la valutazione di testimonianze rese da soggetti di età minore». Di più: «La letteratura scientifica nazionale e internazionale riconosce l’impossibilità di individuare indicatori specifici di abuso sessuale». E nel processo si parla di fatti accaduti anni prima, in un’arco temporale indefinito che abbraccia almeno tre decenni. Per il difensore nessun tentativo da parte di don Marco di influenzare i testimoni o di condizionarli con le minacce: «Quando parla al telefono - ha scritto l’avvocato Concas nel ricorso - don Dessì si preoccupa soltanto di salvare la comunità di Chinandega». Il testo di una telefonata con l’ambasciatore Coen: «Quanto è accaduto mi addolora per l’amore che ho per il Nicaragua, però non è tanto questo, è che mi immagino che i progetti di Chinandega verranno colpiti e ci metteranno molto tempo per recuperare credibilità, recuperare con i benefattori se se ne va la stima che hanno avuto sino ad ora. Allora più che altro vorrei che lei facesse qualcosa per Betania, per la fondazione Chinandega 2001, per il bene che ha fatto in tanti anni». (m.l)

http://stage7.presstoday.com/_Standard/Articles/4015319

Edited by GalileoGalilei - 22/9/2008, 22:15
 
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