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Posts written by pincopallino2

view post Posted: 27/11/2023, 21:17 Sesso orale per psicoterapia. Suora denuncia p. Salonia: querela tardiva. E il Vaticano punisce il testimone don Dell'Agli - La stanza del peccato
www.insiciliareport.it/2023/11/18/ingiustizia-vaticana-6/

Nelle carte processuali la verità, elusa e falsata dai giudici ecclesiastici, viene neutralizzata e resa irraggiungibile da quelli laici, o civili, della Repubblica dopo che la Procura l’ha attentamente ricostruita e documentata. La tagliola, inspiegabile, del Gup di Roma impedisce la prosecuzione del giudizio, non perchè le accuse siano infondate (anzi, tutt’altro) ma perchè la suora ha presentato in ritardo la querela. Ma come può una vittima denunciare ciò che non sa di avere subìto? Secondo i Pm il termine di sei mesi risultava rispettato: dal momento della scoperta del turpe reato. E’ un nuovo psichiatra a svelare alla paziente l’orrore degli abusi patiti. Tutti gli elementi di confronto tra il racconto della religiosa, le conferme acquisite dagli inquirenti e la difesa di Salonia, indagato e poi imputato – di violenza sessuale aggravata – fino al 28 febbraio 2020, data in cui viene deciso che il “processo non s’ha da fare”
Di Angelo Di Natale il 18 Nov 2023

Nella parte finale della puntata precedente abbiamo focalizzato uno degli elementi centrali del processo per violenza sessuale aggravata a carico di Giovanni Salonia, il frate cappuccino psicoterapeuta, sacerdote e ‘quasi vescovo’ che lettrici e lettori di quest’inchiesta ben conoscono. Iscritto dalla procura di Roma nel registro degli indagati a marzo 2018, processualmente imputato il 7 luglio 2019 con la richiesta di rinvio a giudizio e alla fine non giudicato: non per motivi attinenti alla fondatezza degli elementi di prova ma, unicamente, per improcedibilità. Tardiva la querela della vittima secondo il tribunale di Roma: valutazione diversa rispetto a quella dei pubblici ministeri che incardinano il procedimento e per quasi due anni lo portano avanti svolgendo tutte le indagini del caso e pervenendo alle relative conclusioni.

Sul perché di questo improvviso stop al processo torneremo più avanti. Poiché questa è la vicenda centrale dell’intero intreccio ricostruito partendo dall’assurda sentenza emessa dalla ‘giustizia vaticana’ in ambito canonico-penale, la denuncia-testimonianza della suora finora riportata senza commento nei suoi elementi essenziali richiede alcune brevi considerazioni. Chi segue la nostra inchiesta sa che l’assurda sentenza richiamata è quella contro Nello Dell’Agli, teologo, sacerdote e psicoterapeuta, fondatore della fraternità di Nazareth di Ragusa, dimesso il 19 giugno scorso dallo stato clericale: pena massima prevista dal codice di diritto canonico per i delitti più gravi.

Ho scelto di riportare la testimonianza della suora asetticamente, e offrirla come tale a chi legge prima delle considerazioni che seguono, per ragioni di merito e di metodo.

Essa è infatti il cuore dell’intera spy story e va focalizzata nei suoi elementi intrinseci affinché ciascuno, in piena libertà secondo la propria sensibilità e intelligenza, possa trarre le sue conclusioni in luogo di quelle giudiziarie impedite dalla pesante decisione del giudice che il 28 febbraio 2020 sbarra la strada al processo e alla verità finale che in esso si sarebbe formata.

Per aiutare la libera determinazione di tale convincimento potremo così confrontare la verità della vittima con quella dell’accusato interrogato dai pubblici ministeri il 18 ottobre 2018. Abbiamo visto come le indagini, avviate a marzo dello stesso anno, producano una fitta attività di ricerca, di verifica e di serrato confronto fino all’esperimento di incidenti probatori a marzo 2019. E’ sulla base di tali risultanze che i magistrati inquirenti giungono alle loro conclusioni: gli elementi probatori raccolti sono solidi e più che sufficienti perchè si renda necessario un processo.

La decisione spetta ovviamente al giudice delle indagini preliminari nella funzione di giudice dell’udienza preliminare il quale, però, anziché accogliere o rigettare la richiesta in ragione della fondatezza o meno delle accuse, sceglie una via completamente diversa che uccide il processo non nel merito ma nella sua esistenza funzionale: semplicemente ‘non s’ha da fare’. Vedremo poi le motivazioni di tale scelta alla luce della legislazione vigente e della nuova coscienza, scientifica e sociale, del termine, in Italia brevissimo, concesso alle vittime di violenza sessuale per potere denunciare.

La suora vittima, in terapia, di violenze sessuali: una testimonianza precisa

che Salonia conferma in ogni punto tranne che nell’ammissione dello stupro

Nel merito della denuncia-testimonianza della suora riportata nell’articolo precedente occorre rilevare che essa, alla luce dell’intera gamma dei fatti che abbiamo potuto conoscere e documentare, è interamente attraversata da un’intima coerenza, soggettiva e oggettiva, con ogni tassello dell’intero puzzle.

Suor Teresa (l’abbiamo chiamata così), vittima a soli tre anni d’età, per mano del padre, di gravissimi abusi sessuali dal violento impatto traumatico nella sua sfera emotiva, da adolescente e poi da adulta si immerge nello studio (consegue una laurea importante) e nella vita religiosa. Le ferite profonde di quell’infanzia così brutalmente violata in certi momenti si riaprono nella sua anima e lei, totalmente presa dai voti perpetui della ‘vita consacrata’, cerca di curarle.

Lo psicologo e terapeuta a cui si rivolge è Nello Dell’Agli il quale, per valutazioni professionali e forse anche di comodità relativamente alle località in cui la suora vive ed opera, le consiglia il collega Giovanni Salonia. E così a fine 2008 comincia l’attività di cura del frate-psicoterapeuta nei confronti della suora-paziente. Per la cronaca è l’anno in cui viene riconosciuta la fraternità di Nazareth promossa da Dell’Agli ed è un periodo in cui il rapporto tra i due professionisti, sulla base delle esperienze dirette e delle relazioni intrattenute, scorre normale e sereno.

Abbiamo visto come suor Teresa racconti (nella parte finale – in corsivo – dell’articolo precedente, qui) con dettaglio di date, luoghi e circostanze, la conoscenza che le capiti di fare di Salonia: nel ’98 fugace occasione di presentazione in un convegno, dal 2005 al 2007 frequentazione periodica durante un corso triennale di formazione, poi il primo colloquio da paziente su consiglio di Dell’Agli. Ecco le sue parole in proposito: <<durante la partecipazione al corso triennale, per mie vicissitudini personali, ho parlato con padre Nello Dell’Agli, il quale mi ha consigliato di parlare con padre Giovanni e in quella occasione ho fatto un colloquio. Siamo nel luglio del 2007>>.

Quindi a fine 2008 l’inizio della cura e, dal 2009 al 2013, le violenze sessuali patite con l’inganno perchè esse, nel racconto della vittima, le vengono presentate dal sacerdote come metodi di terapia finalizzati a farle superare il brutale, analogo, trauma subìto da bambina: <<non avevo ancora coscienza degli abusi sessuali che avevo subito all’età di circa 3 anni e mezzo da parte di mio padre quando mi sono rivolta a padre Giovanni tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. All’epoca io mi trovavo a … mentre padre Giovanni si trovava a Siracusa>>.

Dopo quattro anni di tali violenze Salonia, lo deduciamo dal racconto della vittima che nei dati oggettivi egli stesso conferma, decide di porre fine a quell’enormità la quale, nella coscienza dei due protagonisti, equivale a due realtà totalmente diverse. Per suor Teresa, pur nella sorpresa, nell’incredulità, nei dubbi, e nel senso di repulsione provocato dalle ‘terapie’ somministrate dal frate, si tratta pur sempre di metodi di cura la cui accettazione ha la propria ratio, soggettivamente, nella fiducia illimitata riposta nel sacerdote e, oggettivamente, nella specificità del proprio trauma e delle violenze subite da bambina le quali turbano la sua psiche irrisolta di adulta.

Una denuncia-testimonianza lineare, logica, riscontrata, credibile.

Che spiega perchè il frate all’improvviso ponga fine alle sue ‘terapie’

Salonia, dopo quattro anni, vuole porvi fine probabilmente per mettere un punto a quell’orrore che per lui, stando ai fatti ricostruiti dalla religiosa, è solo un rischio dal quale prendere le distanze per poterne meglio controllare, e magari neutralizzarne, la futura emergenza di possibili pericoli.

In proposito è utile soffermarci sulla dettagliata sequenza di forza crescente delle situazioni descritte da suor Teresa. Gli abusi e le violenze sessuali avvengono ripetutamente ad ogni seduta nel corso di quattro anni. Ma solo nell’ultima di queste sedute Salonia si spinge a chiedere e ad ottenere – con l’inganno, con la forza induttiva della sua autorità e il peso della sua credibilità – una fellatio.

In proposito ecco un brano che bisogna tenere presente. <<nel 2012 padre Giovanni – riferisce la religiosa – mi ha proposto durante i nostri incontri di fare delle sessioni pratiche perché io diventassi parte attiva e superassi il disgusto che provavo verso il corpo maschile. Una prima volta mi fece toccare il suo pene, dopo che si era abbassato i pantaloni e gli slip. Era un’attività finalizzata all’esplorazione secondo quanto lui mi diceva, tranquillizzandomi perché io ero molto imbarazzata e tesa. La seconda volta lui mi ha detto di baciarlo sul pene dicendomi che era ciò che io volevo ed io l’ho baciato provando un disgusto indescrivibile. Preciso che questi inviti erano fatti in maniera molto suadente e convincente nonché con modalità rassicuranti spiegandomi che era la terapia. La terza volta mi ha detto di prenderlo in bocca e per convincermi diceva che era ciò che io volevo e di non lasciarmi fermare dalla paura di farlo. Ricordo che quella volta l’ho messo in bocca provando un disgusto incredibile e rimanendo ferma. Ricordo perfettamente di avere avvertito lo stesso odore percepito con mio padre e che solo di recente ho ricollegato agli abusi subìti>>.

Dal racconto della paziente apprendiamo quale sia il suo atteggiamento in quel momento drammatico e sconvolgente: subìre quel rapporto, sopportarlo rimanendo ferma, bloccata da un forte senso di repulsione, oltre che da una istintiva resistenza morale di coscienza, superata però dalla fiducia immensa nel sacerdote-psicoterapeuta. Questo suo stato torpido – di totale rigetto dell’atto, sia pure nella sua accettazione passiva frutto d’inganno – rappresenta un punto di svolta nella strategia del frate. Egli nelle sue aspettative avrebbe potuto trovarsi dinanzi una partner attiva, partecipe, consenziente e corrispondente la quale quindi avrebbe cambiato il corso del rapporto. Si ritrova invece sotto gli occhi una vittima ancora ignara delle violenze che sta subendo e che per lei sono solo un trattamento clinico orribile e ripugnante, accettato come – in una situazione simile a tante altre frequenti – una medicina prescritta dal medico nel quale si riponga piena fiducia, disgustosa ma utile alla guarigione da una malattia. E’ in questo momento che l’aspettativa, e la pretesa, del cappuccino si arrestano. Ha provato ed è andata com’è andata. Egli comprende bene che sarà inutile, ed anche poco appagante, insistere in futuro. Ma soprattutto si rende conto che bisogna fermare, ‘mettere a posto’ e tenere sotto controllo un passato pericoloso che all’esito di quella seduta in fretta chiude.

Perciò comunica alla paziente che ormai è guarita e che non ha più bisogno delle sue cure; le consiglia un diverso psicoterapeuta, una donna che non segue il metodo Gestalt ma brava ed adeguata alle sue esigenze; la rassicura dicendole che lui all’occorrenza rimane disponibile; inoltre mantiene vivo il contatto con la suora e ne caldeggia la prosecuzione; infine la esorta a tenerlo informato sulla nuova terapia.

Ecco in proposito un brano della ricostruzione della vittima: <<ricordo che gli incontri con padre Giovanni sono cessati nel 2013, perché alla fine dell’anno io continuavo a manifestare il mio malessere mentre lui mi diceva che io ormai avevo superato i problemi e non avevo più bisogno di incontri. Lui mi diceva altresì che io gli facevo presente il mio malessere per non essere da lui abbandonata e quindi mi ha indirizzata verso altro psicoterapeuta, dott.ssa … In seguito io di nuovo ho incontrato padre Giovanni ma non ci sono stati più contatti di natura fisica, solo colloqui superficiali. Ricordo che il nuovo psicoterapeuta dott.ssa … mi diceva che i contatti con padre Giovanni erano ancora attivi probabilmente perché voleva controllare in qualche modo cosa io dicessi>>.

Importante, anzi decisivo e illuminante, questo passo del racconto di suor Teresa: <<io ho preso coscienza di quello che mi aveva fatto padre Giovanni in data 11 settembre 2017 perché ero stata malissimo, la depressione era peggiorata ed ero andata da uno psichiatra per avere una terapia adeguata alla mia patologia, il dott… Questi mi chiedeva quale tipo di terapia avessi svolto fino a quel momento e una volta raccontato per sommi capi che era una terapia di tipo corporeo con padre Giovanni, lui disse che conosceva le terapie corporee e, una volta dettagliato maggiormente cosa avveniva, lo psichiatra mi disse che nessuna terapia corporea prevede un tale trattamento fino ad arrivare a toccare gli organi genitali, ma che si trattava di un abuso sessuale commesso nell’esercizio della professione di psicoterapeuta>>.

Non curata ma violentata. E’ il nuovo psichiatra a svelare alla suora

che la Gestaltpsychologie non contempla contatti con organi genitali.

L’abisso di un nuovo trauma dopo gli abusi analoghi subìti da bambina

Quindi, tornando alla fase successiva alla cura-Salonia, nonostante la diagnosi rassicurante del frate, l’ansia, lo stato depressivo e il malessere permangono e così suor Teresa, all’assistenza del nuovo psicoterapeuta, una donna come abbiamo visto, anche su consiglio di costei aggiunge quella di uno psichiatra, diverso dallo specialista dell’istituto Gestalt diretto da Salonia che in passato la religiosa si è trovata a consultare.

E’ proprio questo nuovo psichiatra a svelare le violenze subìte da parte di Salonia. Ciò succede quando, alla ricerca delle terapie giuste contro il malessere, il professionista prima prende atto che il precedente psicoterapeuta (Salonia) è seguace del metodo Gestalt, metodo che dice di conoscere bene, e poi si trova, incredulo, dinanzi al racconto della paziente la quale, a sua precisa domanda (finalmente!) gli spiega in cosa siano consistiti i trattamenti somministrati da Salonia. E’ a questo punto che, senza giri di parole, la mette dinanzi alla verità: nessun metodo corporeo contempla il contatto con organi genitali, quelli raccontati sono solo abusi sessuali commessi nell’esercizio della professione terapeutica.

Da rilevare che a suo tempo, nel 2007, è Dell’Agli a consigliare a suor Teresa lo psicoterapeuta Salonia, quando il primo ha ancora stima del secondo (le prime notizie che lo mettono in allarme gli giungono nel 2012 e 2013) ed è Salonia ad indicare alla paziente il nuovo psicoterapeuta, una donna, dalla quale poi discende il suggerimento dell’utilità della consulenza del nuovo psichiatra.

Da tenere presente anche questo brano del racconto della vittima sulle prime fasi della vicenda. <<durante la frequentazione del corso triennale, per mie vicissitudini personali – dichiara suor Teresa – ho parlato con padre Nello Dell’Agli, il quale mi ha consigliato di parlare con padre Giovanni e in quella occasione ho fatto un colloquio. Siamo nel luglio del 2007. Mi sono rivolta a padre Nello in quanto avvertivo da tempo delle sensazioni di malessere e di stati ansiosi depressivi derivanti da una pregressa sofferenza traumatica che non avevo ancora elaborato consapevolmente e che solo a partire della fine del 2008 ho affrontato, rivolgendomi a padre Giovanni>>.

In questa sequenza di eventi la religiosa è persona che – di fronte a Salonia – si affida e confida in chi ha tutti i requisiti per meritare tale fiducia, e lo fa con intima convinzione, senza dubbi o esigenza di verifiche, né retropensieri, con drastico abbassamento delle proprie difese al punto da non osare pensare mai che una figura come padre Salonia possa farle del male, pur dinanzi al disgusto provato per quel rapporto di sesso orale che lo psicoterapeuta spaccia per terapia utile al suo caso grave.

Ecco perché, solo quattro anni dopo, in un preciso momento – indica anche la data, 11 settembre 2017, giorno del colloquio-rivelatore con lo psichiatra – suor Teresa apprende, comprende e scopre di essere stata violentata e non curata. Perciò, da religiosa e da limpida credente cui sta a cuore davvero il bene della Chiesa, valorizza anche la gravità della notizia della nomina episcopale di Salonia avvenuta sette mesi prima, il 10 febbraio 2017, già risolta con la rinuncia comunicata pubblicamente dall’interessato il 27 aprile ma, nella percezione diffusa e corrente, ancora passibile di revisione: infatti in quel periodo circola sui social, nella stampa soprattutto siciliana e in ambienti ecclesiastici, la petizione lanciata in favore del vescovo in pectore affinchè il Papa non accetti il suo passo indietro: in effetti chi legge sa che è stato proprio il Pontefice ad imporglielo in privato anche se, come documentato, gratificandolo nel contempo di pubblica vicinanza per il gesto ‘generoso’ compiuto nell’interesse della Chiesa.

Suor Lucia, suor Teresa e le altre. La prima – quanto meno – è stata sua amante,

la seconda lo denuncia per violenza, altre quattro-cinque ‘sorelle’

rimangono nell’ombra, ma molti sanno. Abusi o ‘normali’ relazioni sessuali?

Suor Teresa conclude poi la testimonianza parlando della religiosa che, come abbiamo visto, per anni è stata quanto meno amante del sacerdote Salonia (noi l’abbiamo chiamata suor Lucia, qui l’articolo che riporta la sua deposizione): <<anche costei – riferisce suor Teresa parlando di suor Lucia – è stata molestata da padre Giovanni avendo con lo stesso avuto rapporti di natura sessuale mentre costui svolgeva la sua funzione di sacerdote. La stessa mi ha detto che vi erano altre quattro-cinque suore che come lei avevano vissuto la stessa esperienza. La stessa (suor Lucia, n.d.r.) abita a … e non fa più parte dell’ordine religioso>>.

Tornando alla sequenza dei fatti ricostruiti e a quel colloquio dell’11 settembre 2017 con il nuovo psichiatra, suor Teresa si trova a vivere un lancinante dolore nuovo; una nuova sofferenza per il secondo shock doppiamente traumatico, dopo quello che da bambina la segna profondamente e non l’abbandona. Da qui la lettera al Papa perché sappia quale figura rischi di condurre al soglio episcopale e la denuncia all’autorità giudiziaria civile, ovvero quella dello Stato di cui è cittadina: la procura di Roma, competente a perseguire i reati avvenuti nel proprio territorio. E la capitale è tra le sedi in cui nel dettagliato racconto della suora sono avvenute le violenze.

Come abbiamo visto, la denuncia è presentata il 9 marzo 2018. In quel momento la legge vigente stabilisce in sei mesi il termine entro cui una vittima di violenza sessuale possa denunciare. Da suor Teresa il termine risulta rispettato se lo facciamo decorrere dal momento in cui ha saputo e preso coscienza degli abusi. Del resto come potrebbe denunciare ciò che non conosce e come potrebbe chiedere giustizia per qualcosa che ha subìto ma che non sa di aver subìto?

Sul piano giuridico non si tratta di prescrizione, rispetto alla quale vale solo il dato oggettivo del momento in cui un reato sia commesso. Nel nostro caso parliamo del termine dato alla vittima per denunciare: assurdo che sia ignorato il momento della conoscenza del reato subìto e sia considerato solo quello in cui lo stesso sia stato consumato.

Perciò la procura prende in carico la querela e procede nelle indagini, con tutto lo scrupolo e il rigore che il fascicolo documenta. Mai un dubbio, né un rilievo che il termine di legge non risulti osservato. E così un anno e mezzo di attività investigativa, fitta e articolata, produce la decisione finale che giunge il 7 luglio 2019: bisogna processare Salonia, ci sono gli elementi per sostenere l’accusa in giudizio.

Quando il tribunale deve decidere su questo punto, la difesa dell’imputato ne chiede il proscioglimento per due distinte ragioni: la querela è tardiva; il fatto non sussiste.

Il giudice accoglie la prima, non la seconda che è palesemente in contrasto con tutte le risultanze processuali. Ma tanto – l’asserita tardività della querela – basta perché il processo non s’abbia da fare.

Abbiamo visto come lo stop al giudizio non riguardi assolutamente la solidità delle prove nè la fondatezza delle accuse e come l’una e l’altra rimangano, definitivamente, quelle acquisite, vagliate e cristallizzate in sede di indagini preliminari fino alla richiesta di rinvio a giudizio.

Abbiamo anche riferito e analizzato il racconto della vittima. Utilizzando fonti documentali aventi lo stesso livello probatorio e dotate di analoga e omologa pertinenza funzionale dobbiamo ora scoprire quale sia la versione di Salonia.

Il francescano ‘quasi vescovo’ interrogato in Procura il 18 ottobre 2018

Ecco i capi d’imputazione che due pubblici ministeri gli contestano

Il 18 ottobre 2018, dopo sette mesi d’indagini, egli viene ascoltato dai pubblici ministeri e risponde alle loro domande. Per la cronaca appena un mese prima, il 15 settembre 2018, Salonia ha avuto la pubblica ‘assoluzione’ urbe et orbi ad opera del Papa che gli concede la messinscena della foto-opportunity nel giorno in cui la Sicilia che sta a cuore al Pontefice e alla sua chiesa è solo quella di Piazza Armerina e Palermo: ovvero la casa del vescovo, Rosario Gisana, insabbiatore seriale degli abusi del clero in danno di minori, oltre che giudice mendace nel proscioglimento canonico di Salonia nonchè fustigatore dei testimoni i quali, come suor Lucia, dicono la verità; e la casa dell’arcivescovo, Corrado Lorefice, strenuo sostenitore del frate cappuccino accusato di violenza sessuale al punto che non esiterà a dichiarare il falso alla stampa travisando la causale del suo proscioglimento disposto dal tribunale di Roma.

I magistrati informano Salonia dell’imputazione che lo riguarda, relativa al reato di violenza sessuale aggravata nelle fattispecie disciplinate dal primo e secondo comma dell’art. 609 bis del codice penale perché egli <<abusando della propria autorità di professionista psicoterapeuta, oltre che appartenente ad ordine religioso, induceva la persona offesa … a compiere ed a subire ripetutamente atti sessuali. Ovvero abusando dello stato di inferiorità psichica in cui la paziente si trovava in quanto affetta da grave depressione, nel corso delle sedute di psicoterapia le toccava le parti intime, la masturbava, e la faceva sedere sopra di lui simulando rapporti sessuali, la induceva inoltre a toccargli il pene ed a praticargli rapporti orali, in Roma dall’anno 2009 all’anno 2013>>.

I pubblici ministeri – sono due all’opera contemporaneamente – comunicano quindi a Salonia quale sia lo stato del procedimento e le fonti di prova: la querela della vittima, la documentazione da lei prodotta comprendente anche il testo di e-mail e messaggi intercorsi con l’indagato, il verbale di numerose audizioni di persone direttamente o indirettamente informate dei fatti. Rispondendo alle domande Salonia conferma – in maniera puntuale e totalmente corrispondente con le dichiarazioni della parte offesa, nei tempi, nei luoghi e in ogni dettaglio – il rapporto con lei intrattenuto relativamente agli aspetti della conoscenza, della frequentazione, dell’assistenza terapeutica prestata, del malessere della paziente. Il punto di dissenso rispetto al racconto di suor Teresa è uno solo. Salonia afferma di avere correttamente applicato il metodo terapeutico Gestalt che prevede il contatto corporeo e agli inquirenti che lo incalzano spiega in che modo.

<<si, la terapia – dice Salonia – era quella lì, verbalmente ed anche dal punto di vista corporeo … se lei chiedeva un abbraccio… cioè tutto l’aspetto verbale … perché a volte , anche con le parole si può abusare, tutti gli aspetti verbali o corporei avvenivano sempre in questo modo, era lei a chiederlo, chiedeva il permesso, sì, prendevo un argomento, chiedevo a lei il permesso, chiedevo a lei come stava, dicevo di poter interrompere se la cosa dava fastidio, alla fine chiedevo sempre “come è stato aver parlato di questo? Questo abbraccio? Eccetera”. E poi quando si riprendeva la seduta successiva “Che ricordi hai? Come sei rimasta?”, mai, mai, mai, fino a giugno dell’anno scorso, mai lei ha creato un problema, ha parlato di qualcosa di sessuale…>>.

I magistrati seguono con attenzione e vogliono capire: <<quindi …signor Salonia …verbale ha spiegato in che cosa poteva consistere … in quella corporea lei ha parlato di abbracci, erano soltanto abbracci>>?

Salonia risponde: <<no, ci può essere anche della voglia sua di toccare, oppure la richiesta di essere toccata>>. Ne segue questo dialogo.

Pm: <<dica in che cosa consiste questa terapia corporea>>.

Indagato: <<nel fatto che il paziente può chiedere di essere abbracciato, di essere toccato>>.

Pm: <<quindi è il paziente>>?

Indagato: <<abitualmente sempre il paziente perché uno non rischia con paziente abusata, toccarla è un rischio, perché significa essere fraintesi, è chiaro. Per cui il paziente ad un certo punto può sentire il bisogno di un abbraccio, il bisogno di sentire una parte che non sente…>>.

Pm: << e cosa si fa in questi casi? mi fa un esempio>>?

Indagato: <<si, “non sento la vita nel petto” faccio un esempio, o nella pancia, allora uno dice: “prova a mettere la tua mano, che cosa senti?”, il paziente dice: “non sento niente”, “prova a respirare, vediamo cosa senti”, perché sono parti essendo state abusate che sono senza vita. Allora poi uno chiede: “posso mettere la mano sulla tua mano per vedere se cambia?”, la paziente dice: “un po’ meglio”, e poi si può anche chiedere: “e se metto la mano io?”, ma quando si mette la mano si fa innanzitutto per un secondo per vedere che effetto fa, per vedere se effettivamente quel momento è delicato, poi si chiede: “che effetto ti fa? Come ti senti?”, c’è sempre l’attenzione al fatto … la persona abusata, non si possono fare gesti… “Nel fondo che cosa c’è? Nel fondo c’è che un terapeuta, non dico per definizione, ma proprio come esperienza, ha un atteggiamento del prendersi cura, ha un atteggiamento paterno, un atteggiamento nel quale non c’è nessun interesse, nessun motivo di altro>>.

Pm: <<quindi se abbiamo capito bene, questi incontri con suor … si limitavano a questo, a colloqui verbali, a momenti diciamo di contatto fisico come lei li ha spiegati adesso?>>.

Indagato: <<certo, esatto>>.

Pm: <<quindi abbracci>>.

Indagato: <<mai, mai, né a me, né che io sappia ad altri lei ha manifestato fino al giugno dell’anno scorso disagio o un piccolo fraintendimento su qualsiasi abbraccio … “mi ha abbracciato perché …mi ha toccato perché.: tutto questo qua … come se fosse frainteso o fraintendibile”, quindi tutte le accuse, masturbazioni ed altro sono tutte proprio da stravolgimento, mai assolutamente, quelle (Salonia si riferisce al contenuto del capo d’imputazione che gli è stato letto in precedenza, n.d.r.) sono tutte cose inesistenti>>.

Pm: <<quelle cose che le abbiamo contestato noi nell’imputazione non sono mai avvenute?>>.

Indagato: <<no, no, no, io sono proprio contrario>>

Pm: <<non sono mai avvenute? Questo vogliamo sapere>>.

Indagato: <<io sono contrario nel modo di essere, nel mio insegnamento e tutto perché secondo me il sesso non c’entra niente con la terapia, assolutamente, anzi…>> (Salonia non riesce a dire che ‘quelle cose non sono mai avvenute’, risponde di essere contrario e quindi, sia pure implicitamente, la sua risposta equivale a: non sono mai avveute, n.d.r). Il dialogo quindi prosegue.

Pm: <<senta, ma quando è l’ultima volta che lei ha visto ed ha sentito suor..>>?

Indagato: <<ma guardi io non ricordo bene, ma deve essere stato nel giugno dell’anno scorso>>.

Pm: <<perché lei ha citato più volte giugno dell’anno scorso…?>>.

Indagato: <<sì, perché là è successo qualcosa che non so>>.

Pm: <<ora lei ce lo racconta che è successo, però le chiedo, lei da giugno dell’anno scorso l’ha più vista o l’ha più sentita?>>.

Indagato: <<da giugno dell’anno scorso io ho mandato delle e-mail ma lei non mi ha risposto, ho mandato dei whatsapp e lei neppure l’ha letto>>.

Le versioni a confronto. Quella della vittima è coerente con i fatti accertati.

Salonia non sa spiegare perchè la suora da un certo momento non gli risponda più

Il dialogo è fitto, le domande numerose. Gli inquirenti vogliono capire come e perché i rapporti si siano interrotti all’improvviso. Conoscono la versione della querelante, cercano verifiche e riscontri in quella dell’accusato. Che fornisce un dato temporale preciso. La suora, sua ex paziente ma rimasta con lei in contatto per altri quattro anni, da giugno 2017 smette di rispondere e non legge neanche i suoi messaggi.

I pubblici ministeri vogliono capire perché secondo l’indagato. Ma la risposta non arriva. Quindi spostano l’attenzione sul perché dell’interruzione della terapia.

<<guardi – risponde Salonia – non è che si sia interrotta nel senso brusco, è successo che, come le avevo detto all’inizio, io ho pensato di fare il lavoro più duro, di toglierla da questo stato proprio vegetativo quasi, pianto, eccetera, e già a quel punto era riuscita, parlava, il suo corpo danzava, in questi tipi di abusi non c’è mai un progresso … c’è un’altalena. Allora ad un certo punto io pensai, come era nella mia idea iniziale, di poterla affidare ad una terapeuta per un percorso più sistematico>>.

Pm: <<quindi se ho capito bene, e se non ho capito mi corregga, è stato lei a dire a suor … che era il caso di interrompere?>>

Indagato: <<no, di interrompere no, perché poi c’è stato un periodo…>>

Pm: <<oppure di modificare la terapia…>>.

Indagato: <<si, di aggiungere una terapia sistematica con una donna, una terapeuta, e qualche volta anche con me, quasi la forma di recuperare il modello materno ed il modello paterno. Però l’aspetto più … direi puntuale, settimanale, questo lo svolgeva con una terapeuta che non era della mia scuola, però una terapeuta che pur non avendo forse grande esperienza sui traumi però è molto brava, riconosciuta>>.

Pm: <<e suor … era d’accordo, diciamo cosi, di interrompere tra virgolette la terapia con lei e di fare una nuova terapia con una nuova psicoterapeuta donna>>?

Indagato: <<inizialmente cambiare era sempre un po’ difficile, però il mio non era un interrompere e tagliare, perché c’ero sempre alle spalle, lei aveva bisogno, parlava, anche nel Pastoral… un corso nostro …nel 2015, anzi lei era molto sponsor …cioè ha cercato anche le persone, un corso di formazione per preti, frati e suore sugli aspetti teologici ed umani, lei a questo corso era molto interessata … lei si è iscritta, ha fatto tutto, era molto interessata, partecipava, ed ogni tanto come spesso accadeva, perché non avevo molto tempo, saltavo il pranzo per poter dire “come stai?” come non stava, e mai una volta qualche cosa.. che diceva: “sai nessuno mai mi ha detto …”. Ad un certo punto lei stava male perché lei aveva molti disturbi … poi a volte mi dicevano quelli che partecipavano al corso … a volte usciva, piangeva, perché si parlava anche di abuso nel corso, eccetera. Per cui lei scrisse alla direttrice di questo corso, co-direttrice perché sono io il direttore: “ho parlato con la mia superiora, sono un po’ stanca e quindi …e questo siamo seconda metà del 2017 sospendo la partecipazione al Pastoral”>>.

Riassumendo, Salonia ricostruisce così le fasi del rapporto con la suora.

Le fornisce assistenza terapeutica per quattro anni, dal 2009 al 2013 (le date coincidono). Il suo è un caso grave riconducibile all’abuso sessuale subìto, bambina di appena tre anni, dal padre. A fine 2013 inizio 2014 le dice che il lavoro difficile è compiuto e che non c’è più bisogno di lui ma può essere sufficiente l’assistenza di una psicoterapeuta donna, sua collega a lui vicina e a lui legata da collaborazione professionale, non seguace del metodo Gestalt ma brava e adatta alle esigenze della religiosa. Il rapporto tra Salonia e suora Teresa però permane: niente più incontri, né sedute (né nella versione raccontata dalla paziente, né in quella del frate) ma una comunicazione costante ed un buon rapporto testimoniato anche dall’esperienza del corso diretto da Salonia. Non solo lei partecipa, ma lo promuove, cerca i corsisti, è parte attiva. Ma solo nei primi due dei tre anni previsti. Poi scompare e addirittura tronca la sua stessa partecipazione dopo i primi due anni, sprecandoli, perché sta male. E ciò accade a settembre 2017: è Salonia a dirlo, riferendo di averlo appreso dalla psicoterapeuta sua amica che le fornisce anche dettagli significativi: in quel corso si parla anche di abusi e lei cade in una crisi profonda. Questo accade a settembre 2017. Abbiamo appreso dall’interessata (ma Salonia in quel momento non può saperlo) che l’11 settembre 2017 scopre l’orrore delle violenze subìte come paziente dal proprio psicoterapeura. Uno shock sconvolgente come abbiamo visto. E la reazione è una crisi profonda, l’abbandono del corso, il bisogno di giustizia non tanto per sé ma per la Chiesa che ama tanto. Perciò la lettera al Papa (il quale, come abbiamo visto, in privato le esprime solidarietà e le chiede perdono a nome di quella Chiesa che lei difende sinceramente) e in seguito, dopo la volgare provocazione della petizione pubblica con migliaia di firme in favore del frate – che lei ormai, dopo la verità svelatale dal nuovo psichiatra, non può non considerare il suo stupratore – la denuncia all’autorità giudiziaria.

Il sacerdote-psicoterapeuta indagato nega gli abusi e per il resto conferma

ogni sequenza dei fatti. Non conosce i dettagli della denuncia della suora

ma le sue risposte ai magistrati le conferiscono logica e convincente credibilità

Tutto coincide nel racconto della presunta vittima e del presunto violentatore: tutto, tranne l’ammissione delle violenze da parte di questi. Tutto: date, fatti, situazioni, rapporti, percorsi, motivazioni, finalità dichiarate, attività, scelte, avvio e conclusione terapie, contatti, affidamenti a nuovi professionisti. E’ Salonia a dire ai pubblici ministeri di essere stato lui a consigliare alla paziente la psicoterapeuta donna e di averla, da collega, chiamata per avere notizie quando suor … non gli risponde più. Come abbiamo visto è una professionista in piena sintonia con lui. Ma questa collega in un certo momento interrompe la collaborazione in atto con Salonia. E tale momento coincide con quello in cui la suora scopre l’orribile verità. Grazie ad un nuovo psichiatra, diverso da quello (dell’istituto diretto da Salonia) che negli anni precedenti il frate le ha consigliato.

Quando Salonia risponde alle domande dei magistrati non sa esattamente cosa suor Teresa abbia loro riferito nella querela e nelle dichiarazioni successive integrate e supportate dalla documentazione depositata e da molteplici elementi di prova.

Certo è che la sua versione coincide pienamente e puntualmente con quella della suora, eccetto il solo punto delle violenze sessuali ma, anche e particolarmente su questo elemento, fornisce involontariamente elementi di fortissima credibilità all’intera ricostruzione della religiosa, non solo nei termini della verità fattuale oggettiva, ma anche in quelli della sua consapevolezza soggettiva: ha subìto con disgusto quei trattamenti e quei rapporti sessuali perché utili a combattere il suo trauma e perché l’enorme fiducia nel sacerdote-terapeuta le ha impedito di scorgere l’inganno e la violenza.

Per questo anche dopo la decisione unilaterale di Salonia di interrompere le terapie da lui somministrate (ne abbiamo visto il perché secondo la logica degli eventi) la suora continua ad avere buoni rapporti con lui; a seguire le sue indicazioni di farsi assistere da un’altra professionista che gode della fiducia di Salonia; ad informarlo sulla sua situazione e sulla sua attività; a partecipare al corso da lui diretto e, addirittura, a promuoverlo con entusiasmo cercando iscritti. Ad un certo momento però la mostruosa verità emerge, grazie al nuovo psichiatra la cui assistenza su indicazione della nuova psicoterapeuta si rende necessaria perché con la cura-Salonia la suora non è affatto guarita. Ed anzi, al malessere più o meno latente e mai scomparso, all’improvviso si aggiunge la caduta negli abissi di un inferno prima inimmaginabile ai suoi occhi.

Riconsiderando oggi, anni dopo, le dichiarazioni rese da Salonia in procura e soprattutto le domande dei pubblici ministeri appare evidente come costoro, ad ogni dettaglio fornito dal frate cappuccino, tocchino con mano e valorizzino la genuinità assoluta, cristallina, della denuncia della suora. L’ulteriore attività d’indagine negli otto mesi successivi, unita a quella dei sette mesi precedenti e ai molteplici riscontri conseguiti sui vari piani della vicenda, li porta all’unica conclusione possibile: l’accusa è più che fondata, il processo necessario.

Salonia messo in salvo sulla via di fuga dell’improcedibilità. Incomprensibile

la tagliola del Gup che blocca il processo. Come potrebbe una vittima

denunciare una violenza sessuale che non sa (ancora) di avere subìto?

Rimane incomprensibile invece, stante anche la grave carenza di motivazione della sentenza di non luogo a procedere, come il giudice dell’udienza preliminare possa puntare sull’improcedibilità per querela tardiva. Nel racconto – limpido e coerente – della vittima, è palpabile come lei solo l’11 settembre 2017 scopra le violenze subìte. E’ nei sei mesi successivi pertanto che può utilmente denunciarle, come fa. Azione impossibile entro l’assurdo termine postulato dal gup: ovvero il 2014, entro la data compresa nei sei mesi successivi all’ultimo episodio di violenza.

Ma, comunque su questo punto la si pensi, una domanda s’impone: tutto ciò equivale all’assoluzione di Salonia? Addirittura allo smascheramento di calunnie nei suoi confronti e per suo tramite nei confronti del Papa (che – ricordiamolo – in privato chiede perdono alla suora) e dell’arcivescovo Corrado Lorefice secondo la sconcertante sua dichiarazione, nuova violenza contro la vittima di uno stupro?

Tornando al confronto tra indagato e inquirenti, costoro, nel seguito del colloquio, focalizzano due elementi: perché Salonia all’improvviso (dopo la seduta in cui si consuma quel rapporto di sesso orale raccontato da suor Teresa) decide di non curare più la paziente? E perché, al tempo stesso, mantiene per anni contatti frequenti con lei e si agita quando è la suora a tagliare drasticamente i ponti?

Ecco in proposito la sequenza di domande e risposte.

Pm: <<che è successo? E’ successo qualcosa ad un certo punto fra lei e suor … o è successo qualcosa per cui suor … si è allontanata?>>.

Indagato: <<tra me e suor … non è successo niente, soltanto non mi ha risposto>>.

Pm: << non le ha risposto a quelle mail che lei ha detto?>>..

Indagato: <<non è successo niente, non ho avuto nessun messaggio da nessuna parte di un malessere di suor …, perché dicevo quell’aspetto? Volevo anche dire, perchè a volte capita nell’esperienza clinica, raramente capita che quando le persone abusate, questo è un problema clinico, poi fate quello che volete, l’ipotesi che mi sono fatto, perché io mi devo fare un’ipotesi…>>.

Pm: <<no, però mi scusi, io non voglio che lei mi faccia ipotesi, lei mi deve dire nel momento in cui il rapporto tra lei e suor … che era proseguito abbiamo capito fino al 2017 … ad un certo punto si interrompe, e lei dice: “perché suor … non risponde più alle sue mail”, quindi c’è un momento in cui… lei si è domandato perché? Che spiegazione si è dato? E soprattutto se ha fatto qualcosa. Visto che dal 2009 avevate questo rapporto addirittura così …diciamo intenso>>.

Indagato: <<normale>>.

Pm: <<be’ io non so se è normale che uno psicoterapeuta intrattenga questo tipo di incontri, rapporti, mail, non lo so francamente, diamo per scontato che sia così. Io però le chiedo, perché ad un certo punto questo rapporto si interrompe cosi bruscamente? Lei che spiegazione si è dato e se è successo qualcosa>>.

Indagato: <<sto dicendo questo, che non ho una spiegazione>>.

Le domande dei pubblici ministeri e le risposte che Salonia non può dare

Il magistrato non s’arrende e continua a chiedere ancora, presidiando questo punto che in sintesi rappresentiamo così: <<lei, Salonia, per quattro anni ha curato la paziente, per altri quattro ha mantenuto stretti contatti con lei, cosa che appare strana. Quando all’improvviso non le risponde più e tronca con lei ogni rapporto cosa fa, visto che non riesce a darsi, o almeno a darci qui, una spiegazione?>>.

Il tentativo dei due inquirenti (nel dialogo con Salonia operano insieme, uno dei due ha acquisito la testionianza delle suore) non sortisce effetto ma il loro pressing prosegue ed ottiene qualche risultato.

Indagato: <<…una mail (l’ennesima, n.d.r.), ed in una mail ho fatto pure un’ipotesi e lei non ha risposto, allora io ho pensato che per quanto riguarda il processo terapeutico ci sono momenti in cui uno prende le distanze dal terapeuta, però ad un certo punto, perché si tratta sempre di una persona che ho seguito, ho telefonato alla sua terapeuta … e dico: “ma come sta …? Lo sai? Ma ancora viene da te?” perche io ero interessato a sapere se ancora fosse seguita, e lei mi ha detto di sì>>.

Pm: <<le ha detto altro la psicoterapeuta in questa telefonata?>>.

Indagato: <<no, dal punto di vista del discorso di suor… no, mi ha detto però che chiudeva …. (Salonia cita una precisa collaborazione allora in atto con la collega la quale all’improvviso la interrompe, n.d.r)…lei mi disse che non aveva più tempo di seguire questa … per cui smetteva>>.

Pm: << ricorda quando è avvenuta questa telefonata?>>.

Indagato Salonia: <<si, lo ricordo perché è stato o dicembre 2017 o febbraio 2018>>.

Il magistrato sa che quella data è importante e riceve una conferma. La psicoterapeuta non chiama Salonia per comunicargli di interrompere la collaborazione con lui ma lo informa nella telefonata in cui è lui a chiamare lei per chiedere di suor ….. Su questo punto la collega è fredda, non fornisce alcuna notizia, si limita a rassicurare che tutto vada bene: cosa non vera ma la terapeuta è reticente con Salonia perché è successo qualcosa, magari di grave. Quel qualcosa che sconvolge la suora al punto da costringerla a rinunciare al terzo e ultimo anno del corso che per 24 mesi ha seguito con entusiasmo e deve turbare profondamente anche la professionista la quale interrompe la collaborazione, attività di ampia e inevitabile evidenza pubblica, con Salonia. Questi lo apprende a dicembre 2017 o febbraio 2018: sono due riferimenti temporali che è lui stesso a fornire: entrambi sono successivi a quel famoso 11 settembre 2017 che è la data nella quale la suora scopre lo stupro e le tante violenze che ha subìto.

Perciò i magistrati insistono: <<ma lei signor Salonia con tutte le sue pazienti mantiene poi un contatto quando vanno via?>>.

Indagato: <<abitualmente, dipende come vanno via, nel senso… se il lavoro..>>.

Pm: <<visto che lei si occupa di abusi, di queste situazioni…>>.

Indagato: <<a parte che gli abusi durano a lungo, chiaramente se il discorso è chiuso, se sono ancora in corso sapere come stanno lo faccio, certo>>.

Pm: <<ci dice un po’ i nomi di queste suore con le quali lei ha intrattenuto … per un così arco diciamo lungo di tempo … ha intrattenuto… quante altre suore?>>.

Salonia prende tempo, parte da lontano, si manatiene sul generico, dice che sono diverse le suore sue pazienti e quando la domanda si fa stringente, fa due nomi di suore, solo due.

Pm: <<le terapie sono ultimate con loro>>?

Indagato: <<con una sì e con una no>>.

Pm: <<con quale è ultimata>>?

Indagato: <<è ultimata con …, con … è molto rallentata, ci vediamo una volta…>

Pm: <<ma anche loro seguono come è successo per suor … (la nostra suor Teresa, n.d.r.) una terapia parallela alla sua? Nel senso che terminato …>>. Il magistrato vuole sapere se con questa suora si comporti come con il caso oggetto d’indagine nel quale Salonia ha posto fine al proprio trattamento per affidare la paziente ad altro terapeuta, una donna nel nostro caso.

Indagato: <<no, per certi versi la terapia è andata in modo diverso nel senso che non c’è stato bisogno, un po’ hanno avuto difficoltà, ad avere una terapeuta locale>>.

Pm: <<quindi non ce l’hanno?>>.

Indagato: <<non ce l’hanno>>.

Pm: <<senta, ma anche con queste due lei ha svolto l’attività di psicoterapeuta Gestalt, praticamente con le stesse modalità con le quali…?>>.

Indagato: <<è un protocollo>>.

Pm: <<mi riferisco a quella particolarità che è data dal contatto corporeo … quindi abbracci…?>>.

Indagato: <<sì, ma non è soltanto la Gestalt>>.

Pm: <<sì o no, scusi>>?

Indagato: <<siccome lei diceva la Gestalt, questa appartiene alle terapie corporee di cui la Gestalt fa parte ma aggiunge l’aspetto verbale, ma ci sono terapie corporee che fanno soltanto l’aspetto corporeo, dodici scuole in Italia …sono approvate dal ministero …di terapia corporea. La Gestalt invece fa corpo e parola, e sono 14 …>>.

Pm: <<queste che sono approvate dal ministero è evidente che le diamo per assolutamente lecite, ammesse, non sono quelle che ci interessano, noi siamo qui per parlare invece di qualcos’altro… non è che noi facciamo il processo alla psicoterapia Gestalt della quale francamente non ci interessa granché. Senta padre Salonia, quante sono le suore o le pazienti sue che hanno subìto abusi sessuali da bambine, intra familiari o comunque da persone loro vicine che lei ha curato, ha seguito diciamo, che sono state sue pazienti e con le quali ha avuto il medesimo rapporto più o meno che ha avuto con suor…?>>.

Indagato: <<tra laici e suore o solo suore>>?

Pm: <<no, partiamo prima con le suore e poi con i laici>>.

Indagato. <<con le suore ho detto adesso…sono quarant’anni e ricordarle: le più vicine saranno queste due…>>.

Pm: <<ma io spero che non tutte le suore abbiano subito abusi sessuali dal padre perché se no veramente…>>.

Indagato: <<io … è anche vero che ho moltissimi pazienti, quindi nella moltitudine c’è il numero>>.

Pm: <<però di suore insomma… faccia mente locale, negli ultimi dieci anni lei insieme…>>.

Ad un certo punto il frate-psicoterapeuta indagato gioca la carta-Dell’Agli, il testimone sul quale ha scagliato la sua vendetta e che, al contrario, dipinge come

il regista delle denunce delle suore contro di sè. Ma i Pm sanno la verità

Salonia è generico, sta alla larga dai dettagli, dinanzi alle domande che fioccano dice di non potere ricordare. I magistrati vogliono vagliare le potenziali anomalie del racconto che Salonia fa del rapporto con la suora che lo denuncia e puntano sulla comparazione con altri casi. L’indagato in parte appare reticente, in parte conferma, anche senza volerlo, la singolarità del rapporto con suor Teresa e non riesce a dare una sola spiegazione, compatibile con la propria versione, del black out improvviso di ogni comunicazione dovuto al muro eretto, a partire da un preciso momento, dalla religiosa ex paziente.

A questo punto, mentre gira intorno alle domande, Salonia tenta di introdurre nel procedimento la sua ‘verità’ che presenta come un’ipotesi. Che la suora sia caduta vittima della macchinazione ordita da un suo collega, Nello Dell’Agli. Nel far questo parla dell’indagine canonica che ha subìto a marzo e aprile 2017 dopo la quale ha rinunciato all’ordinazione episcopale e, nello spiegare il perché di tale indagine, mentre tenta di ricondurre tutto al movente calunnioso di suoi nemici spinti da invidia per la sua nomina, racconta la relazione sessuale con un’altra suora, ormai ex, quella che in quest’inchiesta abbiamo chiamato suor Lucia. Non la definisce relazione, la derubrica a peccato di qualche momento, ma, anche in questo caso i pubblici ministeri conoscono già la versione dell’interessata, sicchè sgranano gli occhi e aguzzano le orecchie quando sentono e vedono la disinvoltura del frate-sacerdote-quasi vescovo che con nonchalance offre di sé l’immagine di un tombeur de femmes di consumata esperienza o di un sempreverde damerino nonostante i suoi – allora – settantuno anni.

Qui entriamo nella fase già in parte riportata del racconto di Salonia e della sua autodifesa in relazione ad alcuni punti chiave della vicenda: il processo canonico, l’assoluzione combinata, il Papa che lo induce alla rinuncia <<perché ti massacrano>>, i precedenti del procedimento disciplinare dell’ordine degli psicologi per abuso sessuale, la sua supposta influenza alla base dell’archiviazione, il suo asserito spirito vendicativo, ecc…

Quindi, dovendo riferire dei fatti per i quali il Pontefice lo blocca fuori dal soglio episcopale (<<ti massacrano>>) s’imbatte nei suoi rapporti con l’ex suora, sua amante quando lei appartiene con voti perpetui all’ordine religioso, e prova a raccontarla così: << si è presentata una signora di 68 anni dicendo che io l’avevo abusata sessualmente…>>. Salonia dice che si è presentata dinanzi alla commissione canonica presieduta dal vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana che poi lo scagiona del tutto dall’accusa di violazione del celibato. Decisione in contrasto con l’ammissione che un anno e mezzo dopo, ovvero in questo verbale del 18 ottobre 2018 (quando per lui il caso è chiuso e anche il clamore ormai spento) Salonia rende ai pubblici ministeri: <… una mia fragilità di quando ero ragazzo di 30 anni, che ho avuto con questa: che allora era suora e poi è uscita, che aveva .. di sette anni … amicizia e poi c’è stato…>>. Ecco il succedersi di domande e risposte.

Pm: <<ha avuto una relazione con questa signora?>>.

Indagato: <<ho avuto una relazione con questa signora… quando io avevo 30 anni, 40 anni fa, però questo non è un problema, perchè il problema per la nomina dei vescovi non è la fragilità perché può succedere …>>.

Pm: <<scusi Salonia, mi è sfuggito, lei aveva 30 anni, era immagino un giovane sacerdote…>>.

Indagato: <<si, si…>>.

Salonia conferma la lunga relazione sessuale con la suora e cerca di accusare Dell’Agli per il fatto che la religiosa, ormai ex, abbia come terapeuta la moglie di un amico del fondatore della fraternità di Nazareth.

Pm: <<…il dato di fatto che ha un senso in questa attività è che, mi scusi Salonia, ho capito bene o ho capito male? Il fatto della relazione… io la chiamo sentimentale che lei avrebbe avuto quando aveva lei 30 anni e la suora … ne aveva 27… è un fatto vero o falso?>>.

Indagato: <<vero>>.

Pm: <<allora tutto il resto … come è venuto fuori non ci interessa, a noi ci interessa che lei ci abbia confermato che la circostanza era vera, lei ha precisato anche che è stata una relazione consensuale come accade fra uomini e donne, e che quindi … nessun reato, nessuna violenza sessuale, e l’argomento è chiuso, poi le ragioni per le quali è venuto fuori … detto francamente … visto che lei ci dice che è vero … a noi non interessano…>>.

Segue la fase già riferita sull’esito della commissione-Gisana, con la sorpresa dei magistrati quando Salonia, rispondendo alle loro domande, chiarisce che non esiste un solo rigo di provvedimento scritto che lui abbia visto e che la notifica di quella che egli definisce la propria piena ‘assoluzione’ gli è stata fatta con una telefonata dal Papa. Così funziona la ‘giustizia’ dello Stato sovrano di Città del Vaticano e della Chiesa cattolica nel mondo!

A questo punto si torna a suor Teresa e alle accuse di violenza sessuale. Riassume il Pm: <<quindi lei dice … interrompo nel 2017, io le mando una mail, suor … non mi risponde…>>.

Indagato: <<al che ho pensato che avesse parlato con Nello Dell’Agli perché…>>.

Pm: <<le ha scritto una mail, gli ha chiesto: “Perché non mi rispondi?”>>.

Indagato: <<si, “hai per caso parlato con Nello Dell’Agli?” perché era l’unica ipotesi che potevo fare io, non c’erano altre allora…>>.

I magistrati chiedono perché pensi a Dell’Agli e la risposta è che suor … da un certo momento ha smesso di mettere like sul profilo fb di Salonia mentre li metteva su quello di Dell’Agli: <<è un’ipotesi – precisa Salonia – …io non ho nessun fatto: è un’ipotesi, siccome la domanda era “che ipotesi fa?”>> (in effetti non risulta alcun profilo fb di Dell’Agli: probabile che Salonia si riferisca a quello di persone che egli reputi vicine o in contatto con il sacerdote-psicoterapeuta, n.d.r.).

Così si esprime Salonia dinanzi ai magistrati il 18 ottobre 2018. Eppure, da un anno e mezzo, ed ancora in quegli stessi giorni, sui social e sulla stampa la sua tambureggiante e influente claque, alimentata dal circuito di interessi che abbiamo visto, e ambienti dell’arcidiocesi di Palermo diffondono una colossale fake che tutta la stampa prende per buona: contro Salonia una calunnia ordita da Dell’Agli. Ma questa tesi è oggettivamente e documentalmente falsa: e ora a confessarlo è lo stesso indagato che sta nel cuore dell’arcivescovo Lorefice, primate di Sicilia.

Ma quando si tratta di sciogliere gli altri nodi, gli inquirenti mentre hanno Salonia di fronte (non sono certo giudici come quelli guidati da Gisana o come lo stesso vescovo di Piazza Armerina) non riescono a farlo entrare nel merito nè a riceverne un solo elemento fattuale, perciò trovano campata in aria la sua difesa.

Pm: <<però la storia era già uscita Salonia… (l’indagato ha riferito prima le notizie di stampa del quotidiano FarodiRoma a firma del vaticanista Antonio Grana e delle altre testate fin da marzo 2017 sul supplemento d’indagine che blocca la sua nomina a vescovo, n.d.r.), se lei mi dice che questo giornalista ha scritto queste cose, sull’uscita lei mi dice più o meno siamo ad aprile 2017, mo’ insomma lei capirà che la sua ipotesi è rispettabilissima, però non è solo suor … che ha letto l’articolo e tutto, e dopo quello che è accaduto, il procedimento amministrativo a suo carico, cioè voglio dire diciamo che suor … quello che è accaduto a lei può averlo appreso in tanti modi, non … necessariamente da…>> (il riferimento è a Dell’Agli, n.d.r.).

La storia con l’ex suora-amante. Salonia ai Pm: è vera, era suo diritto denunciarla dopo la mia nomina a vescovo. Ma intanto ha mentito in pubblico, ha dato della calunniatrice alla religiosa e ha accusato Dell’Agli (‘colpevole’ solo di verità)

Salonia cerca allora di recuperare e racconta la vicenda delle azioni contro la fraternità di Nazareth, ribaltandola: <<dell’Agli si è convinto che è colpa mia – questo il senso – e ce l’ha con me>>.

Ma il procedimento del 2015 si è chiuso, ne abbiamo già rilevato l’indicativa sequenza temporale nel quale esso viene attivato (subito dopo la rottura nel 2014 dei rapporti professionali tra i due sacerdoti psicoterapeuti, voluta da Dell’Agli per le ragioni che abbiamo visto) e in quel momento, ottobre 2018, è solo Salonia a sapere della nuova potente ritorsione avviata contro la fraternità di Nazareth attraverso la lettera del 18 agosto 2018 al segretario della congregazione per gli istituti di vita consacrata Josè Rodriguez Carballo il quale solo il primo dicembre successivo (qui siamo al 18 ottobre) informerà il vescovo di Ragusa, mentre i provvedimenti pesanti scatteranno dal 2019 con il commissariamento.

Abbiamo visto, anche in atti documentali e sequenze dettagliate, come a muovere la ritorsione siano gli interessi di Salonia contro Dell’Agli ‘colpevole’ di testimonianza. L’influente cappuccino nega la propria responsabilità e però ne attribuisce una uguale e contraria al collega, a suo dire mosso dal fatto che egli creda erroneamente che il persecutore della fraternità di Nazareth sia lui. C’è un problema però: due suore hanno reso una denuncia-testimonianza, soggettivamente drammatica e dolorosa, oggettivamente tutta verificata e verificabile nel merito sul piano della realtà dei fatti. Il resto è fumo negli occhi.

Esaurita questa digressione, i magistrati tornano sulla relazione sessuale di Salonia con la suora … la nostra … suor Lucia.

Pm: <<senta, a proposito della … volevo una precisazione, ma questa, la vostra relazione quando è iniziata? Quando lei era suora ha detto, ho capito bene?

Indagato: <<nel ’77-’78, però io ero già sceso in Sicilia, quindi è una storia cosi…>>.

Pm: <<si, ma aspetti un attimo, lei quando l’aveva conosciuta? L’ha conosciuta quando era suora o la conosceva già da prima?>>.

Indagato: <<la conoscevo quando stava diventando suora>>.

Pm: <<in che circostanze vi siete conosciuti?>>.

Indagato: <<perché io andavo in questo istituto a via…c’era una casa famiglia allora>>.

Pm: <<quindi la donna era in casa famiglia allora?>>.

Indagato: <<no, aspetti un attimo, c’era una casa famiglia e c’erano anche le suore, e c’erano alcune che diventavano suore, però stiamo parlando del ’73…>>.

Pm: <<però scusi la …quindi quando lei la conosce era in questa casa famiglia ma non era ancora suora?>>.

Indagato: <<no, no>>.

Il magistrato chiede quindi se anche la suora per anni amante di Salonia, a dire di questi, da bambina fosse stata sessualmente abusata dal padre o da figure familiari, poi torna sulla sequenza temporale dei fatti.

Pm: <<senta, quanto è durata la relazione?>>.

Indagato: <<adesso … due anni, però chiamarla relazione è relativo perchè io non stavo a Roma ed allora venivo …stavo in Sicilia venivo a Roma di tanto in tanto…>>.

Pm: <<diciamo, scusi Salonia, perché mo’ insomma … allora noi abbiamo capito, e pare che quello che ha raccontato la …è stata pure oggetto di questo procedimento amministrativo, quindi ho motivo di pensare, io non ho gli atti ovviamente che ha il Vaticano, ma ho motivo di pensare che la … abbia raccontato la verità, siccome lei ha detto: “Effettivamente un rapporto, una relazione c’è stata”, quindi i tempi non è di poco conto … che lei ci dica i tempi di questa relazione, lei dice due anni circa?>>.

Indagato: <<si, adesso io … ripeto…>>.

Pm: <<è durata solo finchè lei era suora, lei lo sa che non è più suora, si?>>.

Indagato: <<si, no, è uscita>>.

Pm: <<quando avete interrotto i vostri rapporti definitivamente? Intendo dire che non avete avuto rapporti sessuali, Salonia?>>.

Indagato: <<allora… i rapporti sessuali …credo dopo due anni>>.

Pm: <<due anni, ma se lei mi dice ’77-’78 io devo presumere che i rapporti, la relazione, in senso di rapporti sessuali con questa … ci sono stati fino all’81… possiamo dire?>>.

Indagato: <<orientativamente… però poi continuavamo a vederci in un clima di vecchi amici diciamo, tant’è vero che lei ad un certo punto mi chiese perdono perché lei era stata quella che aveva iniziato e mi chiese perdono>>.

Pm: <>.

Indagato: <<ed io gli ho detto che non c’era da perdonare, tutti e due eravamo … non l’ho accettato questo, ho detto che tutti e due eravamo sullo stesso…>>.

In proposito il racconto dell’ex suora è diverso: secondo lei fu Salonia a metterle gli occhi addosso al punto da avere chiesto alla madre superiora di poter fare esercitazioni di psicoterapia su di lei e da dichiararle di amarla sinceramente e profondamente (qui). Ma è ancora più stridente il contrasto tra l’ammissione piena di Salonia di questo lungo rapporto che costituisce certamente violazione degli obblighi del celibato ai sensi del codice di diritto canonico e la decisione della commissione-Gisana che, proprio nell’istruttoria avente ad oggetto tale violazione, lo scagiona totalmente falsando un dato oggettivo di verità segnalato dall’ex religiosa amante di Salonia, dileggiata dai giudici canonici guidati dal vescovo di piazza Armerina i quali ne riducono la testimonianza a ‘emotivo florilegio di pettegolezzi e calunnie’.

Pm: <<insomma lei in questo percorso… era in casa famiglia a … poi è diventata suora. Poi ovviamente la …ha raccontato la storia del rapporto con lei, ed ovviamente ha scritto al Papa>>.

Indagato: <<certo, era un suo diritto…>>.

Pm: <<salonia era prevedibile questo…>>.

Indagato. <<ma io non mi sto lamentando…>>.

Pm: <<no, ma io da questo punto di vista credo che sia coerente il suo racconto, quello che ha fatto la … è coerente che abbia ritenuto … avendo appreso che lei era stato proposto come vescovo ausiliare di Palermo, è ragionevole che la …si sia posta qualche domanda….io prendo atto dei fatti, ha un senso che lo abbia comunicato al Papa quando la volevano …nominare vescovo>>.

Salonia ammette quindi la lunga relazione sessuale con la suora, riconosce che sia legittimo ed anche logico che ella abbia ritenuto di informare il Papa in occasione della sua nomina a vescovo ma da un anno e mezzo egli per primo, non da solo ma insieme ad un folto stuolo di sostenitori guidati dall’arcivescovo di Palermo Lorefice, negano i fatti, gridano al complotto, bolla come calunniose le drammatiche verità segnalate da un’ex suora (lunga relazione sessuale) e da una suora (violenze sessuali) e mette nel mirino il presunto mandante di tale macchinazione, il sacerdote Nello Dell’Agli il quale, al contrario, è vittima di Salonia (nel 2015 e, ben più pesantemente, lo sarà dal 2019 in poi) per avere reso testimonianza in modo non contrastante – c’è da presumere – con la verità delle due religiose che sono e rimangono le persone direttamente informate dei fatti.

L’indagato: “sono stravolto perchè di che sta parlando non lo so”. E’ tutta qui

la risposta sulle violenze denunciate in dettaglio dalla suora: nel merito nulla.

L’interrogatorio vira quindi nuovamente sull’altra vicenda, quella delle denunciate violenze sessuali da parte di suor Teresa, oggetto del procedimento. E a questo punto i magistrati danno lettura di un documento in cui è ulteriormente descritta la sequenza dei rapporti tra la presunta vittima e il presunto stupratore.

Pm: <<la domanda è qual era il motivo secondo lei che avrebbe scatenato ed avrebbe…suor ..a presentare una denuncia… lasciamo perdere dove ricostruisce gli incontri, eccetera, dove descrive la parte relativa agli abusi. Allora, guardi, suor … esordisce cosi…>>.

Il magistrato quindi legge a Salonia un brano di documenti giudiziari in cui sono rappresentate le accuse.

<<“Già dal primo incontro avvenuto il 13 febbraio 2009 la terapia si presenta molto corporea, caratterizzata da numerosi contatti fisici, quali abbracci e carezze, giustificati da padre Salonia in maniera particolareggiata. Secondo padre Salonia infatti dette tecniche avrebbero rappresentato il modo ideale per superare l’abuso subito, come peraltro testimoniato dall’addotta guarigione di precedenti pazienti. Padre Giovanni prende la scrivente in braccio, la coccola come fosse una bambina, il comportamento fisico viene accompagnato da un linguaggio altrettanto affettuoso, con l’utilizzo di appellativi come “Piccia e la sua bambina”, sconosciuto alla scrivente. Linguaggi e gesti che la sottoscritta apprende per la prima volta e che le vengono descritti in quel contesto come indispensabili per superare il trauma. Con il passare del tempo il trattamento continua nel modo indicato, si intensifica progressivamente, fino a tradursi in comportamenti sempre più invasivi. Nonostante le rimostranze e le perplessità iniziali esternate, la scrivente però non si oppose a dette pratiche, totalmente soggiogata dal ruolo di psicoterapeuta di padre Salonia sul quale … la sottoscritta riponeva grande e cieca fiducia, sulla quale proietta l’immagine del padre affettuoso mai avuto. Soccombe all’affettuosità del contesto ignorando il lato prepotentemente fisico che di seguito specifica: lo psicoterapeuta oltre ad effettuare diversi massaggi ed accarezzamenti delle zone erogene della sottoscritta la invita al contempo ad esternare le proprie sensazioni, arrivando a compiere vere e proprie masturbazioni. La costringe a baciarlo sulle labbra prendendole il volto con forza, a muoversi come un animale, e vedendola immobile e spaventata con tono suadente e persuasivo, la invita a fidarsi, a prendersi quello che lei voleva. Le si sdraia addosso inducendola a simulare un vero e proprio rapporto sessuale, e terminato l’approccio si reca immediatamente ai servizi igienici. La invita a toccarlo calandosi i pantaloni e la sollecita a palpeggiare il suo membro, invitandola a dargli un bacino… “dai che è quello che vuoi”, fino ad arrivare al rapporto orale. Come se non bastasse propone addirittura dei laboratori, in cui la sottoscritta deve dimostrare di essere attiva ponendo in essere con lui vari palpeggiamenti, strusciamenti e simulazioni di rapporti sessuali, e quando la sottoscritta cerca di opporre resistenza, dubitando legittimamente della validità terapeutica di tali pratiche viene subito messa a tacere e rimproverata. Padre Giovanni a quel punto usa parole forti: “sono io il terapeuta, decido io cosa è utile, non è necessario che tu capisca, se non lo fai poi non chiedermi più di aiutarti”, ammorbidite machiavellicamente da espressioni affettuose. La situazione precipita fino a che nell’ottobre 2013 padre Giovanni decide di interrompere la terapia adducendo motivazioni del tutto prive di contenuto, la scrivente tuttavia non se ne distacca perché ancora legata ad un apparente sentimento di stima nei confronti del terapeuta che gli aveva fatto dimenticare il padre maligno regalandogliene uno nuovo ed affettuoso”>>.

Pm: <<dopodiché … io ho dato lettura di un pezzetto perché ascoltando un piccolo passaggio di quello che suor … ha scritto, ecco, diciamo che forse l’aiuta a riflettere se c’è, secondo lei, una spiegazione che non sia quella che lei già ci ha dato, cioè che ha parlato mi pare che ha detto con Dell’Agli>>.

Indagato: <<la prima cosa che dico è che sono stravolto perché veramente di che sta parlando non lo so. Quello che succede è questo, che in alcuni casi i pazienti curati nella fase della convalescenza se incontrano qualcuno che è contro il terapeuta che è di un altro modello oppure è nemico del terapeuta stravolge quello che è successo, cioè crea una rilettura totalmente stravolta, per cui chiaramente tutto diventa una rilettura che è contraria a quello che è successo…>>.

La reazione di Salonia all’enormità di queste accuse così dettagliate è tutta qui. Appena poche parole per dirsi <<stravolto … perchè veramente di che sta parlando non lo so>>. In effetti premette <<la prima cosa che dico è …>> ma non dirà mai nient’altro, solo questa generica, sommaria e fuggitiva smentita appena accennata.

I magistrati proseguono così.

Pm: <<se è nemico lei ha detto… ma se suor … ha continuato con lei fino al 2017…>>

Indagato: <<…Allora non ci siamo spiegati, quello che voglio dire io è: perché suor … da giugno 2017 ha riletto dieci anni di storia in questo senso? Cioè come si fa a pensare che per dieci anni lei era addormentata, aveva 50 anni, parlava male di gente, non gli è venuto mai il sospetto, mai l’ipotesi che qualcosa non funzionasse? Ma dico, ma stiamo parlando di una bambina? Ecco perché io ricorro all’esperienza clinica che a volte le persone che sono state abusate dopo il trattamento, se sono in convalescenza, ed incontrano…>>.

Pm: <<la mia domanda è sempre quella, perché suor … doveva accusare lei di queste nefandezze? Scusi eh, che motivo personale poteva avere?>>.

I pubblici ministeri che interrogano Salonia sono due e non di rado interviene il legale di Salonia, ma per gli inquirenti il punto centrale è sempre la non credibilità della tesi secondo cui dietro le suore che denunciano ci sia qualcuno.

Pm: <<non è casuale (si rivolge al difensore di Salonia, n.d.r.) che io lo chieda a lui. Allora, perché questo rapporto che ha questa evoluzione, queste caratteristiche tra lei e suor … ad un certo punto suor … arriva al punto di manifestare e riferire, perché è evidente che queste cose le ha riferite Salonia, prima di andare dai carabinieri a fare la denuncia querela con un avvocato … è evidente che di queste cose lei ne ha parlato in primis, come lei immaginerà, con la psicoterapeuta (quella che le ha consigliato Salonia quando ha deciso di interrompere i propri trattamenti perché a suo avviso non più necessari, n.dr.) e con il suo psichiatra, è ovvio, no? E’ scontato questo. Allora, perché ad un certo punto questa suor … che apprendo oggi, io neanche lo sapevo, è laureata in…, quindi non è proprio una persona stupida, e culturalmente attrezzata, apparentemente, lei è un sacerdote, lei una suora, ma che motivi avrebbe di accusarla, calunniarla diciamo, accusandola di queste nefandezze? Perché ad un certo punto si sveglia e dice: “Non solo io ho subìto queste cose ma io ritengo di doverle anche denunciare”. Ecco, se ho capito bene lei dice: “Sicuramente ha avuto rapporti con Dell’Agli”…>>.

Indagato: <<o con qualcuno, perchè la domanda è un’altra, perché dieci anni una persona che è laureata in …, ha 50 anni (le asserite violenze riguardano un periodo in cui la religiosa ha da 42 a 46 anni; 50 anni circa è l’età nel momento della denuncia, n.d.r.), eccetera mai percepisce che il rapporto era inquinato, non era terapeutico, e lo percepisce dopo anni …..>>.

Abbiamo esaurito lo spazio di questo sesto articolo in gran parte dedicato alla versione di Salonia così come resa agli inquirenti il 18 ottobre 2018 sui fatti oggetto del processo che lo ha visto imputato: è l’unica possibilità che abbiamo poichè al nostro invito, relativamente alla presente inchiesta, non ha risposto.

Ci sarà bisogno pertanto ancora di una puntata per dar conto di sviluppi e risultanze conclusive soprattutto in relazione ad alcuni filoni di ricerca nei quali ci siamo imbattuti muovendo dal punto di partenza che dà il titolo all’inchiesta: una sentenza ingiusta e assurda e tutte le sue spiegazioni. Ed anche per sciogliere dubbi, definire quesiti, fornire testimonianze e aggiornamenti su questioni cruciali, di grande attualità anche al di fuori dei fatti trattati, come il termine dato alle vittime per denunciare i reati di violenza sessuale e la valutazione, in sede giurisprudenziale, di tali termini di legge.

Infine ci capiterà di misurare ancora la distanza abissale tra i fatti e la ‘giustizia vaticana’ con tutte le conseguenze del caso, anche per via di efficaci orchestrazioni mediatiche, in termini di furto di verità in danno dei cittadini, ‘fedeli’ o meno, alla Chiesa cattolica, ad altre istituzioni o a valori comunque degni di fede, possibilmente in coerenza.

Intanto, anche per apprezzare criticamente in ogni loro aspetto le versioni fonte del nodo processuale rimasto definitivamente irrisolto, anche in vista delle conclusioni della prossima, ultima, puntata è bene focalizzare in sintesi i punti cruciali del racconto delle violenze sessuali da parte di suor Teresa le quali invece, in quello di ‘padre Salonia’ (come lo chiama la religiosa) sono normali attività e tecniche di psicoterapia. Punti cruciali contenuti nella parte iniziale dell’articolo e che qui richiamiamo in vista della parte conclusiva dell’inchiesta.

I brani più rilevanti, le sequenze decisive, i passaggi nodali

ai fini della verità e delle conclusioni impedite nel processo

Dopo quattro anni Salonia intende porre fine a quell’enormità la quale, nella coscienza dei due protagonisti, equivale a due realtà totalmente diverse. Per suor Teresa, pur nella sorpresa, nell’incredulità, nei dubbi, e nel senso di repulsione provocato dalle ‘terapie’ somministrate dal frate, si tratta pur sempre di metodi di cura la cui accettazione ha la propria ratio, soggettivamente, nella fiducia illimitata riposta nel sacerdote e, oggettivamente, nella specificità del proprio trauma e delle violenze subite da bambina le quali turbano la sua psiche irrisolta di adulta.

Salonia, dopo quattro anni, vuole porvi fine probabilmente per mettere un punto a quell’orrore che per lui è solo un rischio dal quale prendere le distanze per poterne meglio controllare, e magari neutralizzarne, la futura emergenza di pericoli possibili.

Adesso è utile soffermarci sulla dettagliata sequenza di forza crescente delle situazioni descritte da suor Teresa. Gli abusi e le violenze sessuali avvengono ripetutamente ad ogni seduta nel corso di quattro anni. Ma solo nell’ultima di queste sedute Salonia si spinge a chiedere e a ottenere – con l’inganno, con l’induzione della sua autorità e il peso della sua credibilità – una fellatio.

In proposito ecco un brano che bisogna tenere presente. <<nel 2012 padre Giovanni – riferisce la religiosa – mi ha proposto durante i nostri incontri di fare delle sessioni pratiche perché io diventassi parte attiva e superassi il disgusto che provavo verso il corpo maschile. Una prima volta mi fece toccare il suo pene, dopo che si era abbassato i pantaloni e gli slip. Era un’attività finalizzata all’esplorazione secondo quanto lui mi diceva, tranquillizzandomi perché io ero molto imbarazzata e tesa. La seconda volta lui mi ha detto di baciarlo sul pene dicendomi che era ciò che io volevo ed io l’ho baciato provando un disgusto indescrivibile. Preciso che questi inviti erano fatti in maniera molto suadente e convincente nonché con modalità rassicuranti spiegandomi che era la terapia. La terza volta mi ha detto di prenderlo in bocca e per convincermi diceva che era ciò che io volevo e di non lasciarmi fermare dalla paura di farlo. Ricordo che quella volta l’ho messo in bocca provando un disgusto incredibile e rimanendo ferma. Ricordo perfettamente di avere avvertito lo stesso odore percepito con mio padre e che solo di recente ho ricollegato agli abusi subìti>>.

Dal racconto della paziente apprendiamo quale sia il suo atteggiamento in quel momento drammatico e sconvolgente: subìre quel rapporto, praticarlo rimanendo ferma, bloccata da un forte senso di repulsione, oltre che da una istintiva obiezione morale di coscienza, superata però dalla fiducia nel sacerdote-psicoterapeuta. Questo suo stato omissivo – di totale rigetto dell’atto, sia pure nella sua accettazione passiva frutto d’inganno – rappresenta un punto di svolta nella strategia del frate. Egli nelle sue aspettative avrebbe potuto trovarsi dinanzi una partner attiva, partecipe, consenziente e corrispondente la quale quindi avrebbe cambiato il corso del rapporto. Si ritrova invece sotto gli occhi una vittima ancora ignara dell’atroce violenza subìta che per lei è solo un trattamento clinico orribile e ripugnante, accettato come, in una situazione simile a tante altre frequenti, una medicina prescritta dal medico nel quale si riponga piena fiducia, disgustosa ma utile alla malattia. E’ in questo momento che l’aspettativa, e la pretesa, del cappuccino si arrestano. Ha provato ed è andata com’è andata. Egli comprende bene che sarà inutile, ed anche poco appagante, insistere in futuro. Ma soprattutto si rende conto che bisogna ‘mettere a posto’ e tenere sotto controllo un passato pericoloso che all’esito di quella seduta in fretta chiude.

Perciò lo psicoterapeuta comunica alla paziente che ormai è guarita e che non ha più bisogno delle sue cure, le consiglia un diverso psicoterapeuta, una donna, che non segue il metodo Gestalt ma le dice che lui all’occorrenza rimane disponibile, inoltre mantiene vivo e caldeggia il contatto e infine la esorta a tenerlo informato sulla nuova terapia.

Nei brani sopra richiamati e nei punti salienti delle dichiarazioni dell’indagato che occupano quasi per intero questo articolo ci sono tutti gli elementi per l’approssimazione alla verità che il processo ha impedito.

6 – continua

https://www.insiciliareport.it/2023/11/25/...yqzCgFEFU50S2aA

che siano diaconi, sacerdoti, vescovi o cardinali) e capaci di muovere il potere, determinare gli atti amministrativi o giudiziari, influenzare istituzioni, corrompere organismi. Il cemento di tali aggregazioni è l’interesse concreto verso relazioni e incontri sessuali. Nella realtà di vita quotidiana la violazione degli obblighi del celibato è prassi corrente. Il problema non è (soltanto, eventualmente) di coscienza individuale, ma di sistema. Il bisogno dell’ipocrisia e della finzione impone la menzogna la quale, a cascata, produce e rende necessari l’inganno, l’intimidazione, la violenza, l’intrigo, l’abuso: strumenti che propagano i loro effetti su tutti i piani della vita della comunità, dai vertici ai fedeli. La ‘lezione’ del caso-Salonia con l’intero portato dei tanti atti, anche istituzionali, piegati a logiche private e di parte
Avatar photoDi Angelo Di Natale il 25 Nov 2023
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In questa puntata finale della nostra inchiesta ecco le notizie relative ad aspetti non ancora trattati e, soprattutto, alcuni elementi da fissare conclusivamente per la migliore comprensione delle vicende che s’intrecciano in un unico grande-affaire: la cosiddetta ‘InGiustizia Vaticana’ che proscioglie il colpevole, condanna l’innocente, protegge i membri del clero condannati o accusati di violenza sessuale – spesso in danno di minori – perseguita le vittime e punisce con la ritorsione e la vendetta i testimoni di verità.

Nell’articolo precedente abbiamo lungamente trattato le dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria da Giovanni Salonia – il sacerdote e frate cappuccino ‘quasi vescovo’, imputato di violenza sessuale aggravata in danno di una suora e poi prosciolto per querela tardiva della vittima – e le abbiamo analizzate in relazione alla denuncia e ad altre risultanze investigative poi vanificate dallo stop al processo.

Questo è il nodo centrale della vicenda culminata anni dopo nella condanna canonica, il 19 giugno 2023, di Nello Dell’Agli, sacerdote-psicoterapeuta testimone nel procedimento ecclesiastico (definito ad aprile 2017 dalla commissione guidata dal vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana) e in quello penale imbastito nel 2018 dalla proccura di Roma nei confronti del francescano e conclusosi il 28 febbraio 2020 con sentenza del tribunale di non luogo a procedere per la ragione spiegata.

Partiti proprio dalla condanna canonica recente, mero atto di sopruso e d’arbitrio perché in totale contrasto con le evidenze processuali sulle quali la sentenza dovrebbe fondarsi, ci siamo imbattuti in diverse altre vicende collegate ed ora ci apprestiamo alle conclusioni.

La querela della suora per violenza sessuale, il termine di legge e la sua interpretazione: l’arretratezza delle norme italiane e l’errore del giudice

Intanto però una riflessione sui termini di legge, nell’ordinamento italiano, della denuncia in casi di violenza sessuale è necessaria.

Imporre come opzione unica il momento in cui la violenza avviene, e non quello della sua ‘scoperta’ o presa di coscienza da parte della vittima, equivale a ‘condannare’ quest’ultima alla sua stessa violenza, strappandole il diritto di denunciarla. Che giustizia è questa? Se una persona non sa di essere violentata nel momento in cui subisce lo stupro e non lo sa ancora nel periodo successivo rientrante nel termine di legge, come può presentare la necessaria querela, posto che se ne avesse coscienza lo farebbe? Perché impedirglielo appena si trovi a poterlo fare? Se una donna scopre o apprende in seguito, quando il termine dai fatti è decorso, di essere stata drogata e stuprata perché non può più denunciare l’orribile crimine subito?

La questione è prima legislativa, poi giurisprudenziale e – last but not least – di mero buon senso e onestà intellettuale che dovrebbero ispirare e guidare la definizione corretta sia della prima che della seconda.

Allo stesso modo, nel nostro caso, la domanda è: perché la violenza subìta – e camuffata non dalla droga di una sostanza chimica ma da quella dell’inganno – non deve potere essere denunciata?

A prescindere poi dalla discrepanza tra i due termini che andrebbe colmata estendendo il dies a quo dal momento del fatto a quello della sua conoscenza o presa di coscienza, c’è poi un altro dato, mostruosamente evidente nella legislazione italiana, che va fortemente contestato: la brevità del termine: dodici mesi che, fino al 2019, quindi al tempo dei fatti di cui parliamo, erano appena sei. Altra cosa le reali possibilità probatorie decorso un lungo tempo.

In molti Stati occidentali ai quali dovremmo guardare con attenzione, tale termine non è mai così breve. In vari Paesi europei, come la Spagna, e in molti degli Stati uniti esso supera i dieci anni; in Francia il termine dato alle vittime è di trent’anni.

In Italia non solo tale termine è di appena un anno ma, addirittura, in occasione di casi di cronaca di particolare impatto mediatico abbiamo visto come potenti familiari e difensori degli imputati lamentino il ‘lungo’ termine (di alcuni giorni o settimane: sic!) in cui le rispettive denunce siano state presentate: segno di leggi, giurisprudenza e di una cultura dominante nella coscienza diffusa saldamente protesi alla difesa degli stupratori, contro le vittime.

Ancora oggi, pur con il ‘Codice rosso’, leggi ordinarie molto indietro

rispetto alla Costituzione. Ecco perchè in Italia non può esserci alcun Metoo

In Italia purtroppo ancora oggi paghiamo un prezzo salato ad un retaggio sempre forte e opprimente di cultura patriarcale. Del resto ancora nel 1981 nel nostro ordinamento esistevano il matrimonio riparatore che – appunto – metteva lo stupro al riparo da responsabilità penali; nonchè il delitto d’onore equivalente a tolleranza piena e praticamente assolutoria dell’omicidio <<a seguito di illegittima relazione carnale>> della moglie o della figlia o sorella, ma non, per negata inversione di genere non essendovi affatto parità, del delitto uguale e contrario del coniuge maschio fedigrafo o del figlio o fratello.

Infatti è solo con la legge 442 del 5 agosto 1981 (33 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione), legge figlia della presa di coscienza sociale spinta dal gesto esemplare della diciassettenne siciliana di Alcamo Franca Viola la quale nel 1965 dopo uno stupro rifiuta il matrimonio riparatore, che viene abrogata la rilevanza penale della ‘causa d’onore’ e cancellati due articoli del codice fascista varato da Mussolini e Rocco nel 1930: il 544 sul ‘matrimonio riparatorio’ e il 587 sul ‘delitto d’onore’.

Inoltre fino al 1996 (nonostante, in quel momento, quasi mezzo secolo di Costituzione vigente) la violenza sessuale in Italia è un reato contro la morale e non contro la persona, norma coerente con un solo postulato: la donna in quanto tale non è persona, ma oggetto.

Tutto ciò ci spiega perché una legge come quella denominata Codice rosso sia molto recente (2019) e perché essa, pur con tutti i passi avanti nel contrasto della violenza sulle donne, conservi ancora molte lacune ed abbia esteso il termine di sei mesi ad appena dodici. Sì, solo dodici.

Il Metoo che smaschera le violenze dei potenti di Hollywood non potremmo mai averlo in Italia, visto che Harvey Weinstein è stato denunciato dopo 14 anni. Contro il produttore di film ricoperti di premi – fondatore della Miramax poi ceduta alla Disney per 80 milioni di dollari, e in seguito della Weinstein company – nessuna delle donne stuprate in quasi un ventennio ha il coraggio e la forza di muovere un dito. Egli non è solo un ricchissimo produttore cinematografico, ma anche un personaggio influente, grande finanziatore delle campagne elettorali di presidenti e candidati non eletti d’un soffio alla Casa Bianca (Barack Obama, John Kerry, Hillary Clinton), addirittura campione di battaglie etiche e sociali: nel Cda della Robin Hood Foundation, attivo e generoso in campagne contro la povertà, l’Aids, la sclerosi multipla, il diabete giovanile.

Solo nel 2017 (stesso periodo dell’affaire-Salonia, da questa parte dell’Oceano) egli comincia ad essere denunciato da tante vittime, solo dopo (e quindi grazie a) l’inchiesta de The New York Times che per primo rivela le violenze. Fino a quel momento vittime, anche importanti come famose attrici di Hollywood, non denunciano per timore di non essere credute e di subire tutte le ritorsioni del caso: del resto, dopo le prime querele, Weinstein ingaggia uomini del Mossad per costringere le vittime a ritirarle.

Pur nell’evidente gap di notorietà dei personaggi in campo e nei diversi mondi delle loro vite e affari (il grande cinema in un caso, la Chiesa cattolica nell’altro) il richiamo comparativo ci è utile per due considerazioni: le stars del cinema denunciano solo dopo i servizi del quotidiano newyorchese dai quali si sentono incoraggiate nella propria forza di potere condurre la battaglia di giustizia; la suora del Nord Italia decide di farlo spinta dal bisogno etico e religioso di avvertire la Chiesa e aiutarla a salvarsi da errori gravi come quello di nominare vescovo colui che lei scopre essere stato il suo stupratore.

Nel primo caso trascorrono tanti anni, ben 14 rispetto ad uno degli episodi più importanti accertati, ma per altri tale tempo è anche più lungo e ciò non impedisce alla giustizia americana di incriminare, processare e condannare Weinstein: a 23 anni di carcere l’11 marzo 2020 con sentenza della Corte suprema dello Stato di New York; ad altri 16 anni con verdetto di una giuria di Los Angeles il 23 febbraio 2023.

Peraltro le attrici-vittime sanno subito cosa subiscono e scelgono di non denunciare per le ragioni dette. La suora-paziente, preda del suo terapeuta-sacerdote durante la terapia, invece ignora il crimine quando lo subisce ma, appena lo scopre, denuncia subito, entro il termine della legge italiana allora fissato in sei mesi.

Non sappiamo se lo avrebbe fatto ugualmente qualora il Pontefice non avesse scelto proprio il frate cappuccino suo abusatore tanto caro all’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice per l’incarico di suo vescovo ausiliare. Ma è molto probabile di no perché il primo atto compiuto dalla religiosa dopo la scoperta dello stupro ai suoi danni è una lettera privata al Papa alla quale segue la dolorosa presa d’atto che la linea di difesa pubblica del sacerdote-psicoterapeuta da parte dello stesso Pontefice (nonostante la sua richiesta di perdono – che a questo punto sa di beffa – alla suora) non muta affatto ed anzi diventano palpabili i segni della ritorsione e del dileggio contro i testimoni di verità da parte di giudici ecclesiastici e alte gerarchie vaticane.

La suora che denuncia violenze sessuali subisce poi anche quelle ‘legali’.

Norme sbagliate, prassi inadeguate e ritardi culturali: i rimedi necessari

A fronte di tutto ciò risultano assurde la norma della legge italiana che fissa un termine così breve per la denuncia della vittima e, ancora di più, l’interpretazione del Gup di Roma che omette di rilevare il vero dies a quo della scoperta dello stupro, diverso da quello in cui esso avviene.

Oggi è il 25 novembre, ‘giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne’ istituita 24 anni fa dall’Assemblea generale delle Nazioni unite ed è quindi l’ennesima occasione rituale di retorica liturgia nei proclami di lotta contro questa gravissima piaga sociale, tanto più dopo la commozione collettiva per l’uccisione di Giulia Cecchettin, penultimo caso di una lunga catena di femminicidi che, solo in Italia e solo nel 2023, ha già prodotto 55 vittime. Più di una ogni sei giorni. E questo è solo il numero delle donne uccise dai loro partners o ex partners, perché sono 84 quelle assassinate, in Italia nel 2023, in ambito familiare o affettivo e 104 il loro numero complessivo su un totale di 287 omicidi.

In Italia si farebbe bene a focalizzare anche taluni gravi inadeguatezze della normativa, ancora fortemente carente seppur molto più avanzata rispetto al passato. A parte molte cose utili e di mero buon senso che si potrebbero fare (ma oggi l’Italia ha una maggioranza parlamentare ed un governo guidati da partiti che non hanno approvato neanche la convenzione di Istanbul, che è appena il minimo) indichiamo solo alcuni degli interventi più urgenti ad efficacia immediata: qualificare stupro ogni rapporto sessuale privo di consenso come già oggi la legge vigente in 17 Paesi europei su 31 riconosce (quale distanza culturale ci separa, solo per fare qualche esempio tra i 17, da Stati come Cipro, Grecia, Croazia, Spagna, Islanda, Germania, ecc….?); estendere il termine per la presentazione di querela, almeno al di sopra dei dieci anni come in Spagna, se non a trenta come in Francia; garantire effettiva immediata e simultanea protezione alla donna in pericolo dal momento stesso in cui entra in un ufficio di polizia per presentare la denuncia contro stalkers, tanto più se partners o ex partners violenti. Tra gli strumenti operativi per le emergenze di ogni momento si potrebbe creare, promuovere e diffondere, anche nelle scuole con incontri mirati alla sensibilizzazione, un’app che al primo segnale consenta alla potenziale vittima di lanciare, ad un numero universale dedicato delle forze di polizia, un allarme codificato contenente in sè gli elementi predeterminati di descrizione standard del caso e di esatta localizzazione sufficienti a consentire un intervento immediato.

Oggi invece, a parte tanti bei discorsi e i soliti rinnovati propositi d’impegno, di serio e di concreto non si vede nulla che possa dare speranza per il futuro, con l’aggravante di certi paradossi del discorso pubblico che pretendono le denunce lo stesso giorno (pena la loro patente non veridicità!) e che ci presentano, per esempio nell’ambito degli abusi che si consumano all’interno della Chiesa (anche contro le donne, adulte e bambine) una distanza inquietante tra le parole che si dicono e gli atti che si compiono.

Abusi sessuali del clero: “non si può accettare nessun silenzio,

nè l’occultamento”. Parole del Papa che però, al tempo stesso, difende

il ‘vescovo buono’ Rosario Gisana, insabbiatore seriale di denunce

Sette giorni fa, il 18 novembre scorso, è stata celebrata la terza ‘giornata nazionale di preghiera della Chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili’: momento di recente istituzione, nel 2021, due anni dopo il Motu proprio di papa Francesco Vos estis lux mundi che cancella il segreto pontificio e obbliga clero e religiosi a denunciare le violenze di membri della Chiesa in danno di minori e persone fragili.

Per l’occasione Bergoglio nell’assemblea generale dei vescovi italiani ad Assisi pronuncia parole chiare e definitive (<<non si può accettare nessun silenzio, né occultamento>>) ma egli è lo stesso Pontefice che, come lettrici e lettori di quest’inchiesta ben sanno, avalla o determina tutti i fatti da noi ricostruiti e documentati.

Parole in un senso. Fatti in direzione opposta, dunque. <<bisogna perseguire coloro che commettono tali crimini ancor più se in contesti ecclesiali>> dice il Papa: <<in particolare, è necessario perseguire l’accertamento della verità e il ristabilimento della giustizia all’interno della comunità ecclesiale anche in quei casi in cui determinati comportamenti non siano considerati reati per la legge dello Stato ma lo sono per la normativa canonica>>. Chapeau alle parole del Pontefice!. Quanto ai fatti siamo ancora a zero e quelli che stiamo raccontando stanno qui a dimostrarlo.

Termine di querela, la norma è chiara: decorre “dal momento della conoscenza completa, precisa e certa del fatto delittuoso”. Sentenza incomprensibile

Riprendiamo quindi il filo di alcuni di tali fatti, quelli relativi al processo di cui abbiamo riportato testimonianze documentali salienti del 2018, alle quali seguono la richiesta di rinvio a giudizio del vescovo mancato Giovanni Salonia il 7 luglio 2019 e la sentenza di non luogo a procedere il 28 febbraio 2020, depositata il 21 marzo successivo.

La decisione del tribunale di Roma di fatto scippa alla religiosa il diritto di giustizia, come se l’essere stata ingannata (violenza morale, su violenza fisica: crimine doppio) fosse colpa sua!

A pronunciarla è la giudice delle indagini preliminari, in questo caso nella funzione di giudice dell’udienza preliminare, Daniela Caramico D’Auria, salernitana, che oggi ha 52 anni ed un curriculum senza macchie. In forza all’ufficio Gip della capitale da maggio 2017, in precedenza giudice del tribunale di Spoleto e ancora prima pubblico ministero in un territorio di frontiera, la Calabria ionica devastata dalla ‘ndrangheta.

Caramico è infatti sostituto procuratore a Crotone negli anni in cui, dal 2008 al 2012, a capo della procura di Reggio Calabria c’è Giuseppe Pignatone il quale poi a marzo 2012 s’insedia al vertice della Procura di Roma che lascia il 9 maggio 2019, appena compiuti settant’anni, collocato a riposo dallo Stato italiano ma voglioso di rimanere attivo più che mai: il 3 ottobre dello stesso anno Bergoglio lo nomina presidente del tribunale di prima istanza del Vaticano.

Perchè il Papa lo scelga in un ruolo così importante e cruciale per il suo Stato sovrano e l’intera Chiesa non è dato sapere. Il pensiero di molti corre al momento in cui Pignatone, procuratore capo nella capitale, nel 2015 impone l’archiviazione delle nuove indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi che l’aggiunto Giancarlo Capaldo sta portando avanti seguendo un promettente filo nuovo di notizie e riscontri che emergono dai grovigli intrecciati che sottotraccia uniscono banda della Magliana, mafia, servizi segreti, politici, uomini del Vaticano. Uno scontro tra i due magistrati che il capo risolve togliendo l’inchiesta al suo vice e andando dritto verso l’archiviazione. In ogni caso, nell’ipotesi che non sia qui la risposta, per capire perchè il Papa ‘venuto dalla fine del mondo’ abbia bisogno dell’ex procuratore di Roma in pensione per mettere a posto la giustizia vaticana, vedremo le tappe salienti del cursus honorum di Pignatone.

Quattro mesi dopo che egli s’insedia a capo del tribunale Oltretevere, alla magistrata di Salerno tocca di pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio, per violenza sessuale aggravata, del frate cappuccino che tre anni prima il Papa ha nominato vescovo, salvo poi affrettarsi, prima dell’ordinazione, a spiegargli che deve rinunciare.

Della sua decisione abbiamo già rilevato l’inspiegabile anomalia alla luce di un dato che, ancorchè non esplicito nella formulazione dell’art. 609 septies del codice penale (<<il termine per la proposizione della querela è di dodici mesi>>: allora era di sei, rectius!), da sempre dottrina e giurisprudenza interpretano nel senso che tale termine debba necessariamente decorrere dalla conoscenza del fatto. Dispone in proposito, in generale sul diritto di querela, l’art. 124 del codice penale: <<salvo che la legge disponga altrimenti, il diritto di querela non può essere esercitato, decorsi tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato>>. Nel nostro caso la legge dispone diversamente (allora sei mesi), ma soprattutto l’interpretazione di questa clausola di salvezza è univoca. Scrive Brocardi (ma nessun altro scienziato del diritto sostiene diversamente): <<la clausola di salvezza con cui si apre la norma si riferisce, ad esempio, ai casi di violenza sessuale di cui agli articoli 609 bis e 609 septies, reato per cui è previsto un termine di sei mesi per l’esercizio della querela. Indipendentemente dal termine previsto, questo deve poi essere computato secondo il calendario comune, ovvero – chiarisce la norma non lasciando alcuna ombra di dubbio – decorre dal momento della conoscenza completa e precisa, nonché certa del fatto delittuoso, a nulla rilevando il mero stato soggettivo di sospetto o di dubbio, determinato da ipotetici elementi>>. Più chiaro di così sarebbe possibile?

La sentenza della giudice appare incomprensibile perché se lei ritenesse di non potere escludere la conoscenza ex ante del reato da parte della querelante ciò, a maggior ragione, richiederebbe la necessità del processo e imporrebbe di non poterlo impedire. E comunque negli atti che la Gup si trova a valutare non figura un solo elemento che su questo punto metta in dubbio la versione della vittima ed anzi una pluralità di fonti di prova e di testimonianze, anche specifiche e molto qualificate, ne conferma la veridicità.

Riportiamo per mero dovere di completezza le notazioni che precedono, consapevoli dei già evidenziati requisiti di professionalità della magistrata in quel momento peraltro ben nota per alcuni importanti casi di cronaca dei quali, con Pignatone ancora a capo della procura della capitale, le capiti di occuparsi. A febbraio 2019 infatti è lei a firmare i provvedimenti riguardanti l’affaire delle carte riservate della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla gestione delle scorte e il nuovo ordine di custodia cautelare nei confronti dell’ex funzionario dei servizi segreti, Francesco Loreto Sarcina, foggiano di 55 anni, con l’accusa di soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato.

Due settimane prima, sempre a febbraio 2019, è ancora lei a firmare le ordinanze di custodia cautelare che, nell’inchiesta sulle sentenze in vendita, fanno scattare le manette ai polsi di diversi magistrati del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa, organo che in Sicilia ne svolge le funzioni: già l’anno prima a Scicli, in provincia di Ragusa, viene arrestato Giuseppe Mineo, ex giudice del Cga, nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta poi approdata e confluita con altre nella capitale, quello messinese che scopre il cosiddetto ‘sistema-Siracusa’ degli avvocati aretusei Giuseppe Calafiore e Piero Amara, grande corruttore e munifico erogatore di incarichi e tangenti. Un sistema ramificato e complesso svelato anche dai guai giudiziari dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, finito in disgrazia quando in un caso le sue scelte – esercitate dalla tolda di comando del Consiglio superiore della magistratura – di collaudato dispensatore di nomine, cariche e carriere dei magistrati, non piacciono a Pignatone: tra le tante singolarità di questa spy story c’è il famoso trojan inoculato sul telefono di Palamara che, non sappiamo se perchè difettoso o intelligente, smette di funzionare quando con lui c’è Pignatone.

La Procura di Roma, il Tribunale del Vaticano e la carriera di Giuseppe Pignatone: dall’archiviazione del dossier mafia-appalti caro a Falcone e Borsellino, a quella delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ai rapporti con Montante, al trojan intelligente che fa saltare Palamara, al sistema sempre vivo di lobby&logge

Per chiudere la parentesi nella quale ci siamo spinti, qualche breve nota storica sul conto dell’attuale presidente del tribunale del Vaticano Giuseppe Pignatone può essere utile.

Il magistrato ‘sempreverde’ nasce a Caltanissetta dove comincia da pretore.

Cresce in carriera a Palermo fino alla salda amicizia con il più che chiacchierato procuratore Pietro Giammanco, ritenuto a contatto diretto con mafiosi di Bagheria anche per via di comuni interessi nella società Italcostruzioni, vicinissimo agli affari di ogni tipo di politici Dc di rito andreottiano come Salvo Lima, e pertanto nemico giurato di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ai quali, quando il 7 giugno 1990 il Csm – preferendolo proprio a Falcone – lo mette a capo della Procura, di fatto impedisce di continuare ad indagare sulla mafia.

Pignatone esce miracolosamente intonso dall’inciampo e dai misteri inquietanti relativi al fascicolo a lui co-assegnato proprio da Giammanco e contenente il famoso dossier mafia-appalti, secondo alcuni una delle chiavi per scardinare i misteri delle stragi del ’92: tale fascicolo stava molto a cuore a Falcone e, dopo la sua morte, a Borsellino il quale però non può occuparsene per volere di Giammanco che affida a Vittorio Aliquò la direzione delle indagini di mafia nella provincia di Palermo (a Borsellino quelle di Trapani ed Agrigento). La frettolosa richiesta d’archiviazione, ad opera di Guido Lo Forte altro pm vicino a Giammanco, fa infuriare Borsellino che la scopre a cose fatte il 14 luglio 1992, cinque giorni prima di saltare in aria. Su queste circostanze Pignatone, chiamato il 26 novembre 2021 a testimoniare a Caltanissetta nel processo sul depistaggio delle indagini relative alla strage di via D’Amelio, è incerto, confuso, omette, balbetta, non ricorda, viene smentito, si contraddice spesso.

Alle 7.15 della mattina di domenica 19 luglio 1992, poche ore prima della strage, Giammanco telefona a Borsellino per dirgli che dal giorno dopo potrà trattare le inchieste di mafia su Palermo. Cosa che purtroppo non potrà avvenire e chissà all’alba di quella domenica quanti siano, e chi, a saperlo. Certo è che se Giammanco, dopo i tanti no che gli ha sbattuto in faccia, intende finalmente accontentare Borsellino (il quale chiede e vuole la delega su Palermo in nome di Falcone), e ha il piacere di dirglielo subito, di domenica, conoscendo la sua ansia di combattere la mafia a Palermo, è proprio … sfortunato!

Nelle trame ricostruite in tale dossier, forse una sorta di scatola nera delle stragi, compare la Sirap, azienda amministrata dal padre Francesco Pignatone, potente politico Dc, deputato alla Camera dal 1948 al ’58, poi per 25 anni, dal ’68 al ’93, presidente e per altri cinque, fino al 1998, amministratore unico straordinario dell’Espi, Ente di sviluppo per la promozione industriale, il super-carrozzone regionale che ha in pancia centinaia d’imprese, come appunto la Sirap coinvolta per appalti da mille miliardi di lire nelle indagini di mafia affidate da Giammanco proprio a Pignatone, peraltro accusato direttamente quando il mafioso Angelo Siino poi collaboratore di giustizia, noto alle cronache come il ‘ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra’, racconta collusioni, soffiate e coperture che lo chiamano in causa insieme a Giammanco, a Guido lo Forte e Ignazio De Francisci: indagini poi archiviate per impossibilità di riscontri. E’ in quel contesto che viene in rilievo (l’inciampo appunto!) il personale interesse del magistrato rispetto al ruolo del padre a capo dell’Espi e del fratello Roberto Pignatone, avvocato dello Stato e consulente dell’assessorato ai lavori pubblici della Regione, proprietaria dell’Espi.

Dal 2000 al 2008 Pignatone è procuratore aggiunto a Palermo e, come abbiamo visto, dal 2008 al 20012 procuratore capo a Reggio Calabria, ufficio nel quale può avvalersi della collaborazione di un privato cittadino dalla biografia ingombrante e inquietante, Diego Di Simone Perricone, ex poliziotto divenuto in quegli anni capo della sicurezza di Confindustria, condannato l’8 luglio 2022 a cinque anni di reclusione dalla Corte d’Appello di Caltanissetta (6 anni e 4 mesi in primo grado) come complice dell’ex icona antimafia Antonio Calogero Montante e – proprio in quegli anni come accerta il processo – figura chiave nel suo sistema criminale.

Quindi, dal 2012 al 2019, il magistrato nisseno è al vertice della procura della capitale. Da quando nei primi anni duemila Montante, nato come il padre di Pignatone a San Cataldo – centro di 22 mila abitanti nel Nisseno – comincia a scalare Confindustria, il magistrato ne è sodale e assiduo frequentatore. Montante ha un eccellente rapporto con l’Eni, la multinazionale colosso di Stato di cui Roberto Pignatone, fratello del procuratore e tributarista, è consulente e ha relazioni strettissime con il grande corruttore Piero Amara che gli affida incarichi e addirittura lo cita come teste a propria difesa in giudizio. Amara appare a lungo ben coperto in diverse procure ma a Roma contro di lui invoca la linea dura il pm Stefano Rocco Fava le cui richieste però sono bocciate da Pignatone che gli toglie il fascicolo e il sostituto si ritrova anche sotto processo. Fava ha il ‘torto’ di rilevare che il procuratore non si sia astenuto da inchieste che coinvolgono il fratello Roberto (ancora lui, a Palermo come a Roma nei decenni!) e investono i rapporti di questi con Amara, al pari del procuratore aggiunto Paolo Ielo, a capo del pool reati finanziari, in sintonia con Pignatone e, come questi, avente un fratello, Domenico, avvocato, beneficiario di incarichi da parte di Amara. Per casuale coincidenza o chissà per quale filo degli accadimenti, Fava e Ielo, prima che scoppi il caso con la denuncia del primo al Csm contro Pignatone e contro lo stesso Ielo, sono i pubblici ministeri che accusano l’ex 007 Sarcina nella maxi inchiesta riguardante anche Amara e Calafiore i quali, collaborando, portano gli inquirenti a dipanare il filo del sistema e, così, il gip Daniela Caramico D’Auria ad emettere a febbraio 2019 i provvedimenti citati.

La campagna di travisamento della sentenza: lodato il presunto stupratore

non giudicato solo per il termine temporale della querela, denigrata la vittima.

Stampa subalterna e false dichiarazioni dell’arcivescovo Corrado Lorefice

Tornando ai fatti oggetto di quest’inchiesta, abbiamo visto i termini e la motivazione, unica, della sentenza del Gup di Roma: esclusivamente l’asserita tardività della querela. Ora vediamo l’uso che di questa decisione abnorme e incomprensibile fanno nella comunicazione pubblica l’imputato Giovanni Salonia e persone a lui vicine, anche molto influenti come l’arcivescovo Corrado Lorefice.

E’ una macchina della menzogna e della calunnia (contro la vittima, non contro il suo presunto stupratore) quella che si pone potentemente e prepotentemente in moto.

A mettere a confronto la verità giudiziaria – oggettiva, asettica e documentale (scolpita nella sentenza di non luogo a procedere) – con la narrazione che ne segue si rimane sconvolti. Una manipolazione orchestrata con sapienza, ispirata dalla regìa dell’intero affaire-Salonia e condotta alle estreme conseguenze attraverso l’infortunio complice e concorrente di quasi tutte le testate giornalistiche che riferiscono la notizia. Alcune la riportano correttamente sul piano formale (spiegando che si tratti di proscioglimento per querela tardiva) ma è incredibile come al tempo stesso non sentano il bisogno di collegare il dato documentale alle false dichiarazioni – che pure, nelle stesse ore e addirittura contestualmente, registrano – di quanti parlano di assoluzione, di falsità o infondatezza delle accuse, perfino di calunnia da parte della vittima contro l’accusato. Tra gli autori di tali dichiarazioni come già osservato c’è l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, ‘primate’ di Sicilia, ovvero capo della Chiesa nell’isola.

Da una parte l’evidenza, elementare e lampante, della sentenza emessa il 28 febbraio 2020 che non giudica l’imputato, nulla dice sulle accuse, respinge la richiesta della difesa di valutare non sussistenti i fatti e accoglie solo quella di considerare tardiva la querela. Dall’altra la clamorosa fake costruita dall’arcivescovo in persona il quale poi si scaglia sulla vittima accusandola, falsamente, di non avere detto il vero quando invece è lui a dichiarare il falso distorcendo a piacimento la sentenza sulla quale lungamente esterna.

Secondo Lorefice <<la decisione del giudice dimostra e dichiara ampiamente la fine “del calvario delle calunnie” sollevate contro padre Salonia sia nel febbraio 2017 sia a seguito dell’incontro avuto con il Santo Padre nella cattedrale di Palermo in occasione della visita del 15 settembre 2018>>. Nella fantasiosa ricostruzione dell’arcidiocesi <<l’improcedibilità dell’azione penale, sentenziata dal giudice a motivo della tardività con cui era stata presentata la querela, conferma l’atteggiamento calunnioso, pianificato ai danni di padre Salonia e contestualmente volto a delegittimare l’arcivescovo di Palermo e a colpire il santo padre mentre restituisce a fra’ Giovanni la piena innocenza e l’autorevolezza sacerdotale e professionale che da sempre gli viene riconosciuta>>. La stessa versione viene accreditata e diffusa attraverso il sito della Conferenza episcopale siciliana di cui Lorefice è vice presidente. Qualche tempo dopo però il testo scompare.

Delle parole, vergate su carta intestata dell’arcidiocesi, colpiscono la forza della mistificazione e la rozzezza dell’analisi, perfino violenta nei confronti di una religiosa la quale ha la sola ‘colpa’ di essere una vittima che sceglie di denunciare le violenze subìte. Altra questione è il livello probatorio raggiunto: conosciamo quello cui sono giunti i pubblici ministeri. Non sapremo mai invece quello che alla fine avrebbe acquisito il tribunale e assunto a base della sentenza di merito perché questa attività di giustizia viene impedita.

Siamo quindi dinanzi, semplicemente, ad una querela tardiva: peraltro tale, come abbiamo visto, nella più che contestabile decisione del giudice, senza alcuna evidenza di elementi a supporto di una sua debolezza di merito. Come la querela – tardiva – possa per ciò solo avere un falso contenuto è ‘mistero’ della fede smisurata di Lorefice nell’ausiliare che egli vuole fortemente ma al quale suo malgrado, e nonostante tutte le azioni esperite, deve rinunciare.

D’effetto quasi comico poi, produttivo però d’un riso tragico e amaro, le parole finali della nota: <<nonostante tali infondate accuse (l’unico vaglio giudiziario di merito delle accuse è di piena fondatezza, vanificato però da improcedibilità, n.d.r), agevolate dalla diffusione di vere e proprie fake news da parte di alcuni organi di stampa, in questi due anni, insieme a padre Giovanni Salonia, la chiesa di Palermo, seppur nella dura prova, ha continuato a confidare nella magistratura ordinaria, attendendo nel silenzio e nella preghiera, il sopravvento di ‘ciò che è scritto nel libro della verità>>.

Dopo lo stop giudiziario scatta la reazione ritorsiva finale: soppressione della fraternità di Nazareth e condanna in sede canonica di Nello Dell’Agli

Il libro della verità giudiziale è quello che con assoluto rigore stiamo sfogliando, leggendo e condividendo con chi segue questa inchiesta. Poi c’è quello della verità fattuale, sempre possibile perché la realtà vive anche, anzi soprattutto e molto di più, fuori e lontano dalle aule giudiziarie da dove, per qualsivoglia ragione, dopo esservi entrata qualcuno – preposto a decidere – ad un certo punto, anche prima del tempo previsto può stabilire che debba uscirne. Ma, appunto, farla uscire – così come tutte le volte che non vi entri affatto – non significa cancellarla né stravolgerla nella sua insussistenza. Significa solo, nel nostro caso, che ad essa non possa conseguire una sentenza di condanna o d’assoluzione dell’imputato in un processo: prosciolto appunto il ‘nostro’ perché il processo non si deve fare.

Risulta inspiegabile e singolare come questa lettura dei fatti lanciata dall’arcidiocesi di Palermo possa convivere con i fatti stessi anche in quei resoconti giornalistici, pochi, che esplicitamente non travisano né falsano la notizia ma poi, quasi fingendo di non capire, nelle stesse righe di testo ne fanno coesistere l’assunto formalmente corretto con la sua stessa negazione imposta da virgolettati così falsi ma così referenziati.

Poi ci sono gli organi d’informazione, la maggior parte, che invece, recependo con fervida adesione la fake di Lorefice e di altri che si lanciano a sostegno di Salonia, sfuggono a tale ambiguità e stravolgono totalmente la sentenza dipingendola come l’assoluzione dell’imputato calunniato perché è stata accertata l’infondatezza delle accuse. Come i nostri lettori e le nostre lettrici ben sanno la verità è completamente diversa.

E così nei primi giorni di marzo 2020 quando si spegne l’eco di questa notizia e della narrazione mistificante che viaggia incontrastata in versione unificata sulle testate giornalistiche, nel web e sui social, il caso sembra archiviato.

Ma c’è ancora qualche conto da regolare, in misura direttamente proporzionale alla sete di vendetta del frate, noto psicoterapeuta che ha dovuto rinunciare alla mitra vescovile. E il terreno di questo regolamento è nel varco aperto il 18 agosto 2018 – esattamente un mese dopo le dichiarazioni del sacerdote Nello dell’Agli alla procura di Roma nel procedimento penale che vede Salonia indagato – dalla lettera inviata al segretario della congregazione per gli istituti di vita consacrata Josè Rodriguez Carballo dalle tre ex sodali della fraternità di Nazareth di Ragusa, l’associazione privata di fedeli di cui lo stesso Dell’Agli è responsabile. Da qui, così come dettagliatamente ricostruite nell’articolo precedente, le fasi e gli intrecci che il 19 giugno 2023 portano all’assurda sentenza dalla quale quest’inchiesta prende le mosse.

Due anni prima, il 30 luglio 2021, il vescovo della diocesi di Ragusa Giuseppe la Placa dispone la soppressione della fraternità di Nazareth chiudendo così il relativo dossier affidato dal potente frate francescano Carballo (abbiamo visto bene chi è) al sacerdote Salvatore Farì parimenti noto a lettrici e lettori di quest’inchiesta.

Per la cronaca La Placa in quella data, il 30 luglio 2021, è vescovo da appena due settimane, ordinato – e insediatosi per la prima volta a capo di una diocesi – il 16 luglio 2021. Bergoglio lo nomina l’8 maggio precedente, scegliendolo secondo prassi dentro una rosa di nomi. A consacrarlo il vescovo di Caltanissetta Mario Russotto, vittoriese, da vent’anni a capo della diocesi nissena, assurto alla dignità vescovile a 46 anni, nominato nel 2003 da Giovanni Paolo II e consacrato dal cardinale Salvatore De Giorgi: co-consacranti il cardinale Salvatore Pappalardo e l’allora nunzio apostolico in Italia Paolo Romeo. Nei 22 anni di sacerdozio che ne precedono l’ordinazione episcopale Russotto, docente tra l’altro di ebraico, greco e sacra scrittura, è attivo e quotato nella realtà iblea, negli istituti siciliani di insegnamento teologico, di formazione dei presbiteri e negli organismi della Conferenza episcopale. E’ uno dei vescovi nati nella diocesi di Ragusa, mentre, come abbiamo visto, Lorefice di Ispica, Gisana e Giurdanella di Modica – tuttora in carica a capo, rispettivamente, dell’arcidiocesi di Palermo e delle diocesi di Piazza Armerina e Mazara del Vallo – si formano in quella di Noto che comprende la storica città della Contea.

Per documentazione storica locale, dalla diocesi di Ragusa provengono, come Russotto, altri vescovi tra i quali Giambattista Di Quattro nunzio apostolico in Brasile ( in precedenza in India e Nepal, in Bolivia e a Panama); l’emerito, oggi novantunenne, Carmelo Ferraro di Santa Croce Camerina (a capo delle diocesi di Patti dal ’78 all’88 e poi, per vent’anni, di quella d’Agrigento, con titolo, dal 2000 al 2008, di arcivescovo metropolita); Carmelo Canzonieri deceduto a 86 anni nel 1993, per sei anni vescovo ausiliare di Messina e per venti a capo della diocesi di Caltagirone.

La Placa, da due anni vescovo di Ragusa, nativo di Resuttano – comune di appena 1700 abitanti del Nisseno, exclave della città metropolitana di Palermo – casualmente coetaneo di Corrado Lorefice, sacerdote un anno e mezzo prima di lui (vescovo invece sei anni dopo, entrambi nominati da Bergoglio) prima di giungere nel capoluogo ibleo opera nel Nisseno, a San Cataldo e a Caltanissetta assumendo vari incarichi tra i quali quello di docente di filosofia nel locale liceo classico ed espletando anche attività giornalistica: è iscritto all’albo, elenco pubblicisti.

Lorefice e la fuga dalle telecamere quando scoppia il caso dell’Opera pia Ruffini

Di Lorefice abbiamo avuto modo di registrare più volte gli interventi, le prese di posizione, gli atti compiuti nel corso degli otto anni di episcopato e di primate di Sicilia. Per completezza è utile ricordare, anche perché ancora viva nella memoria di molti, l’immagine imbarazzante dell’arcivescovo in fuga dalle telecamere e dai microfoni del reporter de Le Iene che invano gli chiede spiegazioni sulla gestione dell’Opera pia, da lui presieduta e gestita, intitolata al cardinale Ernesto Ruffini: quante cose da raccontare se potessimo aprire una parentesi sulla chiesa siciliana negli anni di Ruffini! Qui basta dire che per il potente porporato mantovano (trapiantato a Palermo con il nipote-allievo che istruisce in politica, Attilio Ruffini parlamentare Dc e poi ministro) in carica nell’arcidiocesi dal ’45 al 67, non è la mafia il nemico della Sicilia; nemici sono invece Danilo Dolci che educa alla democrazia e Giuseppe Tomasi di Lampedusa che con il suo Gattopardo diffama l’isola e i suoi abitanti.

Quella dell’Opera pia ‘Ruffini è la vicenda, che affiora sulla stampa a febbraio 2018, degli stipendi non pagati ai dipendenti e di 42 licenziamenti.

La notizia viene in sintesi riportata così. L’ente gestisce centri per bambini, anziani e disabili. Nonostante incassi centinaia di migliaia di euro di finanziamenti pubblici, ad un certo punto annuncia di essere sull’orlo del fallimento, smette di pagare i dipendenti e poi ne licenzia 42. In effetti, dopo le denunce e l’appello pubblico di lavoratrici e lavoratori interessati, Lorefice come arcivescovo dà una parte dei soldi dovuti ma come presidente dell’Opera Pia se li riprende. Il caso esplode con maggiore clamore a ottobre 2018 quando Filippo Roma de Le Iene va a Palermo, indaga, fa domande, scopre e segnala presunte irregolarità, intervista il presidente della Regione, cerca di parlare con Lorefice ma viene bloccato più volte. E all’ennesimo tentativo in aeroporto l’arcivescovo letteralmente fugge di corsa: una scelta che, evidentemente, egli reputa più giusta o conveniente di qualunque risposta che alle domande possa dare (qui il servizio Mediaset del 7 ottobre 2018, qui un articolo di Palermotoday.it che il giorno dopo rilancia il video).

Due anni dopo ci sarà un sequel, con gli inviati de Le Iene che tornano alla carica cercando invano di incontrare l’arcivescovo che pure nei proclami pubblici appare sempre così deciso nello sfidare il potere e mostrarsi schierato in favore degli ultimi.

Il caso torna d’attualità il 2 ottobre 2020 perché – spiegano i lavoratori – a fronte di una sentenza la quale condanna l’Opcer (Opera pia cardinale Ernesto Ruffini) disponendo il loro reintegro e il risarcimento economico del danno da loro subìto, il consiglio d’amministrazione dell’ente presieduto dall’arcivescovo Lorefice non paga e non reintegra nessuno, ancora un mese e mezzo dopo la decisione del tribunale di Palermo del 20 agosto, immediatamente esecutiva (qui un articolo, con il video, pubblicato da Blogsicilia.it il 2 ottobre 2020).

Dunque una sentenza del tribunale di Palermo condanna l’Opera pia Ruffini a pagare diciotto mensilità ai dipendenti, dichiara illegittimi i licenziamenti (perché non risulta vero che l’attività sia cessata a differenza di quanto rappresentato dall’ente), dispone la reintegrazione di lavoratrici e lavoratori ma l’ente disattende totalmente il provvedimento, mentre il suo legale rappresentante, Lorefice, dinanzi ad una troupe giornalistica fugge a gambe levate! In effetti giorni dopo l’arcivescovo in occasione di un evento pubblico parla dell’argomento e alla fine s’intrattiene anche con alcuni giornalisti presenti. Ma nessuno gli chiede conto di quei comportamenti accertati dal tribunale nè del disattendimento della sentenza esecutiva, ed egli può così affermare di essersi sottratto ad un’aggressione (le domande nel merito) e di non avere alcuna difficoltà a parlare con ‘veri’ giornalisti che per lui sono coloro che non chiedono spiegazioni e riportano, magari in un empatico afflato d’ammirazione, senza quindi avere nulla mai da ridire, le sue dichiarazioni di ‘vittima d’aggressione’.

Carballo, Lorefice, Gisana, Salonia, Farì e gli altri. Sopra di loro il Papa

che dispensa solidarietà pubbliche ma alla vittima solo scuse private

Tornando al tema centrale e ai fatti principali di quest’inchiesta, ora qualche notizia e considerazione ulteriori sugli elementi essenziali delle vicende ricostruite e, alla fine, un focus conclusivo anche per inquadrare meglio i risultati della ricerca e definirne il senso, le indicazioni, la lezione che se ne possa trarre.

Lorefice, Carballo, Gisana, Salonia, Farì, gli altri: tutti nomi che in quest’inchiesta abbiamo imparato a conoscere, ciascuno in relazione agli atti compiuti e ai fatti che li coinvolgono.

Ovviamente sopra tutti, con il suo potere assoluto, c’è il Papa. Il quale, durante la nostra inchiesta, due giorni dopo la pubblicazione della quarta puntata, il 6 novembre scorso interviene per ‘assolvere urbe et orbi’ (così abbiamo scritto nell’articolo pubblicato il 6 novembre, leggibile qui) il vescovo Rosario Gisana, figura centrale nell’affaire-Salonia in quanto capo dei giudici ecclesiastici i quali, imponendo il tappo della menzogna sulla bottiglia contenente il messaggio della prima denuncia che avrebbe richiesto l’ onestà dell’accertamento e il dovere della presa in carico dei fatti, sequestrano la verità, dettando la linea del falso e indirizzando ogni sviluppo successivo, con piena corresponsabilità delle figure e degli altri organi coinvolti fino allo squadrismo finale, come abbiamo visto in ogni passaggio, di una vendetta contro testimoni di verità confezionata in forma di verdetto inappellabile sancito da un tribunale ad hoc.

Il Papa è colui che ancora oggi ‘assolve’ pubblicamente Gisana mentre nulla dice in pubblico delle vittime che, al contrario del vescovo, hanno detto la verità. Appena una telefonata in privato per chiedere perdono a suor Teresa, mentre pubblicamente da Bergoglio arrivano soltanto, in ordine temporale: le parole pronunciate a Genova il 27 maggio 2017 che suonano di chiara difesa del mendace Salonia; la foto-opportunity allo stesso concessa il 15 settembre 2018; la visita premurosa e le attestazioni di vicinanza a Lorefice e Gisana lo stesso giorno; in ultimo l’ulteriore recentissima difesa d’ufficio di Gisana, insabbiatore seriale ‘reo confesso’ di tante denunce di violenze commesse nella sua diocesi di Piazza Armerina da sacerdoti in danno di bambine e ragazzi minori.

In relazione al concreto intreccio di certi interessi ed affinità elettive incontrato nel nostro cammino, Gisana è stato allievo di Salonia in qualità di uditore nella scuola di psicoterapia Gestalt diretta dal frate cappuccino il quale, come abbiamo visto, fa finta di non conoscerlo e addirittura di non saperne il nome quando ai pubblici ministeri di Roma riferisce delle indagini della commissione ecclesiastica presieduta da Gisana dinanzi alla quale si è pure presentato in audizione.

Di Salonia abbiamo casualmente rilevato, perché inscindibilmente connesse ai fatti cruciali, talune frequentazioni e rapporti con diverse ‘sorelle’ religiose uno dei quali, con la nostra suor Teresa, ha prodotto il processo per violenza sessuale aggravata, un altro è stato, con suor Lucia, una vera e propria relazione sessuale ammessa dal frate cappuccino quanto meno nella durata di due-tre anni, dal 1978 (lui sacerdote di 31 anni, lei suora di 27) al 1981, mentre in effetti è stata molto più lunga, in corso fino ai primi anni duemila quando Salonia è ministro provinciale dell’ordine francescano.

Per Lorefice, suo paziente, Salonia è ‘campione d’umanità’. La rete degli interessi

e la claque a sostegno del vescovo mancato. Gisana e la donna a lui vicina

Lungo la filiera di nomine, incarichi e collaborazioni sulla quale si snoda la rete di potere del ‘vescovo mancato’ – a maglie incrociate rispetto a ruoli e figure ben attive a sostegno della falsa narrazione che, anche in sede di giustizia, abbiamo dovuto rilevare – ci siamo imbattuti nello Studio San Paolo di Catania, Centro di studi teologici in Sicilia, del quale Gisana è allievo nel biennio di filosofia e poi docente con vari incarichi di responsabilità: dal 1988 animatore degli alunni del seminario maggiore residenti a Catania e docente invitato di scienze patristiche; dal 2010 docente incaricato di esegesi biblica e patristica; dal 2012 e fino alla nomina a vescovo nel 2014, vicepreside e docente di sacra scrittura.

In anni della sua lunga e assidua presenza al San Paolo di Catania molti ricordano una donna sempre a lui vicina, nella struttura residenziale che dal lunedì al venerdì ospita i seminaristi di Noto pendolari per studio. Una donna senza alcun ruolo apparente tranne quello d’essergli vicina, analogamente e stabilmente presente poi anche nella curia di piazza Armerina quando Gisana vi s’insedia come vescovo. Situazioni queste secondarie nella nostra inchiesta ma utili più avanti nel bilancio della lezione che i fatti ci consegnano.

A proposito di frequentazioni, scambi, relazioni ed influenze, abbiamo visto con quanta forza Lorefice si spenda e si batta per il ‘suo’ vescovo ausiliare Salonia, bruciando con lui l’unica possibilità che il Papa gli conceda per dotarsi di questa figura di supporto (che infatti l’arcidiocesi di Palermo, tranne che appunto con Lorefice, nella storia ha sempre avuto) al punto da fare tutte le pressioni necessarie per ottenere, a tutela di Salonia e a difesa della sua falsa versione dei fatti, la commissione-Gisana e poi gli altri atti che, con la soppressione della fraternità di Nazareth e la condanna canonica di Nello Dell’Agli, chiudono il cerchio.

Lorefice avrà tanti buoni motivi per tenere in così alta considerazione Salonia, compreso l’esserne o l’esserne stato paziente in psicoterapia, almeno secondo quanto riferiscono sacerdoti con l’intento di sottolinearne la sincera gratitudine. Ma devono esserci altre spiegazioni però perché, se no, rimane del tutto incomprensibile come un sincero e profondo apprezzamento professionale possa spingersi fino al falso su questioni essenziali, di principio anche per la Chiesa in fatto e in diritto, e anche oltre quando diventa dileggio e denigrazione di una suora limpida ed esemplare, nella nostra inchiesta suor Teresa, vittima – secondo querela – di violenza sessuale da parte del bravo psicoterapeuta: una religiosa che a seguito della sua coraggiosa denuncia viene calunniata e irrisa con nuova violenza dall’arcivescovo, paziente forse del presunto stupratore che, anche dopo la denuncia per violenza sessuale, definisce ‘campione d’umanità’.

La difesa d’ufficio di ‘fra Gaetano, successore di Salonia al vertice provinciale

dei frati Cappuccini, e le pressioni sull’ex suora-amante perchè ritratti la verità

Oltre a quella di Lorefice, e di una forte comunità di esperienze e d’interessi molto attiva sui social, la difesa di Salonia conta anche sul ministro provinciale dei frati cappuccini Gaetano La Speme che abbiamo già incontrato nella misteriosa richiesta di rettifica in apparenza indirizzata a ilfattoquotidiano.it dopo la pubblicazione dell’articolo del vaticanista Francesco Antonio Grana sullo stop papale della nomina di Salonia a vescovo.

Ma non si tratta solo di difesa, più o meno d’ufficio, del proprio confratello, bensì di qualcosa di molto più invasivo perché ‘fra Gaetano più volte telefona all’ex suora, a lungo amante di Salonia, per indurla a ritrattare il contenuto della lettera inviata al Papa il giorno dopo la nomina di Salonia a vescovo. Abbiamo visto come l’ex religiosa, in quest’inchiesta suor Lucia, abbia detto la pura verità e come lo abbia fatto – solo per il bene della Chiesa che mette in guardia dall’ordinare un vescovo di quel tipo – trent’anni dopo avere lasciato l’abito monacale e quindici anni dopo avere posto fine a quella lunga storia con il sacerdote la quale per lei era storia d’amore: l’unica relazione con un uomo nell’intera sua vita fino ad oggi, dichiara ai pubblici ministeri. Una relazione che la induce, per proprio dovere di coscienza, a lasciare la vita religiosa, scelta che altrimenti non avrebbe mai compiuto.

A Salonia, e a La Speme che lavora per lui, va male perché l’ex suora non recede dal dovere di far conoscere al Pontefice la verità e non ritratta nulla ma certo non possono mancare adeguati segni di gratitudine verso il frate, suo successore nella carica di ministro provinciale dell’ordine, che si batte per lui con ogni mezzo, che sia il telefono per tentare di ‘mettere a posto’ le cose o la pagina fb denominata ‘sulla vicenda di padre Salonia’. Con questa pagina La Speme costruisce, anche con l’apporto inconsapevole di tante persone in buona fede, quella falsa narrazione che per tre anni viaggia potente sui media e nei social, dalla ‘rinuncia’ alla nomina episcopale in aprile 2017, alla sentenza penale di non luogo a procedere del 28 febbraio 2020.

Non sappiamo se gratitudine ci sia stata, né se suo segno possa essere considerata la nomina di La Speme a direttore dei corsi di Pastoral counselling della Gestalt Terapy Kairos, gli istituti diretti da Salonia, ma sappiamo per certo che essa è dovuta, nonostante i risultati: del resto cosa potrebbe fare di più il capo dei frati cappuccini di un terzo della Sicilia per falsare la verità? Dopo le telefonate pesanti e invasive alla testimone, una maggiore efficacia richiederebbe solo … vie di fatto! Nel nostro caso per fortuna la verità regge, grazie solo alla serietà, alla rettitudine, alla forza morale di un’ex suora.

Superfluo qui aggiungere che La Speme non ci pensa proprio a cercare la verità sul conto di Salonia, suo predecessore e potente membro della comunità da lui governata. Gli basta la menzogna del frate che egli prende per buona, cavalcandola e spacciandola per verità, al punto da scrivere lettere di pubblica solidarietà. Tutto ciò mentre prova in privato a piegare, ai propri interessi e a quelli di Salonia, la verità della religiosa: oggettivamente vera, in seguito ammessa perfino dallo stesso Salonia.

Tribunale ad hoc, sentenza inappellabile con firma del Papa e l’espediente

di Carballo per averla: “rivalità di colleghi psicoterapeuti, Dell’Agli e Becciu”.

Vero il contrario: se Salonia diventasse vescovo dovrebbe lasciare la professione

Uno degli aspetti più eclatanti della prova di forza del potere vaticano e del conseguente sopruso, giuridico e morale, compiuto contro la verità e in difesa della menzogna pro Salonia, è quella sorta di combinato disposto costituito dal tribunale ad hoc allestito per giudicare e punire il testimone Dell’Agli e dal sigillo papale d’inappellabilità della relativa sentenza. Espedienti caldeggiati dal potente Carballo (abbiamo visto le sue gesta): soprattutto e con insistenza quest’ultimo, recepito e deciso dal Papa con l’effetto di impedire il riesame di una sentenza ingiusta e assurda. Per indurre a tanto, spingere e convincere il Pontefice, l’amico Carballo utilizza l’argomento che segue e al Papa la racconta così.

Salonia è vittima di un complotto orchestrato da suoi colleghi mossi da invidia e interessi di competizione professionale. Costoro sarebbero gli psicoterapeuti Nello Dell’Agli e Mario Becciu, fratello peraltro del cardinale Giovanni Angelo Becciu, al centro di un clamosoro caso internazionale e di un’inchiesta giudiziaria che andrebbero analizzati in ogni loro piega ma ciò richiederebbe apposita trattazione. Qui per la cronaca rileviamo solo che volge alla conclusione il processo intentato dal Tribunale di prima istanza del Vaticano, su citazione, il 3 luglio 2021, del presidente Giuseppe Pignatone. Dal 24 settembre 2020 il porporato-imputato non ha più alcun incarico nella Curia romana di cui, cardinale dal 2018, era prefetto del dicastero delle cause dei Santi.

Tornando all’argomento di Carballo, sempre in sintonia e in costante contatto con Lorefice nell’intera strategia da noi ricostruita come documentano gli atti dei procedimenti, una considerazione elementare s’impone. A scatenare contro il vescovo mancato, subito dopo la sua nomina, i colleghi psicoterapeuti dell’Agli, e addirittura Mario Becciu, secondo Carballo sarebbe la loro rivalità professionale nei confrornti di Salonia e quindi l’interesse economico ad avere più clienti. Ma se così fosse, proprio la nomina a vescovo, una volta ordinato e quindi insediatosi, avrebbe impedito a Salonia di esercitare l’attività retribuita di psicoterapia e di pastoral counselling.

Quindi se fosse vero quanto da Carballo rappresentato al Papa (il movente della competizione professionale e dell’interesse economico) i rivali di Salonia avrebbero tutti i motivi per festeggiare la sua nomina episcopale e non per boicottarla. In proposito appare superfluo richiamare vicende già riferite, in quanto lettrici e lettori di quest’inchiesta conoscono il fitto intreccio di fatti e situazioni che determinano gli eventi, compreso il filo delle ritorsioni contro Dell’Agli: nel 2015 dopo la sua rottura con Salonia con il quale si trova in dissenso perchè vuole la vita della fratenità di Nazareth separata dagli affari professionali; nel 2018 dopo le dichiarazioni rese alla procura di Roma nel procedimento che vede Salonia indagato per violenza sessuale. Peraltro chi mostrerebbe acredine compulsiva e incontrollabile, a leggere alcuni atti che rimandano a Carballo, contro Nello Dell’Agli e contro Mario Becciu sarebbe proprio Lorefice il quale con il potente segretario del dicastero per gli istituti di vita consacrata concerta passo passo la strategia.

Il Papa, il clero e le donne. L’abbandono di Lucetta Scaraffia dopo le denunce di violenze ai danni di alcune religiose e una dichiarazione precisa: “sono certa che il cardinale Becciu ha pagato per avere osato aprire la questione Salonia”

Per chiudere la parentesi dell’accenno al caso-Becciu, da rilevare le parole di Lucetta Scaraffia, scrittrice e opinionista de L’Osservatore romano fino a marzo 2019, quando lascia la direzione del mensile della testata ‘Donna Chiesa Mondo’ con un forte gesto di critica e di denuncia. Scrive Scaraffia il 26 settembre 2020 su Il Sismografo (qui) riferendosi, dopo l’analisi di una lunga sequenza di scandali e inchieste, al cardinale Giovanni Angelo Becciu: <<personalmente sono certa che ha pagato anche per avere osato aprire la questione del cappuccino Salonia, che stava per diventare vescovo, accusato di abuso sessuale su alcune religiose. Delitto per il quale il frate non è stato condannato solo perché erano trascorsi i termini stabiliti per la denuncia. Come si vede il coraggio e la sincerità non pagano nella Chiesa, ma forse agli occhi dei fedeli sono virtù che ancora vengono apprezzate>>.

Per la cronaca, un anno e mezzo prima, il 27 marzo 2019, Lucetta Scaraffia tronca la collaborazione con l’Osservatore Romano e lascia la direzione del mensile femminile, segnalando un clima di sopraffazione soprattutto dopo la denuncia dello scandalo degli abusi sessuali sulle suore. Dice a Repubblica: <<me ne vado insieme a tutta la redazione dell’inserto femminile. Sul quotidiano siamo scomparse e ci hanno delegittimato. Evidentemente la nostra linea dà fastidio. Per questo ci facciamo da parte>>.

Con lei si dimette tutto lo staff del mensile nato sette anni prima con papa Ratzinger. La clamorosa rottura appena tre mesi dopo l’inizio della direzione, in capo all’Osservatore Romano, di Andrea Monda che Bergoglio chiama in sostituzione del predecessore Giovanni Maria Vian. In una lettera al Pontefice, Scaraffia spiega ulteriormente: <<caro Papa, si conclude, o meglio si spezza, un’esperienza nuova ed eccezionale per la Chiesa: per la prima volta un gruppo di donne, che si sono organizzate autonomamente e che hanno votato al loro interno le cariche e l’ingresso di nuove redattrici, ha potuto lavorare nel cuore del Vaticano e della comunicazione della Santa Sede, con intelligenza e cuore liberi, grazie al consenso e all’appoggio di due papi. Ma adesso ci sembra che un’iniziativa vitale sia ridotta al silenzio e che si ritorni all’antiquato e arido costume della scelta dall’alto, sotto il diretto controllo maschile, di donne ritenute affidabili. Si scarta in questo modo un lavoro positivo e un inizio di rapporto franco e sincero, un’occasione di parresia, per tornare all’autoreferenzialità clericale. Proprio quando questa strada viene denunciata da Lei come infeconda».

Il gesto clamoroso, un trauma nell’esperienza del mensile femminile, giunge a fine marzo 2019 dopo che l’inserto denuncia lo scandalo degli abusi sessuali e di potere sulle suore commessi da preti e vescovi. Una piaga riconosciuta dallo stesso Pontefice, a febbraio, sul volo di ritorno dagli Emirati Arabi Uniti, ma …. E qui viene in mente la misteriosa dicotomia tra parole e atti che, lungo i fatti documentati, non ci lascia fin dall’inizio di quest’inchiesta.

Marzo 2019 è anche un mese d’intensa attività investigativa della procura di Roma sul dossier-Salonia, tant’è che il 7 luglio successivo viene depositata la richiesta di rinvio a giudizio. E Scaraffia sul fenomeno delle violenze del clero, soprattutto contro minori e contro donne religiose, impegna il suo prestigio e l’intera redazione da lei formata.

Il Tribunale ad hoc formato a Napoli: ecco chi ne fa parte. La firma papale

che blinda la sentenza contrasta con le parole dello stesso Pontefice

Riprendendo il filo conduttore della parte finale di quest’inchiesta, il tribunale ad hoc viene formato reclutando i giudici a Napoli. E’ una sorta di tribunale partenopeo interdiocesano quello investito della missione sul duplice binario della doppia ‘lezione’ a Dell’Agli, condannato alla massima pena canonica dal tribunale ad hoc e all’ulteriore punizione della soppressione della fraternità di Nazareth attraverso i servigi di Salvatore Farì, parroco a Napoli e, come abbiamo visto, in ottimi rapporti con Corrado Lorefice.

Il collegio apposito che confeziona l’incredibile sentenza è presieduto da Pietro De Felice, presbitero di Casagiove, piccolo centro del Casertano, morto all’età di 65 anni a Caserta il 10 aprile 2021, non molto tempo dopo la sentenza. De Felice, cancelliere della diocesi di Caserta e giudice ecclesiastico in vari tribunali d’appello (sì, d’appello, che operano normalmente tranne casi eccezionali in cui certe sentenze non s’abbiano a riesaminare) è stato anche commendatore dell’ordine del Santo Sepolcro che lettrici e lettori di quest’inchiesta conoscono bene per quella strana accoglienza nelle proprie file di non pochi mafiosi in posizioni di vertice o d’influenza.

Del collegio fa parte Erasmo Napolitano, presbitero della diocesi di Nola, presidente dell’associazione canonistica italiana, vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico campano. Dopo la sentenza – il 25 marzo 2021, con effetto dal primo giugno successivo – acquisisce l’ulteriore incarico di vertice del tribunale interdiocesano di Benevento. Napolitano è canonista di buona fama capace quindi di dare parvenza di credibilità al collegio in qualità di istruttore e ponente.

Completa l’organismo giudicante Carmine Spada che, pochi mesi dopo la sentenza, il 5 luglio 2021 è nominato giudice del tribunale ecclesiastico metropolitano e d’appello di Salerno.

Promotore di giustizia invece è Pasquale Silvestri, presbitero di Napoli, cappellano di sua Santità, all’epoca giudice del tribunale regionale, ad aprile 2023 nominato anche nel tribunale ecclesiale metropolitano beneventano di seconda istanza.

Il divieto papale d’appello è un atto eccezionale, abnorme, straordinario, peraltro in contrasto con le parole stesse pronunciate dagli ultimi tre pontefici, in continuità.

In proposito abbiamo già conosciuto il pensiero del ‘condannato’ appunto senza appello, Dell’Agli: <<È terribile pensare che proprio nella chiesa, il luogo dell’amore, della giustizia e del servizio dell’uomo, si arrivi a negare il diritto fondamentale all’appello>>.

Del resto già 34 anni fa Giovanni Paolo II ammonisce così la Rota romana: <<ius defensionis semper integrum maneat>> (Il diritto della difesa rimanga sempre integro).

Inoltre è nella storia l’omelia in cui Benedetto XVI chiarisce che la chiesa non è una monarchia assoluta, che il rispetto degli elementi essenziali del giusto processo rientra tra gli istituti che la recta ratio impone a ogni ordinamento giuridico, e che il vescovo di Roma non può operare scevro da vincoli giuridici di sistema. In particolare, in relazione al processo riguardante Paolo Gabriele, l’aiutante di camera della famiglia pontificia, sorpreso a trafugare documenti riservati, Ratzinger osserva: «per me era importante che proprio in Vaticano fosse garantita l’indipendenza della giustizia, che il monarca non dicesse “adesso me ne occupo io”. In uno stato di diritto la giustizia deve fare il suo corso. Il monarca poi può concedere la grazia. Ma questa è un’altra storia».

Anche papa Francesco a parole (ai religiosi in Sud Sudan il 4 febbraio 2023) è sulla stessa linea: «Se vogliamo essere pastori che intercedono, non possiamo restare neutrali dinanzi al dolore provocato dalle ingiustizie e dalle violenze perché, là dove una donna o un uomo vengono feriti nei loro diritti fondamentali, Cristo è offeso». E ancora, il 18 febbraio 2023 nel discorso ai partecipanti al corso di formazione per gli operatori del diritto, promosso dal tribunale della Rota romana: «Il vostro lavoro si occupa delle norme, dei processi e delle sanzioni, ma – ammonisce papa Francesco – non deve mai perdere di vista i diritti … Questi diritti non sono pretese arbitrarie, bensì beni oggettivi, finalizzati alla salvezza, da riconoscere e tutelare … Come cultori del diritto avete una responsabilità particolare: far risplendere la verità della giustizia».

L’ultima mossa di Carballo: una lettera di scuse a Salonia per evitare la condanna, Ma Dell’Agli rifiuta: il servizio alla verità non può essere qualcosa di cui scusarsi

A maggior ragione risulta strano il divieto d’appello disposto per l’occasione, spiegabile solo con gli efficaci uffici di Carballo del quale peraltro c’è da svelare un ultimo atto, compiuto prima che l’amico Papa lo rispedisca in Spagna dopo un decennio di scandali e operazioni spericolate nel palazzo delle congregazioni. Quando la sentenza che condanna Dell’Agli è scritta da tempo ma ancora segreta o lasciata in bianco (il presidente del collegio che la emette muore, come abbiamo visto, il 10 aprile 2021) Carballo fa pressioni perché il condannato, o condannando, scriva una lettera di scuse a Salonia. Dell’Agli si rifiuta: gli viene chiesto di rinnegare la verità che la sua coscienza lo ha indotto ad affermare in giudizio e di inchinarsi alla menzogna che ispira l’intera macchinazione ordita nei piani alti del Vaticano. La richiesta di una lettera di scuse che suonerebbe come una ritrattazione, 390 anni dopo l’abiura imposta a Galileo Galilei e 423 anni dopo quella rifiutata da Giordano Bruno, non trova l’assenso di Dell’Agli che non cede. Perciò, prima che Carballo vada via e debba lasciare il dossier che tanto gli sta a cuore (il siluramento nell’aria da tempo è annunciato pubblicamente da papa Francesco il 14 settembre 2023) porta a termine la missione: il 19 giugno 2023 ecco la condanna alla pena dell’amissio status clericalis, senz’appello come abbiamo visto, ma anche senza motivazione, senza preavviso monitorio, nonostante la lunga gestazione.

Infatti a settembre 2022 il dicastero per il clero chiede a Dell’Agli se abbia intenzione di sottomettersi alla sentenza. L’imputato risponde per iscritto di avere bisogno di un periodo di discernimento trattandosi <<di sentenza iniqua, immotivata e inappellabile e perché, sottomettendosi, si renderebbe complice di un’ingiustizia>> anche nei confronti delle persone che hanno testimoniato nei procedimenti riguardanti Salonia. Quindi chiede tempo fino al 15 agosto 2023. Il dicastero non rifiuta e, tacendo, sembra acconsentire. Ma il seguito è quello già descritto: Carballo, che è a capo del dicastero per gli istituti di vita consacrata, posizione da cui fa decretare la chiusura della fraternità di Nazareth, esplora una posta alternativa, evidentemente a lui e danti causa sufficiente: una lettera di scuse di Dell’Agli a Salonia. E quando questa è rifiutata con decisione, arriva, senza preavviso (Carballo ha fretta sapendo di dovere andar via), la dimissione del sacerdote-testimone dallo stato clericale: la data è il 19 giugno 2023 ma la notifica e la comunicazione del vescovo al clero diocesano seguono un mese dopo. E’ in quel momento che, con la nota alla stampa di Dell’Agli del 16 luglio 2023, il caso diventa pubblico e fornisce materiale a quest’inchiesta.

A proposito della lettera di scuse invano chiesta a Dell’Agli come atto di sottomissione all’intrigo e alla menzogna, una notazione aiuta a capire quale sia il livello di serietà, di diligenza, di applicazione giuridica negli atti che, letti in questa ottica, sembrano soperchierie e imbrogli d’un manipolo di manigoldi.

Nell’intimazione a Dell’Agli, perché possa evitare la condanna, la richiesta, oltre alle scuse a Salonia, comprende anche una lettera di scuse ad una donna, di cui viene indicato il nome, definita sodale della fraternità. Ma Dell’Agli la conosce appena, lei non ha mai fatto parte della fraternità e sul suo conto risulta solo che abbia espresso per iscritto una lamentela nei confronti del vescovo Paolo Urso per avere egli permesso una celebrazione in cattedrale presieduta dall’allora vicario Salvatore Puglisi per la professione temporanea dei voti di alcuni membri della fraternità. Una lettera di scuse da parte di Dell’Agli per un atto compiuto non da lui ma dal vescovo, ‘colpevole’ però di riguardo – questo il messaggio – verso la fraternità di Nazareth.

A rileggere i capi d’accusa e l’incredibile sentenza – gli uni e l’altra ampiamente illustrati all’inizio – una considerazione si impone. A Dell’Agli, anche nelle valutazioni informali successive, viene contestato l’atto di disobbedienza, non essendosi sottomesso alla sentenza. In verità egli chiede un periodo di discernimento e, di fronte al silenzio come risposta, crede di ottenerlo. Ma due mesi prima che arrivi l’ora delle scelte, quando Carballo ha fretta, giunge la notifica della condanna.

Non v’è dubbio che spesso nella società laica la disobbedienza al potere – non di rado bieco, ottuso, debordante e quindi ingiusto – sia preciso dovere civile. Ma anche nell’ottica interna della Chiesa e delle sue regole a nessuno sfugge che in questo caso la disobbedienza al potere e all’istituzione sia obbedienza alla verità e alla coscienza: rifiuto di una palese ingiustizia malandrina che umilia e colpisce quanti nella Chiesa stessa agiscono per la verità e nel contempo premia coloro che si nutrono della menzogna. Del resto il frate francescano Salonia, come l’unico Papa finora che porti il nome del santo d’Assisi, sa ciò che San Francesco scrive otto secoli fa: «se il superiore ti comanda qualcosa che è contro la tua coscienza, non obbedire, ma rimani in comunione».

Una lobby, basata sull’orientamento sessuale dei suoi membri, alla base

dei soprusi del potere in Vaticano. Lobby d’interessi: non per ideale affermazione

di un’identità di genere, ma per l’ordinario appagamento di uomini di Chiesa

Ecco dunque giunti al focus finale.

L’intreccio dei fatti e la loro ricostruzione documentata ci pongono di fronte ad una mostruosa serie di atti di palese ingiustizia e di asservimento di funzioni, enti e istituzioni a interessi privati, a dinamiche di potere, in alcuni casi secondo logiche corporative, tribali e di vere e proprie lobbies all’interno del Vaticano e della sua burocrazia decidente la quale come è noto non opera solo dentro gli angusti confini di questo minuscolo Stato ma ne estende gli effetti, almeno nell’ambito della giurisdizione canonica, su una buona fetta dell’umanità: quel miliardo e trecento milioni di fedeli che nel pianeta ne rappresentano un sesto.

Spesso il filo di questi intrecci fa emergere i rapporti di scambio all’interno di talune di queste lobbies. Il cemento degli interessi che le tiene in vita potrebbe in astratto essere ampio e non si può escludere che la casistica reale possa contemplare varianti nascoste o poco visibili all’esterno. Ma un dato è certo: la presenza forte di lobbies basate sull’orientamento sessuale degli appartenenti. Utilizziamo il termine ‘orientamento sessuale’ in modo sommario, grossolano potremmo dire, senza andare a distinguere tra le varie sfumature comprese – solo per fare un esempio scientifico tra i più noti – nei sette livelli della scala di Kinsey, ma avendo presenti unicamente le macrocategorie di tale orientamento.

Lungi da pensieri o retropensieri discriminatori tra ogni orientamento possibile, ognuno dei quali ha la stessa dignità e merita lo stesso rispetto degli altri, qui ci troviamo solo a dovere prendere atto che talune di queste lobbies, certamente la più forte in Vaticano, sono fondate sul cemento di un comune orientamento degli appartenenti, quale che ne sia il grado clericale: diaconi, sacerdoti, vescovi, cardinali. Ovviamente più è alto il grado, maggiore il potere e l’influenza sugli atti di governo e su ogni terreno d’azione: atti mai trasparenti, né sindacabili, secondo le logiche tipiche di una monarchia assoluta il cui capo è al di sopra delle leggi che egli stesso può fare e disfare a piacimento, modellare, cambiare in ogni momento e questo suo potere enorme e smisurato spesso è permeabile, com’è inevitabile, ad una cerchia di persone capaci di ottenere la fiducia del monarca e perciò in grado di incanalarne gli effetti secondo propri interessi, spesso corporativi o di cordate varie.

Lungo il filo delle vicende documentate, una lobby formatasi sul comune orientamento sessuale degli appartenenti – diaconi, sacerdoti, vescovi o cardinali che siano – e soprattutto delle figure più influenti che la rendono forte e attiva, è più che evidente.

Ma a noi, a conclusione della nostra inchiesta, questo elemento interessa solo per una ragione. Se l’orientamento sessuale sul quale si formi una corrente, un’area o una lobby – quale che sia la parola che si voglia utilizzare – è elemento costitutivo e tratto distintivo della lobby stessa ciò accade solo perché l’orientamento medesimo non è un atteggiamento dello spirito o mera condivisione ideale di potenziali inclinazioni di natura, perché se così fosse non vi sarebbe affatto bisogno di alcuna proiezione organizzativa degli interessi – evidentemente da soddisfare e propri di tali inclinazioni – in lobby appunto, né di gesti di mutuo soccorso o di solidarietà cameratesca tra i sodali.

Invece in una serie innumerevole di atti le impronte tipiche di una cricca sono evidenti e ciò rivela il concreto, fattivo perseguimento di obiettivi materiali consistente nell’alimentare un circuito efficiente che possa saldare bisogni e soddisfacimenti, aspirazioni e traguardi, pulsioni e appagamenti, quindi ambizioni, percorsi e carriere. Un atto di potere (purtroppo anche ingiusto e arbitrario, anzi meglio se tale perché ostentazione più forte del potere medesimo) gratifica chi ne beneficia, lo attira alla causa, lo recluta come fante o cavalier servente, ne acquisisce obbedienza e fedeltà acritica, alimentando anche quel serbatoio di disponibilità che può assumere il suo specifico rilievo rispetto all’essenza che è materia prima e cemento dell’appartenenza.

In queste dinamiche accade poi che certe spinte imprimano agli intrecci dello scambio direzioni che ne portino qualche effetto oltre il proprio recinto, anche in capo a chi non abbia lo stesso requisito identitario dell’appartenenza ma, nella convenienza funzionale del sinallagma, si muova in totale sinergia d’interessi, sia pure, nel nostro caso, coltivando diverso orientamento sessuale. Ecco perché in qualche snodo troviamo atti di bullismo istituzionale e di scioccante prepotenza ad uso e consumo di qualche ‘esterno’: esterno si, ma arruolato e integratissimo, ‘fuori quota’, nel sistema efficiente dello scambio in cui la lobby è specializzata. In questi casi si saldano interessi preliminari determinati dal senso di appartenenza per comune orientamento con altri, esterni appunto, che attengono alla forza della lobby e alla sua capacità di servire qualsivoglia soluzioni a chi le chieda.

Rileviamo tutto ciò in generale e quindi senza riferimento alcuno a personaggi, fatti e situazioni. Nell’intreccio degli eventi che abbiamo cercato di dipanare abbiamo incontrato Paolo De Nicolò, Josè Rodriguez Carballo, Corrado Lorefice, Salvatore Farì insieme a tanti altri. E abbiamo incontrato anche Rosario Gisana, Giovanni Salonia e così via. Ma qui interessa solo il dato generale di logiche e dinamiche che mortificano l’istituzione e i valori, morali e giuridici, a cui dovrebbe ispirarsi.

Tutto ciò è certamente esecrabile in relazione a quanto già osservato: l’asservimento di atti, procedure e decisioni, in fatto di governo e di giustizia, a lobbies e interessi organizzati estranei al governo e alla giustizia, di matrice particolare e privata, spesso in contrasto stridente con i doveri istituzionali e, cosa ancora più grave, con i valori etici e morali delle prescrizioni canoniche.

Ma lo è di più per il necessario slittamento interpretativo che consegue al fenomeno. Se possono esistere (ed esistono, eccome: potenti, ben organizzate e agguerrite) in Vaticano e nella Chiesa, dai vertici a diretto contatto con il Papa fino alle parrocchie di periferia, lobbies basate sul comune orientamento sessuale dei chierici aderenti, ciò accade unicamente perché il risultato della loro azione è l’ordinario soddisfacimento degli appetiti – sessuali appunto – propri di tale comunanza.

Il che – fuori dalla perversa logica interna (l’asservimento di funzioni fino allo scempio di verità e giustizia) ci segnala un dato. La sessualità e l’esercizio delle pratiche relative sono realtà quotidiana per molti membri del clero: certamente non tutti perchè tanti chierici vivono con limpidezza e coerenza la loro scelta di vita e il connesso obbligo di celibato; forse non la stragrande maggioranza, ma certo una parte rilevante, al punto che una lobby basata sull’orientamento sessuale degli aderenti, magari una sola tra le varie eventualmente all’opera, possa formarsi, organizzarsi, agire, assumere potere e spenderlo, per i fini propri del requisito soggettivo dei membri costitutivo dell’appartenenza.

Ci troviamo a conoscere fatti di cronaca, notizie sui giornali, scandali, casi giudiziari solo se e quando la casuale rara combinazione di elementi e situazioni ne provoca l’emersione pubblica. Ma nella fisiologia della realtà tale emersione è l’eccezione e non la regola. In ognuno di questi casi (migliaia e sono ‘eccezioni’ che per puro caso scopriamo a fronte di quelli ‘regolari’, quindi molti di più, che rimangono sommersi) sullo sfondo troviamo sempre la descrizione fisiologica e puntuale della realtà corrente, quotidiana, ordinaria la quale ci racconta che, almeno per una parte del clero, la violazione dei doveri del celibato – nell’accezione già chiarita di astinenza sessuale – non è frutto di debolezza ma di ‘forza’, non cedimento ad una tentazione ma regola di vita, frutto di libera volontà non solo caso per caso, atto per atto, relazione per relazione, rapporto per rapporto, ma disegno esistenziale concepito e perseguito con la protezione dell’abito talare. Del resto la percentuale di omosessuali nel clero (un clero finora e tuttora esclusivamente maschile) è molto più alta di quella presente nella società comune e nella realtà complessiva. Segno che per molti chierici la scelta dell’abito (quindi dell’habitat, dello status, dell’ambiente con le sue regole) è spinta, anche se non solo, dalla considerazione che essa possa meglio consentire l’esercizio concreto del proprio orientamento, soprattutto quando anche tra i laici l’omosessualità era tabù e la persecuzione purtroppo praticata e tollerata, come ancora oggi accade in molti paesi: ed anche nel nostro tuttora la discriminazione non è debellata del tutto.

Non credo vi sia bisogno di citare precisi casi di cronaca perchè si abbia un’idea della dimensione del fenomeno che è pura normalità quotidiana per gli uomini di Chiesa, nelle sue stesse stanze o fuori. E nulla aggiungerebbe la citazione dei più scioccanti come quel sacerdote che organizzava orge in chiesa, gare di sesso estremo, giochi erotici con vibratori, frustini e collari, senza badare a spese (con i soldi delle offerte) e che filmava o faceva filmare le scene, catalogando ogni dvd con il nome di un Papa e collezionava falli in lattice disposti in canonica in ordine crescente. Una storia venuta alla luce, nella chiesa San Lazzaro di Padova, dopo sei anni di questa frenetica e sistematica attività, solo perché una donna amante – circuita all’origine dal prete in un momento di debolezza dopo una separazione – ad un certo punto si ribella ad un sistema di violenze in cui è costretta a partecipare ad orge con altri sacerdoti e altre donne della parrocchia indotte o costrette a prostituirsi a beneficio di tanti uomini di chiesa e ad ostentazione del potere che su di loro può esibire il parroco instancabile promotore. Questo è un caso limite di violenze e delitti. Che però ci racconta come la normalità contempli per una parte del clero la sistematica ipocrita menzogna sul rispetto degli obblighi del celibato, anche quando nessun reato venga compiuto.

Fuori da singoli episodi, la casistica generale dei fatti che per accidente talvolta diventano di conoscenza pubblica ci rivela che quale che sia l’orientamento di attrazione – omo, etero o altro – l’attività sessuale di molti (anche se non tutti) uomini di Chiesa è normale, ordinaria, diffusa anche quando non integri alcun reato perchè si esplica con persone adulte il cui consenso sia vero, pieno, libero, consapevole ed effettivo: senza di questi requisiti il consenso non sussiste.

Il cuore dei fatti nella nostra inchiesta è l’affaire-Salonia che partendo dalla bugìa sistematica, necessaria a coprire la violazione del dovere sacerdotale di astinenza dall’attività sessuale, arriva a produrre la ritorsione contro testimoni di verità attraverso la menzogna istituzionale e l’asservimento della giustizia.

Tanti sacerdoti non violano quel dovere e ne portano tutto il peso, ma tanti agiscono diversamente. Abbiamo visto peraltro come le vicende denunciate da suor Teresa definiscano e descrivano violenze sessuali commesse con l’abuso del ruolo dato dall’abito talare e dalla professione di terapeuta. Le altre segnalate, innanzitutto al Papa, da suor Lucia, se non possono essere classificate vere e proprie violenze – perchè il consenso della religiosa in qualche modo non si può escludere vi sia stato – in ogni caso rivelano forme d’abuso, del ruolo e dell’autorità ecclesiastica, nei confronti di una persona che, soprattutto in quell’ambiente e da parte di quella figura, avrebbe avuto diritto a ben altro rispetto di sè.

Pur dovendo distinguere nettamente tra attività sessuale giurdicamente lecita e violenze, non v’è dubbio che, in un sistema segnato dalla discrasia profonda tra regola formale e tasso elevato di violazione, spesso il confine divenga incerto e si producano conseguenze devastanti sull’intera comunità.

Il clero e il sesso: la finzione ipocrita dell’astinenza e la verità sfrontata dell’intemperanza. Non è solo questione morale di superficie, ma infezione profonda dell’intero corpus della Chiesa: la necessità della menzogna produce intrigo, abuso, inganno, ricatto, violenza, corruzione degli atti e delle istituzioni

Perciò il riferimento al tema dell’obbligo di celibato nella nostra inchiesta rileva solo ad un fine, questo: la denuncia dell’ipocrisia, del contrasto tra verità privata e menzogna pubblica, della doppiezza di una Chiesa che non ha il coraggio della coerenza e della responsabilità. Lungi da noi ogni considerazione valoriale del celibato (tanto più nel senso canonico dell’astinenza sessuale), ed anzi considerando la normale libera sessualità elemento connaturato alla persona umana e quindi fattore insopprimibile del suo diritto, in piena libertà secondo le sue scelte, al proprio benessere, il punto è solo questo: perché la Chiesa che predica i valori evangelici (la verità è il primo di questi) pratica la menzogna, addirittura come valore assoluto se ad esso subordina e prostituisce non pochi atti della propria produzione istituzionale, di governo e di giustizia? Se vuole la norma vigente, la allinei alla realtà, favorendone il rispetto, non la violazione. Anche per impedire l’effetto domino dell’infinita serie di brutture che ne conseguono.

La questione è enorme, tale da colpire e indignare chiunque, dentro e fuori la Chiesa, abbia un briciolo di onestà intellettuale. Ma lasciamo questa materia a moralisti, teologi, filosofi, canonisti, persone che a qualunque titolo abbiano voglia di battersi per quella che sarebbe una modifica normativa di uno Stato sovrano che concentra ogni potere nelle mani di un uomo solo, un uomo appunto.

La lasciamo a loro ma teniamo per noi, sperando di mantenerlo sempre vivo, un suo corollario, che è un aspetto inscindibilmente collegato e al tempo stesso una tragica conseguenza. Tragica perché è un’impressionante, inarrestabile, catena di delitti e intrighi, di ogni genere.

Se la menzogna diventa strutturale addirittura in una logica di sistema qual è il dover essere dei suoi membri, quindi nel loro agire corrente, perciò potenzialmente nel prodotto istituzionale di un piccolo Stato e di una grande Chiesa nel mondo, essa produce a cascata un fiume di menzogne, e per conseguenza di inganni, soprusi, raggiri, abusi, violenze. Ad ogni livello.

Potenzialmente questo fiume può insinuarsi o lambire ogni istituzione, organismo, atto, iter, provvedimento, decisione di qualsivoglia tipologia. Attualmente e compiutamente esso alimenta inoltre, in quella parte del clero che viola i suoi doveri, una pratica di rapporti che contempla sistematicamente la finzione, la manipolazione, la truffa, l’induzione concussiva, la violenza sessuale, lo stupro spesso aggravato dalla condizione di debolezza della vittima, favorito dalla coercizione nella desistenza dalla denuncia esterna, protetto dal sistema capillare interno di omertà, di omissione rispetto agli abusatori e, non di rado, di persecuzione della vittima.

Anche Bergoglio ha rinunciato a cambiare le norme sul celibato: lo ha detto esplicitamente nel recente sinodo, rimandando al suo successore ogni improbabile novità. Se ne può solo prendere atto, ben sapendo che la modifica normativa è solo uno dei due modi di affrontare il problema: l’altro è quello di fare rispettare la norma vigente. Una norma si rispetta o la si cambia, affinchè possa essere osservata, togliendo così spazio alla menzogna e all’inganno. Della scelta di papa Francesco, dicevamo, si può solo prendere atto.

Ma una comunità è data dai suoi membri, non – solo – dal proprio vertice. Basterebbe una voce, forte e corale, dal basso e dall’interno, per mettere in crisi e picconare un sistema ipocrita e ambiguo che genera menzogna e favorisce abuso. Ma questa voce non si sente affatto.

Noi, nel nostro piccolo, con questa inchiesta, dal basso e dall’esterno, abbiamo dato un contributo.

7 – fine
view post Posted: 27/11/2023, 18:42 Siracusa: 2 preti indagati per abusi. La Curia: "nessuno ci ha avvisati" - La stanza del peccato
www.webmarte.tv/siracusa-non-ce-pa...esa-siracusana/

Siracusa | Non c’è pace per la chiesa siracusana
27 Novembre 2023 | by Michele Accolla

Secondo quanto pubblicato oggi dal quotidiano La Sicilia, la Procura della Repubblica di Siracusa avrebbe avviato un’indagine su presunti abusi sessuali di cui sarebbero stati responsabili due sacerdoti. La Curia smentisce.

Non si può certo dire che quello di Mons. Lomanto, da quando si è insediato come vescovo della diocesi di Siracusa sia stato fin qui un periodo fortunato.

Non sembrano infatti diradarsi le nubi sul comportamento di alcuni sacerdoti della diocesi, che stanno caratterizzando il suo mandato, e non certo per responsabilità sue.

Subito dopo il suo insediamento, ormai tre anni e mezzo fa, Monsignor Lomanto aveva dovuto affrontare le tensioni e i problemi con alcuni sacerdoti di Augusta, ereditate dal suo predecessore.

Nel centro megarese, dove già un arciprete era stato condannato per abusi su una parrocchiana, prima le accuse di comportanti sessuali per niente adeguati al suo ministero di un parroco, poi la sospensione a divinis di un sacerdote accusato di essersi appropriato, a causa della ludopatia, di beni della parrocchia.

Di tutt’altro genere invece il provvedimento di sospensione dell’altro ex arciprete, dovuto ai contrasti con alcune confraternite che avevano portato a divergenze con la stessa Curia.

Appena un mese l’arresto del parroco della Chiesa Madre di Sortino, accusato di estorsione da un impresario di pompe funebri.

Ora ci sarebbe, secondo quanto riportato dal quotidiano catanese in un articolo dell’edizione di oggi, una doppia inchiesta della Procura di Siracusa, che interesserebbe il clero siracusano.

La prima indagine, avviata sulla base di notizie giunte direttamente alla Procura da fonti confidenziali, avrebbe lo scopo di verificare le accuse di abusi sessuali rivolte a due sacerdoti.

La seconda riguarderebbe invece la presunta diffamazione di cui sarebbe stato vittima “un importante prelato della Diocesi”.

Il prelato sarebbe stato accusato di condotta omosessuale, con alcune mail inviate a diversi sacerdoti e laici, due anni fa.

Il condizionale è d’obbligo, considerato che non ci sono notizie ufficiali e che il riserbo è massimo, come è comprensibile, tanto da parte degli inquirenti che della Curia.

Di certo c’è che sono stati ascoltate alcune ‘persone informate dei fatti’, in qualche modo vicine agli ambienti ecclesiastici della provincia.

Tra questi ci sarebbe, secondo il quotidiano La Sicilia, “un parroco che ricopre un incarico di spessore che da anni intratterrebbe una relazione sentimentale con una donna”.

Si parla anche di uno scandalo che riguarderebbe il parroco della Chiesa madre di un comune della provincia, che avrebbe addirittura una relazione con due donne.

In merito all’articolo, l’ufficio per la Pastorale delle Comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi di Siracusa ha smentito di essere a conoscenza dell’esistenza di indagini che coinvolgono sacerdoti.

Pubblichiamo il testo integrale del comunicato.

In merito all’articolo pubblicato oggi sull’edizione di Siracusa del quotidiano La Sicilia, la Curia di Siracusa, citata nell’articolo, evidenzia di non essere a conoscenza di un’indagine per abusi sessuali che riguarda sacerdoti siracusani. Qualunque reato va perseguito e punito e all’Autorità giudiziaria va il nostro sostegno nel portare avanti un’indagine che possa accertare un reato.

“Non dobbiamo temere di proclamare la verità, anche se a volte scomoda, ma piuttosto di farlo senza carità, senza cuore” ci ha ricordato Papa Francesco.

Nel rispetto della libertà di stampa o di cosiddette inchieste giornalistiche che spesso si traducono in campagne diffamatorie che vengono portate avanti, in questo caso, la Curia ritiene che scrivere di un’indagine “in stato embrionale”, quindi senza riferimenti certi, ma solo per accendere la curiosità del lettore, non fornisce al lettore stesso un’informazione corretta. Solo qualche mese fa Papa Francesco invitava ad una “comunicazione costruttiva, che favorisca la cultura dell’incontro e non dello scontro”.

Il Santo Padre ha parlato di peccati del giornalismo: “la disinformazione, quando un giornalismo non informa o informa male; la calunnia (a volte si usa questo); la diffamazione, che è diversa dalla calunnia ma distrugge; e la coprofilia, cioè l’amore per lo scandalo, per le sporcizie, lo scandalo vende”.
view post Posted: 27/11/2023, 15:42 Il vescovo che bacia i fedeli sulla bocca: "non è una molestia, significa che ti voglio bene" - La stanza del peccato
Svizzera. Le accuse al vescovo Mixa e ad altri 3 preti: "mi dissero che non ero vittima ma corresponsabile"

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Il vescovo Walter Mixa

www.tio.ch/svizzera/cronaca/171538...-tentato-stupro

SVIZZERAUn prete della diocesi di Coira accusato di tentato stupro
Depositphotos (pmmart)


Fonte SonntagsBlick
elaborata da Redazione
26 nov 2023 - 23:16 3'215
L'uomo è stato denunciato da un cittadino tedesco di 49 anni, che avrebbe subito abusi sessuali anche nel canton San Gallo
COIRA - Un cittadino tedesco ha denunciato due membri del clero in Svizzera per abuso sessuale e tentato stupro. Oggi 49enne, dichiara di essere stato vittima quando era ancora bambino e anche in età adulta di quattro chierici, di cui due all'interno dei confini elvetici: l'ex vescovo tedesco Walter Mixa e un prete della diocesi di Coira.

Al SontaggsBlick, Josef Henfling ha raccontato che Mixa lo avrebbe stretto a sé e baciato sulla bocca nel corso di una messa mandata in onda alla televisione a Gossau nel canton San Gallo. L'ex vescovo ha risposto alle accuse affermando che «se stringo tra le mie braccia qualcuno e lo bacio è segno che gli voglio bene. Non è una molestia». E aggiungendo che non ha memoria dell'episodio.

Una seconda denuncia è stata invece depositata nel canton Grigioni e i fatti, se appurati, potrebbero avere delle conseguenze penali per la persona accusata in quanto non sono ancora caduti in prescrizione, ossia sono avvenuti meno di 15 anni fa. In questo caso l'accusa è di tentato stupro e l'aggressore sarebbe un prete di Coira. I fatti si sarebbero svolti nel 2012. In quel periodo, Henfling si trovava in Svizzera per lavoro. Anche in questo caso, le accuse sono contestate dal presunto aggressore.

La testimonianza di Henfling
Stando al racconto del cittadino tedesco, che prima di oggi non si era mai esposto pubblicamente, c'erano stati da parte sua dei tentativi di denuncia. Ma afferma che invece di supporto, avrebbe trovato colpevolizzazione e disinteresse. «Mi hanno detto che la falsa testimonianza è penalmente perseguibile». E in un'occasione, un prete della diocesi tedesca di Eichstätt, gli avrebbe promesso di esorcizzare il suo trauma. «Mi ha reso corresponsabile di quanto mi era accaduto. Io, la vittima, ero diventato il mio stesso carnefice».
view post Posted: 27/11/2023, 15:17 Siracusa: 2 preti indagati per abusi. La Curia: "nessuno ci ha avvisati" - La stanza del peccato
La Sicilia del 20 09 2021


La Sicilia del 21 09 2021


La Sicilia del 22 09 2021


La Sicilia del 24 09 2021



La Sicilia del 29 09 2021
view post Posted: 27/11/2023, 13:56 Siracusa: 2 preti indagati per abusi. La Curia: "nessuno ci ha avvisati" - La stanza del peccato
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Vescovo Lomanto

https://www.lasicilia.it/cronaca/siracusa-...rocura-1966130/
Siracusa, due sacerdoti indagati per abusi sessuali: l’inchiesta della Procura
Il fasicolo aperto dopo le soffiate agli investigatori. Interrogate decine di persone

Di Redazione |
27 Novembre 2023

La Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta su presunti abusi sessuali di cui si sarebbero macchiati due sacerdoti. Una vicenda di cui gli inquirenti sono venuti a conoscenza a seguito di notizie giunte da fonti confidenziali pervenute direttamente agli uffici della Procura. Dal muro di riserbo eretto attorno al caso, non trapela nulla se non che gli inquirenti stanno acquisendo elementi probatori con interrogatorio di diverse persone.



www.libertasicilia.it/siracusa-abu...zione-corretta/

Siracusa. Abusi sessuali di preti, la Curia aretusea è estranea ai fatti e invita ad una informazione corretta
Scoppia il bubbone per un articolo pubblicato sul quotidiano catanese: «Una vicenda di cui gli inquirenti sono venuti a conoscenza a seguito di notizie giunte da fonti confidenzialiagli uffici della Procura»
27 Novembre 2023
Siracusa. Abusi sessuali di preti, la Curia aretusea è estranea ai fatti e invita ad una informazione corretta


Sono rimasti molto sorpresi nella Curia di Siracusa, in merito all’articolo pubblicato oggi nelle pagine di un quotidiano regionale, riferite all’edizione di Siracusa, riguardante una vicenda di abusi sessuali di sacerdoti siracusani. Riporta il quotidiano la Sicilia: «La Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta su presunti abusi sessuali di cui si sarebbero macchiati due sacerdoti, una vicenda di cui gli inquirenti sono venuti a conoscenza a seguito di notizie giunte da fonti confidenziali pervenute direttamente agli uffici della Procura. Dal muro di riserbo eretto attorno al caso, non trapela nulla se non che gli inquirenti stanno acquisendo elementi probatori con interrogatorio di diverse persone».

Secondo quanto pubblicato dal quotidiano catanese oggi in edicola: «L’indagine è ancora allo stato embrionale mentre parallelamente secondo indiscrezioni si ipotizza un’altra indagine per presunta diffamazione. In questo caso al centro degli approfondimenti vi sarebbero delle mail anonime inviate (circa due anni fa) a preti e laici dove si ipotizza una condotta omosessuale da parte di un importante prelato della Diocesi. Non si comprende tuttavia come mai la denuncia sia stata fatta solo di recente».


Ed ecco la precisazione della Curia di Siracusa: «Qualunque reato va perseguito e punito e all’Autorità giudiziaria va il nostro sostegno nel portare avanti un’indagine che possa accertare un reato. “Non dobbiamo temere di proclamare la verità, anche se a volte scomoda, ma piuttosto di farlo senza carità, senza cuore” ci ha ricordato Papa Francesco» sottolinea la Curia.

«Nel rispetto della libertà di stampa o di cosiddette inchieste giornalistiche che spesso si traducono in campagne diffamatorie che vengono portate avanti, in questo caso, la Curia ritiene che scrivere di un’indagine “in stato embrionale”, quindi senza riferimenti certi, ma solo per accendere la curiosità del lettore, non fornisce al lettore stesso un’informazione corretta. Solo qualche mese fa Papa Francesco invitava ad una “comunicazione costruttiva, che favorisca la cultura dell’incontro e non dello scontro”. Il Santo Padre ha parlato di peccati del giornalismo: “la disinformazione, quando un giornalismo non informa o informa male; la calunnia (a volte si usa questo); la diffamazione, che è diversa dalla calunnia ma distrugge; e la coprofilia, cioè l’amore per lo scandalo, per le sporcizie, lo scandalo vende» conclude la nota della Curia di Siracusa.



27 Novembre 2023 | 11:38

Edited by pincopallino2 - 27/11/2023, 15:25
view post Posted: 24/11/2023, 21:48 Capri. Don Irolla sfratta i poveri per aprire B&B - Attualità
piano-di-sorrento-don-pasquale-irolla-non-lasciamo-impolverare-la-tela-della-vita-che-dio-ha-disegna-3345534.660x368

https://m.dagospia.com/la-parrocchia-di-ca...lle-case-375589

Estratto dell'articolo di F.B. per il “Corriere della Sera”

CAPRI

Una decina di ingiunzioni di sfratto sarebbero state inviate, a Capri, agli inquilini di immobili che la parrocchia di Santo Stefano possiede sull’isola. L’avviso avrebbe raggiunto sia famiglie a basso reddito che associazioni impegnate in attività sociali.

A sollevare la questione è una nota dell’Unione nazionale consumatori che ha scritto al parroco don Pasquale Irolla — dal quale non è giunta ancora conferma dell’iniziativa — invitandolo a ritornare sui suoi passi e a tener conto che negli appartamenti di proprietà della parrocchia abitano famiglie in condizioni economiche precarie, per le quali sarebbe estremamente difficile trovare una soluzione alternativa, a maggior ragione in un momento come questo, in cui a Capri si sta vivendo una vera emergenza casa dovuta alla scelta sempre più diffusa da parte dei proprietari di investire nel mercato del B&B, decisamente più redditizio rispetto ai contratti di affitto a uso abitativo a lungo termine.

La carenza di appartamenti accessibili agli isolani sta provocando un inedito fenomeno di pendolarismo al contrario: non sono infatti pochi i capresi che nell’ultimo anno si sono trasferiti a vivere a Napoli e che raggiungono l’isola per lavorare. Le proprietà di cui dispone la parrocchia di Santo Stefano sono per lo più frutto di donazioni proprio con lo scopo di offrire alloggi a chi non ha le possibilità economiche per sostenere i prezzi del mercato immobiliare, ma l’Unione consumatori paventa l’eventualità che anche la «Chiesa miri ora a entrare nel giro degli affitti turistici e che per questo motivo stia cercando di liberare gli appartamenti», che in alcuni casi si trovano in zone di grande pregio come la Piazzetta o Marina Grande

www.ansa.it/campania/notizie/2023/...6321d1c430.html

"La parrocchia sfratta", Capri alle prese col problema case
Unione consumatori, 'via i bisognosi per fare posto a B'
CAPRI, 22 novembre 2023, 19:55

Redazione ANSA

ANSACheck
Louis Vuitton porta l 'edicola pop-up nella Piazzetta di Capri - RIPRODUZIONE RISERVATA

Louis Vuitton porta l 'edicola pop-up nella Piazzetta di Capri - RIPRODUZIONE RISERVATA
Un monito affinchè, almeno la Chiesa, non accresca la proliferazione denunciata di B&B e case vacanza che stanno "snaturando" l'isola di Capri, arriva dall'Unione nazionale consumatori che ha scritto alla parrocchia Santo Stefano, in persona del nuovo parroco don Pasquale Irolla, affinchè il vasto patrimonio immobiliare di cui è proprietaria continui ad essere usato per ospitare le famiglie, specie quelle bisognose, e non i turisti.

Un richiamo dovuto al fatto che la parrocchia avrebbe avviato "azioni di sfratto o rilascio a danno di cittadini capresi e di associazioni che operano nel sociale", è che l'obiettivo potrebbe essere quello di impiegare gli immobili "per attività diverse da quella abitativa", come "per fini ricettivi extralberghieri".

Secondo quanto si è appreso sarebbero una decina gli affittuari di abitazioni destinate ai meno abbienti, di proprietà della Chiesa, che hanno ricevuto procedure di sfratto ed inviti bonari al rilascio degli immobili, donati molti anni fa all'ente ecclesiastico proprio a favore di queste tipologie di isolani. Ne è nata una battaglia a colpi di carte bollate, con gli occupanti, tra cui anche enti di volontariato, beneficenza e associazioni disabili, che rivendicano il loro diritto a restare in quelle case proprio in virtù della volontà espressa dai proprietari che le donarono.
Al loro fianco si schiera ora l'Unione consuatori di Capri, che sta in particolare assistendo una giovane donna, separata e con figli minori, che ha ricevuto lo sfratto per finita locazione da un'immobile della chiesa, nonostante le sue difficoltà economiche e familiari. C'è poi il caso di alcune associazioni di volontariato, come la Cooperativa Luna, per la quale il Comune è riuscito a scongiurare lo sfratto: "l'amministrazione - sottolinea l'assessore alle Politiche sociali, Salvatore Ciuccio - è pronta ad intervenire nell'ambito delle sue competenze per trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di chi vuol conseguire un reddito e di chi invece, cittadino caprese storico, non trova una dimora per se e la sua famiglia". Dal canto suo l'Unione consumatori di Capri chiede che la parrocchia rispetti le volontà dei benefattori, che donarono gli immobili "per destinarli a pubblica utilità o per garantire un alloggio a persone meno abbienti o a residenza gratuita per anziani", e di non impiegarli ad altri usi "incompatibili con la vostra missione di fede".

www.affaritaliani.it/cronache/capr...b-b-888583.html

Venerdì, 24 novembre 2023
Capri, il parroco sfratta i poveri dalle case della Chiesa: "Faremo dei B&B"
Scoppia la bufera per la decisione di don Pasquale Irolla. Il cardinale Zuppi aveva appena detto: "Troppe persone in difficoltà, servono interventi pubblici" e

Capri, il parroco sfratta i poveri dalle case della Chiesa: "Faremo dei B&B"

Capri, gli sfratti ai poveri fanno scoppiare il caos nella Chiesa. Ecco che cosa è successo
Un parroco di Capri è finito al centro delle polemiche per la decisione di sfrattare tutti gli inquilini e le associazioni che occupano i locali della sua parrocchia per investire in "B&B". Don pasquale Irolla - si legge su Il Corriere della Sera - ha spedito una decina di ingiunzioni di sfratto agli inquilini di immobili che la parrocchia di Santo Stefano possiede sull'isola. L’avviso avrebbe raggiunto sia famiglie a basso reddito che associazioni impegnate in attività sociali. A sollevare la questione è una nota dell’Unione nazionale consumatori che ha scritto al parroco — dal quale non è giunta ancora conferma dell’iniziativa — invitandolo a ritornare sui suoi passi e a tener conto che negli appartamenti di proprietà della parrocchia abitano famiglie in condizioni economiche precarie, per le quali sarebbe estremamente difficile trovare una soluzione alternativa.
view post Posted: 22/11/2023, 21:19 Prete USA fugge in Italia e sposa allieva 18enne - La stanza del peccato
www.tgcom24.mediaset.it/mondo/stat...3-202302k.shtml

22 NOVEMBRE 2023 18:35
Stati Uniti, prete cattolico di 30 anni sposa una 18enne: era fuggito in Italia con lei
Dopo essere scappato con l'adolescente, il sacerdote era stato indagato dalle forze dell'ordine ed era stato rimosso dall'arcidiocesi dai suoi incarichi clericali

Stati Uniti, prete cattolico di 30 anni sposa una 18enne: era fuggito in Italia con lei - foto 1
Da video
Un prete cattolico dell'Alabama che a luglio era stato indagato dalle forze dell'ordine dopo essere fuggito in Italia con una 18enne incontrata mentre faceva volontariato nel suo liceo, ha sposato legalmente la ragazza una volta tornati negli Stati Uniti. Lo riporta il Guardian citando la licenza matrimoniale depositata nella contea di Mobile, in Alabama. Dal documento emerge che Alexander Crow, 30 anni, si è unito in matrimonio con la diciottenne ex studentessa del liceo cattolico McGill-Toolen.

Alla fine di luglio, Crow - un esperto nello studio teologico dei demoni e dell'esorcismo - era stato rimosso dai suoi incarichi clericali dall'arcidiocesi cattolica di Mobile dopo essere andato in Italia con l'adolescente. Per l'arcidiocesi - riporta il Guardian - il prete "ha abbandonato il suo incarico" e si è comportato in maniera "totalmente disdicevole per un sacerdote". I genitori della ragazza non erano a conoscenza che la figlia sarebbe andata in Italia con lui.
view post Posted: 21/11/2023, 21:28 Il vescovo di La Rochelle a processo per stupro - La stanza del peccato
www.fanpage.it/esteri/vescovo-fran...omo-di-40-anni/

21 NOVEMBRE 2023
17:37
Vescovo francese a processo: è accusato di tentato stupro su un uomo di 40 anni
Georges Colomb, ex vescovo di La Rochelle, in Francia, dovrà rispondere davanti ai giudici del tentato stupro di un uomo di 40 anni. I fatti risalgono al 2013.
A cura di Davide Falcioni

Georges Colomb, ex vescovo di La Rochelle, in Francia, è stato rinviato a giudizio venerdì scorso – 17 novembre – per tentato stupro di un uomo adulto, avvenuto presumibilmente nel 2013. A renderlo noto la procura di Parigi, confermando un'indiscrezione di Mediapart. L'uomo, che si è dimesso dal suo incarico a giugno, è stato posto sotto controllo giudiziario con il divieto di entrare in contatto con la vittima e i testimoni e di recarsi in alcuni luoghi. La vittima all'epoca dei fatti aveva 40 anni.

Georges Colomb aveva rassegnato le dimissioni dopo le prime rivelazioni, apparse sulla stampa il 13 giugno, di un'indagine della Procura di Parigi su "fatti di natura sessuale" risalenti al 2013, di cui il presule è sospettato a seguito di una denuncia della Procura Missioni Estere di Parigi (MEP). L'ex vescovo sin dal principio ha rigettato tutte le accuse nei suoi confronti dicendosi sbalordito e sconcertato e negando "totalmente" ogni coinvolgimento nella vicenda. "Naturalmente risponderò alle autorità giudiziarie non appena vorranno ascoltarmi", ha dichiarato Colomb mesi fa. Da qui la richiesta alla Santa Sede di essere rimosso così da poter preparare al meglio la sua difesa. Nei guai è finito anche Gilles Reithinger, vescovo ausiliare di Strasburgo, succeduto a Georges Colomb: l'uomo sarebbe stato a conoscenza dei fatti imputati al suo predecessore ma avrebbe sempre taciuto.

Dal canto suo monsignor Éric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale francese, in un comunicato ha chiesto il rispetto della presunzione di innocenza: "Spetta ora alle indagini stabilire tutta la verità".
view post Posted: 21/11/2023, 11:58 Mappa dell'Europa spretata - Sondo o son desto?
www.pillarcatholic.com/p/poland-se...new-seminarians

La Polonia vede un altro calo nel numero di nuovi seminaristi
LUCA COPPEN
24 ottobre 2023 . 17:58

Il numero degli uomini che iniziano la formazione sacerdotale in Polonia è nuovamente diminuito, secondo le statistiche diffuse lunedì.

La Conferenza dei rettori dei seminari maggiori diocesani e religiosi della Polonia ha annunciato il 23 ottobre che 280 uomini sono entrati nei seminari diocesani, religiosi e missionari del Paese nel nuovo anno accademico.

Dei 280 nuovi candidati, 195 studiano per il sacerdozio diocesano e 85 per il sacerdozio all'interno di un ordine religioso.

Le statistiche sono state rese note il giorno prima che Papa Francesco accettasse le dimissioni del vescovo polacco Grzegorz Kaszak, 59 anni. Il Vaticano non ha fornito alcuna motivazione per la decisione, che ha fatto seguito ad un'ampia copertura mediatica di una presunta orgia che coinvolgeva un prostituto nell'appartamento di un prete nella diocesi di Sosnowiec di Kaszak, nel sud della Polonia.

In una dichiarazione del 24 ottobre , Kaszak non ha affrontato le notizie, ma ha chiesto al suo gregge di perdonare i suoi “limiti umani”.

"Se ho offeso qualcuno o ho trascurato qualcosa, mi dispiace molto", ha scritto.

Fr. Jan Frąckowiak, il nuovo presidente della Conferenza dei rettori dei seminari, ha affermato che le nuove cifre relative agli ingressi nei seminari “mostrano chiaramente che c’è una costante tendenza al ribasso”.

"Ciò sembra riflettere una certa tendenza evidente nelle giovani generazioni, per le quali le questioni religiose svolgono un ruolo meno importante - un fatto confermato anche da studi sociologici", ha detto Frąckowiak, secondo l'agenzia di stampa cattolica polacca KAI.

Il sacerdote potrebbe essersi riferito a un rapporto pubblicato il mese scorso che identificava un forte divario generazionale per quanto riguarda la pratica cattolica in Polonia. Il rapporto afferma che un “indebolimento della fede” è particolarmente evidente tra le generazioni più giovani.

La Polonia è nota da tempo per le sue abbondanti vocazioni sacerdotali. Secondo un rapporto del 2020, in Europa un’ordinazione su quattro al sacerdozio diocesano è avvenuta in Polonia ed è probabile che l’impatto del calo delle vocazioni si faccia sentire ben oltre i confini del paese.


Quasi 1.700 missionari polacchi, molti dei quali sacerdoti, prestano servizio in 99 paesi del mondo , principalmente in America Latina e Africa.

Il numero di nuovi candidati al sacerdozio è diminuito durante l'inizio del 21° secolo. Nel 2003, nei soli seminari diocesani sarebbero stati 1.438 i nuovi candidati , mentre 20 anni dopo, nel 2023, sarebbero 195.

Il numero totale dei seminaristi in formazione in Polonia è sceso da 6.789 nel 2000, a 5.583 nel 2010, a 2.556 nel 2020, a 1.690 oggi.






I vescovi del Paese hanno risposto iniziando a unire le comunità dei seminari. L'anno scorso, ad esempio, i seminaristi delle diocesi di Świdnica e Legnica, che appartengono alla provincia ecclesiastica di Wrocław, hanno iniziato i loro studi nella città di Wrocław.

Gli studenti della diocesi di Łowicz ora si allenano a Varsavia, mentre i candidati di Bydgoszcz, Gniezno e Kalisz risiedono a Poznań. I candidati della diocesi di Sosnowiec studiano a Częstochowa, dove si trova la venerata immagine della Madonna Nera.

Secondo il rapporto “Chiesa in Polonia 2023” , pubblicato a settembre, il numero totale dei chierici polacchi è al livello più alto, nonostante la riduzione dei seminaristi. I sacerdoti sono complessivamente 34.700, tra appartenenti a ordini religiosi e clero distaccato all'estero.

Il rapporto di settembre ha anche evidenziato un aumento di nuove iniziative di evangelizzazione, come le sempre più popolari sfilate dei Tre Re , i festival di musica cristiana e la “Via Crucis estrema”, che prevede un’escursione notturna di 25 miglia da soli o in piccoli gruppi.

Dei 280 nuovi candidati al seminario quest'anno, 14 hanno sede nell'arcidiocesi di Cracovia, 14 a Rzeszów, 13 a Varsavia e 12 a Tarnów, che viene spesso descritta come la diocesi “più religiosa” della Polonia per via del numero relativamente elevato di presenze alla Messa.

Secondo i media polacchi , l'elevato numero di nuovi candidati a Rzeszów ha sorpreso i funzionari della diocesi nel sud-est della Polonia, vicino al confine con l'Ucraina.

Il rettore del seminario locale, p. Adam Kubiś ha detto: “Questo è un numero sorprendente, perché il numero delle vocazioni in tutta la Polonia sta diminuendo”.

Le diocesi con il maggior numero totale di studenti sono Tarnów (87), Cracovia (82), Poznań (79) e Varsavia (70).

Gli ordini religiosi con il maggior numero di candidati al sacerdozio in Polonia sono i francescani conventuali, i domenicani e i salesiani.

“Siamo convinti che un buon sacerdote sarà molto necessario nella comunità della Chiesa e della società”, ha affermato p. Ha detto Frackowiak. “È probabile che non sarà una guida di folle, ma piuttosto un compagno paziente che sosterrà i suoi fratelli e sorelle nei momenti difficili, risvegliando in loro la speranza che scaturisce dal Vangelo”.

Edited by pincopallino1 - 17/12/2023, 03:35
view post Posted: 21/11/2023, 11:52 Mappa dell'Africa spretata - Sondo o son desto?
www.pillarcatholic.com/p/ghanas-bi...alarm-as-church

I vescovi del Ghana lanciano l'allarme per il calo della Chiesa
LUCA COPPEN
14 novembre 2023

La Chiesa cattolica in Ghana deve impegnarsi in una “catechesi aggressiva” dopo che i dati del censimento hanno mostrato che si sta rapidamente riducendo, ha detto lunedì il presidente della conferenza episcopale del Paese.

In un discorso del 13 novembre all'assemblea plenaria dei vescovi a Sunyani, nel Ghana centro-occidentale, il vescovo Matthew K. Gyamfi ha osservato che la percentuale di ghanesi che si identificano come cattolici è scesa dal 15,1% nel censimento del 2000 al 10,1% nel censimento del 2021. .

“I documenti disponibili mostrano che la popolazione cattolica è aumentata costantemente dal 1880 fino al 2000, quando la popolazione cattolica era del 15,1%”, ha affermato. “La popolazione cattolica, tuttavia, è scesa dal 15,1% nel censimento del 2000, al 13,1% nel censimento del 2010 (cioè 3.230.996 su 24.658.823)”.

“Questa cifra è ulteriormente scesa al 10,1% nel censimento del 2021, passando da 3.230.996 a 3.079.261, il che significa che, statisticamente, la Chiesa ha perso circa 230.000 dei suoi membri negli ultimi 10-11 anni”.

“Per noi, questa è davvero una tendenza inquietante per la nostra Chiesa, considerando che Nostro Signore ci ha incaricato di andare in tutte le nazioni, paesi, città, villaggi, case e famiglie per battezzarli e istruirli”.






Le statistiche del Ghana sono contrarie alle tendenze più ampie all'interno della Chiesa cattolica in Africa. Secondo l’ultima edizione dell’annuale “Annuario statistico della Chiesa”, il numero dei cattolici nel continente è passato da 257 milioni nel 2020 a 265 milioni nel 2021, con un incremento complessivo di oltre 8 milioni.

Anche la percentuale dei cattolici nella più ampia popolazione africana è cresciuta leggermente, dal 19,33% nel 2020 al 19,38% nel 2021.

Il vescovo Gyamfi, che guida la conferenza episcopale del Ghana dal 2022, ha suggerito che la rapida urbanizzazione è stata un fattore importante nel declino del cattolicesimo nel paese, che è la seconda nazione più popolosa dell’Africa occidentale dopo la Nigeria, con oltre 32 milioni di abitanti.

"Uno sguardo superficiale a tutti i dati del censimento rivela una tendenza che sembra suggerire che, mentre la Chiesa sembra registrare percentuali decenti nelle comunità rurali, sta registrando un'emorragia più rapida nei centri urbani", ha affermato.

“I dati del censimento suggeriscono che quando i cattolici si spostano dalle zone rurali ai centri urbani, non riescono a sostenere la loro fede cattolica e diventano preda di altre sette. Le ragioni di questo triste fenomeno necessitano di essere studiate attentamente dai vescovi e dai loro principali interlocutori per trovare una soluzione permanente al problema”.

Gyamfi, il vescovo 66enne di Sunyani, ha detto che la Chiesa deve mettere in discussione le sue strategie pastorali nelle città del Paese.

“Ad esempio, dobbiamo discutere con urgenza su come rendere la Chiesa e i suoi ministri fisicamente e spiritualmente più vicini e presenti in tutte le comunità dei centri urbani”, ha affermato.

“A questo proposito, il concetto di Piccole Comunità Cristiane (SCC) può essere portato avanti con vigore, mentre le piccole comunità che sono mature possono trasformarsi in rettorati e parrocchie”.

Secondo lui, i dati dovrebbero ispirare anche nuovi sforzi per catechizzare la popolazione cattolica.

“La Chiesa in Ghana potrebbe intraprendere una catechesi aggressiva per approfondire la conoscenza dei fedeli laici sulla fede”, ha affermato.

“La Chiesa deve rafforzare e approfondire la catechesi offerta per la ricezione dei sacramenti, in particolare dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, affinché la catechesi non sia solo teorica ma porti alla vera conversione del cuore e della mente dei catecumeni”.

Gyamfi ha affermato che la Chiesa dovrebbe prestare particolare attenzione all’insegnamento ai fedeli delle “false sicurezze e dei pericoli del cosiddetto Vangelo della prosperità”.

Il Vangelo della prosperità, noto anche come Vangelo della “salute e ricchezza”, è un fenomeno associato al pentecostalismo in cui i credenti sono incoraggiati a fare donazioni con la promessa che Dio li benedirà con benessere fisico e ricchezza. La Chiesa cattolica considera il Vangelo della prosperità come una distorsione dell'insegnamento di Cristo.


La percentuale di ghanesi che si identificano come pentecostali è aumentata dal 24,1% nel 2000 al 31,6% nel 2021. La diffusione del pentecostalismo in Ghana ha dato luogo a quella che gli studiosi hanno definito la “pentecostalizzazione del cattolicesimo”, caratterizzata da un’enfasi sui ministeri di guarigione e di liberazione, come così come un'enfasi sullo Spirito Santo e sulla relazione dell'individuo con Cristo.

C’è stato anche un aumento della percentuale di musulmani in Ghana, dal 17,6% nel 2010 al 19,9% nel 2021. La percentuale complessiva dei cristiani è rimasta pressoché invariata nello stesso periodo, passando dal 71,2% nel 2010 al 71,3% nel 2021.

Gyamfi ha precedentemente citato altri fattori che spiegano il calo del numero dei cattolici, tra cui gli effetti negativi dei social media, una formazione inadeguata al matrimonio e alla vita familiare, un mancato coinvolgimento dei laici nel ministero pastorale e un calo dello zelo missionario.

Altri vescovi ghanesi hanno suggerito che i cattolici che frequentano istituzioni educative come istituti di formazione per insegnanti e università sono particolarmente inclini ad unirsi ad altre comunioni cristiane.

Concludendo il suo discorso ai vescovi cattolici del Paese, Gyamfi ha affermato che la Chiesa deve adottare “un approccio su più fronti e attivo nei suoi sforzi per invertire la tendenza al ribasso dei suoi numeri”.

“A questo proposito, dobbiamo utilizzare sia l'approccio del pastore sia l'approccio del pescatore per l'evangelizzazione”, ha affermato.

Ha anche chiesto l’uso di un modello catechetico che sottolinei le “3D” di dottrina, discepolato e devozione.

“La sfida più grande della Chiesa in Ghana è la mancata attuazione di politiche e programmi”, ha commentato.

“È necessario adottare misure per attuare le decisioni prese e le politiche adottate, in particolare le decisioni prese per invertire la tendenza al ribasso del numero dei membri. La Chiesa non esiste per se stessa, ma per il mondo a cui è inviata. Dobbiamo adottare un atteggiamento di umiltà, dolcezza e ascolto”.

La Chiesa cattolica in Ghana è composta da 20 diocesi , comprese quattro arcidiocesi metropolitane. Tra gli uomini di chiesa ghanesi di spicco figurano il cardinale vaticano Peter Turkson e l'arcivescovo Charles Palmer-Buckle di Cape Coast.

Un altro membro ghanese del Collegio cardinalizio, il cardinale Richard Kuuia Baawobr, è morto nel novembre 2022, esattamente tre mesi dopo aver ricevuto la berretta rossa.
view post Posted: 21/11/2023, 11:35 Comunione e Liberazione. Il capo in USA accusato di abusi su minori e psicologici - La stanza del peccato


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Comunione e Liberazione: ex leader Usa accusato di abusi su minori
MICHELLE LA ROSA
2 novembre 2023

Il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione ha riconosciuto martedì che l'ex leader americano del movimento è stato accusato di abusi sessuali e psicologici contro giovani adulti e minori e che i funzionari del movimento inizialmente non hanno risposto adeguatamente alle accuse.


“Crediamo che sia giunto il momento di rendere conto più pubblicamente di una situazione che ha ferito profondamente alcune delle nostre comunità”, si legge in una lettera pubblicata il 31 ottobre sul sito di Comunione e Liberazione .

“Ci scusiamo sinceramente con le vittime, le famiglie e i membri della comunità danneggiati da questi atti malvagi. Siamo veramente grati alle vittime, alle famiglie e ai membri della comunità che hanno avuto il coraggio di portare alla luce questi eventi”.


La lettera aperta è firmata da p. Michael Carvill, responsabile nordamericano di Comunione e Liberazione, e da Steve Brown, presidente della Human Adventure Corporation (HAC), organizzazione no-profit che coordina le attività di Cl negli Stati Uniti.

La lettera riconosce molteplici accuse di abusi e cattiva condotta rivolte a Christopher Bacich, ex coordinatore nazionale di Cl, con presunti episodi avvenuti tra il 1997 e il 2018.

Bacich, 53 anni, era membro dell'associazione Memores Domini dei celibi di Comunione e Liberazione.

Anche se la lettera non specifica per quanto tempo ha guidato il movimento di Comunione e Liberazione negli Stati Uniti, The Pillar ha confermato che Bacich è stato leader nazionale almeno dal 2006 fino almeno al 2013, quando Bacich ha annunciato che si sarebbe dimesso dalle sue posizioni di leadership, pur rimanendo un leader nazionale. membro del movimento.

La lettera del 31 ottobre afferma che Bacich è stato accusato di “abuso sessuale, cattiva condotta sessuale, abuso psicologico e violazione dei confini perpetrati contro alcuni giovani adulti e minori nelle nostre comunità per un lungo periodo di tempo”.

Bacich è stato l'unico colpevole accusato delle accuse ricevute dall'organizzazione, ha affermato.

Secondo la lettera, Bacich è stato inizialmente accusato di abusi nel 2018. Pur negando le accuse, Comunione e Liberazione le ha denunciate alle forze dell’ordine e ha incaricato uno studio legale di condurre una revisione, che ha concluso che le accuse erano “fondate” e “sulla base di prove credibili”.

Nel 2019 Bacich è stato bandito dalle attività di Cl e si è dimesso dal movimento, pur dichiarandosi innocente. I membri di CL sono stati informati delle accuse e delle indagini svolte fino a quel momento, si legge nella lettera.

Ma dopo le dimissioni di Bacich nel 2019, altre due accuse di abuso sono state segnalate al movimento, sono state indagate e si è deciso che fossero “fondate”.

Al momento della stesura di questo articolo, né Bacich né CL hanno risposto alla richiesta di commento di The Pillar .

La lettera afferma che sia le forze dell'ordine ecclesiali che quelle civili sono state informate delle accuse.

"Per quanto ne sappiamo, finora non è stata presentata alcuna accusa penale", si legge nella lettera.

Non sembra probabile che Bacich dovrà affrontare accuse canoniche per i suoi presunti abusi.

Sebbene le modifiche del 2021 al Codice di Diritto Canonico rendano più probabile il perseguimento canonico dei laici che abusano di uffici ecclesiastici o commettono atti di abuso mentre prestano servizio in posizioni di leadership della Chiesa, tali modifiche non si applicano ai crimini commessi prima della loro promulgazione.


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Non è chiaro cosa abbia spinto alla pubblicazione della lettera del 31 ottobre, ma Carvill e Brown hanno scritto di aver deciso, dopo gli incontri con le vittime nell'ultimo anno, che era necessario un resoconto più pubblico della situazione.

Nella lettera si sottolinea l'impegno di CL nella prevenzione degli abusi e si ribadisce la volontà di aiutare le vittime degli abusi.

Ha anche espresso rammarico per il modo in cui sono state gestite le accuse contro Bacich.

“A volte, coloro a cui venivano riferite le preoccupazioni erano lenti a credere e a rispondere ai resoconti presentati loro”, si legge nella lettera.

“Se certi mali si sono verificati all’interno della nostra comunità, è stato in parte dovuto al fatto che l’ambiente non disponeva di misure di salvaguardia specificatamente progettate per individuare e prevenire tali abusi”.

Ma Carvill e Brown ritengono che CL abbia affrontato alcuni dei suoi problemi di prevenzione degli abusi.

“Ci auguriamo sinceramente che, riconoscendo che gli abusi hanno effettivamente avuto luogo e che hanno causato gravi danni, potremmo fornire un po’ di conforto alle vittime e aiutarle a trovare la guarigione. Ci auguriamo inoltre di dissipare eventuali dubbi, ambiguità o paure rimanenti nelle nostre comunità informandovi dei passi che abbiamo intrapreso per fornire sostegno alle vittime, per essere sempre più vigili e per evitare che ciò accada in futuro”.

La lettera afferma che la leadership di CL negli Stati Uniti ha pubblicato politiche per la protezione dei minori nel 2020. Le politiche includono formazione sulla protezione dei minori, un codice di condotta e controlli dei precedenti richiesti per coloro che lavorano con minori in CL.

Inoltre, si legge, il CL ha creato un Comitato per la Protezione dei Minori con il compito di indagare sulle accuse di abusi e cattiva condotta.


A metà degli anni '80, la famiglia Bacich, residente in California, contribuì a diffondere il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione negli Stati Uniti, con Chris che alla fine si unì all'associazione Memores Domini.

In un'intervista del 2012, Bacich ha affermato che i membri americani di Comunione e Liberazione hanno una “vera disponibilità ad affrontare la vita reale, la cultura quotidiana in cui viviamo, senza mostrare paura, come ha detto Papa Giovanni Paolo II: 'Non abbiate paura. '”

«Le persone che hanno incontrato Gesù Cristo attraverso Comunione e Liberazione, e sono sicuro di poter parlare a nome di molti di noi, riconoscono che l'incontro con Cristo, e la sua presenza nella nostra vita, è la risposta a questo desiderio di una vita che sia meglio, è bello, è utile e fruttuoso”, ha aggiunto.

Comunione e Liberazione è formalmente un'associazione laicale di diritto pontificio, ma viene spesso descritta come un “movimento ecclesiale”, e si fonda sulla spiritualità e sul metodo catechetico di p. Luigi Giussani, che era un prete milanese. Sottolinea l’amicizia e l’impegno con la cultura sia per i cattolici che per i non cattolici.

Il movimento è stato approvato nel 1982 come associazione di fedeli e ha un'impronta globale, con cattolici che frequentano le “Scuole di comunità” di Cl in paesi di tutto il mondo. Il movimento ha generato un istituto religioso femminile, una società clericale di vita apostolica e Memores Domini - rami di uomini e donne celibi che vivono in case comuni.

Comunione e Liberazione ha affrontato polemiche negli ultimi anni sulla governance del movimento a Roma, con il cardinale vaticano Kevin Farrell che ha nominato l'anno scorso Davide Prosperi per un mandato di cinque anni come leader di CL, e ha annullato un'elezione prevista per la leadership del movimento ecclesiale.

Prosperi era stato presidente ad interim di CL dopo le dimissioni nel 2021 del suo precedente leader, p. Giuliano Carrón.

Nel novembre 2021, Carrón ha dichiarato che si sarebbe dimesso “per favorire quel cambio di leadership a cui siamo chiamati dal Santo Padre” dopo che il dipartimento di Farrell ha emesso un decreto che chiedeva cambiamenti regolari di leadership in tutti i movimenti ecclesiastici. Carrón aveva guidato il movimento dopo la morte del fondatore del movimento, p. Luigi Giussani.

Nel 2020, Memores Domini è stata affidata dal dicastero di Farrell alle cure dell'attuale cardinale Gianfranco Ghirlanda, SJ, un avvocato canonista senior, dopo che Farrell ha affermato che l'associazione era stata lenta nell'apportare le riforme necessarie ai suoi documenti governativi. L'anno successivo, Papa Francesco nominò l'arcivescovo Filippo Santoro di Taranto, Italia - che aveva un'affiliazione di lunga data con il movimento di CL - ad assumere il governo dell'associazione, con Ghirlanda ancora incaricata di una riforma canonica delle sue strutture di governo.

Prosperi è stato nominato presidente ad interim del movimento per aiutare a supervisionare una riforma del movimento, dei suoi statuti e l'elezione di un nuovo presidente.

Ma in una lettera dell'anno scorso, una copia della quale è stata ottenuta da The Pillar , Farrell ha detto di aver deciso su una direzione diversa, dopo aver concluso che non si poteva fare affidamento sull'adesione per eleggere un leader adatto.

«Innanzitutto vorrei precisare che la dottrina della 'successione del carisma' proposta e coltivata nell'ultimo decennio all'interno di Cl dai responsabili della gestione... è gravemente contraria all'insegnamento della Chiesa», ha scritto Farrell. .

Il cardinale ha affermato che all'interno di Cl c'è stato “un tentativo indebito e fuorviante di appropriazione e personalizzazione del carisma da parte di coloro che hanno il ruolo di guida; da ciò deriverebbe un’autoreferenzialità non ammissibile nella Chiesa», che equivale a ritenere che il presidente del movimento erediterà personalmente il manto e l’autorità del fondatore.

Ma alcuni esponenti del movimento hanno dichiarato a The Pillar che le presunte questioni affrontate dal Vaticano sono esagerate e riguardano soprattutto scontri di personalità all'interno di CL, piuttosto che disaccordi teologici o ideologici.

Ad agosto, Andrea Davoili, 52 anni, membro dei Memores Domini, è stato arrestato a Venezia, in Italia, e sta affrontando l'accusa di presunto stupro di una ragazza di 14 anni nella città italiana di Rimini.
view post Posted: 20/11/2023, 19:29 Soldi per posti di lavoro. Don Clemente condannato a un anno e 7 mesi. Trasferito al nord Italia. - Attualità
https://casertace.net/lavori-presso-il-ves...Kz8c3Fg7qOYvWqA

Lavori al vescovato di Capua in cambio di denaro: prete a processo
16 Novembre 2023 - 18:19



Fece inoltre credere alla vittima che avrebbe trovato un posto di lavoro alla figlia presso la banca Unicredit ove millantava il credito in ragione …
GRAZZANISE – “Avevo capito che qualcosa non andava e cominciai a registrare le nostre conversazioni, mi ha spillato oltre 70mila euro ed ha giocato sporco sulla speranza che avevo di vedere mia figlia sistemata o di fare io stesso un lavoro così importante per la Curia di Capua. Erano tutte menzogne ed io mi sono fidato, era il mio parroco. A malincuore ho capito che era solo un impostore che mi ha ingannato“.

Queste le dichiarazioni rese in aula da un imprenditore edile di Santa Maria La Fossa nel corso dell’udienza per truffa celebratasi a carico di Don Sergio Clemente, 54enne, di Grazzanise ex parroco della Parrocchia San Martino Vescovo nella frazione di Brezza.

Secondo quanto ricostruito dalla Procura sammaritana il parroco fece credere all’imprenditore che avrebbe ottenuto l’affidamento di un appalto di rilevante valore per dei lavori presso il vescovato di Capua del valore di 2 milioni e 600 mila euro, previo però versamento di varie somme di denaro da elargire ai membri della commissione. Inoltre fece credere al professionista che avrebbe trovato un posto di lavoro alla figlia presso la


banca Unicredit ove millantava il credito in ragione del suo ufficio religioso rappresentando la necessità di versare ulteriori somme di denaro necessarie per “impegnare un suo amico” che decideva delle assunzioni presso l’istituto di credito.


Per l’ attività di intermediazione don Sergio clemente si sarebbe fatto consegnare dal costruttore ben 73.000 euro ma ad insospettire l’imprenditore furono i lunghi tempi di attesa che portarono lo stesso a denunciare il tutto alla stazione carabinieri di Grazzanise.

Si torna in aula nel mese di dicembre per le discussioni dei legali.
6189 replies since 18/12/2013