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Prete ucciso. Condanna bis in appello a don Piccoli a 21 anni e 6 mesi, Trieste: "Strangolò mons. Rocco per rubargli crocifisso e catenina d'oro"

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view post Posted on 4/6/2020, 09:16
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https://www.ilcentro.it/l-aquila/i-giudici...cciso-1.2443036

I giudici: «Così don Paolo ha ucciso»
Condannato per le tracce di sangue: «Sono fuoriuscite quando ha strozzato l’anziano prete. Le sue tesi smentite da testimoni»

di Giampiero Giancarli03 giugno 2020
L’AQUILA. Sono state le tracce di sangue rilevate sulle lenzuola del letto della vittima le prove inattaccabili che hanno convinto i giudici della Corte d’Assise a ritenere che don Paolo Piccoli, ex parroco di Pizzoli e Rocca di Cambio, e ancora incardinato nella diocesi dell’Aquila, abbia strozzato il suo anziano confratello, il 92enne Giuseppe Rocco, nella Casa del clero del seminario dove entrambi vivevano a Trieste.
LA DINAMICA. Nelle motivazioni della condanna a 21 anni e mezzo per omicidio si fa espresso riferimento a questo aspetto. Gli esami del Ris hanno accertato che il sangue era di Piccoli. E, secondo i giudici, non sono state causate da un’asserita patologia, di cui il 54enne prete soffriva con lievi perdite ematiche dalla braccia durante l’estrema unzione, ma in conseguenza dell’aggressione. «L’imputato», scrivono i giudici nella motivazione, «aveva le maniche lunghe e non si è avvicinato né è entrato in contatto con la parte centrale del letto dove sono state scoperte le tracce. L’imputato non aveva mai manifestato sanguinamenti copiosi tali da poter gocciolare». Il collegio non ritiene che le affermazioni fatte dal prete per difendersi siano credibili. In proposito ci sono testimoni che sostengono che lui era distante dal letto durante l’estrema unzione che impartì. «Pare evidente», si legge nelle motivazioni, «che davanti alla Corte l’imputato abbia voluto indossare una maschera, quella di ministro del culto reverente e rispettoso del prossimo e tutore dell’ordine e del decoro finendo, tuttavia, per venire smentito da se stesso e dai testimoni». Ci sono intercettazioni che secondo il collegio provano il livore dell’imputato verso la vittima, che definisce «abominevole elemento».
IL MOVENTE. Da sempre l’accusa ha sostenuto che don Paolo nella notte del 25 aprile del 2016 sarebbe entrato nella stanza della vittima per derubarlo e dal collo della vittima era scomparsa una collanina. In passato da quella camera erano scomparsi oggetti di natura religiosa. Quei furti erano stati segnalati alla direzione del seminario per cui era stata notificata a don Piccoli, sospettato di essere un cleptomane, una lettera di richiamo dalla direzione della struttura. Probabile che l’anziano si sia accorto della presenza dell’imputato, che lo avrebbe strangolato. Inizialmente si era ipotizzato un decesso per cause naturali, ma l’autopsia confermò una morte violenta. Le motivazioni sono al vaglio degli avvocati del prete, Stefano Cesco e Vincenzo Calderoni, che ricorreranno in Appello. Don Paolo, del resto, ha sempre respinto le accuse. «Perché mai», disse dopo la sentenza, « avrei dovuto buttare 43 anni di vita religiosa, di cui 26 anni di sacerdozio e 23 di “monsignorato”, per una catenina e due bomboniere?»
 
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view post Posted on 30/6/2020, 08:58

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https://www.italiaoggi.it/news/il-prete-ch...difende-2458256
ItaliaOggi - Numero 152 pag. 13 del 30/06/2020
Monsignor Paolo Piccoli, condannato a 21 anni e 6 mesi, va in Appello: «Sono innocente»
Il prete che uccise un prete si difende
Libero, continua a celebrare messa. Anche in San Pietro

di Stefano Lorenzetto

H o trascorso quasi tre ore a tu per tu con un assassino, condannato a 21 anni e 6 mesi di reclusione, ma tuttora a piede libero in attesa del processo d'appello e poi della sentenza definitiva in Cassazione. L'aggravante, se mai può esistere qualcosa di più pesante di un omicidio, è che si tratta di un prete. «Simpatico, amichevole, frizzante e generoso», anzi di più, «bravo, bravissimo», così lo descrisse Marta Marzotto su Chi nell'aprile 2003, dopo averlo conosciuto in crociera, e se dovessi aggiungere qualcosa all'encomiastico giudizio della defunta contessa potrei solo dire che mi è parso afflitto da una smodata propensione alla pomposità, non contemplata dal codice penale. Insomma, uno snob inoffensivo, più che un bieco omicida.

Eppure lo scorso 13 dicembre la Corte d'assise di Trieste ha individuato in monsignor Paolo Piccoli il killer che all'alba del 25 aprile 2014, nella Casa del clero del capoluogo giuliano, soffocò e strozzò il confratello don Giuseppe Rocco, 92 anni, per derubarlo di tre carabattole prive di valore, che mai avrebbero potuto figurare nella sua abitazione veronese di via Giovanni Prati, trasformata in un museo domestico, dove sono allineati ostensori, reliquiari, calici da messa, patene, pissidi, aspersori, paramenti liturgici, candelabri, tutti antichi e tutti di pregevole fattura, inclusa una teca che contiene lo zucchetto bianco «usato da Sua Santità Pio XII, felicemente regnante», come attesta un biglietto dell'Anticamera pontificia, firmato il 24 gennaio 1956 dal «cameriere segreto partecipante» di papa Pacelli, Mario Nasalli Rocca, futuro cardinale, e persino «un frammento della Santa Croce sulla quale morì Nostro Signore Gesù Cristo». Lo studio in cui mi riceve è tappezzato da ritratti di pontefici e foto di cardinali, spesso con dedica, e dominato da un quadro raffigurante san Giuseppe Cafasso, «patrono dei condannati a morte e dei confessori», chiosa il candidato alla galera.

Il sacerdote, figlio unico di Guerrino Piccoli, imprenditore morto novantenne nel 2019, e di Annamaria Comino, 76 anni, nata a Gorizia ma di origini savonesi, fu partorito nella villa Chierego-Perbellini di Verona l'8 giugno 1965 e crebbe nella parrocchia di San Pio X, essendo la sua famiglia all'epoca domiciliata in via Zamboni 46. Ma fin da giovane dev'essersi sentito portato per i grandi orizzonti. Infatti la sua vita è georeferenziata sulla Città Eterna e su quella del Vaticano. Fu ordinato prete all'Aquila il 29 giugno 1993 e dal gennaio 2019 l'arcidiocesi abruzzese ha fissato la sua residenza ufficiale nella capitale, presso il Pontificio seminario romano minore, zona extraterritoriale della Santa Sede in Italia.

Domani alle 8, anniversario della consacrazione sacerdotale, don Piccoli celebrerà in San Pietro, sull'altare che custodisce le spoglie di san Pio X: «Nella basilica vaticana il 30 giugno 1993 cantai la mia prima messa, in latino ma con rito moderno, nella cappella del Santissimo Sacramento». Giovedì entrerà al Policlinico Gemelli, «nel mio amato reparto solventi 4, ormai una seconda casa», e c'è da credergli sulla parola, visto che vi è stato ricoverato cinque volte in poco più di un anno e che lì è garantito «lo standard alberghiero», comprendente kit di benvenuto, servizi privati dotati di biancheria, tv satellitare, wifi, cassaforte, letto per l'accompagnatore, menu personalizzato e un quotidiano a scelta consegnato ogni mattina direttamente in camera. Il 13 luglio sarà operato allo stomaco, una revisione del bypass gastrico eseguito nel 2002.

Non gode di molta salute.

Dal 1996 sono in previdenza integrativa. Sbarcai malato dalla Costa Victoria, la nave su cui per quattro anni feci il cappellano di bordo per quasi 800 uomini di equipaggio e 2.400 passeggeri. Ho subìto il cedimento completo della gamba destra, con un intervento di artrodesi della sottoastragalica, un'operazione per protesi agli omeri destro e sinistro, una per protesi generale dell'anca destra, una per obesità nel 2002, essendo arrivato a pesare 140 chili. Nel 2013 mi hanno impiantato nel fegato una Tips. È una valvola che riduce l'ipertensione della vena porta, in modo da impedire quello che viene chiamato infarto rosso.

Come è diventato prete?

Durante gli anni della scuola media e del liceo scientifico dai salesiani, in via don Provolo, conobbi tre santi sacerdoti, i compianti don Renato Ziggiotti e don Giovanni Fedrigotti, e don Luigi Boscaini, oggi lucidissimo centenario. Li vedevo felici. Dissi a mio padre che volevo diventare come loro. Lui, per distogliermi dalla vocazione, m'impose di espletare prima il servizio militare, che svolsi a Firenze, al comando della Brigata Friuli.

La tattica dilatoria fallì.

Sì, perché a Firenze trovai un padre spirituale in monsignor Paolo Ristori, segretario del cardinale Ermenegildo Florit, e a Verona nel vescovo ausiliare Andrea Veggio, scomparso tre settimane fa, il quale scrisse una lettera per presentarmi all'arcivescovo Giuseppe Mani, rettore del Seminario romano, che mi accolse come studente.

Non poteva studiare a Verona?

Non volevo. Qui i seminaristi godevano di pessima fama fin dagli anni Sessanta, quando appoggiarono don Enzo Mazzi e la Comunità dell'Isolotto di Firenze, schierati contro Florit, e scrissero una lettera d'insulti al cardinale di Genova, Giuseppe Siri, ritenuto un conservatore. Tant'è che quando a Roma frequentavo Filosofia dai gesuiti alla Gregoriana e poi Teologia dai domenicani all'Angelicum, mi sentivo chiedere: «Ma lei viene dal seminario maoista di Verona?». Fu una scelta di cui pago le conseguenze ancor oggi, non creda.

È un tradizionalista?

Da sempre. Preferisco celebrare messa in latino. Ma non ho nulla da spartire con i seguaci scismatici del vescovo Marcel Lefebvre.

Prima di finire sui transatlantici è stato parroco in Abruzzo.

Sì, a Rocca di Cambio, dal 1993 al 1997, e a Pizzoli, dal 1997 al 2001. Fu l'arcivescovo dell'Aquila, Mario Peressin, un friulano amico della mia famiglia, ad accogliermi nella sua diocesi appena ordinato prete.

Dove celebra la messa?

Ogni giorno qui in casa. La domenica alle 10 nella chiesa del cimitero monumentale con l'amico don Silvano Corsi.

Ma non è sospeso a divinis?

Non è stato sospeso a divinis neppure il congolese padre Gratien Alabi, condannato in via definitiva a 25 anni per l'omicidio di Guerrina Piscaglia. E io non ho ucciso nessuno, sono innocente. Perché l'arcivescovo dell'Aquila dovrebbe impedirmi di celebrare la messa?

Oggi di che campa?

Ricevo 1.100 euro mensili dall'Istituto per il sostentamento del clero e 290 dall'Inps come invalido totale. E 700 se ne vanno per l'affitto.

Quanto ha speso in avvocati?

Il conto finale non è mai stato fatto. Le prime parcelle le anticipò mio padre. Adesso spero di vendere la nostra casa di vacanza a Lignano Sabbiadoro per poterli pagare.

Come conobbe don Rocco, il prete assassinato?

Fui mandato dal mio vescovo a Trieste per essere vicino alla clinica epatica di Udine e per curare la sindrome da stress post traumatico in cui ero precipitato per il terremoto dell'Aquila. Avevo passato mesi fra le macerie con i vigili del fuoco a recuperare campane e oggetti sacri. Nella Casa del clero triestina c'erano solo cinque preti, fra cui don Rocco. Ma lui pranzava e cenava nell'abitazione dell'adorata perpetua Eleonora Dibitonto, che gli faceva anche da autista.

E che incolpò lei del delitto.

Salvo chiudersi in un ostinato silenzio subito dopo aver sviato con successo le indagini su di me. Ma le pare che avrei ucciso un mio confratello per impossessarmi di due soprammobili, un veliero di cristallo e una Madonnina di legno fatta in Kenya, e di una catenina con la Vergine sul ciondolo? Tre oggetti acquistabili su Ebay per meno di 30 euro. Quanto alla collanina, vi sono le testimonianze processuali di alcune dipendenti del seminario che la videro al collo della perpetua, la quale si giustificò dicendo che non era quella di don Rocco. I miei difensori hanno dimostrato che l'unico possibile movente sono i soldi: alla morte di don Rocco, la Dibitonto avrebbe ereditato circa 200.000 euro, un terzo del saldo attivo sul conto corrente del sacerdote, oltre a una polizza vita da 150.000.

La signora notò le lenzuola chiazzate di sangue.

Due macchioline quasi impercettibili. E come poteva vederle, se nella telefonata al 118 per chiedere soccorso disse che la stanza era buia? Perché non accese la luce?

Le indagini hanno dimostrato che le tracce ematiche erano compatibili con il suo gruppo sanguigno, monsignor Piccoli.

Fui il primo a dichiarare che quel sangue era mio. Quando mi chiamarono a dare l'estrema unzione a don Rocco, mi appoggiai ripetutamente con gli avambracci al letto. In quel periodo soffrivo di xerosi cutanea, con lesioni da grattamento. E le braccia sanguinanti erano nude, perché per la fretta indossai la talare senza mettermi la camicia.

Perché dare l'estrema unzione a un morto? Non ha senso.

Arrivai nella camera circa 25 minuti dopo il decesso. Toccai il collo di don Rocco: era tiepido. E qui le debbo leggere il Dizionario di teologia morale di Roberti e Palazzini, pagine 960 e 961: «Intendiamo per morte intermedia uno spazio piuttosto breve di tempo che corre dal momento da tutti notato quale istante della morte al momento nel quale l'anima realmente si separa dal corpo. Sulla probabile esistenza dello stato di morte intermedia si fonda la dottrina morale che dichiara lecita e talvolta obbligatoria l'amministrazione del sacramento della Penitenza (assoluzione dei peccati) e dell'Estrema Unzione, durante la mezz'ora che segue immediatamente il momento da tutti giudicato quale istante della morte». Obbligatoria, ha capito? Mi chieda piuttosto del cuscino con cui avrei soffocato il mio confratello.

Stavo per farlo.

Era visibile sul letto di don Rocco in tutte le foto fino al 2 maggio. Invece non compare in quelle scattate durante il sopralluogo compiuto dal Ris di Parma l'8 maggio. Sparito per sempre. Chi lo trafugò? La stanza era sigillata. È stato dimostrato che io non potevo avere le chiavi del lucchetto. Quindi è evidente che chi rubò il cuscino è il solo responsabile della morte del prelato, perché quella fu l'arma del delitto. Ebbene, al processo il pubblico ministero, polemizzando sul guanciale, si lasciò sfuggire un lapsus freudiano: «Lo andiamo a cercare a casa della Dibitonto dopo quattro anni dai fatti?». Giudichi lei.

L'autopsia evidenziò che a don Rocco era stato spezzato lo ioide, l'osso del collo posto fra mandibola e laringe.

Sì, ma dopo che il sacerdote era già morto, probabilmente durante le manovre per tentare di rianimarlo. Infatti non fu notato alcun stravaso emorragico, segno che il cuore era fermo e il sangue non circolava più. Il professor Franco Tagliaro, direttore della Medicina legale del Policlinico di Verona, avrebbe dovuto parlarne al processo come perito di parte, ma la sua testimonianza fu incredibilmente giudicata irrilevante. Al che il luminare sbottò: «Nessuno mi ha mai dato dell'irrilevante!». E se ne andò, offeso e inascoltato.

Quali erano i suoi rapporti con la Dibitonto?

Meno di «buongiorno» e «buonasera». So che si era ripetutamente lamentata perché avevo portato alla Casa del clero i miei cani Cristina e Alex, due pastori tedeschi inoffensivi, poi deceduti nel 2011 e nel 2015.

Qual è il suo stato d'animo?

Di massima serenità, anche se le ripercussioni fisiche dimostrano che sto somatizzando l'ingiustizia. In questi giorni i miei avvocati hanno presentato l'atto di appello affinché venga riformata la sentenza di primo grado. Se necessario, ricorreremo alla Cassazione. Sussistendo un ragionevole dubbio, spero di essere quantomeno assolto con formula dubitativa per non aver commesso il fatto.

I condomini di questo palazzo la considerano un assassino?

Nessuno mi considera tale. Chi mi conosce, sa chi sono. «Coraggio, passerà!», è la frase che mi sento ripetere più spesso.

Anche Gianna Fumo, direttrice del Seminario vescovile di Trieste, la considera «assolutamente innocente» e dice che lei «è stato penalizzato in un modo veramente incredibile». Però sostiene anche che «ha commesso una serie di errori» ed è afflitto da «debolezze e manie».

È una ex maestra, una donna di rara severità. Vide la Dibitonto coprirsi imbarazzata la collanina con il ciondolo uguale a quello di don Rocco. E ha testimoniato che la perpetua disse in ogni sede «da subito, d'istinto, e con astio: “Lo ha ucciso don Paolo”».

Sì, ma di che debolezze parlava?

Ho avuto problemi di alcolismo. Ho cominciato a consumare vino e liquori dopo il terremoto dell'Aquila. Avevo visto andare in briciole anni di sacrifici e tutti i restauri compiuti nelle parrocchie abruzzesi, grazie a circa 800.000 euro donati da mio padre. «Un bere solitario a scopo anestetico», lo ha definito lo psichiatra di Trieste che mi ha affrancato da questa schiavitù con otto mesi di terapia.

Litigava con il sindaco di Pizzoli, Giovannino Anastasio.

Un comunista. Le vecchiette del paese mi chiamavano a benedire le case di nascosto. Appesi alle pareti trovavo i ritratti in bianco e nero di Stalin.

A Pizzoli fu processato e condannato per disturbo della quiete pubblica. Suonava le campane da mattina a sera.

Non è vero, le suonavo nelle ore canoniche: alle 10 nei giorni festivi, alle 12 nei feriali.

Però trasmetteva canzoni fasciste utilizzando gli amplificatori del campanile.

No, il 4 novembre mettevo la musicassetta I canti della patria, fra cui c'era Tripoli bel suol d'amore, che non è una canzone fascista: risale al 1911. Comunque non vi è dubbio che mi sono trovato meglio come parroco a Rocca di Cambio, dove non a caso fu girata la prima parte del film Il ritorno di don Camillo. Nel paesino di montagna, ribattezzato Montenara, fu mandato in esilio il personaggio guareschiano.

Espose un tariffario dei riti sulla porta della chiesa.

A Pizzoli la preferenza era per i funerali senza prete. Poi c'erano quelli che chiedevano di trovare la chiesa riscaldata per le esequie e ti lasciavano 50.000 lire di offerta. Accendere la caldaia due giorni prima mi costava 40.000 lire l'ora, faccia lei i conti. Appena arrivato trovai bollette arretrate del gas per 5 milioni.

Per un unico funerale di due anziani fratelli morti insieme pretese dai parenti la tariffa doppia.

Era una messa parata, con due preti e l'organista.

Perché indossa sempre uno zucchetto filettato di rosso e il tricorno con il pompon paonazzo?

Sono un canonico.

E la fascia sulla talare?

È come la cravatta sulla camicia. A Roma è obbligatoria.

E le scarpe con la fibbia?

Talvolta. Da sacerdote antico.

In Internet si leggono cose orribili sul suo conto: «In seminario c'era chi lo chiamava “L'apostolo di Lucifero”».

Questa cattiveria mi giunge davvero nuova.

E anche: «Don Piccoli è un bugiardo abituale con un'alta opinione di sé e delle proprie capacità manipolatorie».

Se fosse vero sarei riuscito a farmi assolvere, le pare?

Non ha proprio nulla da rimproverarsi?

Di essere stato troppo buono troppe volte.

L'Arena
 
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view post Posted on 30/4/2021, 19:51

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TRIESTE | DELITTO ROCCO: APPELLO IN SALITA PER DON PICCOLI, RIGETTATA LA PERIZIA SULLA SALMA
30/04/2021 TRIESTE – DELITTO ROCCO: APPELLO IN SALITA PER DON PICCOLI, RIGETTATA LA PERIZIA SULLA SALMA || E’ stata rigettata al mittente anche in appello la perizia effettuata sul cadavere di Don Giuseppe Rocco presentata dagli avvocati difensori di Don Paolo Piccoli con l’obiettivo di scagionare il sacerdote per la morte del suo collega più anziano. Nell’analisi forense presentata stamani al giudice Mimma Grisafi, Presidente della Corte d’Appello di Trieste, si attribuisce la rottura dell’osso ioide – all’altezza della gola – ad un inconveniente avvenuto post mortem, cioè nel corso degli esami autoptici. Una ricostruzione, quella promossa dalla difesa, rigettata al mittente dunque non solo dal giudice Filippo Gulotta in primo grado ma pure dalla collega che presiede il processo in secondo grado. Era il mattino del 25 aprile del 2014 quando Don Pino fu trovato morto nel suo letto. Ora, a 7 anni di distanza, Don Piccoli – all’epoca dei fatti 53enne, già gravato dalla condanna a 21 anni e 6 mesi di carcere – spera di ribaltare la sentenza. La partenza del nuovo processo però è gia in salita.
Don Piccoli è stato incastrato da tre tracce ematiche rinvenute sulle lenzuola della vittima. I Gli esami del Ris avevano attribuito le macchiette di sangue a don Piccoli, rilasciate evidentemente durante l’aggressione. Le indagini avevano ipotizzato la dinamica e il movente del delitto: il prete si era introdotto nella stanza di don Pino forse per derubarlo. In passato, in effetti, da quella camera erano spariti oggetti religiosi. Il corpo dell’anziano, peraltro, dopo la morte era stato rinvenuto senza la collanina che teneva sempre al collo. Un dettaglio importante, notato dalla perpetua, e che insieme ai segni al volto aveva innescato le indagini per omicidio. L’altro movente poteva essere la vendetta, proprio per una segnalazione a carico del curato più giovane affetto da cleptomania. Quello che è avvenuto in quella stanza è immaginabile: il 92enne presumibilmente si è accorto della presenza dell’altro sacerdote accanto al letto. Poi – stando alla condanna in primo grado – le mani di Don Piccoli hanno soffocato e strozzato l’anziano. (Servizio di Marco Stabile)
 
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view post Posted on 11/6/2021, 16:20

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https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/crona...coli-1.40378898

Sacerdote strangolato nella Casa del clero, confermata la condanna a 21 anni e 6 mesi per don Piccoli

Il 92enne don Giuseppe Rocco, ex parroco della chiesa di Santa Teresa, era stato trovato morto nella sua stanza da letto la mattina del 25 aprile 2014

11 GIUGNO 2021
TRIESTE. La Corte di Assise d’appello di Trieste ha confermato nel pomeriggio di venerdì 11 giugno la sentenza di primo grado nel processo per l’omicidio del novantaduenne don Giuseppe Rocco, l’ex parroco della chiesa di Santa Teresa trovato morto nella sua stanza da letto della Casa del clero la mattina del 25 aprile 2014. L’imputato, don Paolo Piccoli, è stato condannato a 21 anni e 6 mesi di carcere.

Il collegio difensivo formato dagli avvocati Vincenzo Calderoni e Stefano Cesco aveva chiesto l’assoluzione. La camera di consiglio è durata dalle 9.50 alle 15.20.
 
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view post Posted on 1/10/2022, 21:22

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www.ilcapoluogo.it/2022/09/28/un-g...-paolo-piccoli/

Un giorno in pretura, in onda il processo a don Paolo Piccoli
L'1 ottobre a Un giorno in pretura "L'ultimo sacramento", il processo a don Paolo Piccoli, condannato per l'omicidio di un sacerdote.

don paolo piccoli

di Loredana Lombardo
28 Settembre 2022
14:48

Riparte “Un giorno in pretura”: nella prima puntata “L’ultimo sacramento”, in onda sabato 1 ottobre, alle 23.40, verranno raccontate le fasi del processo a monsignor don Paolo Piccoli, sacerdote veneto, ma incardinato nell’Aquilano, accusato e condannato in primo grado e in Corte d’Appello a Trieste a 21 anni e 6 mesi, per l’omicidio di un altro sacerdote, monsignor don Giuseppe Rocco.
L’anticipazione del processo a don Piccoli dalla pagina Facebook di “Un giorno in pretura”

Don Paolo Piccoli, è molto conosciuto in città, dove ha prestato servizio come sacerdote a Rocca di Cambio e Pizzoli; è stato condannato in primo grado il 13 dicembre 2019 perchè – secondo l’accusa – avrebbe ucciso un altro prete, monsignor Giuseppe Rocco, all’interno della Casa del Clero di Trieste, il 25 aprile 2014, per imposserarsi di una catenina e di altri oggetti di poco valore. L’accusa, a dicembre 2019 aveva chiesto 22 anni. Le telecamere di “Un giorno in pretura”, longeva trasmissione di Raitre ideata da Roberta Petrelluzzi, che ne è anche conduttrice e regista, hanno seguito tutte le fasi del processo, iniziato nel 2017, concluso in primo grado il 13 dicembre 2019 e in Appello l’11 giugno 2021. Attualmente don Piccoli è in attesa del giudizio della Cassazione.

Don Paolo Piccoli, Corte d’Appello di Trieste conferma la condanna

Don Giuseppe Rocco venne ritrovato privo di vita il 25 aprile 2014 al lato del letto della sua stanza nella Casa del Clero, dove anche don Piccoli alloggiava, dalla perpetua Eleonora Laura Di Bitonto, alle prime ore del mattino. La donna tentò di rianimare l’anziano prelato come attestato dalle registrazioni della telefonata al 118. In un primo momento si parlò di morte naturale poi è subentrata l’accusa di omicidio dal momento che l’autopsia avrebbe evidenziato i chiari sintomi del soffocamento meccanico. Grande accusatrice di Don Piccoli fu proprio la perpetua, beneficiaria, peraltro, dell’eredità di don Rocco, consistente in una discreta somma di denaro e alcune proprietà immobiliari che avrebbe poi diviso con i nipoti dell’anziano prelato. Al monsignore viene contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi soprattutto della collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento. La collanina di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato che alloggiava come Don Rocco all’interno della Casa del Clero, “se non al collo della perpetua”, come ribadito dalla difesa.

Don Paolo Piccoli, difeso dall’avvocato Vincenzo Calderoni del foro dell’Aquila e dall’avvocato Stefano Cesco, del foro di Pordenone, si è sempre dichiarato innocente: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò è continuerò il mio cammino di purificazione”, aveva detto il monsignore nell’intervista rilasciata al Capoluogo.it, all’indomani della sentenza di primo grado.

Don Paolo Piccoli: “la vita è sacra, non ho ammazzato nessuno”

Non solo Un giorno in pretura; durante il processo don Piccoli, insieme ai suoi legali Calderoni e Cesco, è stato intervistato dalla trasmissione condotta da Federica Sciarelli, “Chi l’ha Visto”.

www.ilsussidiario.net/news/eleonor...iccoli/2414099/

Eleonora Laura Di Bitonto chi è/ Perpetua don Rocco, prima accusatrice di don Piccoli
Pubblicazione: 01.10.2022 - Giovanna Tedde
Eleonora Laura Di Bitonto, perpetua di don Giuseppe Rocco ucciso a Trieste nel 2014, è la figura chiave del processo a carico di don Paolo Piccoli, condannato per il delitto

Eleonora Laura Di Bitonto è la prima accusatrice di don Paolo Piccoli nel processo per l’omicidio di don Giuseppe Rocco, prete 92enne di cui lei trovò il corpo la mattina del 25 aprile 2014 nella sua stanza della Casa del Clero a Trieste. Perpetua della vittima, Eleonora Laura Di Bitonto avrebbe dato impulso all’inchiesta sulla morte del sacerdote dopo una iniziale classificazione del decesso come morte naturale. Le indagini si sarebbero così focalizzate sulla posizione di don Paolo Piccoli, prelato di origini venete già parroco nell’Aquilano, che in primo e secondo grado di giudizio (concluso nel giugno 2021) sarebbe stato condannato a 21 anni e 6 mesi di carcere per il delitto.

Attraverso Un giorno in pretura, nella puntata intitolata “L’ultimo sacramento” in onda in seconda serata su Rai3 il 1° ottobre, il caso di don Rocco torna in tv con una analisi delle fasi del processo che hanno visto don Piccoli giudicato responsabile dell’omicidio davanti alla Corte d’Assise del capoluogo friulano. Una accusa e una condanna a cui il prete 54enne si oppone sostenendo, da sempre, la sua innocenza. Secondo il medico legale dell’accusa, don Rocco sarebbe morto per soffocamento e strangolamento e la frattura dell’osso ioide lo dimostrerebbe. Tesi a cui si contrappone quella della difesa che, come riportato da Chi l’ha visto?, porta avanti l’ipotesi che don Giuseppe Rocco sia morto per solo soffocamento e che la frattura sia intervenuta post mortem.

Chi è Eleonora Laura Di Bitonto, perpetua di don Rocco che accusò don Paolo Piccoli del delitto
Eleonora Laura Di Bitonto era la perpetua di don Giuseppe Rocco e, riporta Chi l’ha visto?, sarebbe lei la prima accusatrice di don Paolo Piccoli per la morte del sacerdote 92enne. Il prete 54enne, vicino di stanza della vittima nella Casa del Clero di Trieste, nega ogni addebito e continua a dirsi innocente, condannato in primo e secondo grado a 21 anni e 6 mesi di carcere per l’omicidio. Sarebbe stata la testimonianza di Eleonora Laura Di Bitonto a dare impulso alle indagini a suo carico, ritenuto responsabile del decesso di don Rocco anche alla luce di alcune macchie di sangue che la donna avrebbe notato su un lenzuolo. Analizzate dal Ris di Parma, le tracce ematiche sarebbero risultate di don Paolo Piccoli, circostanza che lo stesso imputato ha spiegato davanti alle telecamere di Federica Sciarelli.

Secondo la difesa di don Paolo Piccoli, le macchie di sangue del prete rinvenute su un lenzuolo di don Giuseppe Rocco sarebbero state rilasciate nell’atto di benedizione della salma dallo stesso Piccoli, chiamato nella stanza del prete dopo la morte per condurre il rito sul defunto. Così don Paolo Piccoli ha spiegato la presenza del suo sangue a Chi l’ha visto?, allontanando da sé le accuse mosse dalla perpetua Eleonora Laura Di Bitonto: “Io sono certo di aver perso del sangue perché non avevo la camicia della veste e non avevo messo le creme e tutte le precauzioni che normalmente prendevo, quindi certamente avrò avuto delle perdite di sangue dagli avambracci“. Eleonora Laura Di Bitonto avrebbe indicato senza mezzi termini il nome di don Piccoli come autore del delitto dopo aver scoperto il cadavere e aver chiamato i soccorsi. Secondo il suo racconto, dal collo della vittima sarebbe sparita una catenina e don Piccoli, per l’accusa, avrebe agito mosso dalla volontà di sottrarre a don Rocco alcuni oggetti. Intervistato da Capoluogo.it, a margine della condanna in primo grado, Piccoli ha ribadito così la sua estraneità al delitto: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò è continuerò il mio cammino di purificazione”. Per la difesa, la perpetua avrebbe mentito e ci sarebbero elementi per indagare la sua posizione.

Edited by GalileoGalilei - 9/1/2024, 10:12
 
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view post Posted on 18/3/2023, 19:34

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www.ansa.it/veneto/notizie/2023/03...1a901e3954.html

Anziano prete ucciso,Cassazione annulla condanna sacerdote

Il processo di secondo grado da rifare a Venezia

L'AQUILA
17 marzo 2023

L'AQUILA, 17 MAR - La Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado della Corte di Assise d'Appello di Trieste che aveva condannato a 21 anni di reclusione don Paolo Piccoli, sacerdote incardinato nella diocesi aquilana, per omicidio di un prete che viveva con lui in un seminario per pensionati a Trieste.

A richiedere l'annullamento del processo era stato anche il procuratore generale.

Il nuovo processo di secondo grado si svolgerà davanti alla Corte di Assise di Appello di Venezia. Il fatto risale al 25 aprile 2014. Secondo l'accusa don Paolo Piccoli, 56 anni, in pensione per motivi di salute, ex parroco di Pizzoli e Rocca di Cambio in provincia dell'Aquila, era accusato di avere strangolato Giuseppe Rocco, prete di 92 anni, per il furto di alcuni oggetti sacri. Secondo quanto si è appreso la decisione della Cassazione riguarderebbe la violazione del diritto alla difesa per la mancata presenza di consulenti di parte dell'imputato in occasione della perizia relativa agli accertamenti tecnici del Ris di Parma sulle tracce di sangue e alla consulenza autoptica: prove che, secondo la corte, non sarebbero state ammissibili. Il ricorso in Cassazione è stato presentato dall'avvocato aquilano Vincenzo Calderoni, legale di don Piccoli, che ha sempre respinto ogni addebito. "La Cassazione afferma un principio di diritto - ha spiegato il difensore - che ben due corti d'Assise hanno disapplicato, così sbagliando e costringendo Piccoli a vivere sotto processo per nove anni con una condanna a 21 anni di reclusione".
 
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view post Posted on 9/1/2024, 10:09
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https://www.ilcapoluogo.it/2024/01/09/don-...esso-a-venezia/
Martedi, 9 Gennaio 2024

Don Paolo Piccoli, ricomincia il processo a Venezia
A febbraio a Venezia la prima udienza del processo a carico di don Paolo Piccoli. A marzo la Cassazione aveva annullato la condanna a 21 anni e mezzo per l'omicidio di un altro sacerdote.

Si terrà il 21 febbraio, presso la Corte d’Appello d’Assise di Venezia, la prima udienza del processo a carico di don Paolo Piccoli, il sacerdote veneto incardinato nell’Aquilano, la cui condanna a 21 anni e mezzo per omicidio, pronunciata dalla Corte d’Appello d’Assise di Trieste, era stata annullata dalla Suprema Corte di Cassazione il 17 marzo scorso.
La sentenza di Trieste aveva confermato la condanna già inflitta a don Piccoli in primo grado a dicembre 2019. Per la Suprema Corte di Cassazione invece il processo adesso è tutto da rifare. A difendere il sacerdote anche a Venezia ci sarà l’avvocato Vincenzo Calderoni, del foro dell’Aquila.


Don Paolo Piccoli, canonico militare e cappellano sulle navi da crociera, è molto noto in città dove aveva prestato servizio nelle parrocchie di Rocca di Cambio e Pizzoli. Era stato condannato per l’omicidio di don Giuseppe Rocco, monsignore triestino all’epoca 92enne, il cui corpo fu rinvenuto il 25 aprile 2014 all’interno della Casa del Clero di Trieste dove entrambi i presuli abitavano.

L’avvocato Calderoni, dopo la condanna in secondo grado, aveva proposto il ricorso – pienamente accolto dalla Suprema Corte di Cassazione – riguardante alcuni aspetti del processo ed in particolare, chiedeva di applicare un principio di diritto in riferimento alla ‘prova tecnica’ in conformità con alcune pronunce della Cedu (Corte Europea dei diritti dell’uomo). “La ragione per cui il processo è da rifare sta nel fatto che è stato violato il diritto alla difesa dell’imputato, ed in particolare il diritto cosiddetto delle ‘armi pari’, il quale vuole che nella prova tecnica siano sempre ascoltati i consulenti della difesa. Quest’ultimo principio contrastava con un principio in auge presso la Suprema Corte fino allo scorso anno quando è stato invece recepito il principio citato”, spiegato l’avvocato Vincenzo Calderoni, sentito dal Capoluogo.

Nel nuovo processo quindi bisognerà accertare se don Rocco è stato davvero ucciso o se invece deceduto per cause naturali o se la rottura dell’osso ioide che ha portato don Piccoli sotto processo, potrebbe essere avvenuta durante le operazioni autoptiche. Non si può escludere inoltre che sia avvenuta in occasione dello spostamento del cadavere da parte dell’impresa di pompe funebri, oppure – contestualmente all’autopsia – durante le operazioni di estrazione del blocco laringo-faringeo. “Prima dell’autopsia – chiarisce il legale – non era stata fatta una tac per fotografare la situazione. Così la difesa – che a Trieste era rappresentata dagli avvocati Vincenzo Calderoni e Stefano Cesco del foro di Pordenone ndr – non aveva potuto far valere le conclusioni dei propri consulenti tecnici che divergevano da quelle dell’accusa su aspetti che la stessa Cassazione ha ritenuto di fondamentale importanza. Per la Suprema Corte ancor prima di procedere all’individuazione dell’autore del delitto, del movente, dell’origine delle macchie ematiche rinvenute sul letto, risulta ineludibile (come si legge anche nella sentenza) ricostruire le cause della morte dell’anziano“.

Don Paolo Piccoli: “la vita è sacra, non ho ammazzato nessuno”

All’inizio, dopo il ritrovamento del corpo senza vita di don Rocco, si pensò a una morte naturale, data anche l’età avanzata della vittima; l’accusa di omicidio arrivò diverse settimane dopo, a seguito di autopsia. A fare il ritrovamento, l’assistente di don Rocco, Eleonora Laura Di Bitonto che tentò di rianimare l’anziano, come registrato anche dalla telefonata fatta al 118. Sempre la perpetua, sia prima che durante le fasi del processo, fu l’unica grande accusatrice di Don Piccoli, unica destinataria, tra l’altro, della cospicua eredità di don Rocco che – stando a quanto riferito dalla stessa – avrebbe poi diviso con i nipoti del monsignore.

A don Piccoli venne contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di alcuni monili che il sacerdote aveva nella stanza e soprattutto della collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento. La collanina – come accertato di nessun valore commerciale – di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato che alloggiava come don Rocco all’interno della Casa del Clero, “se non al collo della perpetua“, come ribadito più volte dalla difesa. Don Paolo Piccoli, si è sempre dichiarato innocente: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò è continuerò il mio cammino di purificazione”, aveva detto il monsignore nell’intervista rilasciata al Capoluogo.it, all’indomani della pesante sentenza di primo grado. Il caso di don Piccoli ha suscitato un notevole clamore mediatico, il processo a Trieste è stato seguito e mandato in onda dalla trasmissione “Un giorno in pretura” e se ne è occupata anche la trasmissione condotta da Federica Sciarelli, “Chi l’ha Visto”.
 
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view post Posted on 26/3/2024, 20:03

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26 MARZO 2024
18:40
Prete strangolato a Trieste: confermata la condanna a 21 anni e 6 mesi a don Paolo Piccoli

Confermata la condanna a 21 anni e 6 mesi a don Paolo Piccoli, il prete accusato di aver ucciso monsignor Giuseppe Rocco, trovato morto nella sua stanza della Casa del Clero di Trieste il 25 aprile 2014. Per l’accusa l’ex parroco di Santa Teresa fu ucciso con un’azione combinata di soffocamento e strozzamento, con rottura dell’osso del collo, per sottrargli oggetti sacri in oro e forse anche per ripicca.
A cura di Eleonora Panseri

Confermata la condanna a 21 anni e 6 mesi a don Paolo Piccoli, il prete accusato di aver ucciso monsignor Giuseppe Rocco, l'ex parroco di Santa Teresa, trovato senza vita nella sua stanza della Casa del Clero di Trieste il 25 aprile 2014.

La sentenza, pronunciata oggi, martedì 26 marzo, dalla Corte d'assise d'appello di Venezia, chiude il processo bis e segue quella della Cassazione che nel marzo 2023 aveva annullato le condanne di primo e secondo grado, pronunciata a Trieste dalla Corte d'assise e confermata successivamente dalla Corte d'assise d'appello, come ricorda il quotidiano Il Piccolo.

Il motivo principale dell'annullamento era stata la mancata ammissione dei consulenti di parte a una serie di accertamenti irripetibili. Don Piccoli non era stato avvisato perché non era ancora iscritto nel registro degli indagati.

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La Corte d'assise d'appello di Venezia ha invece accolto la richiesta della sostituto procuratrice generale Paola Tonini, che aveva chiesto appunto la conferma della sentenza di primo e secondo grado a 21 anni e 6 mesi di carcere.

Secondo la pg, il prete sarebbe l'unico responsabile del delitto dell’anziano prelato Giuseppe Rocco, trovato morto il 25 aprile 2014 nella sua stanza della Casa del Clero di Trieste.

Per l’accusa, infatti, l'ex parroco di Santa Teresa a Trieste fu ucciso con un'azione combinata di soffocamento e strozzamento, con rottura dell'osso del collo, per sottrargli alcuni oggetti sacri in oro e forse anche per ripicca dopo alcuni rimproveri.

Invece, la difesa ha sempre sostenuto che non ci fosse stato alcun delitto, individuando in una patologia broncopolmonare la causa della morte del prete. In aula all'ultima udienza era stato discusso anche il tema del movente, ricordando il caso di una catenina sottratta a monsignor Rocco e mai ritrovata.
 
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