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Prete ucciso. Condanna bis in appello a don Piccoli a 21 anni e 6 mesi, Trieste: "Strangolò mons. Rocco per rubargli crocifisso e catenina d'oro"

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view post Posted on 19/8/2016, 12:35
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http://ilcentro.gelocal.it/laquila/cronaca...roso-1.13980337

Tra i fedeli smarriti: «Quel prete estroso...»
A Pizzoli poca voglia di parlare delle gesta dell’ex parroco. «Invettive dall’altare, maltrattava tutti»

PIZZOLI. Com’era don Paolo Piccoli quando stava a Pizzoli? «Estroso, quantomeno estroso. Però spegni quel registratore...». Il cronista a caccia di pareri sull’ex parroco di Pizzoli, in carica fino alla fine degli anni ’90, deve scendere a patti. Interviste a microfono spento e macchina fotografica riposta. È l’unica soluzione per poter fare quattro chiacchiere con alcuni residenti del piccolo comune che nel dopo terremoto ha accolto molti aquilani.
Com’era don Paolo Piccoli nel suo periodo a Pizzoli? Pensate davvero che possa aver ucciso qualcuno? «Beh, per essere particolare, lo era, ma arrivare a uccidere...». Alcuni avventori del bar Rosella all’ingresso del paese hanno molti ricordi personali. «Mi ricordo l’effetto che mi fece quando arrivò», racconta un avventore. «Era il giorno di Santo Stefano, una funzione lunghissima in cui mi sono sentito trattato male. Da allora a messa quando c’era lui non ci sono più andato». «A volte dal pulpito se la prendeva con noi», racconta una signora romana. «E sono rimasta colpita dal fatto che a ogni funzione religiosa si cambiava d’abito più volte». Un po’ pomposo? «Sì, diciamo così».
A Pizzoli i più anziani ricordano ancora la storia delle campane, che dalla mattina alla sera a intervalli regolari segnavano le ore della piazza di Pizzoli. «Era uno show», raccontano ridendo in piazza. C’è chi è troppo giovane per ricordarselo, o a quei tempi non abitava a Pizzoli, ma chi c’era racconta di comizi disturbati dallo scampanio continuo e a tutto volume. Si racconta che una volta, a mezzanotte e mezza, arrivò anche il maresciallo dei carabinieri per intimare il silenzio. I racconti scivolano sull’agiatezza della famiglia. «Sapete se il padre è ancora vivo?».
C’è chi si è legato al dito il rifiuto di don Paolo di impartire la comunione a una persona che non poteva raggiungere l’altare, mentre altri raccontano di contributi differenziati per residenti e non residenti per le messe per i defunti. Nella parrocchia in piazza la ragazza delle
pulizie si trincera dietro a un «no comment». Don Claudio Tracanna, l’attuale parroco, non è in sede. «Don Claudio ha detto che di questa storia non parla», avevano avvertito al bar. «Lui è giovane e bravo, e qui gli vogliamo bene». (r.p.)

18 agosto 2016
 
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view post Posted on 14/12/2016, 16:53
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Delitto in seminario a Trieste, guerra in aula sul dna
Assente all’udienza don Piccoli, indagato per la morte di monsignor Rocco. La perpetua: «L’avrei voluto guardare negli occhi»
di Corrado Barbacini

14 dicembre 2016

TRIESTE A parlare nel corridoio al secondo piano del Tribunale tradendo emozione, rabbia e forse anche risentimento, è Eleonora “Laura” Dibitonto, l’assistente di monsignor Giuseppe Rocco, l’anziano sacerdote ucciso il 25 aprile del 2014 nella Casa del clero di via Besenghi. «Sono venuta qui per guardarlo negli occhi. Perché quella sera nella Casa del clero c’erano solo quello e monsignor Rocco». “Quello” è don Paolo Piccoli, 52 anni, l’altro sacerdote. È ritenuto dal pm Matteo Tripani l’assassino: colui che ha stretto le proprie mani al collo di monsignor Rocco.

Ma don Piccoli ieri, davanti al gip Giorgio Nicoli, non c’era. Assente. È rimasto a Imperia, ben lontano da Trieste, dove era stato mandato dal vescovo Crepaldi dopo che il clamoroso caso era scoppiato e la bufera giudiziaria lo aveva colpito, anzi aveva travolto. Chi era presente invece era una nipote di monsignor Rocco che si è costituita parte civile - come hanno fatto altre due parenti - tramite l’avvocato Libero Coslovich. Se don Piccoli dovesse essere condannato per l’omicidio, dovrà dunque anche risarcire i parenti della vittima.
È stato - di fatto - questo l’unico atto formale avvenuto nell’udienza preliminare iniziata con una pioggia di eccezioni da parte dei difensori del sacerdote, gli avvocati pordenonesi Claudio Santarossa e Stefano Cesc

Nella loro corposa memoria depositata pochi giorni fa nella cancelleria del gip hanno rilevato un’irregolarità relativa a un secondo prelievo del dna effettuato a Piccoli nello scorso maggio. Il cui referto non è mai finito nel fascicolo acquisito dai difensori. In effetti proprio quella del dna - catturato nell’agosto del 2014 dai carabinieri del Ris quando don Piccoli era solamente il supertestimone del delitto - è senza dubbio la “prova regina” delle indagini sul giallo del seminario.

Quelle analisi avevano “fotografato” il dna di una serie di piccole macchie di sangue trovate sotto il corpo di monsignor Rocco, riverso senza vita sul pavimento vicino al suo letto. Già allora era emerso che il profilo genetico era proprio quello di don Piccoli come era stato accertato dalle verifiche scientifiche dei Ris di Parma.
Che erano risaliti all’identità del sospettato attraverso i cosiddetti “tamponi volontari”, ovvero i campioni di saliva resi dalle persone convocate, all’epoca, dagli inquirenti. Il presunto assassino, in occasione di una delle deposizioni che lo avevano coinvolto, si era difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca talvolta delle piccole emorragie, anche alle mani, e che il sangue si sarebbe potuto propagare nei paraggi del corpo senza vita di monsignor Rocco perché era stato proprio lui, don Piccoli, a impartirgli la benedizione subito dopo che era stato trovato morto. Sempre rimanendo al di fuori dall’aula, Eleonora “Laura” Dibtonto ha così ricordato quel momento: «Quella mattina don Piccoli non si era nemmeno avvicinato al povero corpo di monsignor Rocco. Se ne stava a più di un metro da lui. Quando lo ha benedetto aveva lo sguardo girato verso l’esterno. Monsignor Rocco aveva anche alcuni piccoli segni di traumi al volto. E gli mancava la catenina che teneva sempre con sè...».
L’udienza è stata aggiornata al 28 febbraio.
 
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http://www.cronacaqui.it/rubriche/profondo...-sacerdote.html

RUBRICHEPROFONDO GIALLO
PROFONDO GIALLO / DELITTO IN CHIESA
L’apostolo di Lucifero. Segreti inconfessabili dell’aitante sacerdote
Il nome di don Paolo Piccoli, 52 anni, è scritto in un fascicolo penale per l’omicidio volontario aggravato di monsignor Giuseppe Rocco, ucciso nel suo alloggio alla Casa del Clero di Trieste il 25 aprile del 2014

06 gennaio 2017 15:30

Don Paolo Piccoli
Don Paolo Piccoli è sempre stato un po’ strano, forse qualcosa di più. In seminario c’era chi lo chiamava «L’apostolo di Lucifero». A Verona, la sua città natale, lo ricordano mentre girava vestito da sacerdote quando ancora non lo era.

Chi l’ha conosciuto racconta la disperazione di suo padre quando scoprì i debiti enormi del figlio per comprare preziosi paramenti liturgici. Nell’Aquilano, dove è stato prete per 11 anni, don Piccoli è finito sotto accusa per un furto di oggetti sacri. E i parrocchiani ricordano le sue campagne contro i comunisti «che vogliono cacciarmi via», le liti pubbliche con i chierichetti, la battaglia legale per far suonare le sue campane più forte delle altre. Stavolta la faccenda che lo riguarda è molto più grave di tutte le precedenti. Il nome di don Paolo Piccoli, 52 anni, ora è scritto in un fascicolo penale per l’omicidio volontario aggravato di monsignor Giuseppe Rocco, ucciso nel suo alloggio alla Casa del Clero di Trieste il 25 aprile del 2014. Monsignor Rocco aveva 92 anni, fisico gracile, malfermo sulle gambe. È morto strangolato e chi l’ha ucciso, secondo la procura di Trieste proprio don Piccoli, lo ha sopraffatto facilmente. «Io non c’entro nulla, non ho fatto niente » , avrebbe ripetuto lui dopo aver saputo di essere stato inquisito.

La sua versione, quindi, sarebbe quella della prima ora: l’assistente personale del monsignore Eleonora Dibitonto che scopre il cadavere e lui che arriva per dare la benedizione. Nient’altro. E invece il pubblico ministero Nicola Tripani è convinto che don Piccoli, ospite anche lui della Casa del Clero triestina dopo l’esperienza aquilana, quella mattina sia entrato nella stanza del monsignore di buon’ora , quando lui erano ancora vivo. L’ipotesi ritenuta più verosimile è che i due abbiano litigato, magari proprio a proposito della denuncia che monsignor Rocco aveva presentato ai suoi superiori: qualcuno gli aveva rubato dalla stanza alcuni oggetti sacri (una madonna, un veliero e un cavallo di bronzo) e lui aveva scritto ai vertici ecclesiastici citando fra i possibili ladri proprio il suo vicino di stanza. La direzione del Seminario aveva così mandato a don Piccoli una lettera di richiamo e adesso quella lettera è diventato un possibile movente. Ma più dell’ipotetico movente in questa storia pesano le sue tracce di sangue nell’alloggio della vittima. Erano sul lenzuolo ritrovato per terra, sotto il corpo di monsignor Rocco: «Soffro di una malattia cutanea che a volte indebolisce la cute e la fa sanguinare» si è giustificato lui, «forse ho perso quelle gocce mentre lo benedicevo ». In quanto alla personalità di don Piccoli molto spiegherebbero alcune testimonianze e intercettazioni telefoniche dalle quali si evincerebbe «un carattere e un modo di esprimersi decisamente poco adatti a un uomo di chiesa». Dopo l’omicidio don Piccoli è stato trasferito ad Albenga ma è lo stesso vescovo della diocesi ligure, don Guglielmo Borghetti, a rivelare che «non è più qui da diversi mesi, è rientrato a casa dai suoi genitori».

E mentre a Trieste si gioca la partita giuridica del prete presunto assassino, a Verona si è tornato a parlare di quell’aspi rante sacerdote che tanti ricordano come «feticista di oggetti sacri » e che all’inizio degli anni Duemila, proprio dalla città scaligera, provò a muovere i primi passi da religioso. Inutilmente. Perché ci fu chi andò dal vescovo e riferì: i suoi comportamenti rivelano dubbi sulla sua tenuta psicologica, quell’uomo non può essere ordinato prete. E Verona gli negò il sacerdozio che poi avrebbe ottenuto all’Aquila.

OGNI VENERDI’ SU CRONACAQUI IN EDICOLA LA RUBRICA “PROFONDO GIALLO”: DUE PAGINE DEDICATE AI PIU’ GRANDI FATTI DI CRONACA NERA NAZIONALI TUTTORA NON ANCORA RISOLTI
 
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http://ilcentro.gelocal.it/laquila/cronaca...zoli-1.14953626

Prete ucciso a Trieste, a processo l'ex parroco di Pizzoli
Don Paolo Piccoli accusato dell'omicidio di monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, trovato strangolato nella propria camera nel seminario: il movente sarebbe un furto di oggetti preziosi

28 febbraio 2017

L'AQUILA. È stato rinviato a giudizio dal gup di Trieste (Giorgio Nicoli) don Paolo Piccoli, 52 anni, sacerdote di origini venete e già parroco a Pizzoli, per l'omicidio di monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, trovato strangolato nella propria camera nel seminario di Trieste, il 25 aprile 2014. Il processo davanti alla Corte d'Assise di Trieste si aprirà il 30 giugno. Piccoli, all'epoca incardinato a Trieste, è imputato di omicidio volontario, aggravato dall'età avanzata della vittima.

Entrato nell'inchiesta come testimone, poiché vicino di stanza dell'anziano presule, Piccoli fu in seguito indagato per il delitto, secondo gli investigatori motivato da un furto di oggetti sacri scoperto da monsignor Rocco. Tra gli indizi che lo accusano, alcune tracce di sangue trovate sulle lenzuola del letto dell'anziano sacerdote. Il corpo del prelato, vestito come se stesse per uscire, fu rinvenuto ai piedi del letto, nell'appartamento che occupava alla Casa del clero. L'elemento che fece imprimere una svolta alle indagini fu la radiografia del collo dell'anziano prete, dalla quale emersero con chiarezza lesioni riconducibili a un'azione violenta, e non a un evento accidentale. Le indagini, coordinate dal pm Matteo Tripani, furono condotte dal Nucleo Investigativo dei carabinieri.
 
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http://corrieredelveneto.corriere.it/venet...330066910.shtml

VERONA
Omicidio dell’anziano parroco
La perpetua accusa don Piccoli
Il delitto del seminario: padre Giuseppe Rocco fu strangolato

VERONA Gli inquirenti la ritengono la testimone-chiave in quello che a Trieste passerà alle cronache come «delitto del seminario». Lei ha 72 anni, si chiama Eleonora (da tutti soprannominata «Laura») Dibitonto e, nonostante l’età avanzata, quando s i è aper ta l’udienza preliminare contro il sacerdote veronese don Paolo Piccoli, 52 anni, che due giorni fa è stato rinviato a giudizio dal gup Giorgio Nicoli per l’omicidio volontario di un anziano parroco, ha trovato la tempra e il coraggio necessari a presentarsi in tribunale. Era già stata interrogata come «persona informata sui fatti» durante le indagini preliminari dal pubblico ministero Matteo Tripani e sostiene che la mattina in cui venne strangolato nella sua camera, don Giuseppe Rocco, 92 anni, era senza quella catenina da cui non si separava mai.

Da cinque anni, la Dibitonto era l’assistente volontaria del religioso strangolato nella sua stanza alla Casa del clero in via Besenghi ed era stata proprio lei la prima persona ad accorgersi che il sacerdote era morto. Fu lei a trovare il corpo senza vita di monsignor Rocco alle 7.30 del 25 aprile 2014 e a far scattare l’allarme chiamando il 118 e precipitandosi all’esterno del seminario per aprire con il telecomando il pesante portone metallico facendo così entrare i soccorritori. Solo lei poteva accorgersi che, sul cadavere dell’anziano parroco, mancava «quella collana al collo che non si toglieva mai». Ma non è tutto: al giudice Nicoli, che l’altro ieri ha deciso di rinviare il prete veronese a giudizio per l’omicidio volontario di don Rocco fissando la prima udienza del processo per giugno davanti alla Corte d’assise di Trieste, la perpetua ha riferito che quando, quella mattina, don Piccoli ha impartito l’estrema unzione alla vittima, non si sarebbe neppure avvicinato alla salma. Sarebbe rimasto a distanza, qualche metro più in là, e mentre lo benediva non gli avrebbe nemmeno rivolto lo sguardo.

Tra i due sacerdoti, stando a quando emerso nel corso dell’inchiesta, non correva buon sangue: e se questa circostanza non rappresenta una prova, a pesare contro il parroco veronese pesano le parole della perpetua, secondo cui all’interno della Casa del clero «c’erano solo don Rocco e don Piccoli, nessun altro». Una versione, questa, che invece don Paolo, fin dall’inizio di un’inchiesta in cui era entrato come semplice testimone ritrovandosi alla fine l’unico sospettato, ha sempre contestato: agli investigatori, infatti, disse che «quando è morto, non c’eravamo solo io e lui alla casa del Clero». Ora però don Piccoli, che si è chiuso nel silenzio nella sua casa a Verona, rischia trent’anni di carcere se i sospetti a suo carico dovessero trovare conferma nel corso del processo di primo grado a cui verrà sottoposto tra tre mesi. Secondo l’accusa, il movente del delitto andrebbe ricondotto al furto di alcuni oggetti sacri che appartenevano alla vittima e che sarebbero spariti dalla stanza di don Rocco. Quest’ultimo però se n’era accorto e lo aveva segnalato facendo scattare una sorta di indagine interna. La prova indiziaria «regina» è considerata una serie di piccole macchie di sangue, trovate sotto il corpo di don Rocco e risultate coincidenti con il profilo genetico di don Piccoli ma secondo la difesa quelle tracce ematiche sarebbero state perse dall’imputato mentre stava impartendo a monsignor Rocco l’estrema unzione.E qui si inserisce la perpetua: a suo dire, don Paolo sarebbe rimasto «a distanza» dalla vittima. Dov’è a verità?

02 marzo 2017
 
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view post Posted on 20/9/2017, 11:33

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http://www.abruzzoweb.it/contenuti/-ha-ucc...zzoli/637331-4/

''HA UCCISO UN PRETE NOVANTENNE'', AL VIA
IL PROCESSO ALL'EX PARROCO DI PIZZOLI
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Pubblicazione: 20 settembre 2017 alle ore 07:04


L’AQUILA - Comincia venerdì prossimo davanti alla Corte d’Assise di Trieste il processo per omicidio a monsignor Paolo Piccoli, 52 anni, sacerdote di origini venete e già parroco nell’Aquilano, ancora incardinato nella Curia del capoluogo, ma a riposo, accusato di aver ucciso monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, trovato strangolato nella propria camera nel seminario di Trieste, il 25 aprile 2014.

La difesa si preannuncia bellicosa: secondo l’avvocato aquilano Vincenzo Calderoni, che assiste il religioso assieme al collega Stefano Cesco di Pordenone, infatti, “nel referto dell’autopsia ci sono risultanze discutibili, non risultano segni di colluttazione che si rinvengono di solito negli strangolamenti, le tracce ematiche riconducibili a monsignor Paolo sono state lasciate nell’impartire l’estrema unzione; manca completamente un movente, in quanto il furto di oggetti di poco conto non sta in piedi”, come spiega ad AbruzzoWeb.

Nell’udienza di venerdì, la prima dibattimentale, si procederà alla verifica della costituzione delle parti e a verificare la copiosa lista dei testi dell’accusa e della difesa che dovranno essere accolti o meno dal giudice; su tutti la “perpetua” del sacerdote ucciso, grande accusatrice di monsignor Piccoli.

Con tutta probabilità dovrebbe essere disposta dai giudici anche la trascrizione delle numerose intercettazioni telefoniche e ambientali risultate dall’indagine, nelle quali, prosegue Calderoni “don Piccoli parla ovviamente del fatto, ma mai confessa alcunché, anzi tutto l’opposto”.

Il collegio giudicante è composto dai magistrati Filippo Gullotta (presidente) ed Enzo Truncellito (a latere ) e dai giudici popolari Mauro Kechet, Rossella Bravini, Chiara Mur, Patrizia Pellaschiar, Corrado Cadamuro e Antonia Ciaccia.

A sostenere l’accusa sarà il pubblico ministero Matteo Tripani mentre il sacerdote è assistito dagli avvocati Stefano Cesco di Pordenone e Vincenzo Calderoni dell’Aquila. I parenti della vittima si sono costituiti come parte civile.

IL DELITTO

Entrato nell’inchiesta poiché vicino di stanza dell’anziano presule, Piccoli è stato in seguito indagato per il delitto, per le difese in forte ritardo; secondo gli investigatori, l'omicidio sarebbe stato motivato da un furto di oggetti sacri scoperto da monsignor Rocco.

Tra gli indizi che lo accuserebbero, alcune tracce di sangue trovate sulle lenzuola del letto dell’anziano sacerdote.

Il corpo del presule è stato rinvenuto a un lato del letto, nell'alloggio che occupava alla Casa del clero.

L’elemento che ha fatto imprimere una svolta alle indagini è stata la tac al collo dell’anziano prete, dalla quale sarebbero emerse con chiarezza lesioni riconducibili a un’azione violenta e non a un evento accidentale.

Le indagini, coordinate dal pm Tripani, sono state condotte dal nucleo investigativo dei Carabinieri. Piccoli non è mai stato ascoltato fin qui, fanno notare i difensori.

IL LEGALE: “CONTESTAZIONI TUTTE SUPERABILI”

Anticipando alcuni dei contenuti della difesa, il legale dell’accusato fa notare che il problema “comincia dall’autopsia quando don Piccoli, allora non indagato, non ha avuto modo di nominare un proprio perito né di difendersi, perché l’inchiesta era contro ignoti”.

E questo, evidenzia “nonostante fin da subito le informative dei carabinieri facessero cenno alla sua persona", viste anche le accuse della perpetua. "Questo - continua - ha determinato uno svantaggio importante, perché nel referto dell’esame si dicono cose discutibili”.

In particolare, “il corpo è stato trovato a un lato del letto in posizione riversa su un fianco, sull’orario della morte non c’è nulla di preciso, ma soprattutto si parte dal presupposto che sia stato strangolato sul letto - sostiene Calderoni - quando invece la ricostruzione autorizzata dagli atti può essere completamente diversa, anche se non posso anticipare ora quello che la difesa sosterrà in aula”.

“Sono esclusi i segni di colluttazione, un’altra anomalia: in caso di strangolamento la vittima, per quanto debole, si difende - fa notare ancora il legale - E poi lo accusano perché hanno trovato tracce ematiche sul letto, ma le tracce sono attribuibili al contatto intervenuto per impartire il sacramento dell’estrema unzione. Questa è l’unica traccia obiettiva della sua presenza, che il mio assistito non nega, ma può giustificare”.

Infine la contestazione forse principale per il collegio difensivo. “Manca il movente. Si vagheggia un’ipotesi di furto, è vero, ma è frutto di attività delatoria, nulla fin qui è stato effettivamente provato - precisa - È personaggio colorito e particolare, è vero, ma si parla di una statua della Madonna in legno di nessun valore e di una bomboniera a forma di vascello: oggetti per i quali don Paolo non ha alcun interesse e poi sarebbe comunque un comportamento sproporzionato”.

“O ancora, una catenina fantasma di cui in questo processo c'è solo l'immagine. Elementi - conclude Calderoni - che con il collega Cesco ritengo di poco conto e tutti superabili, pur nel rispetto del processo”. (alb.or.)
 
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view post Posted on 7/10/2017, 20:03

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http://www.larena.it/territori/citt%C3%A0/...2204?refresh_ce
07.10.2017
Il prete accusato
di omicidio: «Non
l'ho ucciso io»

Accusato dell’omicidio di un prete, per la prima volta il veronese monsignor Paolo Pietro Piccoli accetta di raccontare la sua verità. E lo fa a pochi giorni dall’udienza del processo che lo vede accusato di quell’ omicidio.
Ecco la storia. Il 25 aprile 2014 monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, viene trovato morto ai piedi del suo letto nella Casa del clero di via Besenghi, a Trieste. L’autopsia disse che l’anziano era stato strangolato dopo che inizialmente sembrava fosse morto per cause naturali. La Procura giuliana aprì un fascicolo e i Ris setacciarono la foresteria, la stanza del defunto e quelle degli altri ospiti. Era scomparsa una catenina che monsignor Rocco portava sempre con sé: gli inquirenti arrivarono alla conclusione che lui e il suo assassino si conoscevano. Da subito le indagini si concentrano sulle persone ospitate in quei giorni alla Casa del clero.

Dopo due anni, da super-testimone don Piccoli, incardinato nell’arcidiocesi aquilana da quasi trent’anni, diventò indagato: il pm Nicola Tripani chiese il suo rinvio a giudizio per il reato di omicidio aggravato. Ad accusare Piccoli ci sarebbero una serie di piccole macchie di sangue trovate sulle lenzuola della vittima che combacerebbero con il Dna del sacerdote veronese. Il quale si era difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca delle piccole emorragie, anche alle mani: il sangue sarebbe caduto mentre dava l’estrema unzione a monsignor Rocco.
Nei giorni precedenti alla morte, dalla stanza dell’anziano prelato sarebbero spariti alcuni oggetti, non solo sacri: una Madonna e una bomboniera. Monsignor Piccoli ha un curriculm di tutto rispetto: officiale di curia, monsignore canonico aquilano, cappellano del Sovrano ordine di Malta dal 1997, ufficiale cappellano di bordo della Marina mercantile, attivissimo collaboratore di Forze armate e vigili del fuoco durante il terremoto de L’Aquila.
Insomma, il fatto che potrebbe aver ucciso per una catenina d’oro stride, e parecchio. «Sono stato silente e ritirato per tre anni, su suggerimento del mio avvocato dell’epoca. Ma ora dico basta», sottolinea nello studio dell’avvocato Diego Perini, ma in tribunale ci saranno anche l’avvocato Vincenzo Calderoni con il collega Stefano Cesco di Pordenone.

«Io non ho ucciso monsignor Rocco, non ne avrei avuto alcun motivo. Non c’è un movente. Posso aver ucciso un uomo per una collana d’oro, e alcuni oggetti di nessun valore? A casa mia vennero sequestrati oggetti per centinaia di migliaia di euro, e poi dissequestrati. Sopralluoghi dei carabinieri dei Beni culturali e avrei ucciso per una bomboniera e una collana d’oro?». Dalla sua, il monsignore veronese ha una risultanza autoptica che non coinciderebbe a parere della difesa con l’analisi del medico legale.
«È una conclusione eccentrica e contiene elementi in netto contrasto con le conclusioni», dice l’avvocato Calderoni, «come ha evidenziato il nostro perito, considerato anche lo stato dei polmoni della vittima. E poi ci sono intercettazioni telefoniche che complicano parecchio il quadro, ma non certo per il nostro assistito». La maggior accusatrice di Piccoli è la perpetua della vittima, Eleonora Laura Dibitonto, che ha appena pubblicato un libro in cui promette «di fare luce sull’assassinio di Rocco», dopo aver scritto che aveva incontrato la prima volta don Rocco a 17 anni e da allora lo aveva sempre seguito.

«L’analisi complessiva del corposissimo fascicolo delle indagini fa emergere un fosco quadro provinciale di complotto da sacrestia ammuffita, infestata da colpevoli ciarle inventate, tanto da sviare l’attenzione da accadimenti oggettivi e risultanze processuali di fondamentale importanza per l’accertamento della verità», continua monsignor Piccoli, «ci sono particolari che non sono ancora emersi, ma emergeranno a processo, migliaia di euro trafficati loscamente (sostiene che il de cuius avesse intestato una polizza vita da 150mila euro alla perpetua, beneficiandola pure di una casa ndr), contraddizioni, ritrattazioni, continui tentativi di pervertire i media e l’opinione pubblica. Io so di dare fastidio a molti. Quando abitavo nella casa del clero perchè stavo male sono stato rimproverato anche perchè tenevo con me i miei due cani. Ma non sono un assassino».
Alessandra Vaccari
 
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view post Posted on 6/3/2018, 21:17

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http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronac...coli-1.16559768

Trieste. delitto Rocco, le telefonate di don Piccoli
Il prete accusato di omicidio ad alcuni interlocutori: «Il mio sangue su quel letto per caso. Soffrivo di irritazione al braccio»
di Gianpaolo Sarti

06 marzo 2018

TRIESTE Era preoccupato, don Paolo Piccoli. Preoccupato che le macchie di sangue - il suo sangue - rinvenute dagli investigatori sul letto della vittima, potessero incastrarlo. Il prete di 52 anni, accusato dell’omicidio del novantaduenne don Giuseppe Rocco, parla spesso di quelle tracce ematiche.

Lo fa di continuo, con i suoi interlocutori, nelle intercettazioni telefoniche. L’anziano sacerdote è stato trovato senza vita nella sua stanza della Casa del clero di via Besenghi la mattina del 25 aprile del 2014. Sulle prime sembrava morte naturale; ma dalla perizia autoptica del medico legale Fulvio Costantinides, che il pm Matteo Tripani aveva disposto dopo poche settimane dal decesso, era stata riscontrata la rottura dell’osso ioide all’altezza del collo. Gli altri esami sul cadavere avevano confermato la presenza di lesioni riconducibili a un’azione violenta. Don Piccoli, originario di Verona e ordinato all’Aquila, era il vicino di camera del religioso.



Era stato proprio lui, non appena constatata la morte del confratello, a officiare l’estrema unzione. La serie di piccole macchie apparse sul letto del defunto, secondo l’esame del dna, appartengono al profilo genetico di don Piccoli. L’imputazione a carico dell’indagato parla di «omicidio volontario per soffocamento e strozzamento» e di «decesso per asfissia».

Inizialmente, lo scorso 25 aprile, la morte di monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, era parsa naturale. Poi, la svolta clamorosa e l'apertura di un fascicolo a carico di ignoti da parte della Procura: gli inquirenti indagano per omicidio.


L’utenza telefonica del sacerdote è stata messa sotto controllo. Nei dialoghi fatti trascrivere dai magistrati, il prete non cita solo l’indizio principale, il sangue sulle lenzuola, ma tira in ballo anche la perpetua di don Giuseppe Rocco, Eleonora Dibitonto. Che, a sentire Piccoli, avrebbe avuto un interesse concreto sul decesso del religioso: l’eredità.

In una telefonata a un conoscente stretto, intercettata dagli investigatori, il prete si lascia andare a uno sfogo. «Il grande problema - dice - è che ci sono le tracce ematiche sul coprimaterasso. Ma in quel periodo soffrivo di un potente rash cutaneo sanguinante (un’irritazione, ndr) al braccio sinistro, mi prudeva e sanguinavo». Macchie che don Piccoli, a suo dire, avrebbe rilasciato sul letto della vittima durante la cerimonia dell’estrema unzione, poco dopo il ritrovamento del cadavere. «Mi colava sangue - aggiunge il sacerdote in un’altra conversazione - può darsi che facendomi leva (sul letto, ndr) essendomi io inginocchiato presso il morto e rialzato, può essere rimasto quello». Ma le indagini hanno portato a galla anche altre circostanze, tutt’ora oscure: a don Rocco sarebbe stata sottratta una catenina che teneva al collo.

Svolta nelle indagini sul decesso di monsignor Rocco nel 2014 in via Besenghi. Chiesto il processo per l’ex vicino di camera don Piccoli ora in servizio in Liguria
Un aspetto, questo, che viene correlato a una presunta disposizione del sacerdote inquisito ad accumulare oggetti religiosi. E nei giorni immediatamente antecedenti alla morte di don Rocco dalla stanza dell’anziano religioso sarebbero sparite alcune suppellettili sacre o comunque dal valore simbolico: una Madonna, un veliero e un cavallo. Il sacerdote ucciso ne avrebbe denunciato la scomparsa, inserendo proprio don Piccoli, cioè il vicino di stanza, tra i possibili autori del furto. Le tre statuette sarebbero poi ricomparse nella stanza dell’omicidio, proprio dopo la misteriosa morte dell’anziano. Fatti comunque da dimostrare.

Ma è lo stesso Piccoli, in un’ulteriore conversazione intercettata, a entrare nel merito della catenina, la cui scomparsa era stata denunciata dalla stessa perpetua. Dice Piccoli: «Una catenina, da quello che ho capito di tipo devozionale con due ciondoli. Da cui, dice lei (la perpetua, ndr), lui non si separava mai. Ma che nessuno ha mai visto. Che poi lei come c.... facesse a saperlo...allora lo vedeva nudo tutti i giorni, allora!? E allora, qui c’è da pensar male eh!». E, ancora, in un altro passaggio in cui cita i confratelli che forse meglio conoscevano la vittima: «Ma rubare cosa? Ma se don Zovatto che era dal ’60 lì non l’ha mai vista ’sta cosa. Se monsignor Cian non l’ha mai vista! Se il capo manutentore gli pare di aver visto qualcosa un dieci anni fa...ma chi l’ha mai visto nudo questo? Che c.... di figo è a 92 anni?! Vaff...eh, scusa!». Ecco poi la parte in cui don Piccoli fa chiaramente riferimento a Dibitonto e ai possibili vantaggi che la donna avrebbe potuto trarre dal decesso del novantaduenne.


Acquisite dal giudice le trascrizioni delle chiamate fatte da don Piccoli, il sacerdote accusato di aver ucciso monsignor Rocco
«La perpetua quanto ha ereditato?», incalza l’interlocutore del sacerdote dall’altra parte della cornetta. «Un appartamento grande a Trieste - risponde Piccoli - e svariati soldi in contanti. Gli altri quattro appartamenti, tra cui la villa a Lignano, sono andati ai nipoti. Più gli altri soldi...sì, perché aveva 200-250 mila euro da parte, il signorino...eee...questo l’ho riferito alla Curia di Trieste».

Il processo sull’omicidio riprende il 9 marzo. Nell’udienza saranno sentiti il capitano dei carabinieri che ha condotto le indagini all’epoca, Fabio Pasquariello, e la stessa Dibitonto. I difensori di don Piccoli, gli avvocati Stefano Cesco e Vincenzo Calderoni, hanno chiesto l’audizione di ben 58 testimoni. Il pm un’altra trentina, tra cui anche i medici che si sono occupati della perizia sul cadavere e le persone che frequentavano il seminario. A tutelare gli eredi di don Rocco, che si sono costituiti parte civile, è l’avvocato Libero Coslovich.
 
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SPUNTANO FOTO PORNO NEL PC DEL PRETE
ACCUSATO DI OMICIDIO, ''ATTI ESTRANEI''
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Pubblicazione: 10 marzo 2018 alle ore 14:03

Paolo Piccoli
Paolo Piccoli
L'AQUILA - Immagini pornografiche sarebbero spuntate dal computer di don Paolo Piccoli, il sacerdote di origini venete già parroco nell’Aquilano, accusato dell’omicidio di monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, trovato morto nella propria camera nella Casa del Clero di Trieste, il 25 aprile 2014.

Il dettaglio inedito dell'inchiesta è stato svelato nelle tre ore di udienza, ieri a Trieste, dall'ex capitano dei carabinieri che in passato aveva condotto le indagini con il supporto dei Ris di Parma, Fabio Pasquariello.

Le immagini rinvenute dagli investigatori nel pc, tuttavia, non aggiungono nulla all'impianto accusatorio.

Lo stesso avvocato aquilano Vincenzo Calderoni, difensore di don Paolo insieme a Stefano Cesco, ha infatti chiesto al giudice che la rivelazione del carabiniere non compaia negli atti processuali.

Il legale ha poi messo in difficoltà la "grande accusatrice" di don Paolo, l'anziana perpetua del monsignore Eleonora Laura Dibitonto, ritenuta testimone chiave dell'accusa essendo stata la prima a ritrovare il corpo senza vita del prelato, facendo rilevare una contraddizione: la donna aveva dichiarato di ricordare i segni ematici, sebbene in un precedente verbale avesse affermato di essere entrata, la mattina del delitto, in una stanza buia.

Il sacerdote, poi, si è difeso rispetto alla presenza di tracce del suo sangue sul letto della vittima: in quel periodo soffriva di una irritazione al braccio sinistro, "mi prudeva e sanguinavo" ha detto in aula,

Gocce che l'imputato avrebbe rilasciato sul giaciglio della vittima durante la cerimonia di benedizione del cadavere, avvenuta subito dopo la constatazione del decesso.

"Può darsi che facendomi leva sul letto, essendomi io inginocchiato presso il morto e rialzato, può essere rimasto quello...", ha aggiunto.

"Il castello accusatorio dell’accusa - commentano i difensori di don Paolo ad AbruzzoWeb - si sta via via dimostrando sempre più inconsistente. Siamo sicuri che una volta ascoltati tutti i testimoni, ci avvieremo verso una piena assoluzione".

L'udienza di ieri è stata anche seguita dalla trasmissione Rai Un giorno in pretura.
 
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L'articolo ricostruisce bene la vicenda


www.larena.it/territori/citt%C3%A0/...ddice-1.6355974

11.03.2018
Prete accusato
di delitto, la perpetua
si contraddice


Monsignor Paolo Piccoli è un omicida? Ieri a Trieste è entrato nel vivo il processo per omicidio volontario in cui il prelato veronese è accusato di aver strangolato o soffocato un altro prete, molto anziano. E l’accusa inizia a scricchiolare, perchè durante l’udienza di ieri la maggior accusatrice del prete, la perpetua che seguiva la vittima da anni è caduta numerose volte in contraddizioni. La difesa di monsignor Piccoli ha prodotto anche una lettera anonima arrivata al prete con ingiurie e minacce, la cui calligrafia è uguale a quella della perpetua.



E il giudice ha ammesso l’originale della lettera come prova. Ma non è stata soltanto questa la contraddizione. In aula, la difesa di Piccoli ha fatto sentire la registrazione della telefonata della perpetua al 118 dove si sente che la donna urla il nome del paziente, si sente il rumore come di sberle per risvegliarlo, mentre lei in aula ha detto di non aver toccato l’anziano prete. Il processo è stato aggiornato a fine marzo.



Era il 25 aprile 2014 quando monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, venne trovato morto ai piedi del suo letto nella Casa del clero di via Besenghi, a Trieste. L’autopsia disse che l’anziano era stato strangolato dopo che inizialmente sembrava fosse morto per cause naturali. La Procura giuliana aprì un fascicolo e i Ris setacciarono la foresteria, la stanza del defunto e quelle degli altri ospiti. Era scomparsa una catenina che monsignor Rocco portava sempre con sé: gli inquirenti arrivarono alla conclusione che lui e il suo assassino si conoscevano. E qualche tempo dopo nel registro degli indagati venne iscritto il prelato che si è sempre proclamato innocente. A far cadere i sospetti su di lui delle macchioline di sangue compatibili con il suo Dna sul letto della vittima.



Ma monsignor Piccoli ha sempre sostenuto di aver perduto il sangue quanto s’era inginocchiato accanto al cadavere, dopo essere stato chiamato per l’estrema unzione. Soffriva di una dermatite ulcerosa, per questo quel sangue era su quei lenzuoli. Ieri sono stati sentiti come testimoni la perpetua di don Rocco, Eleonora, detta Laura, Dibitonto, principale accusatrice di monsignor Piccoli, il capitano dei carabinieri che ha condotto le indagini all’epoca, Fabio Pasquariello.



I difensori di monsignor Piccoli, gli avvocati Stefano Cesco e Vincenzo Calderoni, hanno chiesto l’audizione di ben 50 testimoni. Il Pm di altri 28, tra cui anche i medici che si sono occupati della perizia sul cadavere e le persone che frequentavano il seminario. A tutelare gli eredi di don Rocco, che si sono costituiti parte civile, è l’avvocato Libero Coslovich.
 
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PER I MEDICI INCARICATI DALLA PROCURA ''E' IMPOSSIBILE CHE UNA PERSONA
SI FACCIA TUTTO QUESTO DA SOLA, PERCHE' IL DOLORE PRODOTTO E' FORTE''
PERIZIA DELL'ACCUSA INCHIODA DON PAOLO,
''ROTTURA OSSO IOIDE SOLO CON PRESSIONE''
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Pubblicazione: 13 maggio 2018 alle ore 09:00

Paolo Piccoli
Paolo Piccoli
L’AQUILA - C'è una perizia, che la procura della Repubblica di Trieste ha affidato al medico legale Fulvio Costantinides e all'esperto di radiologia forense Fabio Cavalli, che inchioderebbe don Paolo Piccoli, l'ex parroco di Pizzoli (L'Aquila) sotto processo in Friuli Venezia Giulia con l'accusa di aver ucciso un altro prelato, don Giuseppe Rocco, 92enne sacerdote triestino trovato morto nella sua camera nella Casa del Clero del capoluogo friulano il 24 aprile del 2014.

Il caso, mentre a Trieste proseguono le udienze, è tornato alla ribalta delle cronache nazionali dopo che la trasmissione Quarto Grado di Rete 4 ha mandato in onda un'intervista ai periti dell'accusa e ha registrato un'intervista all'avvocato aquilano Vincenzo Calderoni, che difende il prelato, 53enne veneto a lungo incardinato nella Curia dell'Aquila, dove ha guidato negli anni diverse parrocchie.

Secondo l'accusa, sostenuta dai pm Lucia Baldovin e Matteo Tripani, don Paolo avrebbe strangolato don Giuseppe per impossessarsi di una collanina e altri oggetti religiosi.

Collanina che, secondo quanto si è appreso, non è mai stata rinvenuta, nonostante le perquisizioni effettuate nei locali dove don Piccoli alloggiava e teneva custoditi i suoi beni.

Ad inchiodare il parroco, oltre alle affermazioni della "grande accusatrice", la perpetua di don Giuseppe Eleonora Laura Dibitonto, ci sarebbero alcune piccolissime tracce ematiche ritrovate sul lenzuolo nella stanza dell’anziano monsignore. Tracce che, come ribadito da don Piccoli, "sono da ascrivere a una patologia di cui soffro da anni. Si trovano su quel lenzuolo, perché una volta venuto a conoscenza della morte di don Pino sono accorso al capezzale per dare l’estrema benedizione".

Elementi che oggi si aggiungono alla perizia: dall'autopsia è emersa la rottura dell'osso ioide, un piccolo ossicino che si trova lungo il collo, che secondo i periti non può rompersi se non con una pressione fatta da terzi, della cartilagine tiroidea e di quella aritenoidea.

"È impossibile che una persona si faccia tutto questo da sola", ha osservato in aula il dottor Cavalli, "perché il dolore prodotto è forte. Quel tipo di lesioni non possono essere auto inflitte".

"Una persona sviene prima, non può fare tutto ciò da sé, perché svenendo molla la mano. Mentre qui si sono rotte tre parti distinte".

Una tesi, quella contenuta nella perizia, che contraddice dunque quella sostenuta fino ad oggi dalla difesa, cioè che il 92enne soffrisse di problemi di respirazione e il fatto che spesso si portava le mani al collo, anche con forza, avrebbe potuto causargli il soffocamento.

L'avvocato Calderoni ha infatti sempre sostenuto che "don Rocco è deceduto per cause naturali, come stabilito dai medici intervenuti il giorno del decesso, mentre le tracce ematiche dell’imputato sono state reperite dai Ris nei pressi della salma, in quanto il prete è intervenuto per dare l’estrema unzione, come attestato da numerose testimonianze".

"Infatti don Piccoli soffriva di una particolare patologia che ha determinato la perdita di minuscole croste di pelle e di questa sua malattia si lamentava da tempo con amici e familiari, come si evince anche dalle testimonianze e dalle intercettazioni".

Per l’avvocato Calderoni, "nel servizio di Quarto Grado di venerdì 4 maggio, l’assistente di don Rocco, sua compagna di vita, ha dimostrato di essere una teste inattendibile, ripetutamente caduta in contraddizione e anzi in alcuni momenti ha riferito circostanze non vere, come quando ha negato di aver tentato di rianimare l’anziano prelato prendendolo a schiaffi, come attestato dalla registrazione della chiamata al 118 che fa parte del fascicolo della procura".

"Un’altra contraddizione in cui la signora è caduta consiste nell’aver negato di aver spedito una sorta di lettera minatoria a don Piccoli, lì dove con una perizia grafica si è dimostrato che l’indirizzo scritto sulla busta della lettera era stato vergato dalla sua mano", aggiunge il legale.

Per Calderoni, che difende don Paolo Piccoli insieme al collega Stefano Cesco del Foro di Pordenone, anche l'autopsia "contiene una serie di contraddizioni e giunge a conclusioni assolutamente incongrue perché mal ricostruisce la manovra con la quale sarebbe stato strangolato don Rocco; perché non spiega la ragione per la quale il corpo sarebbe stato trovato ai piedi del letto o sul perché manchino apparenti segni tipici dello strangolamento".

Per il legale, "il dottor Costantinides non convince allorché tenta di giustificare la palese contraddizione esistente tra le sue due comunicazioni alla Procura della Repubblica dell’8 e 9 maggio del 2014. Nella prima diagnostica una morte per edema polmonare acuto e nella seconda invece a distanza di un giorno senza aver acquisito altri elementi, attesta una morte per evento omicidiario consistente in strangolamento".

"Contraddizioni enormi, che la difesa sottoporrà alla Corte allo scopo di ottenere una nuova perizia commissionata dal giudice e non dal pubblico ministero", conclude Calderoni.

A Quarto Grado, intanto, sono state intervistate anche la mamma di don Piccoli, che ha ribadito "l’assoluta innocenza di mio figlio", e la perpetua di don Rocco, che invece ha parlato di don Piccoli come di un prete alcolista, che era stato a Udine per curarsi, cleptomane e con un sacco di problemi alle spalle, tanto che durante il suo siggiorno nella Casa del Clero prendeva costantemente tante medicine.

Ed è intervenuto il generale in congedo dell’Arma dei carabinieri Luciano Garofalo, ex comandante del Ris di Parma, per il quale si è trattato della "classica morte per asfissia indotta, una diagnosi che non lascia spazio ad altre tesi".

Da ricordare che la perpetua ha escusso una polizza a lei intestata da don Rocco per 150 mila euro, e ha ereditato tramite testamento il conto corrente con i titoli da dividere con i nipoti.

In udienza la donna ha affermato di aver diviso con i nipoti la somma, e di aver trattenuto per se circa 37 mila euro.

L’anziano monsignore ha lasciato inoltre in eredità ai nipoti alcuni appartamenti a Trieste e ha concesso uno di questi immobili in comodato d’uso alla perpetua vita natural durante.

Don Piccoli è stato, tra le atre cose, parroco nei comuni aquilani di Rocca di Cambio (dal 1994 al 1996), Pizzoli (dal 1996 al 2001) e canonico della cattedrale di San Massimo.

Il collegio giudicante è composto da Filippo Gullotta presidente, Enzo Truncellito, giudice a latere, Maurco Cechet, Rosella Bravini, Chiara Mur, Patrizia Pellaschiar, Corrado Cadamuro, Antonia Ciaccia, Nevi Calci e Giuseppe Vario giudici popolari. (red.)
 
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view post Posted on 27/11/2019, 09:50

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https://www.ilcapoluogo.it/2019/11/27/don-...battute-finali/

Don Paolo Piccoli, il processo alle battute finali
Don Paolo Piccoli, venerdì 29 novembre alla Corte d'Assise di Trieste la requisitoria. L'intervista all'avvocato Vincenzo Calderoni.

di Intervista a cura di David Filieri - 27 novembre 2019 - 2:20 Commenta Stampa Invia notizia
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L’AQUILA – Don Paolo Piccoli, il processo per l’omicidio di Don Rocco Giuseppe verso le battute finali. Venerdì 29 novembre alla Corte d’Assise di Trieste la Requisitoria del Pm.
Don Paolo Piccoli, in passato sacerdote di Rocca di Cambio e di Pizzoli, è imputato nel processo per la morte di Don Rocco Giuseppe, con l’accusa di omicidio aggravato. Venerdì la requisitoria e l’arringa degli avvocati difensori, i legali Vincenzo Calderoni dell’Aquila e Stefano Cesco di Pordenone.

Opsite di Grandangolo, l’approfondimento del Capoluogo a cura di David Filieri, l’avvocato difensore di Don Paolo Piccoli, Vincenzo Calderoni.



Processo Don Paolo Piccoli, la storia
I fatti risalgono al 2014. Il 25 aprile Don Rocco Giuseppe viene ritrovato morto ai piedi del suo letto, dalla sua storica collaboratrice. Si trovava all’interno della Casa del Clero di Trieste, dove era ospite.

Don Rocco Giuseppe aveva 92 anni. Quella notte in struttura risultava solo la presenza di tre persone: Don Paolo, Don Giuseppe e un giornalista. «La collaboratrice che trova il corpo lo sente ancora tiepido, quindi chiama subito l’ambulanza. All’arrivo dei soccorsi, però, viene trovato morto», spiega l’avvocato Calderoni.

In prima istanza non ci sono sospetti, saranno i dubbi della perpetua a segnare una svolta nel caso. «Si arriva al sospetto di omicidio nei confronti di Don Paolo Piccoli dalla collaboratrice di Don Rocco Giuseppe. Lei inizia ad attivarsi e a interessarsi, non trovando più una catenina dalla quale Don Rocco non si separava mai». Questo aspetto insieme al ritrovamento di Don Rocco Giuseppe a terra, ai piedi del suo letto, portano ad ipotizzare un evento omicidiario.

«Il medico che avrebbe dovuto dare il nulla osta alla sepoltura informa la Procura di alcune lesioni sul corpo del cadavere, tra cui una lesione non vitale che poteva essere indice dello strappo di questa catenina. Così la Procura della Repubblica richiede l’autopsia sul corpo di Don Rocco e l’esame autoptico stabilisce che si tratta di evento omicidiario». Parte l’indagine per omicidio contro ignoti. I Carabinieri entrano all’interno della Casa del Clero per i rilievi dieci giorni dopo il ritrovamento del cadavere.

La nuova svolta, però, arriva dai rilievi e dalle analisi dei Ris. All’interno della stanza di Don Rocco Giuseppe vengono individuate delle tracce ematiche che, comparate con quelle dei possibili sospetti, presentano il genoma di Don Paolo Piccoli. Da questo momento parte il processo a carico del prelato incardinato nell’aquilano, con l’accusa di omicidio aggravato.

La tesi della difesa, secondo le risultanze dei periti, sostiene che «le ecchimosi interne riscontrate possono dipendere da attività diverse da quelle dello strangolamento. L’aspetto fondamentale, però, è che le tracce ematiche riconducibili a Piccoli sono state spiegate, non sono necessariamente quelle di colui che si è avvicinato a Don Rocco per ucciderlo. Quelle tracce, infatti, erano presenti in quanto è stato Don Paolo a dare l’estrema unzione a Don Rocco. Fatto, questo, testimoniato da Don Emidio Salvadè – vicario del Vescovo di Trieste – giunto alla Casa del Clero mentre si stava svolgendo il rito. Proprio nel dare l’estrema unzione Don Paolo si è poggiato con il braccio sul letto di Don Rocco».

Venerdì la requisitoria, in attesa della sentenza.
 
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view post Posted on 30/11/2019, 09:28

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«Strangolò il sacerdote moribondo». Chiesti 22 anni per don Paolo Piccoli
ABRUZZO
Sabato 30 Novembre 2019 di Marcello Ianni
Don Paolo PiccoliLa sentenza è fissata per il 13 dicembre, giorno in cui è attesa la verità su uno dei fatti di cronaca più controversi che riguardano L’Aquila. E’ arrivato alle battute finali il processo per omicidio aggravato a monsignor Paolo Piccoli, 52 anni, sacerdote di origini venete, ancora inquadrato nella Curia del capoluogo abruzzese ma a riposo, accusato di aver ucciso monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, trovato strangolato nella propria camera nel seminario di Trieste, il 25 aprile 2014. Ieri mattina l’accusa al termine di una lunga requisitoria, ha chiesto per il sacerdote la condanna a 22 anni di reclusione. La perizia autoptica avrebbe rilevato la rottura dell’osso joide, quindi una morte riconducibile a un’azione violenta. Di qui la svolta alle indagini, aperte inizialmente contro ignoti e venute a galla nel corso della ricognizione cadaverica per morte naturale.

Il sacerdote (tra i maggiori esperti in Italia di liturgia ma anche di oggetti sacri) sarebbe stato accusato in precedenza anche dal sacerdote morto di essere l’autore di furti di oggetti di valore all’interno dell’istituto religioso. Secondo la difesa del prelato, rappresentata dagli avvocati Vincenzo Calderoni del Foro dell’Aquila e Stefano Cesco del Foro di Pordenone, nel referto dell’autopsia ci sarebbero risultanze discutibili. Secondo i due legali, non risultano segni di colluttazione che si rinvengono di solito negli strangolamenti. Le tracce ematiche riconducibili a don Piccoli sarebbero state lasciate nell’impartire l’estrema unzione a don Rocco, che era molto malato, così come ha dichiarato in fase dibattimentale anche il priore della struttura religiosa in cui si sarebbe verificato l’omicidio.

Secondo la difesa manca completamente un movente, in quanto il furto di oggetti di poco conto non sta in piedi. Nella vicenda giudiziaria la sorella della vittima e due nipoti di questi, si sono costituiti parte civile. Tra i testi dell’accusa, la perpetua, grande accusatrice del prelato. Al termine della requisitoria l’avvocato aquilano Calderoni si è detto piuttosto deluso della requisitoria dei due pubblici ministeri che hanno seguito l’indagine a suo dire “carente del movente che non è stato indicato. «L’accusa ha detto – ha rimarcato l’avvocato Vincenzo Calderoni – che non è obbligatorio trovare un movente». Quindi, ha concluso il legale della difesa di don Paolo Piccoli: «Dovrei accettare che un uomo, come in questo caso, vada in prigione per 22 anni senza sapere il perché».
 
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view post Posted on 13/12/2019, 21:05

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Trieste. Uccise il collega in seminario per rubargli crocifisso e catenina d'oro

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www.ilgazzettino.it/nordest/triest...ni-4924321.html

Prete ucciso in seminario: don Paolo condannato a 21 anni
PER APPROFONDIRE: condanna, donpiccoli, giusepperocco, omicidio, prete, seminario, trieste
La vittima
di E.B.

TRIESTE - E' stato condannato a 21 anni e 6 mesi di carcere don Paolo Piccoli, accusato di aver ucciso monsignor Giuseppe Rocco, parroco della chiesa di Santa Teresa. La sentenza è stata emessa oggi dalla Corte d'Assise del Tribunale di Trieste presieduta dal giudice Filippo Gulotta.

La richiesta della Procura era stata di 22 anni. Piccoli, nativo di Verona, ordinato sacerdote all'Aquila, è dapprima entrato nell'inchiesta come testimone, essendo stato vicino di stanza di Rocco - nella casa del clero di via Besenghi - e colui che officiò l'estrema unzione. La morte di Monsignor Rocco - il 25 aprile 2014 - è stata causata da un'azione di strangolamento o soffocamento. Il corpo fu rinvenuto ai piedi del letto, tutto vestito come se stesse per uscire dalla perpetua Eleonora Laura Di Bitonto.

Movente, per gli investigatori, da ricercare in un furto di oggetti sacri scoperto da mons. Rocco tra cui un crocifisso e una catenina d'oro dalla quale non si separava mai. Colannina che non venne mai trovata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Venerdì 13 Dicembre 2019, 18:49
 
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view post Posted on 14/12/2019, 22:18

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https://www.farodiroma.it/il-giallo-dellom...arsi-innocente/

Il giallo dell’omicidio del parroco nella Casa del clero di Trieste. Condannato don Piccoli che continua a proclamarsi innocente
Di redazione -14/12/2019

La Corte d’Assise di Trieste ha condannato il sacerdote don Paolo Piccoli a 21 anni e 6 mesi di reclusione per l’omicidio di un anziano confratello, monsignor Giuseppe Rocco, parroco della chiesa di Santa Teresa a Trieste. Incardinato nella diocesi di L’Aquila e già parroco a Rocca di Cambio e Pizzoli, don Piccoli, originario di Verona, il 25 aprile 2014 avrebbe ucciso l’altro prete all’interno della Casa del Clero di Trieste, dove risiedevano entrambi. Don Piccoli è stato inoltre condannato a risarcire le parti civile senza provvisionale, interdizione perpetua dai pubblici uffici. Le motivazioni della sentenza usciranno entro 90 giorni.
L’accusa aveva chiesto, nella requisitoria del 29 novembre, 22 anni.

Don Rocco, ultranovantenne, venne ritrovato morto al lato del letto dalla sua storica perpetua, Eleonora Laura Di Bitonto, alle prime ore del mattino. La perpetua tentò di rianimare il prelato come attestato dalle registrazioni della telefonata al 118. In un primo momento si parlò di morte naturale poi è subentrata l’accusa di omicidio dal momento che l’autopsia avrebbe evidenziato i chiari sintomi del soffocamento meccanico.

Ad accusare il sacerdote, vicino di stanza della vittima, fu proprio la perpetua, beneficiaria, peraltro, dell’eredità di don Rocco, consistente in una discreta somma di denaro e alcune proprietà immobiliari che avrebbe poi diviso con i nipoti dell’anziano prelato.

A don Piccoli, che proviene da una famiglia benestante veneta, venne contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di alcuni oggetti di scarso valore: la collanina mai ritrovata, una bomboniera di vetro a forma di veliero e una madonnina di legno. Ma l’attenzione degli investigatori aveva riguardato soprattutto il presunto furto della collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento, asserendo che la medaglietta della collanina era stata vista al collo della perpetua.

Stando all’accusa don Piccoli, che era afflitto da una patologia dermatologica che comportava la perdita di sangue, avrebbe lasciato alcune piccolissime tracce ematiche sulle lenzuola del confratello, circostanza che la difesa ha però spiegato con l’estrema unzione impartita dal sacerdote al confratello morente. Anche la perpetua aveva testimoniato di aver visto queste piccole tracce di sangue sul letto; la difesa sempre durante l’ultima udienza, ha sottolineato come fosse impossibile notarle, dal momento che quando è stato rinvenuto don Rocco la stanza era buia.
La stessa Di Bitonto ha affermato nei verbali, raccolti anche dalla trasmissione “Quarto grado”, di non aver avuto chiara la situazione in un primo momento, proprio per via dell’oscurità.

“Faremo appello appena avremo le motivazioni. Non ci aspettavamo, siamo sempre stati convinti dell’innocenza del nostro assistito. Per ora non possiamo dire altro, è una sentenza e va rispettata e accettata”, è stato il commento a caldo dell’avvocato difensore Vincenzo Calderoni. “Il Signore dà, il Signore toglie, sia benedetto il Signore. Sono affranto e prostrato ma accetto con serena misericordia. Sia fatta la Sua volontà!”, ha detto invece don Piccoli appena saputo della sentenza.

Durante le fasi del processo, si è parlato di materiale pornografico che sarebbe stato ritrovato nel pc dell’imputato, e della sparizione di un cuscino presente nelle immagini scattate dai carabinieri il 2 maggio del 2014 ma poi scomparso dalla stanza di don Rocco, tanto che il 3 non compariva negli ulteriori rilievi fotografici. Ad agosto in quella stanza erano entrati anche i Ris per repertare tracce biologiche utili ai fini delle indagini e del cuscino non c’era traccia.

Piccoli, nativo di Verona, è stato ordinato sacerdote all’Aquila dall’allora arcivescovo Mario Peressin (alla guida della diocesi dal 1983 al 1998 quando fu sostituito da monsignor Giuseppe Molinari). In quegli anni, pur di rinforzare i ranghi Peressin accolse all’Aquila tanti giovani seminaristi che non avevano avuto “fortuna” con altri vescovi. Tra questi don Paolo Piccoli, che ebbe subito incarichi di rilievo: canonico, parroco di Pizzoli e soprattutto cerimoniere dell’arcivescovo nelle celebrazioni più importanti dell’anno liturgico.
 
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