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Don Sandro De Pretis arrestato e condannato per pedopornografia. Trasferito in Papua Nuova Guinea, 3 anni e 4 mesi per il missionario trentino vicario della diocesi di Gibuti

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view post Posted on 13/12/2007, 16:52
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3 anni e 4 mesi per il missionario trentino vicario della diocesi di Gibuti
Don Sandro De Pretis arrestato e condannato per pedopornografia. Trasferito in Papua Nuova Guinea

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www.korazym.org/news1.asp?Id=26701

Il missionario trentino don Sandro De Pretis da 40 giorni in carcere a Gibuti. Il suo racconto

di Barbara Marino/ 13/12/2007

"Per la prima volta nella mia vita sono per così dire senza difesa, senza possibilità di agire, radicalmente 'povero' e privato della libertà. Porto una croce molto pesante". Le diplomazie italiana e vaticana si muovono per risolvere la vicenda.

Agli arristi da 40 giorni
Don Sandro De Pretis scrive dal carcere di Gibuti
di don Ivan Maffeis, direttore di Vita Trentina



"Per la prima volta nella mia vita sono per così dire senza difesa, senza possibilità di agire, radicalmente «povero» e privato della libertà. Porto una croce molto pesante, posso solamente aver fiducia in Dio che non duri troppo a lungo. Ora quando prego i salmi comprendo meglio il grido verso Dio, affinché faccia giustizia, difenda il debole dall'ingiustizia, la Sua mano si alzi e agisca!".
La lettera di don Sandro De Pretis, missionario di Trento a Gibuti, arriva in redazione (la pubblichiamo a fianco, in forma integrale, in una nostra traduzione dal francese) rompendo il riserbo totale mantenuto finora sulla sua prigionia.
Il prete trentino, incardinato dal 1993 nella piccola diocesi del Corno d'Africa (vedi sotto), è incarcerato dal 28 ottobre in stato di "detenzione preventiva in attesa di giudizio", come lui stesso scrive.
Il silenzio finora mantenuto attorno alla vicenda è stato motivato dal rispetto per il lavoro della diplomazia, che si è subito attivata, tanto a livello dei responsabili della Farnesina che della Segreteria di Stato Vaticana.
Si inserisce in questo quadro la visita a Trento del vescovo di Gibuti, mons. Giorgio Bertin, che il 31 ottobre scorso si è incontrato con il vescovo Luigi Bressan e con i familiari di don Sandro, esprimendo la speranza per una rapida soluzione del caso e la certezza dell'innocenza del missionario e della sua estraneità ai fatti che gli sarebbero contestati.
A tutt'oggi don Sandro è incarcerato senza che sia stata formalizzata un'accusa precisa nei suoi confronti. Appaiono ridicole quelle che ventilerebbero un suo coinvolgimento in una rete di pedofilia, in seguito alla scoperta di una serie di sue fotografie in cui appaiono anche bambini. Si tratta infatti delle stesse foto che don Sandro, all'inizio dell'estate, portò alla redazione di Vita Trentina perché ne facesse copia e le conservasse nel proprio archivio, povero di immagini originali dall'Africa, come lui ben sapeva.
I contorni della vicenda rimangono poco chiari. Don Sandro serve forse come capro espiatorio, senza aver nulla a che fare con ciò di cui lo si vorrebbe incolpare? La diplomazia è al lavoro per ottenerne la scarcerazione con il proscioglimento pieno da ogni accusa, come sarebbe giusto. Più pragmaticamente, purtroppo, l'unica strada che sembra profilarsi è quella di accettarne l'espulsione dal Paese, prima ancora di giungere alla formalizzazione di qualsivoglia accusa.
Se oggi scriviamo per rilanciare l'appello dal carcere che don Sandro, facendo sue le parole dell'apostolo Paolo, rivolge alla sua comunità: "Non dimenticate che io sono in prigione", lo facciamo pensando alle diverse occasioni di confronto avute con lui nei mesi scorsi, quando - con voce di uomo mite, buono ed appassionato - ci ha raccontava la «sua» Africa.
"In questi ultimi anni la situazione è cambiata radicalmente – ci diceva -. La mia presenza è ormai solo un segno, un tentativo di far capire come vivono i cristiani".
In questo raccontava di sentire su di sé il limite di essere bianco: "I missionari sono arrivati con i colonizzatori – aggiungeva – quindi è facile per la gente identificarci con loro...". Al peso della storia, si somma quello della cronaca: "La guerra in Iraq non ha fatto che rafforzare una lettura superficiale, che porta a far coincidere l'Occidente con il cristianesimo. All'atteggiamento favorevole di ieri sta subentrando la difesa, la ghettizzazione, se non l'ostilità aperta".
Una lettura veicolata ad arte: "Arrivano dal Pakistan - spiegava - e predicano un islam dalla forma dura e pura. Non consentono di mettere in discussione nulla, non c'è spazio per un'autocritica, quasi fosse un attentato alla fede".
Alzava quindi gli occhi sugli altopiani della vicina Etiopia, dove aveva lavorato precedentemente come volontario: "Quella è una terra cristiana fin dal III secolo; oggi vi sorgono moschee di cui fino a ieri non c'era traccia. Non si tratta di libertà religiosa, ma di una strategia precisa che viene avanti: vedo dipingersi un quadro preoccupante, una situazione senza sbocco".
Al mondo coloniale francese rimproverava "un laicismo sterile, che ha frenato pesantemente la Chiesa, perché non facesse formazione. Se ci hanno lasciato costruire scuole – aggiungeva con amarezza – è solo perché il governo francese non intendeva investire maggiori fondi".
Riconosceva anche le responsabilità della Chiesa, «colpevole» - "soprattutto in passato" - di aver avallato "battesimi facili, senza che avessero alle spalle un autentica preparazione: un'evangelizzazione superficiale, della quale non è rimasto nulla".
Quando gli chiedevamo perché non iniziasse a pensare al rientro, sorrideva con la consapevolezza di non essere capito: "In una situazione come quella in cui versa il Corno d'Africa – rispondeva infine – andarsene è tradire. In Trentino, pur con tante difficoltà, avete ancora molte risorse: in Africa ognuno che viene meno causa la scomparsa di un piccolo mondo che, finché resta, è speranza per tanti".




Foto di Vita Trentina.



"Non dimenticate che io sono in prigione"
La lettera di don Sandro De Pretis dalla prigione



Riportiamo il testo integrale della lettera con la quale don Sandro racconta la sua detenzione e che viene pubblicata da Vita Trentina del 16 dicembre 2007, in edicola da venerdì 14 dicembre 2007.

So che moltissime persone non mi hanno dimenticato, ma al contrario pregano per me, che sono nella prigione di Gabode (nei pressi di Gibuti).
Non so quali erano i sentimenti di S. Paolo in prigione; i miei pensieri sono dominati dall'impressione di quanto sia strano vivere in questa situazione.
Tecnicamente si tratta di una detenzione preventiva in attesa di giudizio. Sono in una cella e la sola occasione di uscire sono le visite, quindi una mezz'ora o un'ora al giorno.
La mancanza di movimento mi è difficile da sopportare. Nello stesso tempo, devo essere prudente se voglio mettermi a fare un po' di ginnastica. I primi giorni mi hanno dato molto male alle braccia e alla schiena, a causa dei muscoli che non erano abituati a questi esercizi fisici.
Almeno tutt'attorno c'è calma e tranquillità. Sono il solo prigioniero rinchiuso in questa parte della prigione e, nonostante il peso dell'isolamento, credo che sia una forma di trattamento di riguardo. In effetti, sento a distanza le voci degli altri prigionieri che devono invece condividere lo stesso locale. Per me rimanere in quella situazione sarebbe molto più dura per il rumore, la confusione, la mancanza di intimità e di concentrazione.Prendo questo tempo in prigione come un monaco nella sua cella: la preghiera, la presenza del Santissimo Sacramento e la lettura riempiono una gran parte della giornata. Qui non sento il bisogno di fare la siesta, dato che mi corico verso le 18, quando inizia a fare notte, e mi alzo alle 6.
Non voglio infatti accendere la luce del neon a causa delle zanzare, ma anche perché ho letto già molto durante la giornata.
Verso le 7 del mattino le guardie vengono a vedere se va tutto bene e così fanno anche a sera, verso le 18.
Alle 11, circa, ricevo qualche visita e allora posso andare fino alla porta d'entrata: quasi ogni giorno arriva il vescovo, mons. Giorgio Bertin, e Nathalie, la segretaria del Consolato italiano o lo stesso Console. Ogni giorno per il mio conforto suor Anna e suor Maria Domenica con il loro affetto mi procurano il cibo e le bevande. E giungono anche altre persone, che pur hanno difficoltà ad entrare.
Grazie, un grande grazie a tutti. Vedo bene il conforto e il sostegno che queste visite mi danno e mi propongo come obiettivo di fare quel che posso per visitare i prigionieri una volta che sarò libero. E' bizzarro e ridicolo perché il direttore e diverse guardie già mi conoscono, considerato che da qualche anno io vengo regolarmente alla prigione per visitare i detenuti. Ora è il mio turno di avere delle visite ...
Io non so come potrei far fronte a questa situazione senza la fede in Dio, senza la preghiera, senza la coscienza di essere sostenuto dalla preghiera delle altre persone e dall'affetto di quanti mi conoscono. Infine, mi sostiene la coscienza di essere innocente riguardo a tutte le accuse per le quali sono stato portato in prigione.
Pregando i salmi delle Lodi e dei Vespri come comprendo meglio il grido verso Dio, affinché faccia giustizia, difenda il debole dall'ingiustizia, la Sua mano si alzi e agisca!
Nello stesso tempo, la croce prende un rilievo più profondo perchè per la prima volta nella mia vita sono per così dire senza difesa, senza possibilità di agire, radicalmente "povero" e privato della libertà.
Ora porto una croce molto pesante e posso solamente aver fiducia in Dio affinché non duri troppo a lungo. Spero possa risultarne un frutto spirituale per me e per altre persone.
Sento il bisogno di ringraziare il personale della prigione: sono, senza eccezione, gentili e spesso mi dimostrano la loro simpatia sotto forma di incoraggiamento o di piccole conversazioni, come avviene tra persone che vivono in circostanze normali. Senza dubbio il loro lavoro è molto difficile, fra tanti prigionieri e con la struttura della prigione in degrado. Essi hanno ottenuto il mio rispetto.
Dopo questo periodo, che spero possa concludersi presto, domando a Dio di conservare bene nel mio profondo il ricordo di questa esperienza. Una dipendenza totale, una fiducia nella sua volontà, molto più forte di tutto il male, un bisogno di preghiera, la presenza continua di Gesù, l'eucaristia ad un metro da me, la lettura attenta della Parola di Dio, il rosario più regolare di prima, l'offerta di questa prova come un sacrificio per la gloria di Dio: sì, sono grandi doni, che voglio conservare e proteggere.




Foto di Vita Trentina.



La missione in Africa di don Sandro De Pretis



Anche se è stato inviato in un angolo d'Africa sconosciuto, don Sandro De Pretis è tutt'altro che un missionario solitario. Ha sempre tenuto stretti contatti con la comunità trentina come testimoniano le sue cordiali visite al Centro missionario diocesano ma anche al settimanale diocesano Vita Trentina, dove "passa" volentieri durante i rientri a Trento per scambiare informazioni e impressioni in un rapporto di reciproca fiducia (Vita Trentina lo aveva accompagnato fin dall'ordinazione sacerdotale nel 1993).







In occasione della settimana diocesana per i sacerdoti "Fidei Donum" si era trovato a Villa Moretta con gli altri 40 missionari: per i lettori di Vita Trentina "l'africano don Sandro" ha raccontato il suo "confronto continuo con una fede diversa", come "uno sforzo continuo, mai concluso". Aveva aggiunto che in Africa oggi "è importante muoversi con umiltà e discrezione, convinti però dell'importanza di una presenza cristiana".







Anche nel numero speciale di Vita Trentina di ottobre per gli 80 anni del Centro Missionario, troviamo la sua testimonianza sui problemi che attanagliano tutto il continente africano: "Sta attraversando un periodo storico in cui la vita tradizionale e quella moderna convivono intrecciandosi, se c'è da guadagnarsi, o marciano parallele, ignorandosi" aveva detto in quell'occasione dimostrando una visione ampia dei problemi del continente, segnata però dalla speranza: "Qui la relazione della persona con Dio è al cuore della vita".




Foto di Gianni Zotta - Vita Trentina.



Si è fatto prete lì a Gibuti "come dono definitivo"
di Diego Andreatta, Vita Trentina



Prima volontario internazionale in Etiopia, poi studente di teologia in Kenya, quindi perfino prete "africano" per gli africani. Don Sandro De Pretis è sacerdote diocesano dal 1993, incardinato nella piccola diocesi di Gibuti (ha l'incarico di vicario generale), per la volontà precisa di essere inserito a tutti gli effetti nella Chiesa d'Africa, anche se sempre in contatto con la diocesi di origine, Trento. Anche lui "dono", da una Chiesa locale all'altra.
La parabola umana di don Sandro parla da sola. Nasce il 16 settembre 1955, dal padre Emilio, noneso di Cagnò, e madre toscana, Laura Dona, ma con la famiglia cresce nel centro storico di Trento, parrocchia di Santa Maria Maggiore, dove fa il chierichetto, riceve la Prima Comunione e la Cresima. Elementari alle "Verdi", medie alle vicine "Bresadola", poi il Ginnasio all'Arcivescovile e il Liceo al Prati, fino alla scelta universitaria che lo porta a Bologna, laurea in Agronomia nel 1980.
Si orienta all'obiezione di coscienza e, su indicazione del Centro missionario diocesano, fa il volontario in servizio civile in Etiopia con l'organismo LVIA di Cuneo dal 1981 al 1983: due anni e mezzo importanti, che lo spingono a riprendere la via dell'Africa nel 1985 come esperto agricolo FAO nello Zimbabwe fino al 1988 e poi a Gibuti per un altro anno.
Un periodo di svolta, di sofferenza (gli vengono a mancare entrambi i genitori) e di discernimento - anche grazie a tanti amici missionari, fra i quali padre Zanotelli - che lo portano poi a scegliere di frequentare dal 1989 per quattro anni gli studi teologici a Nairobi presso il collegio "Tanzaga". Ordinato diacono a Ngong in Kenya, sceglie di diventare sacerdote africano il 9 maggio 1993, incardinato per sempre nella piccola diocesi di Gibuti (dov'era stato da volontario): "Diventare prete diocesano - gli conferma nell'omelia d'ordinazione l'allora vescovo Georges Perron - non è facile perché ci si trova più isolati di quanti appartengono ad una Congregazione, ma è il prete diocesano che radica una giovane Chiesa, il suo ruolo è indispensabile".







Don Sandro ne è convinto, si sente le spalle coperte: "È stato proprio il Centro missionario diocesano di Trento a prospettarmi questa scelta e a seguirmi nel cammino: davvero una benedizione", ci dice dopo la Prima Messa trentina celebrata il 20 giugno 1993 nella sua chiesa di Santa Maria Maggiore. "Non temere, don Sandro, se qualcuno ti domanderà una ragione del tuo camminare scalzo, in mezzo ai poveri, con la sola forza del Vangelo - diceva allora il direttore del CMD don Girolamo Job, assieme al parroco don Aldo Menapace - sta sicuro che nessuno potrà mai dividerti da quel Cristo che tu hai scelto come unica ragione della tua vita".
Con la sua mite semplicità e la sua spiritualità profonda, don Sandro in questi 14 anni ha cercato con paziente umiltà di inculturarsi dentro questa povera repubblica del Corno d'Africa, piccola come la Toscana, indipendente dalla Francia dal 1957 e dilaniata per anni dalla guerriglia interna, ancora interessata dai vicini conflitti eritreo-etiopici. Uno Stato di 600 mila abitanti, quasi tutti di religione musulmana, in cui la presenza cristiana vuole essere soprattutto testimonianza evangelici di pace e di servizio, anche se ridotta a due chiese in città, a una decina di sacerdoti e religiosi (don Sandro è stato nominato vicario generale dall'attuale vescovo Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio) ed a poche generose suore: "Il nostro ruolo - ci confermava nell'aprile di quest'anno - è ancora quello di poter mostrare che si può vivere in terra islamica, convivere come fratelli uguali davanti alla Dio e davanti alla legge, nel rispetto reciproco, delle proprie idee e dei propri principi. Uno sforzo quotidiano, mai concluso".
Alla luce di questi ultimi 40 giorni di prigionia, ritrovano smalto le parole scritte da don Job e don Antonio Filosi al ritorno dalla Prima Messa africana di don Sandro nel 1993: "Scegliendo di rimanere a Gibuti, in un ambiente così povero e arido, don Sandro ci dà una preziosa lezione di radicalità evangelica, motivata da una grande forza interiore attinta alla scuola di Gesù".

Fonte: Vita Trentina, 16 dicembre 2007 (in edicola da venerdì 14 dicembre 2007).

Nella foto: don Sandro De Pretis a Gibuti (Foto di Vita Trentina).

Edited by pincopallino2 - 20/4/2021, 12:03
 
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http://www.adnkronos.com/IGN/Cronaca/?id=1.0.1667566553


PEDOFILIA: MISSIONARIO TRENTINO IN CARCERE A GIBUTI

SU 'VITA TRENTINA' DE PRETIS SI DIFENDE, DRAMMATICO MALINTESO

Trento, 13 dic. - (Adnkronos) - Don Sandro De Pretis, missionario trentino, e' in carcere a Gibuti dal 28 ottobre scorso senza alcuna accusa ufficiale precisa, ma con il sospetto di pedofilia. La diplomazia vaticana sta compiedo i passi necessari, ma il caso si prospetta di difficile soluzione. E' quanto sostiene il settimanale diocesano ''Vita Trentina'', che oggi pubblica la notizia con ampio risalto, riprendendo una lettera dello stesso missionario, che si trova in stato di ''detenzione preventiva in attesa di giudizio''

Edited by GalileoGalilei - 13/12/2007, 22:53
 
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Il prete probabilmente sarà espulso dal Gibuti:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio-lo...frica/1911322/6

Edited by GalileoGalilei - 15/12/2007, 14:07
 
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Il giornale cattolico Korazym adombra il sospetto che le accuse di pedofilia provengano da un'associazione che faceva parte della Caritas del Gibuti.

http://www.korazym.org/news1.asp?Id=26727


Poco chiari i contorni della vicenda

Nell’editoriale, che accompagna la lettera integrale del missionario trentino, il direttore di Vita Trentina don Ivan Maffeis scrive, che "i contorni della vicenda rimangono poco chiari". "A tutt'oggi - spiega Maffeis - don Sandro è incarcerato senza che sia stata formalizzata un'accusa precisa nei suoi confronti. Appaiono ridicole quelle che ventilerebbero un suo coinvolgimento in una rete di pedofilia, in seguito alla scoperta di una serie di sue fotografie in cui appaiono anche bambini. Ma si tratta delle stesse immagini che don Sandro quest’estate ci ha portato in redazione - testimonia il direttore di Vita Trentina - perché ne facessimo una copia e le conservassimo in archivio, povero di immagini originali dell’Africa".

Coloro che sanno - la diplomazia italiana, quella pontificia, i familiari più stretti del sacerdote - mantengono la linea del silenzio per tutelare don Sandro. Qualsiasi ipotesi (ad esempio i rapporti tra cristianesimo e l'islam, che nel Gibuti è la fede per quasi la totalità della popolazione) viene respinta al mittente.







La magistratura locale formalmente gli contesta il reato di "pedofilia", un’accusa che le autorità ecclesiastiche del Gibuti e quelle trentine ritengono totalmente infondata. Gli inquirenti locali giustificano l'accusa di pedofilia - e la carcerazione preventiva - con alcune foto confiscate nell’abitazione di don Sandro. Però, le immagini impugnate dalla magistratura del Gibuti, non sono altro che foto-ricordo o documentari realizzati da don Sandro De Pretis. Sono le stesse immagini che il sacerdote ha consegnato nei mesi scorsi anche al settimanale Vita Trentina per arricchire l'archivio sul continente africano. Si tratta di scatti che ritraggono, tra gli altri, giovani in pose tutt'altro che sconvenienti e per niente strane. Le persone che hanno visto il fascicolo giudiziario affermano, che non si capisce chi accusa don Sandro e perché: è una cartella praticamente vuota. Qual è, dunque, la verità?

Capo espiatorio?

La sensazione è che il sacerdote sia usato come "pedina" di una vicenda molto più grande dello stesso don Sandro. Proprio la natura delle fotografie "sospette", che non hanno niente di sconveniente, fa invece pensare che dietro all'apertura dell'inchiesta ci sia ben altro. "Don Sandro serve forse come capro espiatorio - si chiede il direttore del settimanale - senza aver nulla a che fare con ciò di cui lo si vorrebbe incolpare? La diplomazia è al lavoro per ottenerne la scarcerazione con il proscioglimento pieno da ogni accusa".

"Don Sandro è una persona molto attiva e forse ha dato fastidio a qualcuno - avanza l’ipotesi mons. Bertin -. La vicenda parte dalle accuse lanciata da un’associazione espulsa diversi anni fa dalla Caritas sottolinea mons. Bertin, che è anche presidente di ‘Caritas Gibuti e Somalia’ -, con la quale si è giunti di recente a risolvere una lunga vertenza giudiziaria durata circa 10 anni - precisa. Sono comunque fiducioso che si farà completa chiarezza sulla vicenda e che don Sandro verrà riconosciuto innocente" conclude mons. Bertin.
 
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Il prete ha passato Natale e Capodanno in cella. Spuntano altre foto ad accusare il prete.

Dal giornale cattolico korazym

http://www.korazym.org/news1.asp?Id=26999



Natale e Capodanno in cella a Gibuti per il missionario trentino don Sandro De Pretis

di Barbara Marino/ 05/01/2008

Don Ivan Maffeis si è recato a Gibuti per visitare il sacerdote, la cui situazione si aggrava: "Sono caduto in trappola. Difficile difendersi da accuse inesistenti. Ho poche possibilità di avere giustizia". Il caso si è complicato ulteriormente.

Si è svolta nella mattinata del 29 dicembre, nel tribunale di Gibuti, l'udienza per don Sandro De Pretis, 52 anni, sacerdote trentino in carcere a Gibuti, piccolo paese del Corno d’Africa, dal 28 ottobre scorso. "Scosso e amareggiato, con la netta impressione che il giudice voglia arrivare presto a una condanna per pedopornografia". Così mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti, ha descritto l'umore di don Sandro De Pretis all'uscita di una seduta lunga, alla quale il missionario trentino si è presentato provato, dopo due mesi e un giorno di detenzione in isolamento. "L'udienza era fissata per le 9 ed era a porte chiuse - spiega il vescovo -. Io sono arrivato a Palazzo di Giustizia di Gibuti intorno alle 10 e ho pazientato quasi un'ora prima che don Sandro uscisse. Sono rimasto con lui e l'ho riaccompagnato in carcere: mi ha raccontato che il giudice ha voluto prendere in esame diverse foto di quelle contenute nel suo computer e sulle quali basano le accuse, non ancora formalizzate, di pedopornografia".

Ora per il religioso trentino l'accusa è di "incitamento alla depravazione e alla corruzione di minori" e, dopo il recente interrogatorio, alle tre foto con bambini che gli erano state inizialmente contestate e che avevano fatto partire l'inchiesta per pedofilia, se ne sono aggiunte altre 15. "Mio fratello durante l'interrogatorio ha continuato a ripetere - ha spiegato il fratello Guido - che quelle nuove foto che gli sono state mostrato dal giudice non le aveva mai viste prima. Ora, tramite l'avvocato, vorremmo capire da dove sono sbucate, quando sono apparse sul disco fisso, che da mesi la polizia locale sta analizzando".

L'inchiesta, dunque, prosegue secondo il filone iniziale, che mons. Bertin ha sempre definito "pretestuoso e assurdo". Con ogni probabilità, il missionario trentino è il capro espiatorio di una vecchia vicenda, che ha coinvolto la Caritas e una Ong locale sfrattata dalla stessa Caritas in maggio, poco prima che iniziassero a circolare strane "voci" su don Sandro. "L'inchiesta dovrebbe volgere al termine - ha proseguito il vescovo di Gibuti - ma l'impressione di don Sandro è che il giudice voglia arrivare a una condanna. La posizione della magistratura, dopo l'intervento della Curia e della Farnesina, si sarebbe addirittura irrigidita. Ma questo potrebbe preludere anche a una via d'uscita: alla condanna non è escluso che segua la grazia o l'espulsione, anche se un accordo chiaro in questo senso tra Italia e Gibuti non è mai stato fatto". La pena inflitta, se don Sandro dovesse essere rinviato a giudizio e affrontare il processo con esito negativo, potrebbe però superare i dieci anni. "Tutto sarà commisurato alla gravità degli atti presentati dal magistrato a chiusura delle indagini - chiarisce monsignor Bertin -. Ma se i capi d'accusa dovessero essere quelli ventilati, il giudice potrebbe avere la mano pesante. Don Sandro era molto scosso e amareggiato, al termine dell'udienza, e nonostante la fede credo sia pessimista. Domani parlerò con l'avvocato".

Il missionario trentino era in attesa, per il giorno seguente, di una visita gradita: "So che è in arrivo don Ivan Maffeis, portavoce dell'arcivescovo di Trento, mons. Luigi Bressan e direttore del settimanale diocesano Vita trentina - confermava mons. Bertin -. Ieri, invece, ho ricevuto una telefonata dal segretario personale dell'arcivescovo di Trento che mi chiedeva informazioni circa i voli aerei: probabilmente la Curia sta pensando di mandare il vicario generale a Gibuti, magari accompagnato dal fratello di don Sandro". "Per quanto mi riguarda ho fatto slittare di qualche giorno la mia partenza per Gibuti - ha chiarito il fratello Guido - dato che attualmente sul posto è presente don Ivan Maffeis e verso il 10 gennaio il vescovo di Gibuti, mons. Giorgio Bertin, dovrebbe incontrare il papa e relazionare sulla situazione di mio fratello. Questo ovviamente se qualcosa non si muoverà prima".

Intanto, don Ivan Maffeis ha potuto incontrare in carcere a Gibuti don Sandro e proprio su questi incontri avuto con don Sandro, don Ivan ha inviato delle E-mail all’arcivescovo di Trento, mons. Bressan, per aggiornarlo. "Mi hanno riferito che mio fratello è provato - racconta Guido De Pretis - e che sta maturando la convinzione che il giudice voglia condannarlo. Mi sembra veramente il processo di Kafka". Sono giorni che la famiglia non sente don Sandro. Nonostante le numerose lettere inviate, al momento, a parte la missiva ricevuta ormai parecchie settimane fa, non hanno ricevuto alcuna risposta. Nei suoi resoconti, don Ivan ha descritto anche le condizioni in cui si trova don Sandro nel carcere: "La cella misura 4 passi per 7. Il materassino posato sul pavimento, portato da fratel Paolo, il segretario del vescovo, è l’unico ‘arredo’. In un angolo, una latrina ed un secchio. Don Sandro inganna il tempo con la lettura di quello che gli capita sotto mano: ‘Ho appena terminato il Purgatorio di Dante, ora sarei contento di passare al Paradiso ... Mi rendo conto - dice il missionario - che da parte della magistratura non c’è la volontà di chiarire. Avverto piuttosto un’ostilità crescente. Se veramente si arrivasse a breve ad un processo, so già che ne uscirò condannato’".

La sera del 3 gennaio don Ivan Maffeis avrebbe dovuto lasciare l'Africa, per rientrare a casa, ma il direttore del settimanale diocesano Vita Trentina è rimasto "bloccato" a Gibuti. Colpa dei controlli cui è stato sottoposto dai secondini del carcere nel quale era andato a trovare don Sandro De Pretis, che si sono protratti talmente tanto, da impedirgli di imbarcarsi. Don Maffeis si era recato a Gibuti per visitare il sacerdote trentino rinchiuso da ormai 65 giorni in carcere, con accuse che il missionario ha sempre respinto: "Mi sento preso in trappola - ha detto - anche se sono consapevole della mia estraneità alle accuse che mi vengono rivolte". Proprio nei racconti che aveva inviati, don Ivan aveva descritto i controlli ferrei del corpo di guardia: "‘Cosa scrivi?’. La domanda resta nell'aria. Il capo delle guardie mi strappa il taccuino e lo sfoglia con sospetto. ‘Che lavoro fai? Sei forse un avvocato? E allora chi sei? Perché tu possa uscire devo prima trovare un gibutino che conosca l'italiano e che sia in grado di tradurmi i tuoi appunti ...". Anche il 3 gennaio, quando don Ivan si era recato nel carcere per un ultima visita a don Sandro, le guardie lo hanno trattenuto per capire cosa avesse scritto. Controlli che si sono protratti moltissimo, creando un comprensibile stato di apprensione nel direttore di Vita Trentina. Alla fine, quando don Maffeis ha potuto lasciare il carcere, era ormai troppo tardi per salire sull'aereo.

Da Diego Andreatta, della redazione di Vita Trentina abbiamo appreso, che don Ivan Maffeis si è spostato da Gibuti in Eritrea, da dove prevedibilmente stasera rientrerà in Italia. Non ci sono al momento ulteriori notizie, se non i due resoconti degli incontri con don Sandro De Pretis nel carcere di Gibuti, da lui inviati e che pubblichiamo integralmente qui di seguito. Probabilmente, il direttore del settimanale diocesano Vita Trentina sarà disponibile lunedì per ulteriori informazioni.

Il testo dei resoconto integrali degli incontri di don Ivan Maffeis con don Sandro De Pretis in carcere a Gibuti

Gibuti, 1 gennaio (di Ivan Maffeis) - L’ufficiale è un altro rispetto a ieri. Si rigira tra le mani il passaporto e il permesso del Tribunale, che "autorizza il portatore a comunicare, sotto la sorveglianza di una guardia, con De Pretis Sandro, incolpato di incitamento alla depravazione e alla corruzione di minori". Fa quindi cenno di attendere, mentre manda un poliziotto a chiamare il detenuto. Il carcere, l’unico del Paese, ne contiene circa 500.
L’attesa è breve. Don Sandro arriva con un volto più disteso, anche se saluta dicendo: "Questa notte non ho dormito, troppi pensieri per la testa". Nel nostro colloquio di ieri quei pensieri avevano rivestito la forma dell’interrogatorio al quale il missionario trentino è stato sottoposto sabato 29 dicembre, quando il giudice che segue l’istruttoria l’ha strapazzato senza mezze misure.
Ci sediamo ai piedi di un albero, osservati dalle 6 guardie che stazionano all’ingresso. Una di loro è una donna, velata dalla testa ai piedi: soltanto gli occhi seguono i nostri movimenti e le nostre parole.
"Ho fatto colazione con le due mele ed il pezzo di zelten", dice sorridendo per ringraziare del segno portato dal Trentino. Veste una maglietta bianca ed un paio di calzoncini corti. Sono le 11 del mattino, la giornata è calda, ma all’ombra sopportabile. Nulla comunque rispetto alle temperature estive, con il termometro che raggiunge i 46 gradi.
"È soprattutto la sera che mi pesa - dice - quando per evitare di essere divorato dalle zanzare, sono costretto a non accendere la luce. In questo modo, la notte mi sembra lunga, troppo lunga ...".
La cella misura 4 passi per 7. Il materassino posato sul pavimento, portato da fratel Paolo, il segretario del vescovo, è l’unico "arredo". In un angolo, una latrina ed un secchio. "Lo riempio d’acqua con una piccola scatola - spiega - e in questo modo ho poi la possibilità di lavarmi ...".
La giornata inizia all’alba: "Alle 5, con l’arrivo della prima luce, mi alzo per la preghiera, che poi scandisce anche altri momenti del mattino e del pomeriggio. Non che fosse così anche prima: tra queste mura ho trovato un ritmo più intenso anche per la vita spirituale".
Inganna il tempo con la lettura di quello che gli capita sotto mano: "Ho appena terminato il Purgatorio di Dante, ora sarei contento di passare al Paradiso ...". Gli offro un paio di libri di Ryszard Kapuscinski, li prende volentieri: "Mi piace il modo di viaggiare di questo giornalista polacco - commenta - mi piace soprattutto il suo modo di stare tra la gente e di incontrare una cultura diversa dalla sua".
Le pagine di Kapuscinski ci offrono lo spunto per passare a parlare della sua missione in questo angolo del Corno d’Africa, dove don Sandro vive dal 1993. Seguendo il filo delle domande, mi racconta di Ali Sabieh, la parrocchia che ha assunto un paio d’anni fa, a 90 chilometri da Gibuti, sul confine con l’Etiopia. Vi ho dormito questa notte per vederla con i miei occhi.
I mesi di detenzione non hanno spento la passione dell’uomo che cerca Dio sui sentieri dei poveri. Il suo racconto ci porta nella cittadina di 15 mila abitanti e spazia poi fra tende di pastori nomadi. La popolazione è tutta musulmana, se si eccettua una famiglia congolese e due volontarie francesi. Il padre è cercato soprattutto per esigenze materiali: vuoi un capo di vestiario, vuoi degli aiuti alimentari o sanitari. Accanto alla chiesetta e alla povera abitazione di don Sandro, le scuole, che affiancano alla classi delle Elementari quelle per l’alfabetizzazione dei giovani: "Moltissimi di loro non sanno nè leggere nè scrivere - spiega il missionario - non hanno mai posto piede in un’aula scolastica in quanto per lo Stato semplicemente non esistono: quando sono nati i genitori non avevano quei duemila franchi (circa 12 dollari) necessari per registrarli all’anagrafe, quindi rischiano di rimanere per tutta la vita degli apolidi ...".
Arriva la suora della Consolata con i viveri per il pranzo. È il primo giorno dell’anno, c’è aria di festa. Il responsabile della guarnigione permette che lo condividiamo insieme. "È una novità non da poco - osserva don Sandro - se pensi che per il primo mese e mezzo mi hanno lasciato uscire dalla cella solo per i brevi minuti delle visite ...".
Riusciamo anche a scherzare, prima che il discorso ricada dove il dente duole: "Mi rendo conto - dice - che da parte della Magistratura non c’è la volontà di chiarire. Avverto piuttosto un’ostilità crescente. Se veramente si arrivasse a breve ad un processo, so già che ne uscirò condannato".
"Questa mia situazione è stata preparata per tempo e con cura - aggiunge - e anche se sono consapevole della mia innocenza e quindi che ‘loro’ non possono avere in mano alcuna prova, sento tutto il peso delle accuse che mi rivolgono e provo la fatica di dovermene difendere".
L’ultima speranza del missionario trentino è in un intervento di ‘peso’, ossia della stessa Presidenza del Consiglio italiano: "Finora il nostro Paese si è mosso con discrezione, anche se qualche passo significativo l’ha fatto, soprattutto grazie all’impegno del console; è stato anche bloccata la firma al finanziamento da parte della nostra Cooperazione internazionale di un ospedale qui a Gibuti, un’opera che attende ormai da una decina d’anni ... Ma, vista l’ostinazione con la quale mi stanno trattando, se non si muoveranno a livello di vertici, avrò ben poche possibilità di vedermi fatta giustizia".
Sono quasi le 14. La guardia ci fa notare in modo un po’ spazientito che stiamo esagerando. Resta il tempo per un’ultima confidenza, un abbraccio, un arrivederci a domani.

Gibuti, 2 gennaio 2008 (di Ivan Maffeis) - "Stai attento, quello di quest'oggi è il corpo di guardia più duro, quello che mi nega sistematicamente anche la possibilità di fare due passi sul corridoio davanti alla cella". Don Sandro De Pretis, il missionario trentino che vive a Gibuti dal 1993, è al suo 65° giorno di carcere. Siamo da pochi minuti seduti ai piedi di un albero, come nella migliore tradizione africana; ma non c'è accoglienza né cordialità a circondare il nostro incontro. Attorno, invece, abbiamo cinque militari, tra i quali il responsabile della guarnigione. Parliamo fra noi il più possibile con naturalezza, cercando un'impossibile estraneazione dal contesto. Alzando gli occhi, dal pertugio aperto nel muri di cinta, i familiari dei detenuti passano un po' di viveri alla guardia, perché li faccia arrivare ai loro cari. Di mano in mano, i pacchetti arrivano ai nostri controllori, che li aprono, li palpano, li ammucchiano in disparte. "Cosa scrivi?". La domanda resta nell'aria. Il capo delle guardie mi strappa il taccuino e lo sfoglia con sospetto. "Che lavoro fai? Sei forse un avvocato? E allora chi sei?". Mi guardo dal rispondere, tanto è evidente che non gli interessa. "Perché tu possa uscire - dice, indicando il portone di ferro - devo prima trovare un gibutino che conosca l'italiano e che sia in grado di tradurmi i tuoi appunti ...". Nell'aria risuona la voce gracchiante del muezzin, che invita alla preghiera. I militari giocano con la pistola, in una dimostrazione di forza che ti fa sentire niente. Vista da qui anche la tragedia che sta insanguinando il Kenya ha un sapore diverso. Quando la vita vale poco, forse meno ancora, arrivi a relativizzare anche quelle centinaia di vittime, i cui nomi - alla pari di tanti di qui - non figurano sul registro di alcuna anagrafe. "La situazione che vivo - spiega don Sandro - mi fa riflettere su quanto sia fragile la vita. Normalmente ci si arriva soltanto quando ti capita addosso una malattia improvvisa o di fronte ad un forte scoraggiamento, per un lavoro che si perde o che non si trova. Per me, invece, questa fragilità si traduce in un periodo del tutto inaspettato, dominato dalle menzogne che mi sono state rovesciate addosso e da un'ingiustizia voluta, cercata e pianificata con accanimento". I soldati ridono, parlano a voce alta, fanno correre di qua e di là per piccoli servizi due giovani detenuti. "Mi sento preso in trappola - continua il missionario - anche se sono consapevole della mia estraneità alle accuse che mi vengono rivolte: sarei un pedofilo, uno che ha abusato di minori ... A distanza di quasi tre mesi, ora sono riusciti a far saltar fuori addirittura due testimoni, pronti a puntare il dito contro di me". Il carceriere si rialza e ci si para davanti, questa volta con una tanica: "Oggi in prigione non abbiamo acqua - dice - se volete che il vostro amico si lavi, portategliela dentro questa sera". Per fortuna don Sandro è assistito quotidianamente dalla premura delle suore francescane e da quelle della Consolata, che si alternano nelle visite e non hanno timore a sostenere lo sguardo delle guardie. Ma che ne sarà di tutti gli altri, di quei 500 detenuti che sono dietro le sbarre alle nostre spalle? "Mi tiene in piedi l'affetto di tanti amici trentini - prosegue don Sandro - che so essermi vicini con il loro ricordo e la loro preghiera; mi conforta sapere che anche il mio vescovo crede alla mia innocenza ...". Riesce a scherzare, dicendo che in fondo la sua presenza nella missione di Ali Sabieh, dove vive da un paio d'anni, non è poi molto diversa: "Se penso alle ‘soddisfazioni pastorali’ che ho raccolto in quella cittadina di 15 mila abitanti, dove i cristiani si riducono ad una famiglia di immigrati e alle due volontarie francesi che gestiscono la nostra scuola ...". In carcere, però, oltre alla libertà personale, mancano anche le occasioni di contatto, quelle che hanno fatto del ‘padre’ un punto di riferimento per molti. Soprattutto per i poveri. "So che il governo italiano e anche il Vaticano si stanno dando da fare - dice ancora don Sandro - e spero proprio riescano ad intervenire in maniera risolutiva prima che si al processo, che mi vedrebbe quasi certamente condannato. La storia nella quale sono stato incastrato è veramente dura e lascia sempre più intuire interessi potenti in gioco". L'ultimo pensiero manifesta una volta di più lo spessore interiore dell'uomo: "Più che la prigione - conclude don Sandro - mi pesa sapere di essere perseguitato senza aver fatto nulla di male. Spero che anche questa prova in un modo o nell'altro contribuisca a rafforzare la presenza della comunità cristiana, che è disposta a soffrire per amore di questo Paese, di questa gente".

Ringraziamo per la gentile collaborazione nel fornire le ultime notizie sul caso di don Sandro De Pretis, i giornali locali Corriere dell'Alto Adige, L’Adige, Il Trentino e in special modo Vita Trentina.

Articoli precedenti su Korazym.org




 
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venerdì 22 febbraio 2008
AFRICA/GIBUTI- Don Sandro de Pretis: accolta istanza libertà provvisoria
Gibuti (Agenzia Fides)- È stata accolta la nostra domanda di libertà provvisoria di Don Sandro per motivi di salute e di questo ne siamo felici. Entro due o tre settimane dovrebbe svolgersi il processo. Siamo fiduciosi sul fatto che Don Sandro otterrà piena giustizia”. È la dichiarazione all’Agenzia Fides di Sua Eccellenza Mons. Giorgio Bertin, Vescovo di Gibuti, dopo la scarcerazione del Vicario, don Sandro Depretis, arrestato il 28 ottobre 2007, con accuse infamanti (vedi Fides 14/12/2007 e 18/1/2008).Secondo il settimanale diocesano la “Vita Trentina” appaiono ridicole le ipotesi che ventilerebbero un suo coinvolgimento in una rete di pedofilia, in seguito alla scoperta di una serie di sue fotografie in cui appaiono anche bambini. Si tratta infatti delle stesse foto che don Sandro, all'inizio dell'estate scorsa, portò alla redazione di “Vita Trentina” per arricchire l'archivio fotografico, povero di immagini originali del Corno d'Africa. (L.M.) (Agenzia Fides 22/2/2008 righe 13 parole 164)
 
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Adige, L'
"«Aiutate don Sandro»"
Data: 04/08/2008
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Cronaca Locale




«Aiutate don Sandro»





dall'inviato BRESSANONE - Diamone atto. Al tavolo - attorno al quale sedeva Papa Ratzinger, i cardinali Sepe e Bagnasco, il vescovo Egger e parte della curia altoatesina - sarebbe stato più comodo discettare solo di Cristianesimo in Europa, di Cina, di ambiente e bellezza del Creato (che tra l'altro nell'industrializzata Pechino viene messo a dura prova). Diamone atto. L'argomento - la storia drammatica di un prete trentino, agli arresti con l'accusa infamante di pedofilia - non era dei più facili da affrontare. L'arcivescovo di Trento - invitato, a sorpresa, a pranzare con il pontefice a Bressanone - ieri a Benedetto XVI ha parlato di don Sandro De Pretis, dal 28 ottobre privato della sua libertà dal regime di Gibuti. Forte anche del lavoro svolto dal direttore di Vita Trentina don Ivan Maffeis - che lo scorso autunno ha avviato una campagna per sensibilizzare l'opinione pubblica e la politica - Bressan ha chiesto l'intervento della diplomazia vaticana per porre fine al dramma del sacerdote. L'arcivescovo ha accennato alla questione subito dopo l'Angelus, sull'altare. «Ho chiesto la benedizione del Santo Padre sulla nostra diocesi - racconta - chiedendogli una preghiera particolare per don Sandro. Il Papa è rimasto visibilmente colpito nell'apprendere che un nostro sacerdote vive una situazione di profonda ingiustizia da così tanti mesi. Ha assicurato la sua condivisione e il suo ricordo, invitandomi ad inviare il dossier alla Segreteria di Stato». Il dossier al quale si riferisce l'arcivescovo è fatto di sessanta pagine: contiene il reportage e gli articoli pubblicati dal settimanale diocesano Vita Trentina, con una cronologia ragionata degli avvenimenti, l'appello pubblicato sul sito internet www.vitatrentina.it, molti attestati di solidarietà (5.218 sono le firme di adesione all'appello per la liberazione di don De Pretis; in febbraio sono state consegnate al presidente Napolitano), qualche lettera filtrata dal carcere dello stesso don Sandro, fino alle interrogazioni presentate al parlamento italiano e a quello europeo e quindi ai passi compiuti dalla Farnesina. Completa il dossier anche una rassegna stampa, che raccoglie alcuni articoli dei media locali (l'Adige, Trentino, Corriere del Trentino, Rai3 Regione, Rttr, Tca, Radio Studio Sette, Rtt, Radio Dolomiti), nazionale e internazionale (Radio Vaticana, Sir, Unimondo, Nigrizia, Misna, Fides, Korazym.org, Avvenire, Corriere della Sera, Libero). «Confidiamo che anche il passo compiuto con il Santo Padre - conclude l'arcivescovo - avvicini la conclusione di questa ingiusta vicenda. In questi mesi le accuse che erano state mosse al nostro missionario sono cadute una sull'altra, confermando che il procedimento a suo carico serve unicamente a dilazionare altri processi, rispetto ai quali egli è assolutamente estraneo». In gennaio era stato don Maffeis a parlare di complotto e soprattutto a fare il nome del «mandante»: il presidente della Repubblica di Gibuti, Ismail Omar Guelleh. Ha spiegato che don De Pretis è vittima di un disegno per proteggere il regime di Gibuti dove, nel 1995, il magistrato cattolico Bernard Borrel - che stava indagando sul traffico di armi tra la Francia e lo stato africano - venne trovato in un dirupo. Il corpo era bruciato. Si parò di suicidio (le autorità dissero che era coinvolto in giri pedofili), ma recentemente il governo francese si è impegnato per conoscere i dettagli della vicenda. «L'arresto di don Sandro - aveva detto don Maffeis all'Adige - è una reazione alla presa di posizione della Francia. Gibuti non accetta che venga messa in discussione la teoria del suicidio: si vuole dimostrare che nel paese c'era un grosso problema di pedofilia cattolica. E così si è messo in galera il prete missionario - l'unico presente anche nel 1995 - e si è giocato sulla stessa accusa di pedofilia». «Esorto la comunità trentina - ha detto ieri l'arcivescovo - a continuare a ricordare con affetto don Sandro, in attesa di poterlo riabbracciare in questa sua terra come anche di rivederlo poi ripartire, se tale continuerà ad essere il suo desiderio, per l'Africa». Intanto dall'Africa non arrivano notizie. A.Tom.


04/08/2008





Dal giornale cattolico korazym

http://www.korazym.org/index.php/diocesi/7...rresti-a-gibuti

L'appello per don De Pretis, ancora agli arresti a Gibuti
Scritto da Simone Baroncia
Lunedì 04 Agosto 2008 18:17
Dal 28 ottobre 2007 don Sandro De Pretis, prete trentino, è agli arresti domiciliari a Gibuti, sulla base di accuse palesemente infondate che variano dalla pedofilia alla corruzione di minori. Dopo l’Angelus di domenica, anche Benedetto XVI si è interessato al caso, invitando a pranzo l’arcivescovo di Trento, mons. Luigi Bressan. Il presule ha espresso al papa una preghiera speciale per il sacerdote trentino: “Ho chiesto la benedizione del Santo Padre sulla nostra diocesi chiedendogli una preghiera particolare per don Sandro".

E ancora: "Il papa è rimasto visibilmente colpito nell’apprendere che un nostro sacerdote vive una situazione di profonda ingiustizia da così tanti mesi; ha assicurato la sua condivisione e il suo ricordo, invitandomi ad inviare il dossier alla Segreteria dello Stato Vaticano”.

Il dossier è stato pubblicato nei mesi scorsi sul settimanale diocesano ‘Vita Trentina’ ed è composto da circa 60 pagine, contente un reportage, una cronologia ragionata degli avvenimenti e l’appello pubblicato sul sito internet www.vitatrentina.it, e 5219 firme di adesione all’appello per la liberazione del missionario consegnate al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nei mesi scorsi molti media si sono occupati della vicenda del missionario (l’Adige, Trentino, Corriere del Trentino, Rai3 Regione, RTTR, TCA, Radio Studio Sette, Rtt, Radio Dolomiti, Radio Vaticana, Sir, Unimondo, Nigrizia, Misna, Fides, Avvenire, Corriere della Sera..), fra cui anche Korazym.

Il comunicato stampa dell’arcivescovo si chiude con una nota di speranza ed una esortazione alla comunità cristiana del Trentino: “Confidiamo che anche il passo compiuto oggi con il Santo Padre avvicini la conclusione di questa ingiusta vicenda. In questi mesi le accuse che erano state mosse al nostro missionario sono cadute una sull’altra, confermando che il procedimento a suo carico serve unicamente a dilazionare altri processi, rispetto ai quali egli è assolutamente estraneo. Esorto la comunità trentina a continuare a ricordare con affetto don Sandro, in attesa di poterlo riabbracciare in questa sua terra come anche di rivederlo poi ripartire, se tale continuerà ad essere il suo desiderio, per l’Africa”.
 
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2 Aprile 2009
L'EPILOGO DEL PROCESSO
Don Sandro: «Ora è finita»
Verdetto politico a Gibuti
«Non mi sembra vero che sia finita». Si è dissolto in un’udienza di pochi minuti a Gibuti l’incubo giudiziario del missionario trentino don Sandro De Pretis, da un anno e mezzo privato della sua libertà con accuse generiche e più volte ritrattate fino a quella infamante di «corruzione di minori». Ha dovuto attendere 114 giorni in carcere, altri 13 mesi in libertà vigilata, prima che il giudice si esprimesse con una sentenza ambigua e confusa come le stesse ipotesi di reato: nella condanna di giovedì scorso si parla infatti di «possesso di materiale pornografico», ma la giurisdizione locale non prevede una condanna per questa fattispecie.

Ed anche la misura detentiva inflitta a don Sandro – 3 mesi e 4 giorni con la condizionale, più altri cinque mesi – appare una giustificazione a posteriori del periodo che il sacerdote ha trascorso isolato dal 28 ottobre 2007 in una cella di 4 metri per 7 nel carcere di Gadobe: 3 mesi e 24 giorni, esattamente lo stesso periodo, con una sfasatura dovuta forse ad un errore. Ma sono molti i conti a non tornare in una vicenda umana che – anche dopo un’interpellanza al governo italiano – assunse a fine 2008 le dimensioni di un emblematico caso di giustizia internazionale, tanto che il governo Prodi ha sospeso il previsto finanziamento all’ospedale di Gibuti. Un processo interminabile che subito era stato definito «soltanto politico» dal vescovo di Gibuti, Giorgio Bertin, convintosi ben presto, dopo una scrupolosa indagine, dell’innocenza del sacerdote trentino incardinato nella diocesi dal 1993 per essere «africano fra gli africani».

Le accuse rivoltate contro il missionario – 53 anni, vocazione adulta sbocciata dopo un periodo di volontariato internazionale – risultavano basate «in modo pretestuoso» su alcune immagini di bambini nudi con bubboni sul braccio, che don Sandro aveva archiviato in computer per sottoporle ai medici in vista di una diagnosi. È stato «incastrato in una trappola», per usare una sua espressione, che va collocata nell’ambito dei rapporti ancora tesi fra Gibuti e il governo francese, fino al 1957 potenza coloniale nello staterello del Corno d’Africa a stragrande maggioranza islamica (i cattolici sono l’1 per cento); don Sandro era infatti l’unico occidentale presente sul posto nel 1995 quando fu trovato ucciso il giudice francese Bernand Borrell: un suicidio, si disse, mentre la moglie ed altri testimoni ritengono trattarsi di omicidio perché egli stava indagando su loschi traffici.

Più volte la diplomazia italiana – sollecitata anche dal vescovo Bertin – si è rivolta al presidente Sarkozy e al presidente giubutino Ismair Omar Guelleh per la liberazione di don Sandro; alla pressione della diplomazia vaticana si era aggiunta la mobilitazione della stampa cattolica che nella primavera dello scorso anno ha raccolto oltre 5 mila firme di solidarietà sul sito del settimanale diocesano Vita Trentina. «Ringrazio tutti quanti mi sono stati vicini anche con la preghiera» è il messaggio di don Sandro, rimasto fedele alla sua accettazione delle «catene» in stile «paolino» ma sempre deciso nell’affermare l’assoluta innocenza. In questi giorni non ha voluto commentare la sentenza, ha inviato solo questa mail agli amici più stretti: «Finalmente la mia storia, dopo un anno e mezzo, è terminata, pur se con una condanna – scontata in un senso e già scontata nell’altro senso – sulla base di un’accusa che era stata ancora cambiata due settimane fa, per la quinta o sesta volta. Adesso aspetto che le ultime carte siano fatte, e dopo dovrei poter ricuperare il passaporto e partire. Continuate a pregare per tutti noi qui a Gibuti».
 
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Adige, L'
"Don Sandro De Pretis, il sacerdote trentino che da un anno e mezzo a Gibuti era privato della libertà a Gibuti e che recentemente era stato condannato con un procedimento dai molti"

Data: 19/04/2009
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Cronaca Locale
Don Sandro De Pretis, il sacerdote trentino che da un anno e mezzo a Gibuti era privato della libertà a Gibuti e che recentemente era stato condannato con un procedimento dai molti lati ancora oscuri, è rientrato ieri in Italia

Don Sandro De Pretis, il sacerdote trentino che da un anno e mezzo a Gibuti era privato della libertà a Gibuti e che recentemente era stato condannato con un procedimento dai molti lati ancora oscuri, è rientrato ieri in Italia. Un rientro «forzato» in quanto sono stati i gendarmi, due giorni fa, a presentarsi a casa sua e portarlo in aeroporto dove gli è stato riconsegnato il passaporto. Dopo due notti senza chiudere occhio ieri mattina, dopo aver riabbracciato i familiari, don Sandro ha voluto incontrare il vescovo di Trento monsignor Bressan. «Un grazie, un grande grazie all'intera comunità trentina, a questa Chiesa, alle autorità provinciali, a quanti in tanti modi si sono attivati per la mia liberazione e, soprattutto, non hanno mancato di farmi sentire la loro fiducia e prossimità», ha detto durante l'incontro in Curia. Proprio l'arcivescovo si era speso per impegnare la diplomazia vaticana sul caso del sacerdote trentino. Provato fisicamente, dimagrito e comprensibilmente commosso, don De Pretis ha raccontato a monsignor Bressan i mesi trascorsi in isolamento nel carcere di Gadobe, alla periferia di Gibuti: «Sapere che la mia gente non mi dimenticava, ma credeva nella mia innocenza e nel mio sacerdozio e mi era vicina con la preghiera, è stato un aiuto indicibile. Vorrei esprimere una riconoscenza sincera e profonda a tutti». Un grazie che il sacerdote, intrattenendosi con l'arcivescovo, ha esteso anche a tutti gli strumenti di comunicazione: «So quanto i giornali, a partire dal settimanale Vita Trentina, le radio e le televisioni locali abbiano contribuito a mantenere viva la memoria di quanto stavo subendo, senza stancarsi di chiedere giustizia». Rimane l'amarezza di aver dovuto lasciare un paese, Gibuti, nel quale don Sandro De Pretis contava di donare tutta la vita: «Sento comunque il desiderio - ha confermato a monsignor Bressan - di continuare a dare il mio servizio per l'Africa». Don Sandro non ha voluto parlare oltre dei suoi progetti futuri. Certamente rimarrà un certo periodo qui in Trentino e questo anche per rimettersi dopo il difficile periodo trascorso in Africa. Le sue scelte di vita, qualsiasi esse siano, dovranno essere appoggiate dal vescovo di Gibuti, il padovano Giorgio Bertin. «Mio fratello ha espresso la volontà di tornare in Africa ma la vicenda che lo riguarda non è ancora chiara. È stato espulso dallo stato di Gibuti e ancora non ha in mano la sentenza. Per questo ogni sua decisione è prematura. Se, quando e come tornerà in Africa lo potrà decidere solo quando tutto sarà più chiaro», spiega Guido De Pretis. La vicenda giudiziaria di don Sandro si era conclusa poche settimane fa con una condanna da un'accusa più volte modificata ma che comunque il religioso ha sempre fermamente respinto: detenzione di materiale pornografico. Tutto ebbe inizio nel 2007. Don Sandro venne arrestato e trascorse tre mesi e ventiquattro giorni nel carcere di Gadobe, alla periferia di Gibuti, capitale dell'omonimo stato africano. Il 21 febbraio 2008, scaduta la detenzione preventiva prevista dalla legge, don Sandro De Pretis lasciò il carcere, ma rimase in libertà vigilata fino al 26 marzo scorso, quando il giudice emise la condanna a tre mesi e quattro giorni con la condizionale, più altri cinque mesi. Avendo però scontato quasi quattro mesi prima della sentenza il prete trentino tornò immediatamente libero. Privato del passaporto, attendeva che gli venissero riconsegnati i documenti per rientrare. In realtà la riconsegna, come detto è avvenuta in modo piuttosto veloce e, senza nemmeno che lui potesse fare bagagli e salutare le persone più care, è stato messo su un aereo ed espulso dal paese.


19/04/2009
 
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ITALIA-ERITREA, SACERDOTE TRENTINO LIBERA PROFUGHI DA CARCERI EGITTO
(NoveColonne ATG) - Trento, 28 mar – Grazie ad un progetto dell’ong “Ghandi”, attuato in collaborazione con il Centro Missionario di Trento e con la Provincia autonoma di Trento, sono stati liberati dalle carceri egiziane 278 cittadini eritrei rapiti in precedenza da bande di beduini, che sono stati trasferiti in un campo profughi in Etiopia all'interno del quale il Centro Missionario ha realizzato un centro di accoglienza. L’intervento della solidarietà trentina in Egitto è stato reso possibile grazie al sacerdote trentino don Sandro Depretis
(© NoveColonne ATG - citare la fonte)
 
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Don Sandro De Pretis, parroco agli antipodi
Don sandro De Pretis
Don sandro De Pretis
28 Novembre 2019
Sono di nuovo in Papua Nuova Guinea, dopo due anni in Ciad, ma in un’altra diocesi (Alotau) e come sempre succede la situazione presenta delle caratteristiche che non conoscevo. Prima di tutto la parrocchia di Budoya è divisa su diverse isole ed è più difficile muoversi rispetto a quando ci sono strade e macchine, che su queste isole non esistono neanche. La Chiesa cattolica poi è da relativamente poco che è presente: è ancor vivo un uomo di 83 anni che ha donato il terreno per la missione! La maggioranza della gente appartiene alla “Chiesa unita” (un nome poco appropriato, dato che si è staccata dai Metodisti, staccatisi a loro volta dagli Anglicani), e a varie sette. Le relazioni con la Chiesa Unita sono oggi abbastanza buone, mentre gli altri sono più che altro dei fanatici.

Essere parroco implica, oltre alla pastorale normale, avere varie responsabilità riguardanti le scuole “cattoliche”. La priorità va ai dieci villaggi/comunità (in Italia le chiameremmo parrocchie) che posso visitare solo la domenica ogni due-tre mesi, anche perché la gente lavora duro per produrre il cibo che mangia. Inoltre non ho una barca: qui usano i dinghy, piccole imbarcazioni lunghe sei metri e col motore 40 cavalli fuori bordo.

Gli adulti, i giovani e perfino i bambini lavorano. Girano pochissimi soldi, quasi nessuno ha un telefonino, neanche di quelli più economici. I costi del telefono e di Internet sono stratosferici: anche l’equivalente di uno-due euro, che è una cifra che in genere non è disponibile. Pirateria e furti sono problemi insolubili, la polizia praticamente è costituita da qualche poliziotto per tutte le isole del distretto. La “soluzione” adottata è quella di inviare dalla capitale una “task force” che agisce con brutalità, al di sopra di qualsiasi legge. Il vescovo, mons. Santos, in settembre è stato denunciato da questa polizia speciale, avendo protestato dopo che avevano bruciato 19 case ad Alotau. La cosa incredibile è che le autorità considerano normale questa violenza e il vescovo forse sarà condannato perché ha fatto conoscere gli abusi.

Il Paese è molto povero, probabilmente a causa della grande corruzione a tutti i livelli. La distruzione delle foreste da parte di società straniere, con in effetti nessun guadagno reale, né a livello locale né nazionale, è purtroppo ancora considerata una necessità per lo sviluppo. Siamo ancora allo sfruttamento grossolano delle risorse in cambio di quattro soldi. È chiaro invece, dalla mancanza di servizi che prima esistevano, che 20-30 anni fa la gente viveva meglio di oggi.

Nella parrocchia abbondano progetti di classi e di chiese, cose che domandano un tempo notevole al parroco, temo a spese dell’annuncio evangelico, e danno un’immagine di Chiesa che ha soldi, dunque falsando le relazioni fra parroco e fedeli. È una realtà che, io penso, domanderebbe un ripensamento, un aggiornamento delle attività e delle priorità.

Vi sono poche vocazioni sacerdotali in Papua Nuova Guinea, e i missionari diminuiscono. La situazione dell’Amazzonia è – mi sembra – molto simile a quella di molti paesi di missione. Non ci sono soluzioni semplici, è la fede che deve crescere, e il solo modo è l’ascolto in primo luogo della Parola di Dio, la santificazione tramite i sacramenti e una partecipazione più fedele alla vita e preghiera della comunità locale e parrocchiale. Ma mi pare che predomini una mentalità del “fare”, l’essere pratici, efficienti. Io interpreto il mio compito di missionario non solo nell’essere là come sacerdote, senza peraltro incoraggiare chi confonde il sacerdote con un operatore sociale.

di Sandro De Pretis
 
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