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Flavio Claudio Giuliano, detto l'Apostata (332-363)

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view post Posted on 25/3/2007, 09:28
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«Sotto il mio regno i pagani potranno tenere nuovamente i loro incontri, e offrire preghiere secondo il loro uso. Nel futuro tutte le genti vivranno in armonia, l’uomo sarà guidato dal pensiero e dalla razionalità; non dalla violenza, dagli insulti e dalle punizioni corporali.»

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuliano_(imperatore_romano)

Flavio Claudio Giuliano (332[2]-26 giugno 363) fu imperatore romano negli anni 360 - 363 e precedentemente, dal 355 cesare per la Gallia sotto Costanzo II. Nella tradizione storiografica cristiana è conosciuto come "Giuliano l'Apostata", a causa del suo tentativo di restaurazione del paganesimo. Viene anche chiamato "Giuliano il Filosofo" oppure "Giuliano II" (essendo il primo di questo nome l'usurpatore Giuliano di Pannonia).

La vita

[modifica] Adolescenza e giovinezza
Nato nel 332 a Costantinopoli, era nipote di Costantino I, in quanto figlio del fratellastro di costui, Giulio Costanzo, e di Basilina. I membri maschili della famiglia imperiale furono uccisi dai figli di Costantino I dopo la sua morte nel 337: di loro si salvarono solo Giuliano, perché troppo piccolo per rappresentare una minaccia, e il fratellastro Costanzo Gallo.

Passò l'infanzia e l'adolescenza tra Nicomedia (dove ebbe per maestro Eusebio di Nicomedia) e Costantinopoli. Poi, sempre restando ai margini della corte, venne mandato in una tenuta in Cappadocia, a Macellum. Lì venne seguito dal vescovo Giorgio di Cappadocia. In questo periodo in Giuliano si formò la passione per la cultura ellenistica e la considerazione per i coloni, ed in particolare verso gli humiliores.

Da Macellum si trasferì ad Atene, dove si diede allo studio appassionato della spiritualità del mondo greco classico che considerò di gran lunga più vivo e ricco del Cristianesimo. Mentre egli studiava, protetto da Eusebia moglie dell'imperatore Costanzo II, suo fratello Costanzo Gallo venne nominato cesare nel 351, e successivamente fatto giustiziare, nel 354, dallo stesso imperatore.


[modifica] Giuliano a corte

[modifica] L'antefatto
Lo storico Eutropio, che partecipò alla spedizione contro la Persia del marzo 363 in compagnia di Giuliano, dice di lui nel suo Breviario di Storia Romana:

«VII - Costanzo diede presto all'Oriente un Cesare, Gallo, figlio del suo zio paterno, e Magnenzio, vinto in diversi combattimenti, si suicidò a Lugdunum dopo un regno di tre anni e sette mesi; suo fratello, che aveva inviato come Cesare per difendere le Gallie, si uccise anche lui a Sens. Nella stessa epoca Costanzo fece perire anche il Cesare Gallo, che aveva commesso diversi eccessi di potere: era un uomo di natura feroce e che sarebbe stato abbastanza incline alla tirannide, se avesse potuto comandare come padrone a suo gradimento. Silvano che aveva fomentato una rivolta in Gallia, perì allo stesso modo in meno di trenta giorni e a quest'epoca Costanzo rimase solo come principe e Augusto nell'impero romano. Presto inviò nelle Gallie, con il titolo di Cesare, suo cugino Giuliano, fratello di Gallo, dopo avergli dato la propria sorella in sposa»



[modifica] Le nuove responsabilità
Nel 355 fu richiamato a corte ed ebbe in moglie la sorella di Costanzo II, Elena. Fu poi insignito del titolo di cesare, diventando erede designato, e fu inviato in Gallia. Accettò malvolentieri titolo e incarico: in una sua lettera agli ateniesi leggiamo infatti:

«Non devo omettere di narrare qui come mai abbia consentito ed accettato di vivere sotto lo stesso tetto con coloro stessi che avevano trucidato tutta la mia famiglia e di cui sospettavo che non avrebbero avuto bisogno di molto tempo per iniziare a complottare contro di me. Ho versato torrenti di lacrime e ho alzato gemiti. Ho teso le mani verso la vostra Acropoli, quando ho ricevuto il richiamo, e ho pregato Atena di salvare il suo supplice, di non abbandonarlo. Molti tra di voi mi hanno visto e mi sono testimoni. La dea stessa, meglio di chiunque altro, sa che le ho chiesto di farmi morire ad Atene piuttosto che affrontare questo viaggio. La dea non ha né tradito, né abbandonato il suo supplicante; l'ha dimostrato con i fatti. Infatti, ovunque mi ha guidato e mi ha circondato da ogni lato di angeli guardiani che il Sole e la Luna le avevano accordato»

«Sei pronto a lusingare e ad adulare per timore di morire! Ma ti è possibile di lasciar andare tutto e di lasciare che gli dei agiscano come vogliono, affidando loro la cura di occuparsi di te, come Socrate ad esempio giudicava di fare a questo proposito. Puoi fare, nella misura del possibile, ciò che dipende da te, ma puoi far dipendere dagli dei l'intera faccenda. Non cercare di acquisire o ottenere una qualsiasi cosa, ma ricevi, in tutta sicurezza ciò che ti viene dato.»
(Lettera agli Ateniesi, 274d-275b, 276c-277a)

Tuttavia ebbe modo di modificare questa opinione col tempo giungendo a descrivere con affetto e nostalgia nella lettera agli antiocheni la cara Lutetia Parisorum, descrivendo financo le tecniche utilizzate dai locali per la coltivazione di uva e fichi. Rilevante è anche la sua descrizione dei barbari franchi, per la prima volta non descritti da un romano con toni paternalistici ma cercando di spiegare piuttosto la loro condizione di arretratezza culturale e sociale con la povertà e le difficili condizioni di vita delle Gallie esulando dagli stereotipi di brutalità e forza fisica nel quale lo stesso Giulio Cesare suo indissolubile punto di riferimento era caduto.


[modifica] Cesare

Moneta di bronzo di Giuliano da Augusto, su cui Giuliano è rappresentato in abiti militari. Malgrado non avesse ricevuto alcuna educazione militare, Giuliano si dimostrò un buon comandante, ottenendo una importante vittoria a Strasburgo, e portando l'esercito romano sotto le mura della capitale sassanide.Giuliano fece di Lutetia Parisorum (l'odierna Parigi) la sua capitale, e si rivelò buon amministratore e buon soldato, respingendo le invasioni degli Alemanni nel 357 e nel 360 e dei Franchi nel 358, divenne celebre la sua vittoria nella battaglia di Strasburgo.

Come amministratore cercò di ridurre le pretese del fiscus riducendo la capitazione da 25 solidi a 7, nella Belgica sottrasse le esazioni agli uffici burocratici (causa di soprusi e malversazioni) delegandole alle curie.

Nel 359 Costanzo II, forse intimorito dal successo e dalla fama che circondava Giuliano, forse perché doveva effettivamente preparare l'offensiva contro i Persiani gli chiese di inviare le sue truppe migliori per la campagna in Persia. Le truppe stanziate in Gallia, però, rifiutarono di partire (non si sa se incoraggiate da Giuliano o meno) in quanto scholae, ovvero milizie barbariche reclutate ed impiegate nel medesimo teatro operativo e nel febbraio 360 lo proclamarono imperatore. Giuliano, secondo il suo storico Ammiano Marcellino, in un primo momento si mostrò restio ad accettare la porpora, memore probabilmente della tragica fine dei tanti usurpatori delle Gallie (Magnenzio e Silvano tra i più pericolosi), che in epoche diverse si erano ribellati a Costanzo, venendo però facilmente schiacciati dal legittimo imperatore. Alla fine però, memore di un sogno premonitore, accettò la corona di ferro barbarica che i soldati delle sue legioni gli posero sul capo in mancanza di un diadema imperiale. Issato sugli scudi venne portato, sempre secondo Ammiano, in trionfo nell'accampamento per poi ritirarsi nei suoi alloggiamenti, promettendo elargizioni.

A questo punto inviò due lettere al cugino Costanzo la prima nella quale giurava fedeltà e prometteva collaborazione per la guerra partica nella seconda di contenuto più confidenziale si scagliava contro l'imperatore accusandolo della morte del fratellastro Gallo e dei suoi genitori avvenuta il giorno successivo alla morte di Costantino il Grande. Costanzo, nonostante vari ripensamenti rigettò completamente le concilianti offerte del cugino e gli dichiarò guerra interrompendo le operazioni belliche sul confine persiano marciando da Antiochia contro di lui, morendo tuttavia di lì a poco in Cilicia il 3 novembre 361. Giuliano che nel frattempo ignaro della morte del cugino aveva ridotto al minimo i presidi sul Reno per disporre del maggior numero di uomini possibile venne a conoscenza della scomparsa di Costanzo mentre si trovava in Tracia, avendo ricevuto lungo il percorso una delegazione senatoria guidata dall'eminente giurista Treboniano Gallo lontano parente di Giuliano stesso.


[modifica] La guerra

Solido coniato da Giuliano per celebrare la potenza militare dell'impero. «VI - I barbari avevano preso d'assalto diversi fortini e altri ne assediavano, ovunque c'era un'orribile devastazione e l'impero romano pendeva già senza dubbio verso la rovina, quando Giuliano, con forze modeste, annientò presso Argentoratum, città della Gallia, le immense forze degli Alemanni, fece prigioniero il più famoso dei loro re, e riconquistò le Gallie. Più tardi Giuliano compì ancora altre imprese notevoli contro i barbari, respinse i Germani ben oltre il Reno, e rese all'impero romano le sue frontiere. Poco dopo, l'esercito che aveva combattuto i Germani, vedendosi togliere il compito di difendere le Gallie, fece Giuliano Augusto, con accordo comune dei soldati; un anno più tardi, partì per impadronirsi dell'Illiria, mentre Costanzo era impegnato nella guerra contro i Parti. Tornando sui suoi passi per fare una guerra civile, a questa notizia, Costanzo morì per strada tra la Cilicia e la Cappadocia dopo trentotto anni di regno e all'età di quarantacinque anni. Meritò di essere innalzato al rango degli dei. Era un uomo di notevole dolcezza, placido, che si fidava troppo dei suoi amici e dei suoi familiari; ben presto anche troppo affezionato alle sue mogli; tuttavia, nei suoi primi anni del suo regno, si comportò con una grande moderazione; arricchì anche i suoi familiari, e non lasciò senza onori quelli di cui aveva apprezzato i servigi in momenti difficili; troppo incline forse alla severità se sospettava qualcuno di aspirare all'impero, era per il resto clemente, ed ebbe più a lodare la propria fortuna nelle guerre civili che in quelle contro i nemici.»
(Eutropio, Breviario di Storia Romana)


[modifica] Imperatore

Ritratto di Giuliano su di una monete coniata da imperatore.La crisi dell'impero prima che militare era economica e quindi demografica. Il costo dell'impero aumentava, il fiscus gravava quasi esclusivamente sui ceti produttivi in quanto i possessores e le grandi proprietà ecclesiastiche cristiane ne erano esenti, e la chiesa cristiana aveva organizzato una sua economia parallela (l'economia di carità) che meglio rispondeva alle esigenze del tempo ma che sottraeva risorse allo stato.

Giuliano aveva maturato una sua idea circa le soluzioni atte a risolvere le diverse questioni e, da imperatore, cercò di attuarle.


[modifica] La questione religiosa

Giuliano l'Apostata presiede ad una conferenza settaria, Edward Armitage, 1875.Nel 361 Giuliano si era dichiarato pagano quindi, coerentemente con lo spirito tollerante dell'impero romano in questa epoca, Giuliano promulgò un editto di tolleranza autorizzando tutte le religioni e abrogò le misure prese non solo contro il paganesimo, ma anche contro gli ebrei e contro i cristiani che non avessero seguito il credo ariano favorito da Costanzo II.

Un esempio delle idee di Giuliano circa i vari modi giungere alla verità (filosofica e religiosa) è dato nella lettera al filosofo Temistio:

«Che nessuno venga a dividere la filosofia in più parti, a ritagliarla in tanti frammenti, o piuttosto a crearne molteplici da una sola! La verità è unica e allo stesso modo la filosofia è una, e tuttavia non c'è motivo di stupirsi se seguiamo strade completamente diverse per raggiungerla. Immaginiamo uno straniero, o, per Zeus, un cittadino dei tempi passati che desideri ritornare ad Atene. Poteva recarvisi per nave, oppure a piedi. Se viaggiava via terra poteva servirsi, a mio parere, delle grandi vie pubbliche, di sentieri, o di scorciatoie. Navigando poteva costeggiare la costa, oppure fare come il vegliardo di Pilo e traversare il mare aperto. Che non mi si venga ad obiettare che alcuni di questi viaggiatori hanno deviato e che arrivati da qualche altra parte, adescati da Circe o dai Lotofagi, cioè dai piaceri, dall'opinione o da altre cose, hanno trascurato di proseguire il cammino e di raggiungere il loro obiettivo. Che si esaminino piuttosto i protagonisti di ogni setta e si scoprirà che tutto si accorda»
(Discorsi, VI, 184c-185a)

Da Costantinopoli, dove risiedette fino al maggio del 352, si trasferì in Asia Minore dove si recò a far visita al tempio della Dea Madre di Pessinunte per poi dirigersi alla volta di Antiochia.

Date le sue preferenze personali Giuliano cercò di rifondare e promuovere il paganesimo intraprendendo un'opera di riforma della religione pagana, in parte ispirata all'organizzazione ecclesiastica cristiana riguardo la cosiddetta economia di carità creando appositamente delle istituzioni che avrebbero dovuto occuparsi dei problemi degli indigenti.

Giuliano promosse anche la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, perché riteneva la divinità degli ebrei un dio etnico, coerentemente con la sua visione politeistica. Un terremoto interruppe però i lavori, e non mancarono interpretazioni soprannaturali dell'avvenimento che da parte cristiana videro nel terremoto un segno divino a favore della loro religione.


[modifica] La polemica anticristiana
La polemica anticristiana di Giuliano è di carattere morale, religioso, culturale e politico.


[modifica] La dissolutezza
Giuliano ritiene che la dottrina cristiana sia fonte di corruzione e di dissolutezza e quindi in Cesari, sulla scorta dei racconti degli storici Sozomeno e Zosimo, addebita a Costantino la conversione al cristianesimo: solo in quella religione avrebbe potuto ricevere la purificazione dell'omicidio del figlio Crispo e della moglie Fausta.

Ad esempio in Cesari (composto nel 362-63) Giuliano descrive un banchetto offerto da Quirino agli dei e agli imperatori, durante il quale si svolge una gara tra Alessandro Magno, Giulio Cesare, Augusto, Marco Aurelio, Traiano e Costantino, volta a determinare chi sia stato il più grande. Al termine della gara, Zeus invita gli imperatori a scegliersi un dio come protettore e guida: Costantino invece di affidarsi alle divinità olimpiche va incontro alla Mollezza che lo accoglie con un abbraccio, lo adorna con vestiti multicolori e lo porta alla Dissolutezza: Lì si trova Gesù che predica:

«Chi è corruttore, chi è omicida, chi è maledetto e infame, stia tranquillo; avendolo lavato con quest’acqua lo renderò subito puro (katharos) e qualora ricada di nuovo nelle stesse colpe gli concederò di ritornare puro se si batterà il petto e si percuoterà la testa»
(Caes. 336)

sentite queste parole Costantino decise di seguirlo.

[modifica] La volgarità dei costumi
In Contro i Galilei (composto nel 362-63) i cristiani sono accusati di aver conformato la loro vita a persone della più modesta estrazione: bottegai, esattori, ballerini, ruffiani (Gal. 238 DE).


[modifica] Ragione e religione
Secondo Giuliano non solo il cristianesimo non è una religione che spinge alla ricerca della rettitudine, del bello e del vero ma è anche una religione contraria alla logica e al buon senso. Infatti se San Paolo, in una lettera ai Corinzi (6, 9-11) (che Giuliano cita quasi perfettamente) già diceva

«Non illudetevi: né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapinatori erediteranno il Regno di Dio. E voi non ignorate queste cose, fratelli, perché anche voi eravate così. Ma siete stati lavati, siete stati santificati nel nome di Gesù Cristo»


; allora, si chiedeva Giuliano, come è possibile che esista un’acqua che ha la virtù di purificare (diakathairein) da ogni bruttura e di penetrare nel fondo dell’anima?

«Se il battesimo non guarisce malattie del corpo come la lebbra, la scabbia, i foruncoli, i porri, la gotta, la dissenteria, gli edemi sottocutanei, le infiammazioni alle dita e quant’altro; è mai possibile che esso possa guarire le malattie dell’anima?»
(Gal. 245)

In queste parole riecheggia l'eco di un presunto Contro i Cristiani di Porfirio di Tiro, composto nell’ultimo quarto del III secolo e bruciato nel 448 per ordine di Teodosio II e Valentiniano III.


[modifica] L'educazione
Famosa fu la legge che proibiva ai cristiani l'insegnamento delle lettere classiche, poiché secondo l'imperatore non si poteva credere una cosa e insegnarne un'altra. I cristiani avrebbero dovuto piuttosto commentare Matteo e Luca nelle chiese dei galilei, ma non spiegare le opere di Omero o Erodoto, dato che hanno come argomento gli dei che essi rifiutano. Inoltre Giuliano favorì le città che restauravano i templi, e si mostrò indifferente verso i casi di vessazione contro i cristiani. Non prese, tuttavia, alcuna misura persecutoria, dichiarando di auspicare che i cristiani stessi riconoscessero da soli il loro errore e che non aveva intenzione di costringerli a farlo.


[modifica] L'amministrazione
Giuliano manifestò l'intenzione di tornare ad un impero di forma meno autocratica e più conforme all'antica tradizione repubblicana (anche se in diversi casi venne costretto a governare in modo autoritario). Come già in Gallia, perseguì la sua politica deflazionistica alleviando il carico fiscale e redistribuendolo in maniera più equa: in Dalmazia ridusse in maniera consistente gli enormia pretia di aderazione dei cavalli, reintrodusse l'aurum coronarum a favore delle municipalità, progettò, sempre a favore delle municipalità, la restituzione dei fundi e dei vectigalia, ridusse il potere dei governatori a favore delle amministrazioni cittadine, trasferì il costo della cura e la manutenzione delle vie (de itinere muniendo) dalle municipalità ai possessores. Ovviamente la politica di Giuliano non era affatto una "politica di classe" volta cioè a favore una classe a favore dell'altra; piuttosto l'imperatore riteneva che gli opposti interessi e le rispettive necessità avessero un punto di convergenza e di equilibrio nello stato.


[modifica] Giuliano e il mito degli eroi

Colonna di Giuliano ad Ankara. Fu eretta nel 362, in occasione della visita di Giuliano alla città durante la sua campagna sassanide.Nella classicità le figure storiche che avevano compiuto grandi imprese erano assimilate di volta in volta a degli “dèi” (theòi), “eroi” (héroes) o “semidei” (hemìtheoi). Questi altri non erano che un prodotto della discesa della divinità sulla terra (epifania), di quello che lo stesso Giuliano riprendendo Plotino e Giamblico indica come pròodos: la “processione” dal cielo alla terra compiuta da Asclepio (nato dall'unione di un dio e di un essere mortale), che Zeus generò da sé tra gli intelligibili e manifestò tra gli uomini per mezzo dell’energia vivificatrice di Helios (Contro i galilei, 200A-B).

Dioniso, Eracle, Achille quali figure paradimatiche ed esempi da imitare avevano esercitato una grande richiamo su Alessandro Magno e Cesare ispirandoli a grandi imprese. Infatti se il primo riuscì a portare a compimento la conquista del Medio Oriente fino a spingersi in India, il secondo morì mentre stava preparando la guerra in Oriente contro i Parti. In entrambe i casi le imprese furono anche il prodotto della volontà di realizzare di un mito, di dare concretezza e visibilità all'epifania. Infatti nel progetto alessandrino Alessandro-Achille-Eracle-Dioniso sono le diverse persone di un'unica natura: quella divina.

A Dioniso e ad Eracle, Giuliano venne equiparato da Temistio di Costantinopoli, un commentatore di Aristotele, “uomo serio e sinceramente virtuoso, [che] accoppiava all’intelligenza dei più ardui problemi filosofici un senso del reale e dell’utile onde era tratto ad occuparsi, con particolare cura, di tutte le cose attinenti alla vita civile” [3].

In una lettera di Giuliano a Temistio:

«Ma adesso tu, con la tua ultima epistola, hai reso più grande il mio timore e mi hai mostrato che l’impresa è in tutto più ardua, dicendo che dal dio sono stato assegnato al medesimo posto in cui precedentemente si trovarono Eracle e Dioniso, i quali erano filosofi e al contempo regnarono e ripulirono quasi tutta la terra ed il mare dal male che li infestava»
( Giuliano, Lettera a Temistio, 253B-C)

Come Temistio, anche Libanio [4] paragonò Giuliano ad Eracle. Di Ammiano possiamo leggere che Giuliano era «vir profecto heroicis connumerandus ingeniis» [5]

Lo stesso Giuliano che, nell’orazione Contro il cinico Eraclio, associa Mitra ad Eracle (guidato nelle sue imprese da Atena Pronoia) il salvatore del mondo e quindi interpreta la propria missione, ad imitazione di quel modello, in chiave soterica come mediatore e “salvatore del mondo abitato” (sotèr tês oikouménes)[6]. Degna di nota è l'accostamento che Giuliano compie tra Eracle ed Attis, in quanto ambedue, partendo da una condizione semidivina, giungono a realizzare la perfetta unione con il divino dove l'anima di Eracle, una volta liberata dall’involucro carnale, ritorna integra nella totalità del Padre (Inno alla Madre degli dei, 167A). La guerra, interpretata in chiave soteriologica, assume ora l'aspetto di missione purificatrice della terra e del mare che gli dei affidarono a Eracle e Dioniso. In tale contesto matura il progetto di conquista della Persia in quanto adeguamento a quella volontà divina che era già stata rivelata, e di cui se ne trova traccia nell’Eneide che così interpretava l’espansionismo di Roma.


[modifica] Il soggiorno in Antiochia
Dopo aver riorganizzato ed alleggerito l'amministrazione, riducendo in particolare il personale di palazzo e quello che era utilizzato per opere di delazione e spionaggio, si stabilì ad Antiochia per preparare una spedizione contro la Persia. Entrò presto in conflitto con la popolazione della città, sia a causa del suo paganesimo, sia a causa del fatto che il suo rigore morale si opponeva alle abitudini di vita di quella metropoli.


[modifica] Morte

Icona copta raffigurante San Mercurio che uccide Giuliano. In base alla tradizione, San Basilio Magno (un vecchio compagno di scuola di Giuliano) venne imprigionato all'inizio della campagna sassanide dell'imperatore. Basilio pregò San Mercurio di aiutarlo, e il santo gli apparì in visione, affermando di aver ucciso Giuliano con un colpo di lancia.Nella primavera del 363 Giuliano si lanciò in una vasta spedizione militare, che lo portò vittoriosamente fino a Ctesifonte, capitale dei Sasanidi. Pur avendo vinto la battaglia di Ctesifonte, dovette tuttavia ritirarsi ed in quel frangente fu mortalmente ferito in combattimento il 26 giugno di quell'anno. La sua morte, secondo lo storico Ammiano Marcellino, fu provocata da una lancia che lo trafisse al ventre; Libanio asserisce che si trattò di un omicidio ordito dai cristiani ed eseguito da un soldato, gli altri storici contemporanei, tra cui lo stesso Ammiano, non fanno menzione di questo fatto.

Non designò alcun successore, contravvenendo al principio di continuazione dinastica seguito dai Costantinidi, quasi lasciando al fato questo arduo dovere. Più di tutto lo colpì probabilmente l'esempio di Marco Aurelio, sua ideale guida politica e filosofica, che in punto di morte commise, tuttavia, l'errore di lasciare l'Impero al figlio Commodo.


[modifica] Epilogo
«VIII - Giuliano divenne allora padrone del potere, e, dopo immensi preparativi, portò la guerra presso i Parti, spedizione a cui io stesso presi parte. Ricevette la sottomissione di numerosi luoghi e piazzeforti dei Persiani, o le prese d'assalto; dopo aver devastato l'Assiria, si accampò per qualche tempo presso Ctesifonte, e ritornava da vincitore, quando, esponendosi troppo imprudentemente nei combattimenti, fu ucciso dalla mano di un nemico, il sesto giorno delle calende di luglio, nel suo settimo anno di regno e nel suo trentunesimo anno di età; fu messo nel numero degli dei. Uomo eminente e che avrebbe amministrato lo stato in modo notevole se il destino glielo avesse permesso; molto versato nelle discipline liberali, sapiente soprattutto in greco, e al punto che la sua erudizione latina non poteva bilanciare la sua scienza del greco, aveva un'eloquenza brillante e pronta, una memoria molto sicura. Da certi punti di vista era più simile ad un filosofo che ad un principe; era liberale nei confronti dei suoi amici, ma meno scrupoloso di quello che conveniva ad un così grande principe: in tal modo certi invidiosi attentarono alla sua gloria. Molto giusto nei confronti dei provinciali, diminuì le imposte per quello che si poté fare; affabile con tutti, avendo mediocre preoccupazione per il tesoro, avido di gloria, e, tuttavia, di un ardore spesso immoderato, perseguitò troppo vivamente la religione cristiana, senza tuttavia spargere il sangue; ricordava molto Marco Antonino, che d'altronde si studiava di prendere a modello.»
(Eutropio, Breviario di Storia Romana)


[modifica] Tradizione storiografica
L'attenzione della tradizione storiografica cristiana e anticristiana si è concentrata sulla politica religiosa di Giuliano, che tuttavia non fu che una parte della sua politica, senza prevalere sulle altre. Per esempio, sembra che non facesse discriminazioni religiose quando di trattava di prendere qualcuno al suo servizio.


[modifica] L'opera letteraria e filosofica

Pelle di Giuliano inchiodata ad una torre, da un manoscritto del XV° secolo de La caduta dei principi di Giovanni Boccaccio.Giuliano è uno dei principali autori greci del IV secolo. Scrisse lettere, discorsi ed un'opera di critica al cristianesimo (Contro i Galilei). Quest'ultimo scritto, giudicato "demoniaco" nelle epoche successive, non ci è stato tramandato. Se ne conosce, tuttavia, una buona parte grazie all'opera Contro Giuliano, composta da Cirillo di Alessandria nel V secolo (questa confutazione prova che lo scritto di Giuliano era ancora considerato pericoloso 50 anni dopo la sua morte).

Adepto della filosofia neoplatonica, Giuliano tenne sempre, tuttavia, a precisare che non era arrivato a diventare un vero filosofo e che in quest'ambito si considerava ancora uno studente. Questo è il motivo per cui non scrisse mai un'opera propriamente filosofica, anche se la maggior parte dei suoi scritti si ispirano esplicitamente alle posizioni filosofiche. Tra le sue fonti, oltre ai misteri di Cibele (in onore della dea compose Alla Madre degli Dei), vi è il filosofo neoplatonico Giamblico, definito "divino" dall'imperatore per la sua sapienza e religiosità. Il trattato A Helios re è infatti basato sulla dottrina e sugli scritti di Giamblico. Oltre alla citata opera contro i cristiani, possiamo elencare tra i suoi scritti:

lettere ad amici o a personaggi del suo tempo;
scritti satirici o polemici (Contro i Galilei, I Cesari, il Misopogon, Contro Eraclio cinico, Contro i Cinici ignoranti);
scritti filosofico-religiosi (Sulla Madre degli Dei, Su Helios Re);
scritti politici o filosofico-politici (Lettera a Temistio, Lettera agli Ateniesi);
scritti retorici (elogio dell'imperatore Costanzo II, suo cugino, e di Eusebia, moglie di Costanzo, una Consolazione a sé stesso).
In Contro i galilei compare la tesi giulianea secondo la quale la dottrina cristiana costituisce il prodotto di una macchinazione, un'eresia del giudaismo diffusa da una minoranza di ebrei che si erano distaccati dalla loro tradizione.
Inno al Re Helios nel progetto di Giuliano avrebbe dovuto costituire il testo dottrinale del "monoteismo solare" (in opposizione al cristianesimo) che doveva immettere nuova linfa nella tradizione classica .
Inno alla Madre degli dei è un'esegesi dei miti greci sulla base delle dottrine misteriche.


[modifica] Dopo la morte di Giuliano
Giuliano è divenuto presto un mito. Alcuni pagani, in particolare Ammiano Marcellino e Libanio ne hanno fatto un eroe di tolleranza, di virtù e di energia, un uomo troppo grande per il suo tempo, che soccombette sotto i colpi della meschineria e della malvagità (cristiana, ma non solo) che lo circondavano. Al contrario gli autori cristiani lo hanno presentato come un imbecille frenetico (Gregorio di Nazianzo, che l'aveva conosciuto come studente ad Atene) o come un mostro (gli storici ecclesiastici, che gli attribuiscono diverse profanazioni e sacrifici umani), un apostata perverso (tutte le misure che aveva preso, compreso il suo editto di tolleranza, sarebbero state volte a lottare ipocritamente contro il cristianesimo. Questa immagine ha prevalso per tutto il Medioevo e il Rinascimento, sebbene il personaggio abbia affascinato occasionalmente gli spiriti più originali (come Montaigne).

Nel XVIII secolo i nuovi filosofi (in particolare Voltaire) hanno voluto riabilitarlo, come campione dei "lumi" contro l'oscurantismo cristiano e come campione della libertà contro l'assolutismo del Basso Impero. Anche durante il Romanticismo ci si è appassionati per il personaggio, vedendovi un romantico ante litteram, spirito lucido e disperato, incompreso nel suo tempo, e la cui morte in giovane età dava il segno del trionfo dei mediocri.

Nel XX secolo queste tre immagini, Giuliano l'apostata, Giuliano il filosofo e Giuliano eroe di una causa ormai perduta, si prolungano non solo nella narrativa, ma anche nei tentativi di riflessione storica (con, a volte, delle varianti: un Giuliano filosofo ateo che si nascondeva dietro un paganesimo di facciata secondo Alexandre Kojève). Anche per questo motivo è oggi così difficile distinguere chi fu il vero Giuliano.
 
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