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Sesso, eresie e processi a suor Giulia De Marco, "vecchia puttana"., L'Inquisizione condanna la suora e la setta della "carità carnale"

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view post Posted on 6/2/2015, 13:16
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Sesso, violenze e inquisizione nella Napoli del '600

caritagiulia1

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/...304260471.shtml

LA STORIA
Suor Giulia e la setta della «carità carnale»
Sesso e religione nella Napoli del '600. Uno scandalo
che coinvolse religiosi, aristocratici e politici del tempo

«Nel clima pettegolo e bigotto che domina la città, scoppia intorno al 1611 lo scandalo di suor Giulia de Marco, una ex francescana di umili origini che è in odore di santità presso il popolino e fonda una congregazione piuttosto equivoca…», così, con il consueto garbo letterario, Antonio Ghirelli nella sua «Storia di Napoli» accennò ad una stupefacente storia di sesso e religione che provocò uno scandalo enorme, che sconvolse Napoli ed ebbe un'eco in tutta Europa.

Esattamente quattrocento anni fa, infatti, la bizzarra e al tempo stesso drammatica vicenda si trasformò in un vero e proprio "tsunami" che travolse i salotti aristocratici e le piazze popolari della barocca ed esagitata capitale del viceregno. Tutto aveva avuto inizio nel 1603, quando la terziaria francescana Giulia de Marco incontrò due giovanotti irrequieti e determinati. Il primo, Aniello Arcieri, è nato in Puglia (a Gallipoli) figlio di un calzolaio di origini siciliane, ed è un tipo solido e concreto: le carte processuali lo definiranno «di duro cervello et ostinato nel suo parere»; il secondo è un avvocato napoletano squattrinato ma brillante, tale Giuseppe De Vicariis, sposato con figli, è noto per la «facondia naturale» e per una notevole perizia nell'«arte di simulare». I tre costituiranno un triangolo perfetto e in breve tempo metteranno in piedi un'organizzazione, una setta, che per le sue particolari caratteristiche e il seguito che ebbe si può considerare senza eguali.

Il vertice, la punta di diamante, ovviamente, è lei: la mistica che vuole seguire le orme di Orsola Benincasa. Le scarne note biografiche raccontano che è nata in Molise (a Sepino) nel 1575, figlia di un contadino che morirà presto di tifo e di una schiava turca; a 12 anni viene ceduta ad una coppia di Cava dei Tirreni, ma con la morte dei genitori adottivi la ragazzina viene affidata ad un'altra parente che la conduce a Napoli, qui è sedotta e abbandonata da un giovane servo, e dalla relazione nasce un figlio che l'adolescente abbandona nella «ruota» dell'Annunziata. La traumatica esperienza la avvicina alla fede in modo esasperato e proprio il suo fervore religioso sarà notato da padre Aniello, suo confessore, e dalle persone che la circondano. Comincia a raccontare di avere visioni mistiche, a manifestare un certo carisma, e ben presto per tutti diventa la «Madre». La trasformazione sarà radicale: la donnina analfabeta e di umili origini che le cronache del tempo definiscono di «carnagione bruna», di «poca statura» e di «assai male aspetto», diventa una intrigante e seducente santona che nel volgere di qualche anno farà impazzire allo stesso modo il popolino, l'aristocrazia cittadina e persino i membri della Corte spagnola, compresa la viceregina.

Il segreto del potere di Giulia, per certi versi, rimarrà un mistero, ma di sicuro un notevole peso sul successo della setta debbono averlo avuto le sue assai particolari «pratiche meditative» e di «preghiera». Il vivace terzetto, infatti, aveva elaborato alcune teorie decisamente poco ortodosse ma molto suggestive. Innanzitutto, l'atto sessuale non solo non deve essere considerato come peccato (e in tal modo il voto di castità può tranquillamente essere rimosso) ma anzi sarebbe una «cosa meritoria presso Dio», dunque tale da essere divulgata e promossa. Inoltre il De Vicariis (che in seguito scriverà anche un libro dal titolo «Teoria della vita spirituale»), trasforma quelli che sembrano banali giochi erotici in un percorso mistico di fede, è quella che sarà chiamata «carità carnale». In estrema sintesi: essendo Giulia considerata «santa», l'adorazione del suo corpo e soprattutto «l'accesso alle sue parti intime» potevano sostituire la preghiera e costituivano persino un «atto di carità». Carnale, appunto. Facile immaginare come il successo della congrega diventi rapidamente enorme: un gran numero di adepti, in gran parte illustri nobili e persino molti religiosi, si inginocchiano con regolarità tra le gambe della donna per «santificarsi». Non solo. Nella grande casa che il Reggente del Collaterale mette a disposizione della Madre nel 1611, a Palazzo Suarez, una serie di stanze più meno segrete costituiscono una sorta di percorso iniziatico, il cui accesso ai «figli spirituali» viene regolamentato anche a seconda dell'attività che vi si pratica. Rigida la selezione: tutti i mariti e gli uomini al di sopra dei 25 anni sono esclusi dal gioioso rassemblement con la «Madre» e dirottati in un'altra stanza dedicata esclusivamente alla preghiera (quella classica), mentre i maschi più giovani possono incontrare Giulia e anche le altre devote (di tutte le età) nella «dimora» più esclusiva.

Con o senza le «preghiere carnali», per il popolino come per i nobili Suor Giulia è una santa e le dimensioni della confraternita assumono proporzioni impressionanti: secondo i documenti dell'inchiesta tra i seguaci (e i fiancheggiatori) era possibile trovare quasi tutta la Corte spagnola a Napoli, a cominciare dal vicerè Conte di Lemòs e, soprattutto, della contessa sua moglie, quindi il principe Tiberio Carafa di Stignano (e la consorte), il principe Maida di Casa Loffredo (con moglie e figli), le principesse di San Severo e dello Stiglio di Casa Aquaviva; le contesse di Altavilla; le marchese Corleto di Casa Carafa, ma anche quelle di Anzano, Cusano, Spinnachesa, Laino di Casa Cardinas; le duchesse di Mataluna di Acquaviva, di Monteleone, d'Airola, di Vietro, e decine di altri nobili napoletani e spagnoli. Ed ancora, i cardinali Ginnasio e Borges, tre arcivescovi, due vescovi, 39 padri della Certosa di Napoli, un nutrito gruppo di Carmelitani scalzi, ben 70 tra suore e frati spagnoli, altre 33 suore del convento della Concezione, 19 di quello di Nocera, tutte le 113 monache del monastero di Donna Regina e molti altri. Tra le tante lettere scritte alla Madre anche quella firmata da Federico Borromeo, che nel 1607 la ringrazia di un reliquario e le invia dei ricordi dello zio Carlo (che poi sarà, lui sì, santificato), che scrive: «…io desidero essere raccomandato alle vostre sante orationi, acciò Dio mi dia lume…».

I primi problemi insorgono già nel 1606, quando l'inquisitore locale, il vescovo di Caserta Deodato Gentile, apre un'inchiesta sulla terziaria francescana per i suoi presunti doni di chiaroveggenza e profezia, e anche su padre Arciero. La «Madre» viene così allontanata da Napoli ed inviata a Cerreto Sannita ed in seguito a Nocera. Ma al suo rientro in città, nell''estate del 1611, nonostante lo scandalo sia ormai scoppiato, la fama di santità si è persino accresciuta e i suoi spostamenti sono accolti da centinaia di persone e dal suonare a festa delle campane. La sede della setta è ospitata prima nella casa dell''avvocato Michele Urbano e poi in una villa extra moenia (in località Fonseca). Un trionfo che irrita la «santa viva» Suor Orsola Benincasa, provocandole un afflizione che farà venire il dubbio (alle sue consorelle) che persino i santi son rosi da invidia. I desideri della Benincasa si materializzeranno nelle tonache del suo Ordine religioso, i potenti Teatini di San Paolo Maggiore, che si scaglieranno con ferocia contro l'eresia d'una setta più d'ogni altra diabolica. Gli 007 della basilica di San Paolo Maggiore si mettono all'opera finché non trovano il punto debole del nemico: una figlia spirituale che è di mente semplicissima. Le informazioni estorte con facilità alla giovane aprono un varco agli investigatori teatini che, peraltro, trovano abbassate le difese di Giulia, convinta di aver risolto i suoi problemi con l'Inquisizione. Quando si accorge della trappola la «Madre» corre ai ripari chiedendo l'aiuto della ugualmente potente Compagnia di Gesù. Ma il raffinato complotto stringe le sue spire intorno alla congrega e nemmeno il duro intervento del Conte di Lemos, che minaccia di cacciare i teatini dal Regno, e l'uccisione della suora «pentita» (colpita da un killer vicino alla chiesa del Carmine) riesce ad evitare il peggio.

L'arma segreta è un'accusa più grave di altre: Giulia ha poteri e legami diabolici. Perché, come sarà costretta a confessare, aveva avuto al suo comando un angelo ribello, che le aveva donato un «anello magico». In realtà, come è facile intuire, più che il diavolo nascosto nel monile, ad informare Giulia sui segreti dei suoi «figli spirituali» era l'amico Aniello, che in qualità di confessore poteva assumere informazioni riservate. E quando viene arrestato, l'avvocato De Vicariis ammette di essersi molte volte inginocchiato davanti alle parti impudiche della Madre, baciandole e chiamandole porte aperte del paradiso, come facevano gli altri seguaci. Poco più di un mese dopo, il Nunzio apostolico dà l'ordine di arrestare Suor Giulia. La città reagisce, si rischia il tumulto, e allora i giudici del Sant'Ufficio la fanno condurre a Roma in gran segreto, di notte, sotto scorta. È la fine. La mattina del 12 luglio 1615, nella chiesa romana di Santa Maria alla Minerva, Suor Giulia, padre Aniello e l'avvocato De Vicariis fanno pubblica abiura. Un mese dopo, il 9 agosto, le parole dei tre riecheggeranno nella cattedrale di Napoli. Ecco quelle di Giulia: «…Abiuro, maledico detesto et anatamatizzo le suddette eresie, quali dicono, che gl'atti carnali, anche con pollutione procurata, non sono peccati...». Nessuno dei tre però brucerà sul rogo, finiranno i loro giorni nelle prigioni di Castel Sant'Angelo. Per tutti gli altri, invece, dopo qualche mese sarà emesso un decreto di amnistia. L'unica cosa prevedibile in una vicenda decisamente straordinaria.

Antonio Emanuele Piedimonte
16 agosto 2011
 
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view post Posted on 26/10/2016, 15:27
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L'Inquisizione condanna la suora e la setta della "carità carnale"

caritagiulia1

http://www.termolionline.it/224138/religio...lisana-del-600/

Religione, sesso, eresie e gelosie: la storia di una suora molisana del ‘600

Pubblicato in Cultura e società | [email protected]
26 ottobre, 2016



CAMPOBASSO. Il prof. Fausto Nicolini è stato uno degli studiosi che si è dedicato alla figura di suor Giulia De Marco (Sepino, 1575), una religiosa che impregnò di sé il XVII secolo. Il docente napoletano di Storia della Chiesa ha esercitato nella Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, Città in cui è stato anche Direttore dell’Archivio di Stato negli Anni ’70. Fu da lui che ascoltai, per la prima volta, la vicenda di questa monaca che fece parlare di sé la nobiltà napoletana (e persino il Viceré) per poi finire tra le grìnfie dell’Inquisizione. Su di lei non erano mai venute meno documentate pubblicazioni (Maggi, nel 1655; De Montemayor, nel 1891; Amabile, nel 1892; Spampanato, nel 1926; Benedetto Croce, nel 1953; Sallmann, nel 1984). Sinché, nel 2015, Sebastiano Vassalli le ha dedicato “Io, Partenope“, un romanzo che ha imposto la sua figura anche all’attenzione dei non-addetti ai lavori.

Nel 1615, nella Chiesa della Minerva a Roma, questa terziaria francescana aveva 40 anni quando rese confessione a chi la inquisiva “di aver fatto ridotto di molte persone dell’uno, e l’altro sesso miei devoti, e figli spirituali, quali per non degenerare confusione li facevo dividere in più Congregazioni in alcune stanze secrete della mia casa in un’ora a ciò destinata. Dopo una breve orazione che facevo loro in lode della carità carnale, spenti i lumi li facevo congiungere insieme, e ciò senza scrupolo d’incorrere in peccato, anzi fare atto meritorio ogni volta che si reiterava la copola, stante loro la partecipazione del dono di castità comunicatomi da Dio”. Di origini molisane, la religiosa, da giovane, aveva messo al mondo un bambino che poi dovrà abbandonare. Indossato l’abito francescano, acquistò fama di santità. La Suor Partenope di Sebastiano Vassalli è per l’appunto lei. Un giorno il suo confessore, padre Aniello, le chiese di mostarglisi nuda. Lei cedette, ed andò anche oltre, senza avvertire peccato. Perciò si convinse che l’unione sessuale è solo un atto sacro. La tesi fu condivisa da molti altri adepti, compresi quelli di un certo rango sociale. Un’altra versione, più accomodante, dice: che la fama di Suor Giulia l’aveva resa una “santa vivente”; che “qualcuno” se ne spaventò, propalando calunnie. Soprattutto i Teatini, timorosi che la figura di Giulia potesse porre in ombra la santità della “loro” suor Orsola Benincasa. Ma la De Marco fu veramente una donna che sperimentava l’estasi o fu solo una scostumata? Nel primo caso lo stato in questione, pur coinvolgendo il corpo, resta pur sempre nell’àmbito dell’esperienza spirituale, cosicché la suora molisana avrebbe semplicemente sperimentato un inèdito itinerario femminile verso il sacro. Ma ciò non poteva che essere condannato da una Chiesa che doveva impedire questa “religione di Eva”. Difficile dire quale delle due versioni sia vera; anche perché la prima porterebbe a concludere che la religiosa e padre Aniello stessero tentando di inaugurare una inèdita via proibita dal rigido dualismo cristiano che inserisce gli impulsi sessuali nel regno del Maligno, ritenendoli praticabili solo per procreare.

Suor Giulia De Marco (1574-’75) nacque a Sepino da famiglia povera. Acquistò notorietà a Napoli al punto di essere considerata Santa già in vita. Il suo seguito si accrebbe sino a concretare una piccola congregazione religiosa. Nel 1607 il “S. Offizio” volle verificarne la santità. Dopodiché Padre Aniello fu costretto a rientrare a Roma e la De Marco fu rinchiusa prima in un monastero napoletano, poi in uno di Cerreto S. ed infine a Nocera. Tornò sotto il Vesuvio solo nel 1611. Ma qui i Teatini la accusarono di eresia mentre i Gesuiti, e parte della nobiltà del vicereame, la proteggevano. I due schieramenti arrivarono al punto di organizzare un incontro-scontro tra la Di Marco e la Benincasa nel 1614. Nell’occasione quest’ultima si convinse della natura diabolica delle pratiche mistiche dell’altra, finché intervenne il Nunzio apostolico del Regno che ne organizzò il trasferimento coatto a Roma per sottoporla ad istruttoria quale eretica. Processata e condannata, abiurò nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva. Condannata al carcere a vita, morì prigioniera in Castel Sant’Angelo. La religiosa molisana fu descritta come una ninfomane che si atteggiava a santa solo per assecondare la propria accesa carnalità. I laici che la contornavano furono assimilati ad un lupanare. Pure il citato prof. Nicolini vide in lei solo “spudorata ciarlataneria“, arrivando al punto di giustificarne la condanna a vita alla prigione. I Teatini la definirono in atti “vecchia puttana” (“scortum vetus“). Ma forse l’esasperato rispetto dell’ordine costituito, la misoginia e la sessuofobia impedirono alla Chiesa dell’epoca ogni controllo critico del caso-De Marco che, al contrario, sarebbe dovuto essere studiato con la massima cautela.

Claudio de Luca
 
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