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Omertà, clericalismo e prudenze: il papato di Francesco I, Vescovi che dovrebbero indagare sui propri colleghi e nessuna denuncia alle autorità civili

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view post Posted on 4/7/2022, 09:51

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Vescovi che dovrebbero indagare sui propri colleghi e nessuna denuncia alle autorità civili

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Omertà, clericalismo e prudenze: due analisi del pontificato di papa Francesco
Luca Kocci 03/07/2022, 17:28
Tratto da: Adista Notizie n° 25 del 09/07/2022
41142 ROMA-ADISTA. Entrato ormai nel suo decimo anno, il pontificato di papa Francesco diventa oggetto di analisi complessive che ne guardano retrospettivamente il percorso e ne tentano una lettura articolata e critica, a partire dal nodo del riformismo.

Negli ultimi giorni ne sono uscite due – su media esteri, che evidentemente assumono una maggiore libertà di ricerca rispetto ai grandi e omologati giornali italiani – particolarmente interessanti.

Francesco «prigioniero del clericalismo»

La prima è dello statunitense James Carroll, storico e giornalista (è stato prete dal 1969 al 1974), pubblicata su Politico Magazine e tradotta in italiano da Paola Lazzarini Orrù («Il crepuscolo di papa Francesco», 26 giugno). La tesi centrale è che Bergoglio ha assunto posizioni coraggiose e avanzate sul versante sociale, ma sul fronte ecclesiastico si sta configurando di fatto come un «difensore dello status quo».

«Qualsiasi valutazione di questo pontificato deve partire dallo stupefacente impatto positivo che Bergoglio ha avuto sulla Chiesa e sul mondo intero semplicemente in virtù non solo della sua attraente personalità, ma della sua palpabile bontà», scrive Carroll, che sottolinea come all’inizio «l’evidente carisma del nuovo papa è stato rafforzato da azioni e dichiarazioni che promettevano un pontificato che avrebbe cambiato il mondo». Per certi aspetti così è stato: «Francesco è diventato il fermo campione dei migranti assediati, un sostenitore della tolleranza per i discriminati, un critico del populismo xenofobo, un feroce oppositore del capitalismo del libero mercato che impoverisce legioni di persone, un sostenitore della mitigazione del cambiamento climatico, un difensore della scienza, un critico convinto della guerra».

Ma sicuramente non è riuscito a cambiare a la Chiesa, anche – ma non solo – per le opposizioni dei settori più conservatori della Curia. «Francesco – nota Carroll, con evidente delusione – è stato, ahimè, un difensore dello status quo disfunzionale, non un sostenitore della riforma necessaria e urgente». Gli esempi riguardano soprattutto il nodo del «potere», declinato in particolare attorno a due questioni: il crimine degli abusi sessuali e il clericalismo.

Per quanto riguarda il tema degli abusi e del loro insabbiamento – affrontato nella Vos estis lux mundi –, i «difetti» sono evidenti: le nuove regole «non richiedevano alcuna divulgazione pubblica, non imponevano alcuna denuncia alle autorità civili a meno che la legge civile non lo richiedesse, e non richiedevano alcuna partecipazione dei laici nel giudizio sui crimini di preti e vescovi. Il difetto più evidente (e che protegge i chierici) della Vos estis è che impone l’auto-polizia ecclesiastica: i vescovi che indagano sui loro colleghi vescovi; la denuncia dei crimini dei preti non alle autorità civili, ma agli uffici ecclesiastici da tempo complici; il Vaticano da solo a determinare le punizioni. Chi sa quanti prelati complici sono stati in qualche modo disciplinati da questa politica? A tre anni di distanza, con il periodo di prova di Vos estis terminato il 1 giugno, il Vaticano non ha rivelato nulla sui vescovi indagati, accusati o puniti in base alle sue procedure». Quindi hanno vinto «le regole dell’omertà».

Il fallimento più grande, secondo Carroll, è però sul fronte del clericalismo. «Papa Francesco ha denunciato il clericalismo, la malignità che ingenera, ma non ha fatto nulla per sradicare le sue fonti nel ministero maschile, sessualmente repressivo e nel sistema autoritario di potere ecclesiastico a cui quella cultura clericale è essenziale – si legge nell’analisi di Carroll –. E Francesco non ha fatto nulla per fare i conti con la misoginia che sta alla base dell’insegnamento cattolico su tutto, dal controllo delle nascite alla biologia della riproduzione allo scopo del matrimonio». Si tratta di una «supremazia maschile» che è «moralmente equivalente alla supremazia bianca. Eppure, per i funzionari della Chiesa e per la maggior parte dei cattolici, rimane incontrastata». Una supremazia clericale maschile rafforzata da due decisioni: il niet assoluto all’ordinazione femminile (definito una «porta chiusa») e ai preti sposati, nonostante il Sinodo dell’Amazzonia, a grande maggioranza, avesse chiesto il contrario, ovvero di ammettere al ministero i diaconi sposati come modo per superare la grave carenza di preti della regione. «Francesco – scrive Carroll – ha rifiutato persino di rispondere alla richiesta» e, in questo modo, «ha lasciato intatto il ministero maschile e celibe, e con esso l’anima del clericalismo».

Una contraddizione profonda che diventa una «tragica ironia: ciò di cui il mondo aveva più bisogno da Jorge Mario Bergoglio quando nove anni fa indossò la mitica tonaca bianca non era il suo intervento empatico in questioni secolari, per quanto urgenti, ma il suo fermo sostegno alle riforme all’interno della Chiesa cattolica. Non riuscendo in questo intento, egli rafforza all’interno del cattolicesimo le tendenze e i valori che più osteggia al di fuori di esso. Francesco inveisce contro la disuguaglianza, eppure la disuguaglianza definisce l’essere della Chiesa. È il tribuno dei poveri, ma proteggendo lo status di seconda classe delle donne, sostiene un motore mondiale di povertà».

Colpa delle opposizioni interne, che pure ci sono? Sì, ma non solo. «Le esitazioni del papa – conclude Carroll – sono segni della pressione a cui è stato sottoposto, non solo dai suoi nemici reazionari, ma anche dalla sua stessa vita nel ministero. È prigioniero del clericalismo che denuncia in linea di principio, ma non in pratica. Data la portata del suo rifiuto intenzionale, c’è da chiedersi: quest’uomo è semplicemente un autocrate nel cuore?».

Il nodo è la «sacralizzazione» del prete

Anche per la sociologa francese Danièle Hervieu-Léger (direttrice di studi alla Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi), intervistata da Cyprien Mycinski per Le Monde (28 giugno, traduzione dell’intervista a cura di www.finesettimana.org), quello del «potere» del prete è il nodo del problema, sia per quanto riguarda il crimine degli abusi sia per le mancate riforme della Chiesa.

«La Chiesa cattolica, almeno dal Concilio di Trento (1354-1563) si è costruita sulla sacralizzazione della figura del prete – spiega la sociologa –. Il prete ha uno status distinto dai fedeli, appartiene ad uno stato superiore. Questa separazione dai battezzati comuni coinvolge il corpo del prete, attraverso il celibato, a cui è tenuto a partire dalla riforma gregoriana (1073- 1085) e che fa di lui un essere “a parte”. La funzione sacerdotale, nella Chiesa cattolica, non è quindi fondata innanzitutto sulla capacità di un uomo a rispondere ai bisogni spirituali di una comunità di credenti. Manifesta l’elezione divina del prete, il che lo pone al di sopra della comunità e gli dà un potere gigantesco. Il prete è il mediatore privilegiato, se non unico, della relazione dei fedeli cattolici con il divino: Cristo è presente nei gesti sacramentali posti dal prete. Bisogna comprendere che la sacralizzazione del prete limita considerevolmente la possibilità di opporsi ad un abuso che lui commette. Come ci si può ribellare ad un tale atto, come ci si può percepire come vittima quando l’aggressore rivendica un rapporto con il potere divino? Gli abusi sessuali, in questo contesto, sono quindi sempre anche abusi spirituali e abusi di potere».

Ogni riforma nella Chiesa cattolica sarà allora possibile solo «depurando la relazione tra il fedele e il prete della sua dimensione sacrale. I fedeli hanno certo bisogno di responsabili capaci di organizzare le comunità, ma nessun carattere sacro dovrebbe essere associato alla persona del ministro del culto. Da questo punto di vista, ordinare uomini sposati o dare alle donne accesso al presbiterato non sarebbe solo un progresso: cessare di fare del presbiterato uno stato a parte significherebbe una ridefinizione completa della concezione stessa della responsabilità ministeriale» e consentirebbe alla definizione di «Chiesa come popolo di battezzati» di «prendere realmente corpo».

Perché Francesco non procede spedito sulla via di questa riforma? Perché teme uno «scisma» nella Chiesa cattolica, spiega HervieuLéger, perché «continua ad essere paralizzato all’idea di spaccare la Chiesa cattolica in due». Questo produce un ripiegamento sulla «strategia dei piccoli passi», che per esempio risulta evidente sul ruolo delle donne nella Chiesa: «apre loro l’accesso a responsabilità istituzionali elevate in Curia, ma sa perfettamente che, se desse loro accesso al pieno esercizio di funzioni sacramentali, la Chiesa esploderebbe. Si limita quindi a piccole riforme, ufficializzando per esempio il fatto che possano partecipare alla celebrazione del culto come lettrici o come accolite, o insistendo sul fatto che anche le bambine possano essere chierichette come i maschi. Visto da lontano, questo può sembrare qualcosa di estremamente modesto. In realtà, è più importante di quanto sembri. Significa infatti che le donne possono entrare nel presbiterio, cioè nel luogo più sacro della Chiesa, il luogo della celebrazione eucaristica. Significa quindi che il corpo delle donne non è inadatto al sacro. In una società come la nostra, si potrebbe dire che è una ovvietà, ma alcuni vi vedono una minaccia e vi si oppongono più che possono. Il gesto di Francesco, per quanto limitato, apre una breccia», anche se «il cammino che resta per una uguaglianza effettiva tra uomini e donne nella Chiesa sarà lungo».
 
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