http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_...anto-avvelenataGli interessi della Chiesa nella Taranto avvelenata
A gestire la vertenza Ilva di Taranto si autocandida la chiesa locale, l'unico soggetto che ha sempre coltivato ottimi rapporti con l'industria e gli operai.
Giuseppe Ancona
martedì 31 luglio 2012 20:20
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Sono quasi cinquant'anni che a Taranto esiste il quarto centro siderurgico nazionale, nato verso la fine degli anni 60 a ridosso della città al posto di ulivi secolari, masserie, pascoli e macchia mediterranea occupando un'estensione pari al doppio di quella della città. Inizialmente di proprietà statale (Italsider) l'industria è passata in mano privata dal 1995 (Ilva s.p.a.) con l'industriale genovese Emilio Riva.
Oltre dodicimila sono attualmente i dipendenti, più qualche migliaio nell'indotto. Prima di arrivare al sequestro penale degli impianti e agli arresti domiciliari per i vertici dell'azienda, con accuse che vanno da disastro colposo ad avvelenamento e diversi reati ambientali, ci sono voluti anni di denunce da parte degli ambientalisti e allarmi statistici forniti da medici e operatori sanitari, tutti però inascoltati dai poteri forti della città, partiti e chiesa locale inclusi.
Ora interviene la procura che con perizie e indagini protrattesi per anni, accusa l'industria siderurgica tarantina di emettere veleni e di aver cagionato - solo negli anni di osservazione dal 1998 al 2010 - 386 decessi (30 per anno), pari all'1.4% della mortalità totale, e inoltre 237 casi di tumore maligno (18 casi per anno), 247 eventi coronarici (19 per anno), 937 ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie (74 per anno), in gran parte nella popolazione di età pediatrica.
Sempre che non si arrivi da un momento all'altro ad una soluzione alternativa, politica o giudiziaria o dettata dalla "ragione di Stato", i custodi nominati dal Tribunale dovranno quindi procedere all'arresto del ciclo di produzione a caldo attraverso complicate procedure che potrebbero durare mesi.
In questi giorni il problema occupazionale e ambientale è ovviamente al centro del dibattito tra i partiti, le istituzioni, i lavoratori a rischio di perdita del posto, l'opinione pubblica e infine, non ultima, la chiesa tarantina.
Si discute se l'Ilva dovrà essere ridimensionata o addirittura chiusa. Ci si interroga sul futuro dei dodicimila dipendenti e con quali soldi si dovrà bonificare o riqualificare l'area.
La comunità cittadina sembra a un passo dalla spaccatura e dallo scontro urbano nelle strade, tra chi vuole il lavoro e chi vuole la salute. E chi invece cerca una soluzione che salvi tutto, ma che nessuno sa quale possa essere.
In questo conflitto chi riesce abilmente a porsi in equilibrio tra le opposte ragioni è la curia tarantina. L'arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, sulla strada del ritorno per l'emergenza da un soggiorno in Brasile, entra nella disputa pronunciando parole come "cautela", "attenzione al lavoro e alla salute", "siano tutti responsabili: politici, magistrati, industriali e media". Insomma, una parola per tutti, pacata ma autorevole, come si addice a un arcivescovo.
E dopo aver prontamente incassato la citazione e benedizione della città fatta dal papa durante l'Angelus, giunta ancor prima dell'appello a "scelte responsabili" fatto del presidente della Repubblica Napolitano, l'arcivescovo annuncia da parte sua "veglie notturne e sostegno spirituale ai tarantini"; ma c'è da stare certi che ben altro sarà il suo ruolo nella partita appena aperta.
Infatti quella dell'arcivescovo si presenta come una vera e propria autocandidatura a mediatore - apparentemente super partes - resa credibile e possibile dal fatto che nel corso degli anni, nell'indifferenza o incapacità di altre istituzioni o soggetti, la chiesa locale è riuscita effettivamente a porsi come valido interlocutore sia dei lavoratori che dell'industria.
E c'è da credere che realmente ora farà di tutto per far prevalere le ragioni e gli interessi di entrambi i soggetti, che ora coincidono nella sopravvivenza a ogni costo del colosso siderurgico, l'unico modo per salvaguardare da un lato i capitali investiti e i futuri profitti e dall'altro i posti di lavoro.
Il rapporto privilegiato tra potere industriale e potere ecclesiastico tarantino risale alla nascita stessa del colosso industriale e trova la sua consacrazione solenne in un evento ancora ricordato in città: la messa celebrata da papa Paolo VI, nella notte di Natale del 1968, tra gli operai nei capannoni del nuovo stabilimento.
Da allora le reciproche attenzioni tra industria e chiesa si sono consolidate, passando dalle elargizioni del centro siderurgico a favore delle parrocchie, specie quelle radicate nei quartieri operai, fino alla disponibilità della dirigenza alle segnalazioni che arrivavano dalle parrocchie stesse ai tempi delle assunzioni di nuovi dipendenti; non si deve poi tralasciare la concomitante opera di radicamento della chiesa nel tessuto sociale dei quartieri operai, sempre attraverso le proprie parrocchie, che ha impedito, di fatto, la affermazione di altre organizzazioni sia politiche che sindacali, potenzialmente in conflitto con gli interessi dell'Industria.
Il controllo ecclesiastico sul territorio sin dagli anni 80 ha quindi di fatto condotto alla situazione attuale in cui nei quartieri a maggior densità operaia le uniche istituzioni attive sono quelle che fanno capo alla chiesa come oratori, parrocchie, centri Caritas, circoli culturali e ricreativi.
E di questa presenza amica e fidata il colosso industriale non può che essere felice. Non a caso il cappellano interno allo stabilimento Ilva è stato per anni anche parroco di una delle due chiese di Tamburi, il principale quartiere operaio.
Chi altri, quindi, potrebbe ora far valere il proprio peso in un ipotetico tavolo delle trattative con le istituzioni, il governo nazionale o la procura quale portavoce dei cittadini operai, se non la chiesa tarantina? Di certo non i sindacati o altre associazioni.
E chi, nello stesso tempo può vantare consolidati ed eccellenti rapporti con l'industria? Sempre la chiesa, di certo non la politica o i media, troppo spesso assenti e poco affidabili.
I giocatori quindi sono scesi in campo, e tra questi la chiesa tarantina, che oltre a rivestire due ruoli, vorrebbe fare anche da arbitro.
Giuseppe Ancona