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Hanno ucciso John Lennon Cronaca dell’8 dicembre 1980

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Alessandro Baoli
view post Posted on 9/12/2010, 11:47




http://www.unita.it/culture/hanno-ucciso-j...e-1980-1.259096

Hanno ucciso John Lennon Cronaca dell’8 dicembre 1980

di Roberto Brunelli | tutti gli articoli dell'autore John Lennon, questo lo sanno tutti, è morto oggi (ieri, ndr). La cosa straordinaria è che l’hanno ammazzato all’apice della propria resurrezione, come pare capiti spesso alle figure che attraversano la storia già stracarichi di simboli. Era New York, Central Park, ed era l’8 dicembre 1980 quando una guardia giurata che viveva alle Hawaii, Mark David Chapman, si appostò davanti all’entrata del Dakota Building - casa Lennon - prima per farsi autografare l’ultimo disco dell’uomo che aveva scritto Imagine, poi per sparargli, circa quattro ore dopo. Erano le 22.50.

Chapman sibilò: «Ehi, mister Lennon, sta per entrare nella storia!». Cinque colpi di pistola, uno di questi attraversò l’aorta, a quel signore con gli occhiali che aveva cambiato, insieme ai Beatles, l’immaginario e la musica di un secolo. John fece ancora un passo o due e mormorò: «Mi hanno sparato». Trasportato dai due poliziotti sulla loro macchina al Roosevelt Hospital, fu dichiarato morto alle 23.09. Il giornalista Alan Weiss era casualmente sul posto. Racconta: «La radio dell’ospedale comiciò a suonare All My Loving. Quando la canzone terminò si sentì qualcuno gridare: era Yoko Ono». John già non c’era più.

Che strano anno, il 1980. Era tornato ad essere un anno in bianconero, dopo almeno due decadi a colori, l’Inghilterra era tinta di scuro, l’America era depressa. Avevano eletto Reagan, impazzava la disco music, le utopie si erano sbiadite. Eppure per John fu un anno felice. Era dal 1975 che non scriveva una nota di musica perché aveva deciso di fare il papà a tempo pieno, a parte qualche piccolo nastro registrato in casa. Poi, improvvisamente, qualcosa cambiò. L’ha raccontato lui stesso. «Ero alle Bermuda a fare un bagno in mare insieme a mio figlio Sean. Di colpo, mentre ero lì in acqua hanno cominciato a venirmi in mente delle melodie».

Probabilmente non è un caso, ma sicuramente è una beffa del destino che una di quelle canzoni dal sen fuggito fosse Just Like Starting Over. «È come se entrambi ci innamorassimo di nuovo / sarà come ricominciare di nuovo». Come ricomincare daccapo. È proprio quello che stava facendo Lennon. Si era lasciato alle spalle, dieci anni prima, i Beatles, poi la lotta impari con il governo americano e con l’Fbi, che per molti anni l’aveva perseguitato - gli avevano negato il passaporto, l’avevano espulso e poi riammesso, circolavano dispacci sulla sua pericolosità da sovversivo comunista o giù di lì - si era lasciato alle spalle un bel po’ di musica, pacifismo, lotte d’amore con Yoko Ono ed un’infinità di speculazioni sulle proprie idee, sul suo impegno politico, sulla possibilità - sempre vagheggiata - di una reunion dei Beatles, sul perché conducesse una vita da recluso di lusso.

L’ORACOLO AFRICANO
D’improvviso, la voglia di ricominciare. Dopo la vacanze alle Bermude (dove, si narra, lui andò per dar retta ad un oracolo africano e dove, peraltro, sopravvisse ad uno spaventoso uragano), nelle sue vene fluivano copiose canzoni piene di malìa beatlesiana, ma senza un grammo di nostalgia: non potresti mai scambiarle per canzoni degli anni sessanta. Roba come Woman, I’m Losing You e Watching the Wheels, oltre alla già citata Just Like Starting Over: oggi sono dei classici. Insieme ai pezzi che aveva composto Yoko, c’era abbastanza materiale per due album. Il primo fu Double Fantasy, uscito nemmeno tre settimane prima delle pistolettate di un «nowhere man» davanti al Dakota. Il secondo avrebbe dovuto essere Milk & Honey.

Yoko si era messa in contatto con il produttore Jack Douglas, a cui furono fatti ascoltare i demo che si erano iniziati a preparare alle Bermuda. L’idea era di realizzare un album in cui le canzoni di John e Yoko si parlassero l’una all’altra. La casa discografica prescelta per realizzare il disco fu la Geffen, appena fondata: anche quello era un segno di rottura, dopo quasi due decadi passate alla Emi, prima con i Beatles e poi da solista. Tra i musicisti furono reclutati Earl Slick alle chitarre, un’immensa sezione fiati, il batterista Andy Newman e il grande Tony Levin al basso, il virtuoso poi entrato nella storia nella penultima incarnazione dei King Crimson e come fedelissimo bassista di Peter Gabriel.

«John venne da me il primo giorno e disse: non ti conosco, ma mi dicono che sei bravo. Solo, non suonare troppe note. Io gli risposi: non ti preoccupare, hai l’uomo giusto». Praticamente, Lennon era stato per mesi in sala di registrazione, proprio come ai tempi dei Beatles. Voleva riconquistare un suono diretto, come quello dei Fab Four degli esordi. Si parlava insistentemente di organizzare un tour mondiale. Quel giorno, l’8 dicembre, John aveva lavorato ad una delle canzoni di Milk & Honey , ossia Walking on Thin Ice. « L’ultima volta che vidi John aveva quel suo incredibile sorriso sulla faccia», racconterà Jack Douglas. «Era elettrizzato, e lo era anche Yoko, perché noi tutti sapevamo di aver fatto un buon lavoro sulla canzone. Lo accompagnai fino all’ascensore e lo salutai augurandogli la buonanotte. Circa 40 minuti dopo la mia ragazza mi raggiunse allo studio, pallidissima. L’hanno appena detto alla radio, disse. Hanno sparato a John». Mark David Chapman, il pazzo, era rimasto sulla scena del crimine. Aveva tirato fuori la copia del Giovane Holden che teneva con sé e si era messo a leggere. Non c’era bisogno di agitarsi. La storia si era già spezzata in due. 8 dicembre 2010




http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/08...-e-morto/80729/

Il ricordo di Carlo Verdone:
“Leone mi disse: Lennon è morto”

Il regista romano: "Quel gesto spazzò via ciò che restava dei nostri ideali. Era come se avesse preso fuoco il mio scaffale di dischi e qualcuno mi avesse strappato dal cuore le emozioni più intime"
Quell’otto dicembre del 1980 ero a Cinecittà, felice di aver terminato l’ultimo turno di doppiaggio di Bianco, Rosso e Verdone. Stavo andando al bar quando incrocio Sergio Leone, venuto a controllare il lavoro appena terminato, che mi guarda con un viso strano: “L’hai saputo?”, mi dice con un tono baritonale. “Che devo sapere?”, ribatto già preparandomi a una non buona notizia. “Me sa’ che hai perso n’idolo …”. “Cioè?”. “Hanno sparato a John Lennon. E’ morto. L’ha detto la radio …”.

Ricordo che mi prese un accidente e rimasi immobile, pietrificato. “ Dicono che è stato un pazzo … “. Confuso e demolito nell’anima, andai ugualmente verso il bar ma a metà del vialetto mi fermai e mi misi a sedere sulle scale di marmo dell’edificio della sala mix. Ricordo che scorreva nella mia mente il film della mia adolescenza, dei miei vent’anni, i più belli del mondo. Ero ed eravamo felici perché gli anni 60 e 70, tra mille contraddizioni, avevano degli ideali. E gli ideali portano passioni, creatività, ispirazioni. Portano bei film, bei libri e bella musica. John Lennon era quello che amavo di più per tanti motivi: era l’anima sperimentale dei Beatles, era l’intellettuale, era la voce di una grande personalità sempre giovane, pronta a reinventare e reinventarsi. L’ispirazione creativa azzardata e geniale che stupiva sempre. Per più di un anno non volli più ascoltare nulla di lui e dei Beatles. I dolori veri ti rendono muto e insofferente ai ricordi atroci. Perché l’uomo più pacifico del mondo musicale, l’uomo che aveva scritto il più bell’inno all’amore della storia del rock, “Imagine”, doveva ricevere un proiettile e finire per terra nel sangue come un miserabile? Quel gesto aveva spazzato via, in un secondo, quegli ultimi frammenti di ideali che ci avevano accompagnato per quasi vent’anni. Era come se avesse preso fuoco il mio scaffale di dischi e qualcuno mi avesse strappato dal cuore le emozioni più intime. Avevo visto dal vivo i Beatles e conoscevo a memoria anche i film sperimentali che lui e Yoko Ono ,donna geniale ed amorevole (a torto considerata l’anima disgregatrice dei quattro) avevano realizzato negli anni 70.

Per un uomo che amava stupire e stupirsi, era evidente che non poteva non avvicinarsi ad un’artista che sul piano dell’ arte figurativa rappresentava uno stimolo enorme per Lennon, attratto sempre dal rinnovamento, spesso provocatorio. Ai tanti detrattori superficiali dell’artista giapponese bisognerebbe ricordare che “Jealous Guy”, “Imagine”, “Working Class Hero” furono scritte durante la loro relazione. Tre veri gioielli della sua fantastica creatività. La scorsa estate ho trascorso, insieme a mio figlio, un piacevole pomeriggio con Yoko Ono, grazie ad una nostra amica comune, Stefania Miscetti. Abbiamo parlato del suo lavoro (visto che acquistai un bel quadro che lei dedicò alla memoria di John e che a sua volta, dietro la tela, dedicò a me) e anche di Lennon e del loro “Double Fantasy”. Un gradevole pomeriggio che ,con nostalgia e un pizzico di emozione, ha fatto apparire davanti a me, per alcuni minuti, l’ombra colorata di quel grande artista, unico e immortale.

Di Carlo Verdone

Da Il Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2010

 
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64mmore
view post Posted on 4/10/2013, 21:15




da wikipedia


Mark David Chapman

Prima dell'omicidio di Lennon, Chapman, di nazionalità statunitense, era guardia giurata a Honolulu (Hawaii). Aveva trascorsi piuttosto movimentati; era stato tossicodipendente ed era stato ricoverato in una struttura ospedaliera per malati di mente. Dichiarò di essere stato fortemente influenzato dal romanzo di Salinger Il giovane Holden, al punto di decidere di seguire il modello antisociale rappresentato dal protagonista Holden Caulfield.
Per anni fu un fan dei Beatles, e di Lennon in particolare. Nella sua ossessione, arrivò al punto di sposare una donna americana di origine giapponese che gli ricordava Yoko Ono. Col tempo si convinse che Lennon aveva tradito gli ideali della sua generazione e si sentì investito della missione di punirlo.
L'omicidio di John Lennon

L'ingresso del palazzo The Dakota.

Il luogo dell'omicidio

L'8 dicembre 1980, Chapman si appostò davanti all'entrata della residenza di Lennon, il palazzo The Dakota in Central Park a Manhattan (New York City). Quando il musicista uscì di casa, Chapman gli strinse la mano e si fece firmare un autografo sulla copertina di Double Fantasy, ultimo album di Lennon. Ad assistere alla scena vi era il fotografo Paul Goresh, che immortalò la scena in una celebre fotografia che ritrae l'assassino insieme alla sua futura vittima.[1] Chapman rimase in attesa sul posto per altre quattro ore. Alle 22.50, vedendo Lennon rientrare insieme alla moglie Yoko Ono, Chapman lo chiamò, rivolgendosi a lui con un «Ehi, Mr. Lennon!», quindi gli esplose contro cinque colpi di pistola. Quattro dei proiettili colpirono Lennon e uno di questi trapassò l'aorta; Lennon ebbe appena il tempo di fare ancora qualche passo mormorando «I was shot...» [Mi hanno sparato] prima di cadere al suolo perdendo i sensi. Trasportato d'urgenza al Roosevelt Hospital, John Lennon fu dichiarato morto alle 23.07.
Al momento dell'omicidio, Chapman aveva con sé una copia de Il giovane Holden. Dopo aver sparato, rimase impassibile sulla scena del crimine, tirò fuori la sua copia del libro e si mise a leggere fino all'arrivo della polizia. Il custode del Dakota Building, Mr. Perdomo, gridò a Chapman: «Lo sai che cosa hai fatto?», al che Chapman rispose con lucida freddezza: «Sì, ho appena sparato a John Lennon». I primi poliziotti ad arrivare furono Steve Spiro e Peter Cullen, di pattuglia sulla 72ª Strada e a Broadway, che avevano appreso la notizia secondo cui un uomo era stato ferito da colpi d'arma da fuoco nei pressi del Dakota. Gli agenti accorsi sul luogo del delitto si accorsero subito che le ferite riportate da Lennon erano molto serie; non potendo aspettare l'arrivo dell'ambulanza, decisero di caricare il corpo di Lennon nell'auto di servizio per condurlo al vicino ospedale Roosevelt Hospital. Chapman fu arrestato senza opporre resistenza. Tre ore dopo il suo arresto, Chapman affermò: «Sono sicuro che una grossa parte di me sia Holden Caulfield, il resto di me deve essere il diavolo».[2]
Chapman in seguito dichiarò di essersi già recato a New York un'altra volta, in passato, con l'obiettivo di uccidere Lennon, ma di non esservi riuscito. Dichiarò anche che le sue azioni avevano lo scopo di ottenere attenzione. Fu accusato di omicidio di secondo grado (secondo la legge statunitense) e, dichiaratosi colpevole, fu condannato alla reclusione da un minimo di 20 anni al massimo dell'ergastolo (quindi meno della possibile pena massima applicabile, che era del minimo di 25 anni). Nel 2000, scontato il minimo della pena, si è visto rifiutare la richiesta di scarcerazione sulla parola. Dopo 30 anni trascorsi nel carcere di Attica (a favore dei detenuti del quale, per ironia della sorte, John Lennon aveva cantato in un brano di Some Time in New York City, Attica State), nel 2012 Chapman è stato trasferito in quello di Wende, sempre nello Stato di New York, senza che fosse fornita una motivazione specifica che spiegasse il trasferimento.[3] Chapman si dichiara un fervente cristiano, e una associazione religiosa ha chiesto la sua scarcerazione[senza fonte]. Yoko Ono e numerosi fans di Lennon, al contrario, hanno chiesto che non venga mai scarcerato. Il 23 agosto 2012, per la settima volta, la commissione giudicante dello stato di New York ha negato a Chapman la libertà condizionata.

Motivazioni e malattia mentale

Chapman, fervente cristiano, non poteva tollerare l'affermazione fatta da Lennon nella sua canzone God secondo la quale «Dio è solo un concetto col quale misuriamo il nostro dolore», o quella inserita in Imagine, dove lo stesso John affermava di sperare in un futuro dove non esistessero più religioni a dividere il mondo. Inoltre, non sopportava il fatto che Lennon predicasse nel testo del brano l'abolizione della proprietà privata («Imagine no possessions...») quando lo stesso Lennon era un ricchissimo milionario. Chapman raccontò di aver ascoltato l'album John Lennon/Plastic Ono Band nelle settimane antecedenti l'omicidio e di aver pensato:
« Ascoltavo quella musica e diventavo sempre più furioso verso di lui, perché diceva che non credeva in Dio... e che non credeva nei Beatles. Questa era un'altra cosa che mi mandava in bestia, anche se il disco risaliva a dieci anni prima. Volevo proprio urlargli in faccia chi diavolo si credesse di essere, dicendo quelle cose su Dio, sul paradiso e sui Beatles! Dire che non crede in Gesù e cose del genere. A quel punto la mia mente fu accecata totalmente dalla rabbia.[5] »
Dopo l'omicidio, Chapman fu esaminato da dozzine di psichiatri. L'uomo descrisse la rabbia repressa che covava nei confronti di suo padre, accusato di picchiare sua madre. Parlò della sua identificazione con Holden Caulfield e con la Dorothy de Il Mago di Oz, e dei suoi discorsi immaginari con il "piccolo popolo", un gruppo di ometti con cui interagiva nella sua mente. Chapman riferì al giornalista Jack Jones che quando disse alla sua "piccola gente" che era intenzionato a recarsi a New York per uccidere John Lennon, loro lo pregarono di non farlo, dicendogli: «Per favore, pensi a sua moglie. Per favore, Signor Presidente. Pensi a sua madre. Pensi a se stesso». Chapman disse loro che la sua mente era in fermento, e in risposta la reazione del piccolo popolo fu il silenzio
.[5]
 
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1 replies since 9/12/2010, 11:40   355 views
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