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La bufala del diritto all'oblìo. Google condannato a oscurare ricerche, Ma quasi sempre l'effetto è opposto: rilanciare l'attenzione su crimini e misfatti

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GalileoGalilei
view post Posted on 14/10/2014, 06:41 by: GalileoGalilei
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Diritto all’oblio, Italia ultima per le richieste a Google
Solo 11.512 richieste di rimozione, quasi un terzo della Francia. In totale dal 29 maggio scorso l’azienda di Mountain View ha ricevuto oltre 146 mila richieste di rimozione in Europa

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13/10/2014
ASCA
La vittima, che a decenni di distanza, chiede ed ottiene da Google di rimuovere dalle ricerche fatte con il suo nome i link alle pagine internet che parlano del reato subito. Oppure una donna che, sempre in Italia, chiede di rimuovere i collegamenti alle pagine sull’omicidio del marito, anche in questo caso accaduto decenni or sono. O in Belgio, una persona che ha chiesto di eliminare un link a un articolo relativo a un concorso a cui ha partecipato da minorenne: “la pagina è stata rimossa dai risultati di ricerca relativi al suo nome”. Tutti casi di vita vissuta del “diritto all’oblio” su Google, stabilito da una sentenza della Corte di Giustizia europea lo scorso maggio.

Il gigante internet ha deciso di affrontare la questione con una comunicazione trasparente, e che consente agli utenti anche di farsi un’idea più precisa di cosa significhi in concreto attuare questa sentenza. E così con casi concreti i dati statistici e gli aggregati generali, dai quali emerge che apparentemente gli italiani sono i meno solerti, tra i grandi Paesi dell’Unione europea, a sollecitare Google a rimuovere link a pagine internet. Solo 11.512 richieste di rimozione, con cui la Penisola si piazza ultima tra le big dell’Europa avanzata dietro a Spagna 13.478 richieste, Gran Bretagna 18.597, Germania 25.272 casi e, prima assoluta, la Francia e i suoi 29.250 casi di richieste di rimozione. In totale dal 29 maggio scorso Google ha ricevuto oltre 146 mila richieste di rimozione di link in Europa. Ma non tutte le richieste vengono soddisfatte, precisano da Google che ci tiene anche in questo caso a dare esempi concreti che facciano capire all’opinione pubblica quali solo le situazioni in cui ritiene di non procedere.

Come per un finanziere in Svizzera che ha chiesto di rimuovere i collegamenti a pagine che parlavano del suo arresto e della sua condanna per reati finanziari: “Non abbiamo rimosso le pagine”, rivendicano da Mountain View. Stessa sorte in Gran Bretagna su “un ex sacerdote” che chiedeva la “rimozione di due link ad articoli relativi a un’indagine per accuse di abusi sessuali. Non abbiamo rimosso le pagine dai risultati di ricerca”. Infine ci sono i casi di soddisfazione parziale delle richieste. Sempre in Gran Bretagna “un medico ci ha chiesto di rimuovere più di 50 link ad articoli di giornale relativi a una procedura svolta male. Dai risultati relativi al suo nome sono state rimosse tre pagine contenenti informazioni personali sul medico ma in cui non veniva menzionata la procedura. Gli altri link - conclude Google - sull’incidente rimangono nei risultati di ricerca”.

O ancora, tornando all’Italia “abbiamo ricevuto da una persona diverse richieste di rimozione di 20 link ad articoli recenti sul suo arresto per reati finanziari - riferiscono da Google - commessi in ambito professionale. Non abbiamo rimosso le pagine dai risultati di ricerca”. Va sottolineato che questi link esistono ancora nelle ricerche fatte su Google, con i relativi nomi, perché il gigante internet ha valutato e deciso di non soddisfare le richieste di rimozione degli interessati. Il tutto fa risaltare quel problema di “molta vaghezza” della sentenza della Corte di Giustizia Ue, già lamentato dal numero uno degli Affari legali, David Drummond, lo scorso luglio. I link vanno tolti ove risultino “inadeguati, irrilevanti, non più rilevanti o eccessivi”, ma tenendo anche conto dell’interesse pubblico.

Il tutto è “ovviamente passibile di interpretazioni soggettive”, aveva osservato Drummond. Prendere una decisione in molti casi risulta difficile e complesso. Possono esserci conflitti tra il diritto alla privacy del singolo e quelli all’informazione della collettività. Peggio ancora. Se Google decide di non rimuovere un link, il richiedente può “fare ricorso” rivolgendosi al garante della privacy. Ma se all’opposto rimuove un link nessuno può fare alcunché, a causa della sentenza della Corte Ue che forse su questa ipotesi ha finito per creare il rischio di situazioni non volute. Infine c’è anche il non trascurabile aspetto logistico della vicenda: è escluso che Google possa demandare la selezione delle richieste da soddisfare ai suoi logaritmi: ci vogliono teste pensanti con i relativi costi. E così il gruppo ha deciso di reclutare una squadra di esperti.
 
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