Laici Libertari Anticlericali Forum

L'estinzione dei sacrestani: "Basta lavorare a nero"., Lo stipendio sarebbe 22.000 € l'anno, ma quasi nessuno è a contratto.

« Older   Newer »
  Share  
GalileoGalilei
view post Posted on 15/9/2008, 09:05 by: GalileoGalilei
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
21,940

Status:


Lo stipendio sarebbe 22.000 € l'anno, ma quasi nessuno è a contratto.


il-sacrestano-Torino-20091

http://espresso.repubblica.it/dettaglio-lo...lontari/2036815



Consulta il giornale onlineE le campane? Ci pensano sistemi elettronici
Sagrestano, costi troppo. Ora alle chiese pensano i volontari
Gabriele De Stefani
Che cosa accomuna il sagrestano al ciabattino, all’ombrellaio, all’arrotino con carretto o all’aggiustapiatti? La pratica di una professione pressoché scomparsa. Perché i sagrestani hanno iniziato a diminuire una trentina di anni fa e il trend non si è mai invertito. Ora ne restano pochissimi, concentrati nelle Chiese più grandi e dunque più bisognose di cure quotidiane. A Mantova i superstiti sono solo due, impiegati in Duomo e Sant’Andrea.

Tutte le altre parrocchie devono arrangiarsi per sbrigare i lavori che un tempo erano affidati al sagrestano: custodire, pulire e riordinare la Chiesa, suonare le campane e allestire i paramenti sacri per le celebrazioni. Ma perché si è rinunciato alla figura del sagrestano? Il motivo principale è di carattere economico. Si tratta a tutti gli effetti di un professionista, al quale bisogna corrispondere quattordici mensilità con annessi contributi previdenziali: l’esborso complessivo si aggira attorno ai ventimila euro annui. Tanti. O meglio: troppi, se non per le parrocchie più grandi. Così si sceglie la via del volontariato.

I sacerdoti si affidano ai loro parrocchiani disposti a prestare servizio gratuitamente per la loro Chiesa. Con qualche signora per le pulizie e qualche pensionato per i lavori di manutenzione e per la custodia il problema è in buona parte risolto.

Forse ad essere più difficilmente sostituibile è la funzione di trait d’union dei sagrestani di una volta: quasi tutti i problemi, per arrivare dalla gente al sacerdote, passavano prima attraverso la figura del sagrestano. Un punto di riferimento sempre presente e in grado di filtrare le richieste della comunità, tenendo per sé quello che era profano e facendo arrivare al parroco quel che riguardava le alte sfere.

Non è un caso che la Conferenza episcopale italiana indichi nella capacità relazionale e nella versatilità le due qualità da privilegiare nella scelta del sagrestano. E alcuni preti ci dicono che è molto difficile trovare persone adatte al ruolo, perché servono particolari doti di disponibilità, onestà, educazione e delicatezza. Ora che il sagrestano è quasi del tutto scomparso, il sacerdote può trovarsi in un certo senso più solo e diventa ancor di più l’unico ‘padrone’ della Chiesa. Per questo finisce inevitabilmente per scegliere di sostituire al sagrestano un gruppo di volontari.

«Le parrocchie sono molto cambiate negli anni ed aver sostituito i sagrestani con dei volontari ne è il segno: si cerca di coinvolgere la comunità nella gestione degli spazi parrocchiali», spiega don Giovanni Gobbi, ex parroco di Santa Maria della Carità e attualmente decano di Ognissanti. Insomma si fa di necessità virtù: in assenza del denaro per permettersi il sagrestano, si coinvolgono i fedeli. Si cementa la comunità lavorando insieme, in una Chiesa di popolo alimentata dal basso. Magari si potrebbe estendere il modello anche ad altri settori della vita della Chiesa.

Esplicita il concetto don Franco Bianchi, parroco di San Giuseppe: «E’ meglio faticare per riuscire a svolgere tutti i lavori ma avere a che fare con persone ricche di fede, motivazioni e dedizione piuttosto che affidarsi ad un dipendente meramente stipendiato». Don Bianchi forse esagera un po’, ma vuole aggiungere che «questi parrocchiani servono la Chiesa di Gesù meglio di noi sacerdoti». C’è poi chi è riuscito a spingersi oltre.

E’ il caso di don Walter Mariani, ruspante parroco di San Leonardo: «Sono qui da trentadue anni e non ho mai avuto il sagrestano - racconta -. E dico che è stata una fortuna: ho risparmiato soldi e ho trovato un sano impegno per i ragazzi della nostra comunità». Attigua alla parrocchia di San Leonardo si trova infatti l’omonima comunità terapeutica per il recupero dalla tossicodipendenza. Don Walter ne fa lavorare gli ospiti in Chiesa. Sono loro ad occuparsi di pulizia e manutenzione. Insomma qui si va ben oltre il coinvolgimento dei fedeli nella gestione della parrocchia. Si sfrutta la mancanza del dipendente per ampliare l’intervento in favore dei bisognosi: da due (ben diverse) povertà si ricava una ricchezza.

In generale le varie parrocchie della città riescono a dotarsi di una sorta di staff di volontari più o meno fissi. Si crea una vera e propria gestione collegiale degli spazi della Chiesa e dell’oratorio. In ognuna di esse si trovano almeno una o due persone che prestano servizio regolarmente da oltre dieci anni. Qualche esempio? Don Luigi Grossi è il parroco di San Barnaba da 25 anni e ci racconta che Rina Manfredini è la vera responsabile della gestione della Chiesa già da prima del suo arrivo: «Sono almeno trent’anni che Rina si occupa di San Barnaba e a 90 anni compiuti è ancora decisa a proseguire nel suo lavoro». In San Giuseppe c’è un nucleo di una quindicina di volontari: da anni hanno nel venerdì mattina il momento del ritrovo settimanale per le pulizie della Chiesa, sotto la guida di Maria Grazia Rosi e Giuliana Boccaletti. In Ognissanti il fulcro è in una coppia di signore. Anche queste ad alta fedeltà: una è attiva da oltre dieci anni, l’altra dice di esserlo da sempre.

Incuriosisce che la netta maggioranza dei volontari delle Chiese sia di sesso femminile. Tutte perpetue vecchio stampo? Altroché: nient’affatto preoccupate di lavare e stirare gli abiti del sacerdote, le signore con cui abbiamo parlato svolgono tutti i compiti che una volta erano del sagrestano. Il contributo maschile sembra necessario solamente per i piccoli lavori di riparazione, quando è meglio rivolgersi ad un gratuito volontario piuttosto che ad un artigiano magari non a buon mercato.

Poi un tempo bisognava suonare le campane e chi abbia provato a cimentarvisi conosce la gravosità dell’impegno. Ora nemmeno per questo serve la forza bruta e le donne possono fare da sole: ormai tutte le Chiese hanno meccanismi elettronici che si attivano automaticamente o che al massimo richiedono che si prema un pulsante. Addirittura in San Pio X le campane sono state tolte. Insomma il mestiere del sagrestano è quasi completamente scomparso. Ma al riguardo resta in vita - per chi continuerà a svolgere la professione - un profilo giuridico davvero curioso. E’ il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei sacristi. Viene firmato dalla Federazione nazionale del clero italiano e dalla Federazione italiana unioni diocesane degli addetti al culto e sacristi (Fiudacs, con sede a Bergamo).

In esso sono contenute tutte le disposizioni sul rapporto di lavoro tra parrocchia e sagrestano: orari, retribuzione, funzioni, ferie, licenziamento. Per usare un eufemismo, potremmo dire che le trattative per il rinnovo annuale sono molto più agevoli rispetto alle altre categorie di professionisti. Ecco infatti come recita in proposito il contratto: «Esso si intenderà tacitamente rinnovato di anno in anno, salvo disdetta di una delle parti contraenti inviata mediante raccomandata con avviso di ricevimento almeno tre mesi prima della scadenza».

Insomma non servono riunioni fiume tra le controparti né scioperi selvaggi per arrivare all’accordo. Ma nulla è lasciato al caso. Si prevede una retribuzione di 1050 euro netti al mese per quattordici mensilità; le giornate di ferie sono indicate con estrema precisione (e curiosamente alcune di esse coincidono con festività religiose, come l’Epifania); l’orario di lavoro prevede 45 ore settimanali spalmate su sei giorni. Inoltre, per prassi, ai sagrestani con famiglia viene concesso di stabilirsi gratuitamente in locali di proprietà della parrocchia (il contratto viene stipulato appunto con la parrocchia e non con la Diocesi). C’è anche la possibilità di assentarsi dal lavoro per dieci giorni all’anno per partecipare a ritiri spirituali o corsi di aggiornamento liturgico o professionale.

E sembra tutt’altro che un dettaglio la norma che prevede il licenziamento per giusta causa del sagrestano che sia responsabile della «violazione della riservatezza legata all’attività pastorale e al ministero sacro svolto nella chiesa mediante la diffusione di notizie conosciute in ragione del servizio»: è un vero proprio obbligo al segreto professionale.(11 agosto 2008)

Edited by pincopallino2 - 8/2/2019, 18:06
 
Web  Top
19 replies since 15/9/2008, 09:05   1864 views
  Share