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Vaticano: beatificato Franceschiello, l'ultimo Borbone che fuggì da Napoli e tentò di corrompere Garibaldi, L'inetto ultimo rampollo di una dinastia ignorante e reazionaria, protetta dai vescovi e dal papa - re

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view post Posted on 16/12/2019, 00:12

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L'inetto ultimo rampollo di una dinastia ignorante, reazionaria, protetta dai vescovi e dal papa - re

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Don Rotolo: “onore e onestà erano profondamente radicati nei Borboni”
Michele M. Ippolito 15 dicembre 2019 Italia, Ultime notizie Nessun commento




“Re Francesco II di Borbone, un re da condannare o riscoprire?” (edizioni Vivere in di Monopoli), è il titolo di un eccellente libro a cavallo tra storia e fede, scritto con abilità da un bravo parroco di Conversano (Bari), don Luciano Rotolo. Don Luciano è Vice Presidente della Fondazione Francesco II delle Due Sicilie. Detta fondazione, da poco, ha proposto davanti al Tribunale Ecclesiastico di Napoli, richiesta di beatificazione di Francesco II di Borbone. E’ stato scelto quale postulatore il noto avvocato barese Nicola Giampaolo, che si occupa del processo di Aldo Moro. La motivazione? La fama di santità che ha circondato il re, morto povero e in esilio, ma custode della dignità, del senso dell’ onore e di onestà.

Abbiamo intervistato don Luciano Rotolo.

Don Luciano, perchè un sacerdote sceglie di occuparsi proprio dei Borboni ed in particolare della figura di Francesco II?

“Io faccio parte della Fondazione che si propone lo scopo di proporre e far riscoprire la grande figura umana, politica, sociale, storica e soprattutto cristiana di quel sovrano. Fu un modello di governante al servizio del popolo, disinteressato e leale. Lasciò tutti i suoi beni al popolo napoletano e non intese scendere a compromessi di bassa lega, preferendo morire povero in esilio ad Arco nel Trentino. Aggiungo che anonimamente aiutava la gente”.

Un esempio di questi tempi dove la politica sembra andare in senso contrario e spesso stanca la gente..

“Vero. Del resto i concetti di onore e rispetto dell’onestà erano profondamente radicati nei Borboni e se ci fa caso, nell’iconografia non si vede mai un Borbone con la corona in testa, perchè per loro il solo re era il Signore e la regina la Madonna. Aggiungo che la Madonna Immacolata era la protettrice del regno, perchè patrona di Palermo che fu la prima capitale”.

Eppure i Borboni sono sottoposti spesso ad una strana leggenda nera..

“La storiografia non è tenera con loro. Questo è accaduto per le modalità di conquista del Sud in modo assolutamente sleale e fuori delle più elementari regole di trasparenza. Era necessario demonizzare i Borboni e tanto avvenne. Eppure quel regno che naturalmente aveva i suoi limiti, non era arretrato o dispotico come si voleva fare credere, penso ai mulini o ai progetti ferroviari. In verità, il Sud è stato aggredito, ma a sua volta non ha mai attaccato nessuno, anzi ha dimostrato nella storia, di accogliere con generosità tutti, un modello di integrazione, accoglienza e solidarietà, da prendere ad esempio e studiare oggi, sarebbe un tema di estrema attualità. Penso alla cosiddetta bandiera borbonica, che non è giusto definire tale, ma stendardo del Suda, la “ frittata: essa reca tutti i segni delle genti e stati del Sud nel tempo”

Per quale motivo un sacerdote si occupa di storia e di Francesco II?

“Rispondo alla seconda domanda: perchè qui è chiara la fama di santità e il modo cristiano di vita. In quanto alla storia, la fede è fondata su di essa ed è molto importante studiare il passato per comprendere il presente”.

Buona lettura con l’ ottimo volume di Don Luciano Rotolo.



Bruno Volpe

www.sambiase.com/index.php?option=c...id=69&Itemid=12

Cronache Risorgimentali
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Il passaggio di Garibaldi e dei «Mille» nei paesi del Distretto di Nicastro
Cronache Risorgimentali
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garibaldi1di Massimo Iannicelli

Ricorre nel mese di agosto quest'anno, il 150 anniversario della Spedizione dei Mille che determinò l'Unità d'Italia. Mai avvenimento storico ha così direttamente interessato da vicino la Calabria e ancor più quello che un tempo veniva indicato come il Distretto di Nicastro.

L'azione dei Mille interessò molto da vicino il comprensorio lametino. non solo perché dalle nostre parti transitò e pernottò, ma anche e soprattutto perché a Soveria Mannelli il 30 agosto 1860 egli ottenne la definitiva certezza della riuscita della sua missione. Proprio nei pressi del piccolo paese montano - grazie al suo luogotenente La Cecilia - Garibaldi ricevette una missiva datata 27 agosto 1860 a firma di Francesco II: nella lettera il sovrano delle Due Sicilie palesava l'intenzione di voler lasciare libera la sola Sicilia affinché cori un suffragio universale la popolazione decidesse se restare disunita dal resto d'Italia o meno. La proposta era chiaramente un tentativo di corruzione, considerato inoltre che Franceschiello si diceva disposto a consentire il libero transito delle truppe garibaldine lungo tutto il regno - purché non venisse toccata Napoli - in più offrendo una cospicua somma in danaro.

Ovviamente Garibaldi declinò l'offerta senza neppure degnare di risposta il dispotico sovrano borbonico. In quelle ore si decideva l'esito della spedizione. L'avanzata in Sicilia s'era dimostrata alquanto facile, in quanto il terreno era stato variamente preparato prima e dopo la discesa di Garibaldi, il quale fu ovunque acclamato come un autentico liberatore.
Sulla resa del generale Ghio e dei suoi diecimila soldati borbonici, avvenuta il 30 agosto a Soveria Mannelli, in seguito all'azione diplomatica svolta da Ferdinando Bianchi ed Eugenio Tano, gli storici si sono variamente interrogati. Possibile che una forza militare così cospicua ed armata di tutto punto si sia potuta arrendere ad un pugno di uomini, mal armato ed esausto per la lunga marcia fin lì compiuta?

L'ipotesi più accreditata è che il generale Ghio si sia lasciato condizionare da notizie false opportunamente fatte circolare dagli stessi rivoltosi, secondo cui ingenti truppe di volontari - guidati dal maggiore Pasquale Mileti - si stavano dirigendo verso Soveria. Nonostante il Ministero della Guerra da Napoli avesse spedito precisi ordini affinché le truppe resistessero con ogni mezzo all'avanzata garibaldina, forse per evitare una carneficina, il generale borbonico preferì arrendersi timoroso ancor più della grande fama di condottiero di cui godeva Garibaldi. Tuttavia molti sono i lati della vicenda ancora oggi rimasti all'oscuro.

Degli oltre diecimila soldati arresisi, una gran moltitudine preferì ritornare a casa, altri addirittura si unirono alle camicie rosse per proseguire la marcia trionfale verso il Volturno. Soveria Mannelli fu dunque privilegiata testimone delle gesta del Generalissimo, il quale - la mattina del 31 agosto - dopo aver pernottato in casa della famiglia Sirianni, tra i fitti castagneti di agrifoglio, a metà strada per Rogliano, nella modesta abitazione di Donato Morelli, dettò a quest'ultimo un telegramma passato alla storia: «Dite al mondo che ieri coi miei prodi cavalieri feci abbassare le armi a diecimila soldati comandati dal generale Ghio. Il trofeo della resa fu dodici cannoni da campo, diecimila fucili, trecento cavalli, un numero poco minore di muli e immenso materiale da guerra. Trasmettete a Napoli e dovunque la lieta novella».

A ricordo di questi avvenimenti, in occasione del I° centenario dell'impresa garibaldina, sulle facciate dei palazzi dove Garibaldi pernottò o soggiornò anche per poche ore sono state apposte deve lapidi di marmo:
- a Soveria, oltre all’ obelisco eretto nei 1883 al centro di corso Garibaldi che corda la resa di Ghio, su palazzo Sirianni è stata affissa nel una lastra di marmo dove si tramanda che ivi trascorse la notte Garibaldi il giorno seguente alla resa dell'esercito borbonico:
- a Curinga, sulla facciata principale di palazzo Bevilacqua (recentemente restaurato), un epigrafe ricorda il pernottamento di Garibaldi nella notte tra il 28 e il 29 agosto del 1860 proveniente da Pizzo;
- a San Pietro a Maida un'altra lapide, posta sulla casa del capitano Fdo Aiello, ricorda che tra quelle mura Garibaldi ebbe ospitale accoglienza per qualche ora;
- a Maida, sulla facciata di Palazzo Farao, un'altra epigrafe testimonia la presenza dell'Eroe dei Due Mondi il quale, affacciandosi ad un balcone pronunciò un caloroso discorso alla popolazione festante. Dall'alto della sua postazione egli poté ammirare quanto cospicuo fosse il numero di nuovi volontari (circa tremila) desiderosi di porsi al suo seguito.

Sempre a Maida Giuseppe Garibaldi s'intrattenne per qualche ora con il sindaco al quale diede il seguente ordine, valido anche per gli altri paesi del circondario: «Dovendo passare molta truppa nelle vicinanze di Maida si richiedono i Municipi di Catanzaro Crotone Nicastro ed altri di mandare tutti viveri e scarpe [più] che sia possibile al casino di Vitale in Maida sulla strada consolare. Non potendo inviare viveri, che si inviino fondi al Sindaco di Maida cui darà conto».

Dopo una sosta a Tiriolo, Garibaldi proseguì per San Pietro Apostolo dove in casa di Anselmo Tomaini bevve un caffè, la cui tazzina è ancora gelosamente custodita dai discendenti di quest’ultimo. La sosta a San Pietro Apostolo fu breve in quanto Garibaldi doveva raggiungere al più presto la casa di Francesco Stocco a Decollatura dove rimase a dormire per la notte. Qui venne stilato il programma di resa che il giorno successivo venne sottoposto al generale Ghio.

Dal territorio di Tiriolo, come già detto, i garibaldini fecero rotta verso Soveria Mannelli, dove ottennero la resa dei soldati borbonici senza nemmeno esplodere una pallottola... Dopo la sosta ad Agrifoglio, Garibaldi continuò la sua marcia in direzione di Rogliano, dove fu ospite della famiglia Ricciulli.

Giunto a Cosenza proseguì via mare per Napoli. Un altro monumento, il primo in ordine di tempo, eretto in memoria dell'impresa garibaldina, è l'obelisco che sorge nei pressi del ponte Turrina, ora delle Grazie, quasi al bivio per Maida. Ad erigerlo fu l'amministrazione provinciale di Catanzaro che intese ricordare anche i caduti del 27 giugno del 1848, nella celebre battaglia di Maida contro le truppe di Ferdinando Il. Bene avrebbero fatto la Regione Calabria, la Provincia di Catanzaro e i Comuni interessati a programmare un itinerario turistico - culturale sui luoghi che furono teatro della Spedizione dei Mille. Ma cose sempre accade in questi casi, o si arriva troppo tardi, oppure si sorvola, con buona pace di Garibaldi e dei suoi “ Mille”.

Nb: L'articolo è tratto da "Storicittà", (mensile illustrato diretto dall'Editore e Resp. M.Iannicelli) ,pag.4-7 anno XIX, n°184 Agosto 2010,Tip. Stampa Sud - Lamezia Terme.

Edited by pincopallino1 - 1/4/2022, 11:35
 
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view post Posted on 23/4/2021, 07:27

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Trafficanti, preti reazionari e nobili decaduti si contendono le spoglie dell'ultimo dei re Borboni

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https://www.indygesto.com/dossier/11888-sa...-beatificazione

San Franceschiello, una tegola vaticana e mediatica sulla beatificazione
APRILE 23, 2021
SAVERIO PALETTA

Finisce nel mirino dei media Nicola Giampaolo, il postulatore canonizzazione dell’ultimo re di Napoli, assurto agli onori della cronaca e piombato nelle polemiche ecclesiastiche in seguito alle sue recenti dichiarazioni a Report. Proprio grazie alle vicende del lobbysta pugliese specialista in faccende sacre emergono alcuni retroscena della beatificazione, non ancora approdata in Vaticano…

Un piccolo giallo vaticano apre spiragli interessanti sulla causa di canonizzazione di Francesco II di Borbone, l’ultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, avviata a Napoli poco prima dello scorso Natale e di cui non si hanno notizie fresche.

Ci si riferisce, tuttavia, alle notizie ufficiali. A livello ufficioso, infatti, i bene informati riferiscono che il processo sarebbe rimasto fermo nell’Arcidiocesi di Napoli e non sarebbe mai arrivato oltre Tevere, dove invece è stato ricevuto un documento particolare: la Memoria storica contro l’eroicità delle virtù di Francesco II di Borbone, un documento molto articolato che reca la firma di oltre trenta professionisti, intellettuali e studiosi, tra l’altro in larga parte meridionali (leggi qui).

Francesco II di Borbone, l’ultimo re delle Due Sicilie
Come mai questa mancanza di informazioni su una vicenda che aveva avuto pochi mesi fa il suo bravo clamore mediatico?

Sempre i bene informati riferiscono che lo stop alla canonizzazione sarebbe legato all’insediamento, avvenuto il 2 febbraio scorso, di mosignor Domenico Battaglia nel ruolo di arcivescovo di Napoli e presidente della Cec (la Conferenza episcopale campana), succeduto a monsignor Crescenzio Sepe, dimissionario per raggiunti limiti d’età.



Va da sé che non tutti i prelati hanno gli stessi interessi ed è plausibile che per monsignor Battaglia, il quale ha origini calabresi e si è sempre segnalato più per l’impegno sociale che per la passione araldica, la beatificazione di un ex re abbia meno importanza di quanta ne avesse per monsignor Sepe, che invece si era schierato in prima fila. E forse, suggeriscono gli stessi bene informati, la beatificazione di Franceschiello non avrebbe tutta quella priorità neppure per la Santa Sede. Anche perché, sempre a proposito di santi e canonizzazioni, le autorità vaticane hanno altre gatte da pelare.


Domenico Battaglia l’arcivescovo di Napoli
È il caso di tornare al piccolo giallo a cui si accennava in apertura. Lo ha fatto esplodere Lo sterco del diavolo, una notevole inchiesta televisiva realizzata da Giorgio Mottola per la puntata di Report andata in onda lo scorso 12 aprile. Uno dei protagonisti del servizio di Mottola è Nicola Giampaolo, intervistato per il suo ruolo controverso di postulatore per la canonizzazione di Aldo Moro. Nello specifico, Giampaolo aveva lanciato allusioni pesantissime, in cui i non detti e i sottintesi pesavano più delle affermazioni, nei confronti del cardinale Angelo Becciu, presidente nel 2018 della Congregazione delle Cause dei Santi, l’organo della Santa Sede preposto alle canonizzazioni.

Queste allusioni riguarderebbero la richiesta di una tangente di 70mila euro per snellire l’iter che riguardava il compianto leader del cattolicesimo politico italiano.

Che c’entra Aldo Moro con re Franceschiello? Nulla, ovviamente. Ma i due hanno in comune due cose, in questa vicenda: i processi di canonizzazione e, soprattutto, il postulatore, in entrambi i casi Nicola Giampaolo.

Nicola Giampaolo
A stretto giro di mail, è arrivata una doppia smentita vaticana alle sortite di Giampaolo, che apre squarci importanti sulla figura di questo postulatore e ne rivela non poche zone d’ombra.

Al riguardo tornano utili due passaggi delle due note vaticane.

Uno di questi è contenuto nella missiva inviata dalla Congregazione delle Cause dei Santi alla redazione di Report il 9 aprile, cioè tre giorni prima che andasse in onda l’inchiesta di Mottola, e contiene una stilettata non proprio leggera nei confronti di Giampaolo:

«Si precisa, altresì, che presso la Congregazione delle Cause dei Santi non esiste alcuna forma di accreditamento dei postulatori come il Giampaolo scrive nel suo curriculum vitae».



Più diretto il passaggio della lettera inviata a Report da padre Boguslav Turek, il sottosegretario della Congregazione tirato in ballo da Mottola in seguito alle dichiarazioni di Giampaolo:

«Ho incontrato il Sig. Nicola Giampaolo negli uffici della Congregazione per parlare della sua nomina a postulatore in fase romana di due Cause, non riguardanti quella dell’Onorevole Aldo Moro. In quell’occasione, come è il mio dovere di sottosegretario, gli ho presentato e spiegato con cortesia i motivi che hanno portato il Congresso Ordinario del Dicastero (un organo collegiale che delibera sulle questioni riguardanti le Cause) a non ratificare la nomina per le menzionate due Cause a motivo della mancanza dei requisiti richiesti dalle norme canoniche».


Padre Boguslaw Turek
A quali requisiti si riferisce padre Turek? Di sicuro sono requisiti specifici che riguardano l’idoneità di Giampaolo. Ma riguardano solo le due cause a cui accenna l’alto prelato oppure c’è dell’altro?

Il curriculum del postulatore (vai qui) non dice granché: accredita a Giampaolo il diploma di laurea in Metodologia della progettazione, conseguito all’Accademia delle Belle Arti di Bari, il Diploma di postulatore, conseguito presso la Pontificia Università Urbaniana dello Stato della Città del Vaticano, e il titolo di giornalista pubblicista, che probabilmente è il suo unico titolo professionale, visto che quello di postulatore è un ruolo (per molti magari anche una missione) ma non un mestiere.



Eppure, a sentire i suoi detrattori, parrebbe che Giampaolo campi bene anche di questo. Infatti, sulla scia delle smentite vaticane a Report, il giornale online korazym,org dipinge a tinte a dir poco fosche il postulatore. Leggere per credere il seguente passaggio:

«Vuoto pneumatico ricoperto di retorica sberluccicante, Nicola Giampaolo è uno di coloro che sanno introdursi negli ambienti dell’alta società: cocktails, donne appariscenti, showgirl, Cacao Meravigliao, opere d’arte sacra, alti prelati e cardinali. Del resto la Chiesa che lui desidera – “Questa è l’Italia che amo, questa è la Chiesa che desidero!” – è tutta così: agghindata di sberluccichii come la miss di un concorso di bellezza: “Le Miss resistono in eterno!!!”, assicura. In genere alloggia in umilissime regge principesche o in alberghi lussuosi, in mancanza di altro si accontenta di un 4 stelle» (leggi qui l’articolo completo).


Monsignor Angelo Becciu
Certo, la fonte è da prendere con le pinze, visto che korazym.org difende monsignor Becciu a spada tratta e quindi potrebbe non essere imparziale. Ma il ritratto resta piuttosto duro e, soprattutto, non smentito: Giampaolo ne esce come un lobbysta avvezzo a certo jet set, simile a tanti altri che ruotano attorno alle alte cariche delle Chiesa, vaticane e curiali.

Un dettaglio molto significativo di questa attitudine è l’orgoglio con cui il postulatore esibisce i titoli che ha e la disinvoltura con cui accetta quelli che non ha (o non ha dichiarato). Ad esempio, il titolo di avvocato.

Questo amore per i titoli è emerso in occasione dell’avvio di canonizzazione di Franceschiello, per la precisione in una nota dell’Ansa, in cui si fa riferimento al postulatore come «avv. Giampaolo» (leggi qui). Una svista? Forse. Oppure Giampaolo è anche avvocato senza che nei suoi dati pubblici fosse menzionata neppure la semplice laurea in Giurisprudenza?

In effetti, un Nicola Giampaolo che fa l’avvocato esiste. È abruzzese con studio a Francavilla. Contattato da chi scrive, l’avvocato Giampaolo (quello vero) conferma quanto segue: non è parente ma solo omonimo del postulatore, non ha con lui rapporti neppure di conoscenza superficiale, non si occupa di affari canonici ed ecclesiastici.


Monsignor Crescenzio Sepe, l’arcivescovo emerito di Napoli
Ma non è stata solo l’Ansa ad incappare nel misundestanding: basta una semplice scrollata su Google per capire come molte testate che si sono occupate delle beatificazioni patrocinate da Giampaolo lo abbiano definito spesso avvocato. E si badi bene: è vero che il postulatore di una santità è assimilato, nel processo di canonizzazione, a un avvocato. Tuttavia, questo è solo un modo di dire, che non è contemplato dal Diritto canonico, dalla prassi ecclesiale e, persino, dal gergo.

Ma la presunta avvocatura è un dettaglio davvero marginale nella vicenda della canonizzazione di Francesco II, in cui pesano di più la geografia e certi rapporti araldici.

Veniamo alla geografia: Nicola Giampaolo è pugliese ed è conosciuto dalle cronache locali anche per un suo altro pallino, la politica in cui si è segnalato come consigliere comunale di Rutigliano, una cittadina di 18mila e rotte anime nel Barese.

Attaccata a Rutigliano c’è Conversano, che di abitanti ne fa circa il doppio. A Conversano è sacerdote don Luciano Rotolo, esempio di prete legittimista postmoderno, da sempre vicino alle cosiddette posizioni neoborb e anche lui in prima fila nella canonizzazione dell’ultimo re Borbone.

Don Rotolo era molto vicino, a livello ideologico, a un altro presbitero: l’agropolese don Massimo Cuofano, anche lui di orientamento neoborb e scomparso circa quattro anni fa per un brutto male.


Don Luciano Rotolo, prete neoborb e sanfedista postmoderno
I nomi dei due prelati si ritrovano negli elenchi della Fondazione Francesco II delle Due Sicilie, don Rotolo come vicepresidente e il compianto don Cuofano come ispiratore. La Fondazione ha sede a Napoli, nella Chiesa di Santa Maria Coeli e San Gennaro.

Non è solo la geografia a tracciare un filo diretto tra la Puglia e la canonizzazione del re Borbone: anche l’araldica fa la sua parte, grazie nientemeno che a don Carlo di Borbone, discendente del ramo francese dell’ex dinastia napoletana (e, in tale ruolo, in perenne competizione con don Pedro di Borbone, esponente del ramo spagnolo), il quale figura nella Fondazione come presidente onorario. La presenza del discendente di Franceschiello è una garanzia araldica dop: don Carlo è anche gran maestro del Sacro Militare Costantiniano Ordine di San Giorgio, di cui fa parte un po’ di gente che conta, a Napoli e non solo. Tra questi, l’ex arcivescovo Crescenzio Sepe, che ha l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce e, secondo i soliti bene informati, aspirerebbe a diventare Gran Priore di quest’ordine cavalleresco al posto dell’ottantottenne monsignor Renato Raffaele Martino.


Don Carlo di Borbone (quello del caffè e dei cavalieri)
Questo giro di collegamenti, qui esemplificato per ragioni di spazio, spiega varie cose.

Innanzitutto, spiega il collegamento tra la Puglia e la Campania e quello tra le ragioni dell’araldica e le aspirazioni di certo cattolicesimo, di sicuro non progressista (e in fin dei conti anche la santità per determinati ambienti è una forma di araldica…).

Spiega, inoltre, come mai la scelta sia ricaduta su un postulatore pugliese, specializzatissimo nei rapporti col jet set, tra l’altro esibiti orgogliosamente, sebbene la Curia partenopea disponga di fior di canonisti.

Non spiega una cosa: le piccole dimensioni della Fondazione Francesco II delle Due Sicilie, a cui consegue una natura giuridica minimale. La Fondazione, infatti, non ha una sede di proprietà né è dato sapere a quanto ammonti il suo capitale.

Queste informazioni, almeno, non sono ricavabili dal pur dettagliatissimo Statuto, riportato nel sito web istituzionale (leggi qui). Eppure questo ente è il promotore, così almeno riferiscono i media, della canonizzazione di Franceschiello. Spalle troppo piccole per un compito così impegnativo e gravoso? Probabilmente. Ma c’è da dire che finora nessuno ha preso le misure alla Fondazione.

Infatti, allo stato delle informazioni di cui si dispone, quest’ultima non risulta iscritta né presso la Prefettura di Napoli né presso la Regione Campania. E anche a tal proposito lo Statuto non aiuta, visto che riporta solo i nomi dei fondatori ma nessun numero di protocollo e nessuna traccia di rogiti.

Un mistero? Forse. Ma lascia il tempo che trova, visto che sull’aspetto più importante di questa vicenda, il processo di canonizzazione, è calato un bel po’ di silenzio.

C’è da scommettere che difficilmente l’abile Giampaolo riuscirà a sbrogliare questa matassa, ormai troppo aggrovigliata. E per quel che riguarda don Carlo? Nessun problema: lui ha già l’orgoglio di aver dato il nome a un bel marchio di caffè, la santità dell’avo illustre può attendere.

https://www.indygesto.com/dossier/11547-sa...-beatificazione
San Franceschiello, in Vaticano un dossier contro la beatificazione
FEBBRAIO 2, 2021
SAVERIO PALETTA

2 COMMENTI


Il documento è in possesso della Santa Sede dal 26 gennaio ed è sottoscritto da un comitato composto da studiosi, professionisti e operatori dell’informazione di tutta Italia



A dirla tutta, la notizia non è freschissima ma c’è: il 26 gennaio è arrivato in Vaticano un dossier, snello (appena 16 pagine bibliografia inclusa) ma denso, contro la canonizzazione di Francesco II di Borbone, alias Franceschiello, alias Lasagnetta, l’ultimo re delle Due Sicilie.


Monsignor Crescenzio Sepe tra i fedeli a Napoli
Com’è noto, la notizia dell’avvio del processo di beatificazione è stata diramata a metà dello scorso dicembre dal cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo dimissionario di Napoli ed è stata accolta e rilanciata con entusiasmo dagli ambienti neoborbonici, che hanno avuto un ruolo tutt’altro che secondario nel lancio di quest’iniziativa.

Come usa dire, se la suonano e se la cantano. Peccato solo che la Chiesa, per quel che riguarda i processi di canonizzazione, non è proprio un megafono o una passacarte.



Al contrario, deve tener conto delle indicazioni contrarie o quantomeno critiche che provengono dalla società civile oppure dagli addetti ai lavori.

Al riguardo, le motivazioni critiche della Memoria storica contro l’eroicità delle virtù di Francesco II di Borbone (questo è il nome del dossier) risultano ben avallate: il papello reca, infatti, la firma di Anna Poerio Riverso, la presidente dell’Associazione culturale Carlo Poerio ed è sottoscritto da una trentina di professionisti e studiosi di varia estrazione socioculturale.

Anna Poerio Riverso
Anna Poerio Riverso
Il parterre non è proprio trascurabile: accanto ad accademici di chiara fama, come Renata De Lorenzo, docente di Storia contemporanea della Federico II e presidente della Società napoletana di Storia patria, figurano storici e giornalisti come Marco Vigna, tra l’altro autore di una pregevole monografia sul brigantaggio, Giancristiano Desiderio, artefice di un’importante operazione verità sui fatti di Pontelandolfo (noto cavallo di battaglia del neoborbonismo) e Antonella Orefice, direttrice de Il Nuovo Monitore Napoletano, studiosa della Rivoluzione del ’99 e biografa di Eleonora Pimentel Fonseca.

Di questa pattuglia, inoltre, fanno parte studiosi, ricercatori, editori, cultori di storia e rappresentanti di tre Comitati dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano.



A questo punto è doveroso scusarsi per le omissioni, dovute esclusivamente a ragioni di spazio ed è opportuno concentrarsi sul dossier. È la solita contrapposizione tra jacubbine e risorgimentalisti (quindi garibaldini e piemontesi) contro ’e realiste, cioè gli ultrà fuori tempo massimo dell’ex dinastia napoletana?

Proprio no. I sottoscrittori del dossier criticano la proposta di beatificazione sulla base di un riferimento tutt’altro che museale e antistorico: l’indirizzo dottrinario della Chiesa contemporanea che, dal Concilio Vaticano II al pontificato di Bergoglio, ha acquisito le conquiste del liberalismo in seguito a un travagliato processo dialettico.


FrancescoII di Borbone
Infatti, si legge nel dossier, con la beatificazione di Francesco II

«Si offendono in questo modo verità storica e clima civile di una società libera, democratica, laica, fondata sui basilari diritti civili, politici, sociali, ai quali le alte sfere della chiesa cattolica oggi si riferiscono nei loro discorsi e nei loro scritti».

Già, prosegue la Memoria storica:

«Se Papa Francesco, nella scia di precedenti pontefici, designa i diritti civili, politici e sociali come dimensioni necessarie della dignità di ogni essere umano e di una società umana e religiosa degna di questo nome, ed alla luce di essi critica regimi dittatoriali e società autoritarie e fanatiche, non si comprende come si possa beatificare un sovrano assolutista, clericale, legalmente antisemita, il cui regime ed i cui ordinamenti erano fondati sulla negazione di quei fondamentali diritti civili di libertà e di umana dignità, ai quali i suddetti Pontefici si riferiscono».

Né vale, secondo gli autori del dossier, invocare la religiosità di re Lasagnetta a supporto della beatificazione perché



«Gli ultimi pontefici inoltre hanno messo e mettono ben in luce che la vera religiosità non ha niente a che vedere con il formalismo bigotto e con la superstizione, che furono caratteristiche notoriamente tipiche di Francesco II».

E l’Italia? Quella repubblicana ha già dato tanto a Franceschiello:

«Ha permesso nel 1984 che le sue spoglie fossero portate nella sontuosa cappella dei Borboni nella monumentale Chiesa di Santa Chiara, che è di proprietà pubblica, non della chiesa cattolica, in quanto lo Stato ora Repubblicano è responsabile dal punto di vista economico e di salvaguardia artistico-culturale».

Anzi, chi grida ancora al complotto massonico dovrebbe prendere atto della singolare disparità di trattamento, per cui l’ultimo re Borbone ha avuto dalla Repubblica molto più dei jacubbine del 1799 che tuttora «giacciono in modo indegno abbandonati nel fango del pronao della Chiesa del Carmine presso Piazza Mercato, luogo triste di Martirio».

Un’incuria tanto più grave, se si pensa che «come S. Chiara, anche la Chiesa del Carmine è ora di proprietà della Repubblica Italiana e non della Chiesa cattolica di Napoli».

Ovviamente il dossier non si ferma qui: la sua ciccia è tutta nelle argomentazioni corpose tratte dalle opere documentatissime (e mai confutate in sede scientifica) di storici di prima grandezza contro la beatificazione.

Questo santo proprio non s’ha da fare, secondo i sottoscrittori del dossier, che si sono costituiti in Comitato per sostenere la battaglia contro la beatificazione di Franceschiello.

E la battaglia si annuncia dura e combattuta. Ma su quali presupposti la Memoria storica contesta la santità di Francesco II?
 
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