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Geografia dell'Italia cattolica, Una analisi geografica del cattolici italiani: meridionali e poveri

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view post Posted on 31/8/2011, 08:04
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Geografia dell'Italia cattolica

Collana "Contemporanea"


pp. 184, € 15,00
978-88-15-15060-8
anno di pubblicazione 2011


in libreria dal 07/07/2011
Copertina 15060
€ 15,00 Acquista volume
Memo

Secondo un'opinione diffusa il cattolicesimo è un tratto unificante degli italiani, con una tradizionale frattura tra Lombardo-Veneto "bianco" e regioni "rosse". Ma quanto c'è ancora di vero in questa geografia? Quanti sono i cattolici praticanti e in quali aree del paese sono più numerosi? Da alcuni interessanti indicatori (frequenza alla messa, otto per mille, insegnamento della religione, matrimoni civili, nascite fuori dal matrimonio) risulta che i praticanti sono una minoranza del 30-40% concentrata nelle regioni del Sud, la vera zona "bianca". Per un verso, dunque, il cattolicesimo si accompagna a una sindrome meridionale fatta di minore ricchezza, inefficienza delle istituzioni e carenza di capitale sociale; per un altro, nella generale crisi della partecipazione sociale e politica, i movimenti ecclesiali costituiscono una risorsa tale da fornire alla Chiesa-istituzione un forte potere di veto.

Roberto Cartocci è professore ordinario di Scienza politica nell'Università di Bologna. Fra le sue ultime pubblicazioni con il Mulino: "Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia" (2007).


http://www.mulino.it/edizioni/volumi/sched...a&ISBNART=15060


IL BELPAESE
Processione al Sud
apri pdf Ma il Mezzogiorno d'Italia è più cattolico del Nord?
Ma il Mezzogiorno d'Italia è più cattolico del Nord?

di Massimo Introvigne
16-07-2011



Geografia dell’Italia Cattolica del sociologo Roberto Cartocci (il Mulino, Bologna 2011) è un libro importante, che fornisce dati statistici interessanti sullo stato della religione cattolica nel nostro Paese, cui non hanno peraltro giovato alcune recensioni frettolose, fra cui spicca il tentativo del quotidiano la Repubblica, che il 7 luglio gli ha dedicato ben tre pagine, di presentarlo in chiave polemica nei confronti della Chiesa.

Cartocci rivendica la tradizione sociologica, che risale a Gabriel Le Bras (1891-1970) secondo cui, per misurare lo stato di salute della religione cattolica in un Paese, è cruciale contare le persone che vanno a Messa tutte le domeniche. Questa conclusione oggi non è più scontata. I sociologi anglosassoni, per facilitare i paralleli con il protestantesimo e con l’Ortodossia che non hanno il precetto della frequenza settimanale ai riti, talora danno rilievo al numero di coloro che vanno a Messa non una volta alla settimana, ma almeno una volta al mese, mentre un po’ dovunque è venuto di moda studiare le credenze come emergono da interviste condotte per lo più per telefono, e non solo la pratica o i comportamenti.

Credo anch’io che lo studio della frequenza settimanale alla Messa sia, quando si parla di cattolici, irrinunciabile. Lo sforzo di Cartocci è dunque meritorio. Il sociologo italiano costruisce una serie basata sulle annuali Indagini multiscopo sulle famiglie dell’ISTAT, che mostra il declino della partecipazione domenicale in Italia dal 39,2% del 1993 al 34,8% del 2000, quindi - dopo una lieve risalita negli anni 2001-2003 - al 32,5% del 2009. Parallelamente, tra il 1993 e il 2009, coloro che affermano di non andare mai a Messa salgono dal 15% al 19,1%. Utilizzare l’Indagine multiscopo annuale sulle famiglie ISTAT assicura il vantaggio di disporre per una sequenza temporale lunga di dati relativamente omogenei, ma non è a sua volta una scelta ovvia. Quella dell’ISTAT è un’indagine non "specializzata", dove campionatura e batterie di domande non sono costruite avendo di mira in particolare il dato religioso. Rispetto a numerose - e talora impegnative - indagini che nel corso degli anni sono state condotte in modo più mirato dai sociologi della religione il dato ISTAT appare costantemente sovrastimato. Paragonato con molte altre indagini, non solo il 39,2% di pratica domenicale del 1993 ma anche il 32,5% del 2009 sembra davvero molto ottimista. Se fosse così, i vescovi italiani potrebbero stappare lo champagne.

Ma non è così, anche per un altro motivo appena accennato da Cartocci. Il dato ISTAT - come molti altri - non ci dice in realtà quanti italiani vanno a Messa. Ci dice quanti italiani, intervistati, affermano di andare a Messa. Non è la stessa cosa. Le ricerche di Alessandro Castegnaro a Venezia e quelle che io stesso ho condotto con PierLuigi Zoccatelli in Sicilia mostrano che - se si effettua un conteggio rigoroso alle porte di tutte le Messe, nessuna esclusa, in un week-end tipo in una zona data, e lo si paragona con un’intervista telefonica condotta nello stesso periodo nella stessa zona - la rilevazione dà un risultato notevolmente più basso dell’indagine condotta per telefono. Nell’area siciliana presa in esame da me e Zoccatelli l’inchiesta telefonica dà il 30,1% di partecipazione domenicale alla Messa e il conteggio alle porte delle Chiese dà il 18,3%. Beninteso, sono d’accordo con Cartocci che questi dati non sono l’uno "falso" e l’altro "vero": chi dice di andare a Messa sta comunque esprimendo in modo forte la sua identificazione con la Chiesa. Ma immaginare che davvero ogni domenica il 32,5% degli italiani vada a Messa è del tutto irrealistico.

Con questa importante precisazione, resta vera una delle conclusioni di Cartocci, che emerge dal paragone tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Europa Occidentale: esiste un’anomalia italiana, un «carattere originale» che rende l’Italia unica. «Per quanto la frattura religiosa sia sempre stata sensibile, alimentando da secoli sentimenti ghibellini e anticlericali - scrive Cartocci -, per quanto potenti correnti di secolarizzazione si siano affermate negli ultimi decenni, in Italia esiste una rete di diocesi e parrocchie senza paragoni rispetto a tutti gli altri paesi cattolici, una presenza istituzionale che non è minimamente avvicinata da nessun’altra organizzazione, a parte lo stato. Sul piano dei comportamenti si registrano poi tassi di religiosità più elevati della maggior parte degli altri paesi» (p. 17). E in Italia, aggiunge il sociologo, si deve usare cautela quando si parla di secolarizzazione, perché c’è stato anche negli ultimi anni un processo inverso, di «desecolarizzazione» e di recupero della centralità della Chiesa, dovuto in particolare alla «infaticabile attività pastorale» (ibid.) del beato Giovanni Paolo II (1920-2005).

Il dato più originale - rilevato dalle recensioni - del libro di Cartocci è di carattere geografico. Il sociologo costruisce una geografia della frequenza domenicale dichiarata - cioè riferita agli intervistatori - alla Messa che mostra l’esistenza di notevoli squilibri. Si va dal 42,8% della Campania e dal 39,6% della Sicilia fino al 29,1% del Piemonte, al 23% della Liguria e della Valle d’Aosta e al 21,7% della Toscana, fanalino di coda tra le regioni italiane. Leggendo questi dati dobbiamo rilevare che sono, anch’essi, costruite esclusivamente sull’indagine multiscopo annuale sulle famiglie dell’ISTAT, e che sono molto ottimiste. Ben pochi parroci della Campania crederebbero al fatto che quattro abitanti su dieci del loro territorio vanno a Messa tutte le domeniche. Benché le indagini sociologiche internazionale mostrino che talora i parroci tendano a loro volta a sottostimare i dati, abbiamo già visto che l’ISTAT li sovrastima anche rispetto ad altre indagini a campione, e che la conta sul terreno fa "dimagrire" nettamente il dato rispetto alle interviste.

Se si considerano queste variabili, l’ipotesi di fondo di Cartocci - che resta comunque interessante - secondo la quale il Sud avrebbe una pratica cattolica più alta in modo spettacolare rispetto al Centro e al Nord dev’essere presa con beneficio d’inventario. Non solo lo stesso Cartocci invita, correttamente, a non assolutizzarla, perché ci sono zone con bassa pratica (dichiarata) al Sud e zone con alta pratica (dichiarata) al Nord, per esempio la provincia di Trento o vaste zone della Lombardia e del Veneto. Ma soprattutto non si può escludere - e di questo Cartocci non tiene completamente conto - che il cosiddetto over-reporting, cioè il fatto che persone che non vanno a Messa dichiarino di andarci perché convinte che la risposta positiva all’intervista sia quella "corretta" e che corrisponda alle loro aspirazioni, possa essere più alto al Sud che al Nord. Sarà forse solo una coincidenza, ma ci ha sempre colpito il fatto che il tentativo di misurare l’over-reporting da parte di Castegnaro a Venezia e del sottoscritto e di Zoccatelli nella Sicilia Centrale dia quasi esattamente lo stesso risultato. La conta alle porte delle chiese di chi va a Messa in un week end tipo si ferma poco sopra il 18%. Potrebbe darsi, allora, che i meridionali non vadano più a Messa degli altri italiani, ma siano solo più inclini a rispondere agli intervistatori che ci vanno: dato, ancora una volta, non irrilevante ma che non misura la partecipazione effettiva.

Cartocci tiene conto però anche di altri dati: i matrimoni civili, i figli nati fuori del matrimonio - un dato più facile da rilevare delle convivenze, dove i ricercatori che vorrebbero contarle si scontrano con problemi di privacy -, quanti si avvalgono dell’ora di religione e destinano l’otto per mille alla Chiesa Cattolica. Con lievi correzioni e anomalie non sempre facili da spiegare o dovute a ragioni contingenti - a Bolzano, per esempio, un’esplosione di matrimoni civili sembrerebbe correlata a misure legislative a favore delle coppie sposate -, tutti questi dati secondo Cartocci confermerebbero che il Sud ha un tasso di comportamenti orientati alla Chiesa Cattolica più alto del Nord e del Centro. Con uno strumento piuttosto sofisticato, Cartocci cerca di stabilire un tasso di secolarizzazione delle province italiane che tiene conto di tutti i dati raccolti. Data 100 la media italiana, Firenze ottiene il punteggio più alto - cioè è la provincia più secolarizzata - con 213, seguita da Ravenna, Trieste, Bologna, Siena, Livorno, Reggio Emilia, Ferrara, Modena, Aosta, Prato, Torino e Genova, mentre al fondo della classifica stanno Agrigento, Caserta, Benevento, Potenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia, che con 24 ha il punteggio relativo alla secolarizzazione più basso tra le province italiane. L’esercizio è interessante, ma oltre alle riserve sul dato della Messa domenicale occorre tenere presente che le percentuali sono costruite su tutti i residenti sul territorio, non solo sui cattolici. I matrimoni civili ovviamente aumentano - Cartocci lo segnala - dove più alta è la presenza di non cattolici, dovuta in gran parte all’immigrazione.

La tesi secondo cui - con eccezioni - il Sud sia una zona con indicatori di pratica del cattolicesimo molto più alti che al Nord deve dunque essere in parte ridimensionata, in parte affidata alla verifica di ulteriori indagini che, per cominciare, non si affidino solo all’ISTAT per misurare la pratica domenicale. Assumendo che - anche dopo la verifica - rimanga un nucleo di verità, la tesi che cosa ci direbbe? Cartocci stesso mette in guardia dalla facile conclusione che consisterebbe nel considerare la maggiore pratica cattolica al Sud o una conseguenza del sottosviluppo o addirittura - secondo quella che il sociologo definisce «variante anticlericale» (p. 139) - la causa del sottosviluppo medesimo. In questa rozza versione anticattolica, i meridionali sarebbero sottosviluppati perché sono cattolici. Quand’anche - e non è esattamente così - le province con la maggiore pratica fossero quelle meno sviluppate, ammonisce Cartocci, «correlazione non significa causazione. Trovare una parentela statistica non significa dimostrare una relazione di causa ed effetto» (ibid.). È un peccato che di questi saggi ammonimenti del sociologo non abbia tenuto conto la Repubblica, la quale ha sparato con tanto di richiamo in prima pagina la tesi secondo cui «si prega di più dove c’è meno raccolta differenziata dei rifiuti, si va più a messa dove si emigra di più verso gli ospedali del Nord», e così via.

Accertato che il sottosviluppo non c’entra - uno dei Paesi con la maggiore pratica religiosa del mondo sono gli Stati Uniti, non precisamente una nazione sottosviluppata -, possiamo chiederci perché, sempre ove l’ipotesi fosse almeno in qualche misura confermata, il Sud sarebbe più "religioso" del Nord - sia pure, ammonisce Cartocci, in un modo che non consente di definirlo "zona bianca" come lo era un tempo il Lombardo-Veneto, perché la presenza istituzionale della Chiesa è molto più debole. Il sociologo accenna al fatto che, secondo i suoi dati, i confini della pratica più elevata coincidono in modo sorprendente con quelli del Regno delle Due Sicilie, la cui eredità d’intrecci antichi e consolidati fra Stato, società e Chiesa sarebbe dunque per qualche verso ancora viva.

Ognuno ha la sua storia e le sue idee, e non si può chiedere a un cattolico-democratico come Cartocci di ricavarne un giudizio sugli aspetti positivi sul Regno delle Due Sicilie, che personalmente non avrei difficoltà a formulare, beninteso senza sostituire alla leggenda nera corrente sul Regno dei Borboni una leggenda rosa che sarebbe ugualmente unilaterale e infondata. Da un punto di vista strettamente sociologico, Cartocci è lontano dai metodi dell’«economia religiosa» che personalmente prediligo e che considerano sempre i successi o gli insuccessi della religione tenendo conto della concorrenza. Un esponente di questa scuola, Lawrence Iannaccone, recentemente ha ipotizzato - sia pure con cautela - che "concorrenti" delle Chiese e comunità cristiane non siano solo le altre denominazioni o religioni ma anche "religioni civili" che in Europa hanno cercato di organizzare in modo alternativo al cristianesimo tutta la vita delle persone: il socialismo e il laicismo d’ispirazione massonica.

Socialismo e laicismo sono sempre stati presenti anche al Sud, ma il loro impatto è rimasto più ristretto a piccole élite intellettuali, senza diventare fenomeno di massa. Il laicismo massonico e azionista al Nord e il comunismo delle «regioni rosse» al Centro e delle fabbriche nel Nord-Ovest hanno invece costituito "religioni civili" capaci di fare davvero una concorrenza globale al cristianesimo. Sarebbe allora la mancanza o la minore presenza di questa concorrenza a spiegare - adottando un modello sociologico diverso da quello di Cartocci - dati che comunque non sono univoci, e la cui raccolta e formulazione continua a richiedere qualche precisazione.



http://www.labussolaquotidiana.it/ita/arti...l-nord-2491.htm
 
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view post Posted on 31/8/2011, 09:50
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Geografia dell’Italia….cattolica?
Generale 31/7/2011 22:09

Incuriosito da un’ultimissima pubblicata sul sito dell’UAAR il 7 Luglio scorso, che riprendeva un articolo de La Repubblica, ho acquistato e letto il libro di Roberto Cartocci “Geografia dell’Italia cattolica”, edito da Il Mulino.

Il libro promette un’analisi quantitativa, e quindi statistica, del “fenomeno” cattolico nel nostro Paese ed ambisce ad essere una fotografia (fedele?) dello stato di aderenza alla religione cattolica dei nostri concittadini a livello provinciale.

A mio parere, il titolo più adatto per questo volumetto sarebbe stato: “Geografia dell’Italia secolarizzata” se non Laica o Non credente, perché dopo sette capitoli ed una serie di tabelle, cartografie e grafici (comunque molto utili) che riassumono i principali indicatori scelti dal ricercatore come termometro del tasso di cattolicesimo degli italiani, lo stesso autore arriva alla conclusione che “l’Italia è solo in apparenza un paese cattolico” (pag. 135).

A questa conclusione giugnge dopo aver analizzato cinque parametri: il numero di persone che dichiarano di partecipare alla messa domenicale che, come fa giustamente notare Massimo Introvigne, è cosa ben diversa dal rilevare realmente quante persone partecipano realmente alla funzione[1]; il numero di matrimoni civili sul totale dei matrimoni; il numero dei figli nati al di fuori del matrimonio sul totale dei nati; la percentuale degli studenti che si avvale dell’ora alternativa all’insegnamento della religione cattolica e la percentuale delle scelte alternative alla chiesa cattolica nella destinazione dell’8 per mille Irpef.

Peccato che nel primo capitolo, probabilmente al fine di controbilanciare le inevitabili conclusioni suggerite dai dati presi in considerazione, Cartocci ricorra alla classificazione del sociologo Franco Garelli per mettere subito le cose in chiaro e dichiarare aprioristicamente che i “Non cattolici” sono solo il 10% della popolazione italiana; questo dato sarà poi inevitabilmente smentito da tutti gli indicatori scelti dallo stesso Cartocci. Per contrasto, scopriamo (si fa per dire) che i non-cattolici (atei, agnostici, laici, anticlericali) sono in prevalenza maschi, adulti (compresi nella fascia d’età 18-44 anni), laureati e vivono prevalentemente nei centri metropolitani di Emilia-Romagna e Toscana[2]; mentre i fedeli sono in gran parte rappresentati da: donne, minorenni o anziane, in possesso della licenza elementare, residenti in piccoli centri prevalentemente del Sud Italia, insomma….nessuna sorpresa!

Molto interessante, a mio parere, il capitolo relativo alla destinazione dell’8 per mille Irpef che, basato sui dati forniti dalla Cei che si presume riporti quelli dell’Agenzia delle Entrate (perché non direttamente quelli dell’Agenzia?) e quello relativo alla scelta di avvalersi dell’ora alternativa alla religione cattolica nelle scuole; questi due parametri implicano un grado di consapevolezza ed uno “sforzo” maggiore rispetto al matrimonio civile, ormai assimilato, e alla convivenza more uxorio quindi risultano più adatti a identificare i “laici” latamente intesi. Bene, da questi due dati emerge una geografia dell’Italia sostanzialmente divisa in tre: un nord piuttosto secolarizzato, un sud molto “tradizionale” e un centro che si colloca in una posizione mediana anche dal punto di vista dell’adesione alla pratica cattolica. Mi piace sottolineare il risultato delle province romagnole: Ravenna risulta essere la provincia in cui si sceglie meno la chiesa cattolica come beneficiaria dell’otto per mille e si piazza al 2° posto della classifica delle province più secolarizzate, ma anche Forlì-Cesena e Rimini hanno valori molto positivi in tutti gli indicatori di secolarizzazione arrivando a piazzarsi rispettivamente al 19° e 30° posto.

La conclusione a cui giunge l’autore, e che ha destato un certo clamore sulla stampa nazionale, è che nelle zone in cui si registra una maggiore capitale sociale, cioè per dove c’è una combinazione più favorevole di civismo e ricchezza umana ed economica, si registra anche una maggior tasso di secolarizzazione.

Il pregio fondamentale di questo breve studio è, secondo me, l’aver messo in luce come il processo di progressivo allontanamento degli italiani dalla religione cattolica innescatosi dalla fine degli anni ’60 sia inarrestabile, lo dimostra la fuoriuscita massiccia dalle parrocchie dei post-adolescenti.

Matteo Teodorani
socio uaar

http://www.uaarforlicesena.org/2011/geogra...0%A6-cattolica/
 
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