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Il "dardo fiammeggiante" di Teresa d'Avila., Il p@rno diario della santa spagnola dalle estasi mistiche

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view post Posted on 15/10/2019, 16:32

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Il p@rno diario della santa spagnola dalle estasi mistiche

Il "dardo fiammeggiante" di Teresa d'Avila.

Santa-Teresa-V-Centenario


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A parte le manie millenariste, la principale motivazione dell'attecchimento del cristianesimo è stato il terrore di demoni, spiriti e affini, intesi come responsabili di malattie e calamità; sin prima del Concilio di Toledo del 447, quando la chiesa definì l'attuale iconografia sommaria del diavolo unificando Satana, Pan ed Azazel, tutto ciò costituiva un dato di fatto apertamente accettato. L'idea si trasmise attraverso il corridoio siriano-palestinese, rivisitando come demoni gli antichi dèi pagani già noti agli ebrei quali Baal, Moloch, Astarte; lo stuolo d'esseri demoniaci che appestavano l'immaginario collettivo caldeo, levantino ed egizio, divennero le sterminate schiere degli inferi di Satana, rinvenendo una facile pastura in quella parte passiva e vittimistica del cristianesimo. Le pessime condizioni della cura personale dovute alla distruzione degli assetti sanitarii a seguito delle continue guerre post-costantiniane, apportarono ulteriori aggravii che si perpetuarono fino all'epoca della Riforma, sviluppandosi pragmaticamente nelle predicazioni erudite dei vari dottori dell'anima, come basta ad attestarci plenariamente già il solo Lutero:


"Il diavolo può assumere forma umana, quando vuole ingannarci: ad esempio, può dirci che è una donna, che ci pare in carne e ossa, ma è il diavolo. Il risultato dell'unione fra diavolo in forma di donna e un uomo, è una larva dell'oscurità, mezzo mortale e mezzo demone [...] Il diavolo, è indubbio, non è un dottore laureato, ma è comunque istruito, esperto in tutto ciò: non per nulla è in affari da secoli! [...] Gli idioti, gli ottusi, gli zoppi, i ciechi sono uomini in cui risiedono i demoni: e tutti i dottori che curano queste infermità come se fossero dovute a cause naturali, sono degli ignoranti teste di legno [...] Quanto al demente, so per certo che i suoi mali siano opera del demonio [...] I nostri corpi sono sempre esposti a Satana; ad esempio, le malattie che io stesso soffro, sono opera degli incantesimi del diavolo [...] Alcuni demoni risiedono nelle dense nubi nere, che causano grandine, lampi e tuoni, ed avvelenano i campi e l'aria [...] I venti non sono altro che spiriti maligni; guarda là; guarda come il diavolo soffia e sbuffa!"

Nonostante nel 408 tutti i templi delle città e delle campagne fossero stati conferiti a destinazione d'uso civile, e talora ridedicati a personaggi cristiani onde far sparire, secondo il progetto di Teodosio, ogni segno di culto antecedente, la gente continuava a ritenerli centri sacri, con le funzioni proprie degli dèi cui originariamente erano stati dedicati, e nei poderi sfuggiti alle epurazioni teodosiane, il profano cercava rifugio perpetuando i riti del passato. A dire il vero, furono gli stessi difensori della fede ad aver contribuito a questo revival: Rabano Mauro, Beda, Gregorio Magno, Boezio, Cassiodoro, Agobardo, Agostino e altri, presumendo di distruggere la piaga, semplicemente la rinfocolavano. Per quanto in linea di massima soprattutto il potere secolare tollerava il ritorno al paganesimo, i neopagani ricevevano costanti ammonizioni a non travalicare in basse superstizioni: ma in che modo, se esse costituivano la base, riveduta e corretta, della loro stessa religione ufficiale? Era necessaria una controffensiva, che come al solito fu affidata ai "professionisti".

Già a suo tempo, Origene asseriva che a causare le carestie, le magre, la corruzione dell'aria, le pestilenze, sono i demoni; essi, scriveva, sorvolano la terra ammantati nelle nubi, attratti dal sangue e dall'incenso che i pagani offrono loro come se fossero degli dèi. Agostino era pronto a giurare che tutti i mali sofferti dai cristiani siano da ascriversi a questi esseri maligni, che principalmente tormentano i bambini battezzati; Tertulliano, appoggiandosi tacitamente ai greci, insisteva sul fatto che un angelo malevolo stia costantemente in attendenza su una persona, e che


"l'impegno dei demoni è quello di corrompere l'umanità [...] Pertanto, essi infliggono agli uomini i malanni, e sono la causa di subitanei, straordinari sfoghi di violenza e malattie dei campi [...] con lo stesso potere misterioso delle infezioni con cui l'alito degli angeli caduti induce alla corruzione della mente con folli passioni, terribili deviazioni mentali e selvaggia libidine accompagnata da varie perversioni".

Sin prima che il IV Laterano vietasse la chirurgia, Gregorio Nazianzeno dichiarava che i dolori fisici sono causati dai demoni e che la medicina fosse inutile, laddove le mani consacrate del sacerdote potevano tutto; in una sua lettera, Bernardo da Chiaravalle, esorcista e mistico, sconsigliava l'affidarsi ai medici per dare sollievo al male, poiché la medicina non era in armonia né con la religione né con la "purezza morale" dell'Ordine; da parte sua, Gregorio da Tours, mimando la sagoma furbesca di Ambrogio, forniva copiosi esempi su come fosse peccaminoso affidarsi ai medici, anziché confidare nei santi. Tra parentesi, in periodi come quelli della Peste Nera i beati avevano un bel fatuo daffare, tant'è vero che Erasmo da Rotterdam, scrivendo a un amico dopo aver visitato una casa in Inghilterra, gli confidava che, non appena varcata la soglia, l'aria fosse talmente miasmica che avvertì subito la febbre nelle ossa: ma l'Olandese non si appellò ai santi, avendo imputato le cause del malessere alla malsanità, piuttosto che ai demoni.

Fu proprio la straordinaria incidenza di mortalità accorsa durante il periodo delle epidemie (che mieterono in totale oltre cento milioni di vittime dal 540 al 594), supportata ed amplificata dalle fobie chiliastiche, ad aver accentuato il desiderio di spiritualità ed il contemptus mundi. Il fragile involucro terreno era troppo sottoposto ad agenti demoniaci più o meno invisibili, per poter sperare di godere nella vita mundana: anzi, data l'ineluttabilità della morte, gli asceti non vedevano di meglio che amplificare la fondamentale sofferenza dell'Essere, implorando la morte come dono di dio.

L'idea orientale che l'abbrutimento umano fosse direttamente proporzionale alla glorificazione di dio, originò l'opinione per cui l'incuria fisica fosse sinonimo di santità ed umiltà, con conseguente privilegio della sollecitudine spirituale, laddove la pulizia era indice d'orgoglio e blasfemia; a parte il fatto che le continue distruzioni post-costantiniane portarono anche alla perdita delle infrastrutture sanitarie basilari, non c'erano particolari scusanti a livello tecnico, se pensiamo che i servizi igienici fossero conosciuti sin dall'epoca delle civiltà della Valle dell'Indo oltreché a Roma. La situazione rimase in tali termini fin oltre il Mille, quando il monaco cassinate Costantino l'Africano "tradusse" le opere di Galeno, già riscoperte dagli arabi; ma ciò non risolse i problemi accumulatisi. La mentalità dell'epoca vedeva un legame quasi sinaptico fra certi eventi e queste attitudini: la fantasmagorica Vita dei Santi ci porta ad esempio d'ammonimento l'aneddoto che quando i monaci orientali desideravano lavarsi, immediatamente il buon dio manifestava il proprio dispiacere prosciugando le fonti dei villaggi vicini, assetando il circondario e mandando in malora i campi finché tutta la paraphernalia del blasfemo bagno non veniva distrutta. Questa mancanza d'igiene a livello esteso comportò delle conseguenze a carattere globale, sviluppandosi nelle malattie infettive che si diffondevano dai centri d'incubazione orientali; nel 1400, il medico Guy de Chauliac notò che fra i carmelitani, che vivevano in una particolare forma di meticolosa sozzura, occorressero frequenti casi di pestilenza, talché nel periodo della Peste Nera in un solo convento ne morirono oltre novecento.

La pratica dell'inumazione, scelta a cagione della nozione della resurrezione delle carne, unita al fatto che i cristiani si radunavano nei cimiteri e nelle catacombe, ed infine il diffuso contatto con reliquie di "santi" ed altri macabri trofei, furono le concause materiali del dilagare delle malattie e di certe perversioni avvilenti. Nel generale clima di un credo di afflizione, sofferenza e morti viventi, tutto ciò originava ben altro che la sola fobia dell'igiene.

Le pratiche di monachesimo ascetico furono inizialmente circoscritte intorno al I secolo in Egitto, Siria ed Asia Minore, ma sin da prima di Origene non si contano in tutta la cristianità i casi di individui che, prendendo alla lettera quei precetti evangelici in altre circostanze definiti metaforici, si abbandonarono a pratiche aberranti contro il prossimo e sé medesimi (1). Per imitare sant'Ilario, Geronimo visse fino alla morte nel deserto con un solo abito addosso, senza lavarsi mai, poiché "chi si è bagnato una volta in cristo, non necessita un secondo lavacro"; il primo ancaoreta cristiano, "l'enigmista" tebano Pacomio, cui Geronimo si rifaceva, era talmente puzzolente che persino le iene rifiutavano d'avvicinarlo; Atanasio glorificò sant'Antonio perchè non si lavò mai i piedi; sant'Abramo era quantomeno più metodico e sistematico, dato che compiva l'odiato atto ogni cinquant'anni. Santa Silvia si lavava solo le dita, santa Maria d'Egitto fu rinomata per la sua sporcizia, mentre la collega Eufrasia apparteneva ad un convento di oltre mille monache che non si lavavano mai. Macario d'Alessandria, altro celebrato asceta, si portava appresso ottanta kilogrammi di catene e vegliava insonne per settimane; Eusebio batté il suo record aggiungendone altri settanta, e vivendo per tre anni in un pozzo disseccato. Besario passò quaranta giorni e altrettante notti fra rovi spinosi per mortificarsi, dormendo per quarant'anni more equino; il monaco Baradato visse accucciato in una cassa sulla cima di un monte, poi traslocò in un sacco di pelle provvisto di un foro per respirare; Teodoro visse alternamente in due gabbie senza coperchio, una per l'inverno e l'altra per l'estate, indossando una maglia di ferro, mentre Godric di Finchale ne portava una di peli, e mangiava cibo decomposto. Roba da nulla in confonto al record detenuto da Simeone lo Stilita, a cui proposito le cronache ci dicono vivesse avviluppato in un fetore intollerabile a decine di metri di distanza, sebbene non si può certo dire che non osservasse i precetti cristiani d'amore universale del suo epigono d'Assisi: quando i vermi cadevano dal suo misero corpo, li rimetteva al suo posto invitandoli a continuare a pasteggiare di "ciò che dio v'ha dato".

Non è necessario rimarcare che, a parte la triste aura sprigionatasi da secoli di persuasione religiosa, grandi esegeti come Geronimo, Agostino, Tertulliano et alteri abbracciarono il cristianesimo sia per "purgarsi" da umanissimi errori precedentemente commessi, che per comodità. Stesso dicasi per certi santi, il cui presupposto di santità risiede essenzialmente nel fatto che compirono degli atti di "rinuncia" al vile mondo e alle sue vanità. Possiamo produrre una nostalgica sintesi ripropositiva di queste nozioni ad esempio dalle parole di Vittorio Messori, tratte da La Sfida della Fede (S. Paolo, 1993):


"Inspiegabile, davvero, la stoica pazienza di chi sta immobile per ore sotto il dardeggiare del Sole per brunire ogni centimetro di pelle. Spettacolo, ormai, talmente consueto che ci sembra normale: mentre, normale, non lo è per niente. In effetti, questa nostra è la prima e sola cultura che metta l'abbronzatura tra i valori appetiti, anzi socialmente quasi obbligatori [...] Dai tempi della Grecia e di Roma, sino agli anni dopo la prima guerra mondiale, chi si fosse esposto alla sferza solare non costrettovi dalla necessità avrebbe ricevuto il trattamento riservato ai malati di mente. Ancor oggi, nei paesi che hanno conservato qualcosa della cultura tradizionale, chi deve stare al sole si copre il più possibile, come testimoniano le genti del deserto, specialiste in questo genere di cose [...] in latino «abbronzato» si traduce con un termine significativo, che rimanda a una malattia: infectus. E «abbronzatura» risponde al nome di adustio, termine di patologia medica anch'esso, significando «ustione», «scottatura»".

Che significato dare a questo rito, si chiede l'apologeta?


"Forse, è anche un riemergere dell'adorazione del Sole, tipica del paganesimo eterno e che ora ritorna [il dio Sole è l'emblema dei movimenti ecologici]. Ma, soprattutto, la cosa appare legata a quel culto del corpo e della sanità fisica che contrassegna il nostro tempo: la pelle ustionata presuppone vita all'aria aperta e, dunque, salute".

Il "forse" ci sta tutto, anche perché — sinceramente — ci riesce difficile ricollegare un discorso sul salutismo all'ecologia, per quanto deprecabile possa essere qualsiasi pratica in eccesso; potremmo, però, tentare un raffronto con le oramai classiche rampogne chiesastiche contro gli ambientalisti. Ma così continua il nostro:


"Forse, anche l'abbronzatura è uno dei tanti, inconsci esorcismi contro la malattia e la morte, realtà divenute indecenti perché in grado di mettere in crisi culture che contro di esse non hanno più alcuna difesa né psicologica né spirituale [...] E «peccatori» sono quegli ormai pochi che, in albergo, si vedono non disdegnare il fumare, il bere, il gustare la cucina, il prendere caffè non decaffeinato e con zucchero vero, il fare le ore piccole, il dormire sino a tardi invece di correre sul prato quando ancora c'è la rugiada. Hanno il loro grosso torto anch'essi, si intende: eppure, è un aver torto che, istintivamente, appare più «simpatico», più umano, più cordiale di quello dei cupi, fanatici fedeli dei culti salutisti. «E venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve e dicono: ecco un mangione e un bevitore, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). Bisogna andarci piano, certo, in discorsi come questi che non sopportano semplificazioni e battute: eppure, vien da sospettare che, per quella rievangelizzazione così necessaria, questi peccatori che non hanno il culto del check-up periodico né l'ossessione della prevenzione sanitaria siano terreno più fertile dei «nuovi catari», i puri di quella religione igienista che, come visione di fede, ha la speranza di raggiungere l'eternità terrena tra jogging, trekking, footing e altri atti di liturgia corporale".

Non trovo il busillis del contendere, in questi elzeviri: la chiesa ha sempre predicato l'astensione dal fumo, dagli alcoolici, dalle droghe, e peraltro si è sempre premurata di nicchiare sul passo matteano citato dal Messori, mostrandoci ognora un cristo cupamente macilento, scarno, pietoso, lontano dal pacioso modello pacelliano di Gautama. Mi viene in mente, a sproloquii del genere, una recente preoccupante dichiarazione dei gesuiti di Civiltà Cattolica che tenta di piegare le recenti scoperte nel campo della medicina alle usuali tecniche di auto-propaganda:


"Una dura critica ai meccanismi dello sport moderno, visto come «una religione senza Dio» ed il «nuovo oppio dei popoli», è giunta oggi dai gesuiti di Civiltà Cattolica, con un editoriale firmato da padre Alois Koch. Nel mirino della prestigiosa rivista finiscono sia attività divenute ormai di massa, come il jogging, sia i cosidetti sport estremi, tipo il parapendio, il rafting etc.. Alla corsa si rimprovera di essersi trasformata in una vera e propria droga per le molte persone che la praticano; una droga a tutti gli effetti. «È stato dimostrato — spiega padre Koch — che nelle prestazioni, come quelle di un maratoneta, dopo circa 25 chilometri si raggiunge una soglia di dolore a cui il corpo va incontro producendo endomorfine proprie dell'organismo, cioè morfine. Il corridore va su di giri [...] Chi corre costantemente per lunghi tratti di strada diventa tossicodipendente — ammonisce il gesuita — e se si interrompono i decorsi della droga, sperimenta un vero e proprio fenomeno da astinenza».
E in qualche modo simile all'esperienza della droga è anche il cosidetto kick [calcio] che si prova negli sport estremi, «un euforico superamento di sé», afferma padre Koch. «Che cosa rende — si chiede — così attraente il canyoning, il rafting, il parapendio, le discese sugli sci su pendenze del 60% e anche più? Si vuole sperimentare il cosidetto kick, la sensazione forte, l'esperienza limite fino ad accettare e persino desiderare il pericolo mortale». Ma, al di là di questi esempi, è l'intero sport, con i «suoi riti paraliturgici», con il dissolvimento dell'individuo nella massa, a creare serie preoccupazioni tra i gesuiti di Civiltà Cattolica" (ANSA, 4 aprile 2003).

Ci pare di capire che qualsiasi pratica che non passa attraverso la mortificazione onde esaltare lo "spirito", è ipso facto demoniaca; ossia, dio desidera che l'essere umano mortifichi sé stesso per comprendere la Sua perfezione, sebbene la chiesa si sia sempre premurata d'insegnare che qualsiasi atto di violenza verso sé stessi è peccato. Nulla di tutto quanto sopra rassegnato riceve lo stigma del frutto di menti malate, poiché gli sforzi dei "santi" sono finalizzati alla "purificazione" ed alla rinuncia per correre incontro a dio, il quale, ex æquo coi suoi recensori, possiede l'incontestabile arbitrio di giudicare ad libitum censurabile o meno qualsiasi atteggiamento umano; a chi ne dubita, di norma si risponde col ricorso al pathos e alla denigrazione della mentalità "materialista" di coloro i quali "non comprendono" la "sublimità" di questi concetti.

Non me ne stupisco: adorando e rispettando questi santi — di cui il pontificato wojtyliano ha impinguato il numero al punto da surclassare qualsiasi altro pantheon al mondo —, noi, che viviamo in una comoda società sulla quale aleggia un dio a cui chiedere qualsiasi cosa (purché illusoria), ci sentiamo autorizzati a far riferimento ad un modello che non è facilmente emulabile, sì da poter vivere più comodamente le nostre umane debolezze, fermo restando la possibilità di mondarle tramite le pratiche catartiche di cui la chiesa è depositaria.

Non è il caso di sottolineare a cosa possa portare l'eccesso in qualsiasi circostanza; gli effetti della mortificazione sistematica delle pulsioni naturali costituiscono un dato di fatto abbastanza accertato, sebbene in passato non fosse ancora possibile catalogare la casistica secondo metodologie razionali e patologiche. In questo senso, non di rado si poteva parlare di infestazione demoniaca, anziché di fenomeni psichiatrici.

Nel convento di Loudun (Francia), Giovanna degli Angeli (già nota per una scabrosa liason con il gesuita Grandier; poi bruciato sul rogo nel 1633 dietro accusa delle stesse monache) trasmise il contagio dell'isterismo estatico alle sue sottoposte. Le orge si ripetevano con frequenza sistematica, al punto che la curia decise finalmente d'intervenire. In un primo momento fu incaricato il confessore esorcista Surin (già giudicato "un po' tocco" dai suoi stessi colleghi), che però si fece coinvolgere; la sua presenza nel convento iniziò ad essere fonte d'ulteriore turbamento per le già di per sé sconvolte spose di cristo, finché l'ennesima congiura fra le suore portò alla sua denuncia come responsabile degli eventi, sicché l'esorcista fu destituito e condannato a morte. Passata la mano ad un prelato più irreprensibile, Giovanna fu "esorcizzata", idest fatta abortire, perché già gravida da qualche mese:


"Ebbi allora la visione di una grande nuvola intorno al letto su cui ero distesa, e vidi, sulla destra il mio buon angelo. Era di una strana bellezza, simile ad un giovane sui diciott'anni, con una lunga chioma bionda e rilucente che ricadeva sulla spalla sinistra del mio confessore. Quest'angelo indossava una veste candida come la neve, e reggeva in mano un cero bianco, molto lungo, grosso e fiammeggiante...".

Dal momento che la povera ossessa affermò d'esser stata guarita da san Giuseppe, la chiesa trasformò le orge del monastero di Loudun in manifestazioni miracolose; gli stracci che Giovanna usava per curarsi le ferite delle flagellazioni, ora trasformate in oggetti benedetti, furono usati per curare i malati che cominciarono ad affluire come un fiume in pellegrinaggi organizzati. Considerata oramai una guaritrice, santificata, suor Giovanna degli Angeli iniziò il suo personalissimo Tour de France per curare gli infermi, guadagnandosi sì gran fama che Richelieu in persona — lo stesso mandante dei suoi esorcisti — la invitò a corte per farsi miracolare dalle emorroidi. Meno fortunata fu suor Anna Singer, bruciata al rogo come strega per fatti analoghi accaduti a Würzburg, poi teatro di numerosi fatti del genere oltreché episodi d'esorcismo finiti tragicamente, come nel più recente caso di Anneliese Michel.

Certe manifestazioni, non certo ignote al passato pagàno, avevano già a quel tempo delle spiegazioni abbastanza razionali, ma chiaramente scomode. Poco prima di morire, il grande scienziato Girolamo Cardano fu processato per aver affermato che i fenomeni di stregoneria fossero dovuti a problemi psichici ed alimentari; il contemporaneo Johann Wier mise in evidenza le medesime cose, accusando d'assassinio gli inquisitori e ricavandone la condanna all'Indice del suo libro. Stessa sorte toccò a Reginald Scott, la cui opera, proscritta nel 1603, vide i tipi mezzo secolo dopo; nel frattempo, il gesuita Fiedrich Spee, colpito dal rimorso per le oltre duecento vittime da lui denunziate, pubblicava la Cautio criminalis, che diede alle stampe in forma anonima onde evitare problemi maggiori.

Nel Medioevo le patologie psicosomatiche diventano abbastanza diffuse soprattutto all'interno dei chiostri claustrali; l'affezione si manifestava con eccessi di libido, essudazione ematica, stigmate (2), mentre l'outburst associato contemplava l'insorgenza d'aggressività, masochismo (3), mania di persecuzione, viragismo, manie suicide e disturbi di tipo DSM. In casi esemplari come quello di Caterina da Siena (4) e la meno famosa Maddalena de' Pazzi (5) si osserva parimenti uno spiccato gusto, diremmo bacchico, per il cruento morboso e il sanguinario. Questo campionario, prevalentemente a sfondo sessuale, è abbastanza controspeculabile in parecchie mistiche, di cui Teresa d'Avila costituisce un campione emblematico; il livello d'alienazione della povera donna era tale che nel corso delle sue crisi riusciva persino a "levitare" per una buona mezz'ora. Il prodigio, oggi spiegato (profanamente) come illusione ottica dovuta agli effetti dell'anoressia cronica (6), fu poi aggiunto al suo già abbondante carnet di miracolistica. È la stessa "santa" a fornirci ragguagli in proposito:


"Il mio male era arrivato ad un tale livello di gravità, che ero sempre sul punto di svenire. Sentivo un fuoco interno che mi bruciava [...] la mia lingua era ridotta a brandelli a furia di morderla [...] Mentre cristo mi parlava, io rimanevo a contemplare la straordinaria bellezza della sua umanità [...] Provavo un piacere così forte che non è possibile provarne di simili in altri momenti della vita [...] Durante le estasi il corpo perde ogni movimento, il respiro s'indebolisce, si emettono soltanto dei sospiri e il godimento arriva ad intervalli [...] Nostro signore, il mio sposo, mi procurava tali eccessi di piacere da impormi di non aggiungere altro oltre a dire che tutti i miei sensi ne erano rapiti [...]

In un'estasi m'apparve un angelo tangibile nella sua costituzione carnale, ed era bellissimo; io vedevo nella mano di quest'angelo un dardo lungo d'oro, con una punta di fuoco. L'angelo mi penetrò con il dardo fino alle viscere e quando lo ritirò mi lasciò tutta bruciata d'amore per dio...Il dolore della ferita prodotta dal dardo era così vivo che mi strappava dei deboli sospiri, ma quest'indicibile martirio che mi faceva nello stesso tempo gustare le delizie più soavi, non era costituito da sofferenze corporali anche se il corpo vi partecipava nella forma più completa [...] Ero in preda a un turbamento interiore che mi faceva vivere in una continua eccitazione che non osavo interrompere chiedendo l'acqua benedetta per non sconvolgere le altre suore, che avrebbero potuto comprenderne l'origine".


Per poter meglio vivere nella maniera più libera da ogni senso di colpa i piaceri sessuali, sovente proiettati su Gesù o sulla Madonna (7), Rosa da Lima puniva il proprio corpo con sevizie atroci, e nonostante il confessore le consigliasse di non esagerare, arrivò ad infliggersi oltre mille frustate quotidiane nell'arco di cinque giorni. La collega Angela da Foligno (che giunse al punto d'auspicare la morte dei genitori perché la ostacolavano a prendere i voti) era così consapevole che i piaceri provati durante le sue estasi fossero di natura sessuale, che ebbe a confessare d'esser vittima di un "vizio che non oso nominare", di cui cercava di liberarsi mettendo carboni ardenti sulla vagina: la povera scriveva che durante le "estasi"


"era come se fossi posseduta da uno strumento che mi penetrava e si ritirava strappandomi la carne [...] Venivo riempita d'amore e saziata di una pienezza inestimabile... Le mie membra si frantumavano e si rompevano di desiderio mentre io languivo [...] Quando poi rinvenivo da questi rapimenti d'amore, mi sentivo così leggera ed appagata, da voler bene anche ai demoni"!

Un altro caso similare è quello di Maria Alacoque:


"Quand'ero dinnanzi a Gesù, mi consumavo come una candela nel contatto amoroso che avevo con lui [...] Ero di natura così delicata che la più piccola sporcizia mi rivoltava lo stomaco. Gesù mi rimproverò così energicamente per questa mia debolezza che io reagii con tanta decisione che un giorno pulii con la mia lingua il pavimento sporco del vomito di una malata. Egli mi fece provare tanta delizia in quest'azione che avrei voluto avere l'occasione per farlo tutti i giorni [...] Una volta che avevo dimostrato una certa ritrosia nel servire una malata di dissenteria, Gesù mi rimproverò così severamente che, per riparare, mi riempii la bocca dei suoi escrementi; li avrei ingoiati volentieri certamente se la Regola non avesse proibito di mangiare fuori dei pasti [...] Un giorno Gesù mi si mise sopra con tutto il suo peso, e rispose così alle mie proteste: «Lascia che ti usi a mio piacere perché ogni cosa va fatta a suo tempo. Adesso io voglio che tu sia l'oggetto del mio amore, abbandonata alle mie volontà, senza resistenza da parte tua, in modo che io possa godere di te» [...] La santa vergine mi appariva spesso facendomi delle carezze inesplicabili e promettendomi la sua protezione".

Tutti questi esempi portano a considerare più in profondità quali possano essere gli effetti di un credo altamente contraddittorio, basato sulla "esaltazione delle bassezze" per "esaltare dio", come avrebbe detto Dionigi l'Areopagita: da un canto, potremmo dire che determinate scelte di vita quali il celibato e la clausura favorissero certamente l'introspezione e la ricerca di una forma di pensiero scevro da contaminazioni superficiali, dando vita ad esempi di mistici e dotti equilibrati, ma dall'altro lato gli effetti della mortificazione psico-fisica coartata accentuavano la progressiva debilitazione del sistema nervoso, scaturendo in eventi del genere. Certi esempi, utilizzati molto spesso come sacco di trincea, non riescono a mascherare il peso specifico della realtà efficiente delle credenze quantomeno all'attenzione di chi va ben oltre l'incombenza apologetica; tirando le somme, è assai semplice comprendere, in una credenza fatta di morti viventi, vittimismo, autolesionismo, terrorismo psicofisico, da dove proviene l'acquiescenza nel macabro, le statue che trasudano sangue, il "culto" di resti umani, le allucinazioni collettive e tanto altro pietibile e seriamente preoccupante, che non staremo qui ad elencare, poiché dovrebbe essere già noto.

Il campionario dei casi preoccupanti sarebbe a dir poco sconfinato, e non occorre rimarcare che, secondo le circostanze, azioni siffatte non potevano ricevere null'altro che il crisma della santità, mentre dei comuni mortali sarebbero stati più certamente circoscritti fra gli indemoniati.


(1) Gregorio Nazianzeno e Agostino riferivano che parecchi monaci si suicidavano per evitare "le tentazioni del mondo perverso". Origene stesso si evirò per osservare alla lettera il precetto degli "eunuchi per il regno dei cieli", e più tardi se ne pentì.
(2) Presenti in almeno quindici "sante" medievali, con emorrea al momento d'assumere l'eucarestia, mentre fra gli uomini, tolti una sessantina di casi estremamente questionabili simili alla casistica di Elisa di Herkenrode, sono comparse in Francesco d'Assisi e padre Pio, in circostanze oltremodo poco chiare e molto probabilmente legate a fattori psico-somatici, a non voler propendere per operazioni fraudolente.
(3) Vedasi ancora il caso di Margherita Alacoque, che così scriveva: "Ho legato questo corpo criminale e disgraziato con corde piene di nodi, talmente stretto che potevo a stento respirare. Le lasciai così a lungo che sprofondarono nella carne, e non potevo toglierle se non con gran dolore. Feci la stessa cosa con delle catene legate alle braccia; potevo rimuoverle strappando pezzi di carne insieme ad esse".
(4) "A voi, dilettissimo e carissimo patre e figliuolo mio caro in cristo Gesù, io, Caterina, serva e schiava de' servi di dio, scrivo a voi raccomandandomi nel prezioso sangue del figliuol di dio, col desiderio di vedervi affogato e annegato nel suo sangue dolce [...] Questo desidera l'anima mia; vedervi annegato in quel sangue, voi, Nanni e Giacomo [...] Dico che, se non fuste annegati nel sangue, non perverreste alla virtù piccola della vera umiltà, la quale nascerà dall'odio, e l'odio dall'amore. Così voglio che vi rinserriate nel costato aperto del figliuolo di dio, che è una bottega aperta, piena d'odore tanto che il peccato diventa odorifero! Qui la dolce sposa si riposa nel letto del fuoco e del sangue [...] Oh botte spillata, che dai da bere e inebrii ogni innamorato desiderio!" (Lettera a Raimondo di Capua).
(5) "Il costato nutriva e l'anima si trasformava nel sangue, tanto che non intendevo poi altro che sangue, non vedevo altro che sangue, non gustavo altro che sangue, non sentivo altro che sangue, non pensavo e non potevo parlare se non di sangue".
(6) Teresa d'Avila usava un ramoscello d'ulivo per provocarsi il vomito e liberare lo stomaco al fine d'accogliere degnamente l'ostia, che era la sua unica fonte di sostentamento. Oltre cento "sante" soffrirono d'anoressia.
(7) Margherita da Faenza, Angela da Foligno, Margherita da Olingt si attivavano sessualmente solo nell'ascesi proiettata in Gesù o Maria.

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